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Maldindia: Perché non puoi più farne a meno
Maldindia: Perché non puoi più farne a meno
Maldindia: Perché non puoi più farne a meno
E-book162 pagine1 ora

Maldindia: Perché non puoi più farne a meno

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Info su questo ebook

“…Ma esiste un altro male, un male buono che ti prende e non ti lascia più: si chiama Maldindia”: mosaico di racconti per avvicinarsi al Subcontinente e provare a comprenderne le sue ricchezze, diversità e contrasti. Chiave di lettura per l'infinito universo indiano, dove moderno e antico si rincorrono per confondere il viaggiatore, ammaliarlo e catturarlo. Vi ritroverete a correre sui marciapiedi a due piani di Calcutta, inseguiti da un venditore di ombrelli rotti, tra elefanti fermi al semaforo nel cuore di Mumbai, cantando con Shiva nel tempio di Madurai, seduti in un vagone di terza classe sul Toy Train delle Nilgiri Hills, o urlando a squarciagola nella borsa del pepe di Cochin. Sempre alla scoperta di questa grande bellezza che è l'India.
LinguaItaliano
EditorePOLARIS
Data di uscita20 apr 2016
ISBN9788860591791
Maldindia: Perché non puoi più farne a meno

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    Anteprima del libro

    Maldindia - Pierpaolo Di Nardo

    MALDINDIA

    Perché non puoi più farne a meno

    Di

    Pierpaolo Di Nardo

    Prima edizione ebook: 2016

    Copyright ©2016 Polaris

    ISBN 9788860591791

    La guida è disponibile anche in formato cartaceo

    Casa Editrice Polaris

    www.polariseditore.it

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte dell’opera può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, o registrata in database, senza il permesso scritto dell’editore.

    Benché sia stata prestata la massima attenzione nella raccolta delle informazioni contenute nella guida, nessuna responsabilità per eventuali danni o inconvenienti occorsi a cagione del suo utilizzo potrà essere imputata all’autore, all’editore o a chi, sotto qualsiasi forma, la distribuisce.

    Sommario

    L’Atlante

    Maldindia

    Il viaggio

    Tornare in India

    È solo acqua!

    Varanasi: Madre Ganga

    Induismo: cuore e tabla

    La macchina del tempo

    La voce dell’India

    Pushkar: il rito dell’appartenenza

    Madurai: Meenakshi occhi di pesce

    Perle di saggezza di Director Devin

    Un salto nel Medioevo: lezione di Ayurveda

    Ladakh: una ciotola di tzampa

    Hinglish, nuova lingua del pianeta futuro

    Con e contro

    Il Karma di nascere a Orbassano

    L’elefante

    Calcutta la domenica...

    Kaligath: una ressa che sembra una rissa

    Palika Bazar: just have a look sir!

    Appena fuori Delhi

    Il tempio Sikh di New Delhi

    Kalbadevi, l’India più dell’India

    Dharavi: la città di sotto

    Shambarik Kharolika

    Mumbai: un’avventura chiamata Cinema

    Spazio all’Ambassador Car

    Cine(ma)città: un posto che non c’è

    Marina Beach: per non sentirsi mai soli

    I piedi zingari

    In treno verso Ooty

    La notte di Shiva a Chidambaram

    Gujarat: nove giorni con i Rabari

    Jodhpur: un calzolaio nel blu

    Rajasthan senza tempo

    Ladakh: a un passo dal cielo

    Backwaters: paradiso d’acqua in terra

    Kerala: pescatori di Vizhinjam

    L’India che verrà

    Ho girato l’India per anni e chilometri...

    REAL INDIA

    L’Atlante

    -  Il mio primo viaggio?

    -  Avevo 5 anni. Giuro! 5 anni.

    -  E allora? - tu dirai - Che c’è di strano? Io a 5 anni sono andato a Palermo in aereo con i miei.

    - Sì, bravo! A Palermo. In aereo. Io, il mio primo viaggio, a 5 anni, l’ho fatto da solo. Da solo e su un

    cammello! Il cammello era piccolo, marrone e di plastica: quello del presepe.

    L’attraversata... sul mio Atlante Geografico DeAgostini. Un’attraversata senza confini.

    Televisione: poca. Videogiochi: niente. No Iphone world. No Ipad world.

    Da bambino io giocavo poco con i soldatini. E poco con le macchinine.

    A volte un po’ a pallone ma... solo quando non ero impegnato a viaggiare.

    Il mio migliore amico era l’Atlante. e poiché a 5 anni avevo imparato a leggere, mi soffermavo sulle pagine dell’Atlante, con il mio cammello di plastica, Ascoli, a sottolineare i nomi dei Paesi più lontani. Mesopotamia! Mesopotamia mi faceva sempre un po’ paura. Sembrava un animale gigantesco: Mesopotamia, arriva Mesopotamia... Babilonia! Babilonia era il nome della donna cannone.

    Iran, Afghanistan, Uzbekistan, Pakistan... India! India era una donna: bellissima.

    E poi Nepal, Tibet, Cina, Mongolia, Urss, Strettodibering tutto attaccato come un ponte per passare di là in Alaska.

    Avevo una casetta piccolina in Canadà, con vasche pesciolini tanti fiori di lillà. E tutte le ragazze che passavano di là dicevano... Messico, Guatemala, Perù, Cusco, Machu Pichu. Brasil...

    Seguivo con il dito le strade disegnate sull’Atlante. Tracciavo rotte possibili e impossibili.

    Incontravo Re e Regine, andavo a pranzo con Marco Polo, scambiavo monete con Tamerlano: insomma io, a 5 anni, facevo affari d’oro!

    Poi arrivato laggiù in Argentina, nella Terra del Fuoco, tra i pinguini (ma non quelli del presepe), caricavo Ascoli su una barchetta di carta, e via, facevo rotta verso... l’Africa.

    -  Capitanooo!.

    -  Cosa c’è?.

    -  Vento forza sette: onde alte dieci metri.

    -  Tutti sotto coperta.

    -  Capitanoooooo!.

    -  Cos’altro c’è?.

    - Imbarchiamo acqua da tutte le parti!.

    -  Certo, cretino, è una barca di carta!.

    Così io e Ascoli, cammello femmina e quindi incapace di morire, arrivavamo inzuppati fradici sulle coste dell’Africa. Si perché l’Atlante finiva davvero nella vasca da bagno!

    E da lì era il Senegal, la Sierra Leone e poi su risalendo il grande fiume Niger verso Timbuctu in Mali. Una strada dritta dritta ci portava nel cuore del grande Deserto del Sahara e poi laggiù, laggiù in fondo: il Mediterraneo. Leptis Magna era un’arena piena di leoni, lottavo come un gladiatore per arrivare per primo in Egitto. Poi Gerusalemme e dopo un bagno nel Mar Morto, mare magico dove si sta a galla a leggere il giornale, avvistavo finalmente i minareti di Istanbul, conficcati nel cielo, con un piede in Asia e l’altro in Europa.

    Grecia: Sirtaki, Tzatziki, Demòcratos. Jugoslavia: la musica in sette ottavi, Trieste con i palazzi affacciati sul mare e poi finalmente: casa!

    Ascoli fermo, al semaforo, mia mamma che mi saluta, mio padre sulla porta che dice:

    Mannaggia a te, dove sei stato tutto sto tempo che il piatto è freddo?.

    - Già, mannaggia a me. Spesso mi ci addormentavo sopra all’Atlante, o meglio, dentro.

    In geografia però prendevo sempre 9: al massimo.

    Maldindia

    "Chiunque sia stato in India non solo con gli occhi,

    come un viaggiatore di lusso, ma con tutta l’anima,

    proverà sempre nostalgia per quella terra

    che al minimo cenno continuerà a tornargli in mente".

    (Hermann Hesse)

    Con quale modesto alfabeto posso raccontare cos’è la mia nostalgia per l’India? Quella che provo tutti i giorni, tutte le mattine quando mi alzo. È difficile dare voce a qualcosa che si muove dentro, nello stomaco, in profondità.

    Avventurosi esploratori del deserto del Sahara, Piccoli Principi a caccia di amici, viaggiatori leggendari in cerca di popoli mitici, da sempre ci raccontano il Maldafrica.

    Ma esiste un altro male, anche questo buono, buonissimo. Un male buono che ti entra dentro all’anima e non ti lascia più. Si chiama Maldindia.

    Il Maldindia è lì all’aeroporto appena ci arrivi, in India, tra le case di Delhi o di Mumbai. Non lo vedi ma c’è. Il Maldindia è nell’aria prepotente, solida, monsonica. Quell’aria che appena si apre il portellone dell’aereo... ti salta addosso e quasi ti stordisce: aria unica e inimitabile dell’India.

    Il Maldindia lo senti soprattutto alla sera, nei villaggi, quando in fondo alla valle si accendono piccole luce: e sono candele, fuochi, piccoli fuochi attorno ai quali famiglie intere a più generazioni mangiano quello che hanno raccolto durante il giorno nei campi.

    Il Maldindia è per la strada, le mille strade dell’India, e lo vedi negli occhi lucidi della gente che ti guarda e ti trova buffo, perché sei vestito da marziano, col tuo cappello da turista e la macchina fotografica sempre pronta e piena di click! Il Maldindia c’è e ti cammina dentro.

    Ma come posso dire? Il Maldindia è quella sensazione che ti spinge a non voler mai tornare a casa quando sei lì, in India, e ti fa venire subito voglia di ripartire, per l’India, appena torni a casa.

    Per me l’India è stata l’occasione per cambiarmi la vita. Un’occasione per costruire ponti, per mettermi in contatto con parti remote di me che non sapevo neppure di avere.

    Ferdinand de Lanoye dice: Ci sono mille porte per entrare in India ma nemmeno una per uscirne.

    È così: proprio così. Fortemente così. Terribilmente così. Ma anche... piacevolmente così.

    Il viaggio

    "L’India è laggiù ad oriente, non si vede ma c’è.

    Anche tu dovresti sentirla, come si sente la presenza

    di qualcuno che non si vede eppure c’è".

    (Alberto Moravia)

    Non si viaggia in India per visitare monumenti, musei, templi o palazzi. Non si viaggia in India per attraversare paesaggi. Almeno non soltanto. In India si viaggia per conoscere mondi interiori: nelle paludi della mente, nei labirinti senza bussola che ci portiamo dentro. Si viaggia in India per fare un viaggio che non si vede con gli occhi ma si sente con lo

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