La Terra Cava: Mondi sotto la superficie Terrestre - Ipotesi e Misteri
Di D.A.
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Anteprima del libro
La Terra Cava - D.A.
OTTAVA
Introduzione
Sin dai tempi antichi diverse teorie hanno sostenuto l'esistenza di regni e territori sotterranei, sia come teorie relative a ipotetici veri territori sia come metafore per condizioni dello spirito (si pensi all'opera di Platone e al mito della caverna).
Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall'infanzia, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada sia stato eretto un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attrarrebbe l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (si ricordi che sono incatenati fin dall'infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre parlanti
come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del sole ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.
Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che: « è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. »
Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all'ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall'ascesa con gli occhi rovinati
. Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.
Alcune di queste teorie col tempo sono andate a costituire le basi per luoghi concettuali, quali l'Ade della mitologia greca. Ade (dal greco Ἅιδης) identifica il regno degli Inferi greco e romano (chiamato anche Orco o Averno). In realtà, è solo una trasposizione del nome del dio: si voleva identificare il regno col suo stesso re.
Il regno dei morti greco/latino era, al contrario di quello ebraico e cristiano, un vero e proprio luogo fisico, al quale si poteva persino accedere in terra da alcuni luoghi impervi, difficilmente raggiungibili o comunque segreti e inaccessibili ai mortali.
Per quanto riguarda la geografia e la topogra-fia degli Inferi, Omero (nell'Odissea) non gli dà un carattere di vero e proprio regno
esteso, ma lo descrive solamente come una sfera fisica oscura e misteriosa, perlopiù preclusa ai viventi, dove soggiornano in eterno le ombre (e non le anime) degli uomini senza apparente distinzione tra ombre buone ed ombre malvagie, e senza nemmeno un'assegnazione di pena o di premio in base ai meriti terreni.
Nella tradizione greca, uno degli ingressi all'Ade si trovava nel paese dei Cimmeri, che si trovava al confine crepuscolare dell'Oceano, e proprio in questa regione remota Odisseo dovette recarsi per discendere all'Ade ed incontrare l'ombra dell'indovino Tiresia; nella tradizione romana, invece, uno degli ingressi infernali si trovava vicino al lago dell'Averno (che poi divenne il nome del regno infernale stesso), dal quale Enea discese insieme alla Sibilla cumana.
Lo Svartálfaheimr della mitologia norrena,
Svartálfaheimr è, nella cosmologia della mitologia norrena, uno dei Nove Mondi (Nío Heimar), individuato nel sottosuolo, dove dimorano gli Svartálfar o Døkkálfar, elfi oscuri descritti dallo storico Snorri Sturluson nel Gylfaginning (L'inganno di Gylfi), insieme ad alcuni nani.
Teorie moderne
Edmund Halley nacque a Haggerston, Londra, figlio di un ricco fabbricante di sapone. Dal 1673 studiò al The Queen's College di Oxford. Prima di laurearsi pubblicò saggi sul Sistema solare e le macchie solari.
Lasciando Oxford, nel 1676, visitò l'isola di Sant'Elena con l'intenzione di studiare le stelle dall'emisfero australe. Ritornò in Inghilterra a novembre del 1678.
L'anno seguente pubblicò Catalogus Stellarum Australium che comprendeva 341 stelle meridionali. Per queste aggiunte alla mappa stellare fu paragonato a Tycho Brahe. Conseguì il Master of Arts a Oxford e fu eletto membro della Royal Society.
Nel 1686 Halley pubblicò la seconda parte del resoconto della sua spedizione, un saggio e una carta sugli alisei e i monsoni. Identificò nel riscaldamento solare la causa dei moti atmosferici. Stabilì anche la relazione fra la pressione barometrica e l'altezza sul livello del mare.
Halley si sposò nel 1682 e sì stabilì a Islington. Passò la maggior parte del suo tempo osservando la Luna, ma si interessò anche ai problemi della gravità. Un problema che attirò la sua attenzione fu la prova delle leggi di Keplero sul moto planetario. Nell'agosto del 1684 andò a Cambridge per discuterne con Isaac Newton, scoprì che Newton aveva già risolto il problema ma non aveva ancora pubblicato niente. Halley lo convinse a scrivere Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), che fu pubblicato a spese di Halley.
Nel 1693 pubblicò un articolo sulle rendite vitalizie, un'analisi dell'età alla morte presa dagli archivi di una città tedesca nota per tenere una documentazione meticolosa. Questo permise al governo britannico di vendere le rendite vitalizie ad un prezzo adatto, basato sull'età dell'acquirente. Il lavoro di Halley influenzò fortemente lo sviluppo della demografia.
Nel 1698 ricevette l'incarico di capitano sulla HMS Paramore (His Majestic Ship - nave di Sua Maestà Britannica), per fare approfondite osservazioni sulle condizioni del magnetismo terrestre. Il viaggio nell'oceano atlantico durò due anni, si estese da 52 gradi di latitudine nord a 52 gradi sud. I risultati furono pubblicati in una carta generale delle declin-azioni magnetiche nel 1701. Fu la prima carta di questo tipo ad essere pubblicata e la prima su cui apparvero le isocline.
Nel novembre del 1703 fu nominato Professore saviliano di Geometria all'Università di Oxford, nel 1710 ricevette una laurea ad honorem in legge. Nel 1705 pubblicò Synopsis Astronomia Cometicae nel quale espose il suo convincimento che gli avvistamenti cometari del 1456, 1531, 1607 e 1682 erano relativi alla stessa cometa, e ne predisse il ritorno nel 1758. Quando ciò accadde, divenne nota come la Cometa di Halley.
Nel 1716, Halley