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L' Amore può Uccidere
L' Amore può Uccidere
L' Amore può Uccidere
E-book375 pagine5 ore

L' Amore può Uccidere

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Info su questo ebook

Giulietta William è una ragazza Newyorkese che per diversi motivi si trova a vivere in un paesino Italiano. Qui tutto sembra tranquillo, Giulietta e la sua migliore amica Kira passano molto tempo insieme. Le giornate scorrono normali e noiose come sempre, fino a un freddo sabato sera, dove al concerto dei "Butterfly Ink" gli occhi di Giulietta incontrano quelli di Adam misterioso e affascinante ragazzo appena arrivato in paese con la sua famiglia. Il loro incontro sarà fatale per Giulietta, tutto quello in cui credeva si rivelerà una menzogna. I suoi sogni premonitori e una nuova realtà la accompagneranno in un’avventura incredibile. Tra leggende e mostri mitologici, Giulietta scoprirà chi è veramente, e il meraviglioso Valentine bello e maledetto le farà scoprire cosa significa quella piccola e tanto temuta parola: Ti amo.
LinguaItaliano
EditoreSara Arrow
Data di uscita6 lug 2016
ISBN9786050474053
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    Anteprima del libro

    L' Amore può Uccidere - Sara Arrow

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Copertina

    Frontespizio

    Butterfly Ink

    Nuove Amicizie

    La Brezza Di Un Bacio

    Rose

    Olivia

    Rivelazioni

    Valentine

    Trasformazione

    A Mani Nude

    La Vie En Rose

    Buon Compleanno

    Blood Night

    A Come Amicizia A Come Amore

    Ringraziamenti

    Citazioni nel testo:

    Sara Arrow

    L'amore può uccidere

    A mia madre.

    Come as you are, as you were, As I want you to be¹                     

    Giulietta aprì gli occhi alla prima nota della canzone, aveva deciso di mettere i Nirvana² come sveglia, per evitare di gettarla dalla finestra. Come tutte le mattine da quasi un anno si sveglia con la sicurezza di sentire nella vita reale un gesto, un discorso sognato, il giorno stesso o due giorni dopo, lo sapeva.

    Nei suoi sogni c’è sempre un particolare che si avvera, che accade realmente e non troppo sconvolta da questo, ci si sta abituando, non ne ha parlato con nessuno, la prenderebbero per matta e confidarsi con Dan si rivelerebbe un tentativo scorretto di richiesta di attenzioni. Pensa di parlarne alla nonna prima o poi, ma poi è sempre meglio di prima.

    Il rituale della mattina è cominciato, si alza dal letto senza spegnere la sveglia, lascia terminare la canzone accompagnandola con la chitarra e come da routine, la mamma le urla di andare a scuola a un orario decente.

    Sotto la doccia Giulietta ripensa al sogno, è sempre più convinta che non sia una buona idea raccontare alla madre dei suoi sogni, sicuramente darebbe la colpa al trasloco. Da un anno si sono trasferiti nel paese, dove sono cresciuti i suoi genitori. La madre non era propensa al trasferimento, Giulietta non ha ancora capito il perché di tanto astio verso un luogo, a parte il fatto che in un paesino sperduto dell’Italia, con tremila abitanti non ci sia molto da fare per una ragazza di diciotto anni. Dan, suo fratello è rimasto a studiare in America con la nonna, e ne sente continuamente la mancanza, sono molto uniti.

    Così dalla grande e confusionale America, Giulietta si ritrova in Italia, in Abruzzo per essere precisi. Qui, come in ogni posto del mondo ci sono pregi e difetti, poco divertimento, molti posti da evitare e infine le chiacchiere delle persone che, sono molto cortesi quando parlano con una persona, ma appena questa si volta può sentire il veleno delle loro lingue insinuarsi nelle vene. Giulietta ormai si è abituata e ha capito che meno parla e meglio è.

    Di buono per lei c’è la loro casa, che si trova vicina alla riva di un fiume, dove passa la maggior parte del tempo e della notte, dove può fare tranquillamente il bagno senza rischi di malattie o allergie, come le succedeva in America. A pochi chilometri dal paese c’è il mare, qualcosa di vitale per Giulietta poiché ama fare surf, ma purtroppo qui le onde se il mare è agitato sono alte al massimo cinquanta centimetri. C’è molto verde, ci sono i Parchi Nazionali meravigliosi e infine e non meno importante c’è la pasta, la buona e squisita pasta.

    Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale.

    Butterfly Ink

    «hai intenzione di andare a scuola o no?».

    «arrivo mamma».

    Quando urla così, è meglio non discutere troppo, ha di sicuro qualcosa da dirmi che non mi piacerà. Prendo lo zaino al volo e infilo l’mp3 nella tasca della giacca, mai andare senza.

    «devi per forza suonare quella canzone tutte le mattine?».

    «non c’è niente di male, la canzone è bella e poi così facendo alleno la mente, suonare la chitarra è un ottimo esercizio».

    «visto che alleni così tanto la tua mente, non avrai dimenticato la festa di Selma di stasera».

    Porca l’oca. Certo che l’ho dimenticata.

    «mamma, oggi è sabato, questa sera c’è un concerto al Fuerte».

    «non m’interessa, tu verrai alla festa!».

    «non c’è mai niente da fare in questo paese, per una volta che si organizza qualcosa, mi obblighi ad andare al compleanno di una bimba!».

    Mi dispiace usare la tecnica del paese senza vita, solo così riceverò un consenso.

    «possiamo trovare un compromesso, che dici?».

    «sentiamo questo piano malefico».

    «se dopo la scuola non farai tardi come sempre, e sistemerai la tua camera, ti darò il permesso di uscire dopo cena».

    «bene, c’è anche un orario da rispettare?».

    «no, fuorché non avete intenzione di spostarvi troppo».

    «grazie mamma, ci vediamo dopo».

    «non fai colazione?».

    «sì, con Kira, a dopo».

    «buona giornata piccola, e mi raccomando, per favore, non fumare».

    «mamma, io non fumo, quante volte devo ripeterlo?».

    «Giulietta, non sono nata ieri e poi si sente lontano un chilometro quella puzza mortale».

    «a dopo mamma, ti voglio bene».

    «anch’io piccola».

    Le do un veloce bacio e corro fuori, è tardissimo, Kira vuole anche fare colazione al bar prima della scuola. Lei è sempre così precisa, al contrario di me che pasticcio tutto, non sono mai stata ordinata, combino molti guai e lei da ottima amica, cerca di mettere ordine nella mia vita.

    «alla buon’ora, dormigliona».

    «scusa Ki, questa volta è stata colpa della mamma, mi ha trascinata in un piano malefico».

    «sarebbe?».

    «per venire al Fuerte devo sistemare la mia camera e andare a cena da Selma, oggi c’è la sua festa».

    «buona fortuna con la camera, e anche per Selma, sarà una serata bellissima, solo qualche tirata di capelli e una buona dose di calci, sarai la pignatta della festa».

    «a proposito di divertente, ti avevo detto di non fumare in macchina ieri sera».

    «perché se n’è accorta?».

    «che domanda stupida, certo che sì!».

    «oggi pomeriggio, mentre farai la brava donnina di casa, io andrò a comprare un deodorante per auto».

    Il nostro bar è vicino a scuola, a quest’ora è tranquillo, gli operai hanno già fatto colazione e gli altri ragazzi frequentano un bar dall’altra parte del paese, dove già alle sette di mattina la musica da discoteca cerca di torturare i timpani.

    Ormai sono abituata a venire in questo bar, Laura la ragazza che ci lavora è molto simpatica, appena ci vede entrare prepara due caffè, tagliuzza due cornetti e ci mette un buon cioccolatino accanto alla tazzina.

    «buongiorno, siete mattiniere oggi».

    «ciao Laura, in ritardo a causa di un patto malefico per riuscire a venire al concerto».

    «stando a quello che dicono del gruppo che suonerà, avrei fatto anch’io un patto così. Dicono che sono grandiosi e famosi. Solo che da noi le novità arrivano sempre in ritardo».

    «allora ringraziamo Internet».

    «offro io stamattina, divertitevi a scuola. A stasera».

    Ringraziamo Laura e con passo lento ci avviciniamo a scuola. L’aria fuori è abbastanza fredda da farmi infilare il cappellino di lana comprato a Parigi, in uno dei tanti viaggi fatti con i miei, da qualche anno non mi portano più con loro, dicono che ormai sono abbastanza grande da restare sola anche un mese intero, prima c’erano la nonna e Dan, non mi sentivo sola, ma da quando siamo qui e loro vanno via, dopo una settimana la casa inizia a essere troppo grande.

    «dammi l’accendino Giul».

    «aspetta, fammi accendere».

    «Giul, farà freddo stasera, cosa mi metto?».

    «lo sai che non m’interessano queste scemenze, apri l’armadio, la prima cosa che trovi andrà bene».

    «ecco perché stasera andremo sole al Fuerte, ti sei accorta che non abbiamo spasimanti?».

    «spasimanti? dove l’hai presa questa? Poi dimmi cosa diavolo dovrei farmene di uno che mi sbava dietro tutto il tempo».

    «andiamo Giul, solo perché Tommy è un idiota, non significa che i ragazzi siano tutti come lui».

    «credo di sì invece, meglio sola».

    Tommy è secondo molte, il ragazzo più carino della scuola, e a quanto pare si era preso una cotta per me, dimostrandomelo con una pacca sul sedere. Ammetto di aver avuto una reazione esagerata rompendogli il naso con un pugno, ma non poteva aspettarsi diversamente.

    Da quando vivo qui, ho i nervi a fior di pelle, tutto il Tai Chi che pratico non aiuta a calmarmi, e lui con quel gesto ha tirato fuori il mio lato aggressivo, o meglio come direbbe la nonna, combattivo. Lei e i miei genitori da quando avevo quattro anni hanno cercato di farmi fare sport poco femminili, sempre accompagnata da mio fratello. Dicevano che per dei ragazzini è importante sapersi difendere, così mi ritrovo cintura nera di karate, con una medaglia di scherma e qualche combattimento di Kick boxing vinto. A quel punto Tommy era spacciato. Da quel giorno non mi ha più rivolto la parola, ma ha l’abitudine di fissarmi, uno di questi giorni gli chiedo il motivo.

    «quindi nessuna acconciatura, nessun vestitino, niente di niente?».

    «se può aiutarti in qualche modo a essere felice, ti do il permesso di lisciarmi i capelli, che dici?».

    «adoro i tuoi ricci ma grazie di darmi l’onore di vederti liscia, saranno lunghissimi».

    «lo credo anch’io. A proposito di spasimanti, ti sei decisa a parlare con Matteo o aspetti che lo faccia io al posto tuo?».

    «Mi vergogno, devo trovare il momento giusto».

    «lui adesso è davanti a te, ti mangia con gli occhi, meglio di così!».

    «no, no, no, troppe persone in giro, non è il momento buono».

    «per te non è mai il momento giusto. Andiamo in classe che è meglio».

    Solitamente il sabato mattina sono di buon umore, significa niente compiti, uscire e riposare la domenica, ma oggi il professor Tinini non la pensa come noi.

    «ragazzi, buongiorno. Oggi per il vostro bene e il mio divertimento c’è il compito a sorpresa, datevi da fare, da… adesso!».

    Non ho problemi, sono preparata, infatti, con mezz’ora ho terminato e autografato il compito. Mi è sempre piaciuto studiare, in America facevo anche dei corsi di lingue extra, all’inizio contro la mia volontà poi, pian piano ci ho fatto l’abitudine ed è così che ho imparato il francese e lo spagnolo. Per quanto riguarda l’italiano, ho imparato prima la lingua e poi a parlare, la mamma e la nonna ci tenevano a insegnarmi per bene la loro lingua, ripetevano che un giorno mi sarebbe servita, e avevano ragione, grazie a loro posso frequentare la scuola senza problemi, per l’accento devo ancora lavoraci un pochino, non che sia evidentissima la pronuncia americana, ma un buon ascoltatore se ne accorgerebbe subito.

    «Giul, che diavolo significa questo simbolo?».

    «Colmi, non hai studiato?».

    «sì, certo che ho studiato, stavo solo chiedendo una penna, la mia non scrive più».

    «provvediamo subito».

    Il prof. le prende la penna di mano e segna un bel due sul compito di Kira.

    «signorina Colmi, a quanto pare la sua penna ha ripreso a scrivere».

    Kira non dice una parola, la classe è muta.

    «e lei signorina William non dovrebbe suggerire, mi meraviglio. Cosa devo fare con il suo compito adesso?».

    «spero niente professore, non ho copiato e non ho suggerito, lei sa che non lo farei mai».

    «solo per questa volta. Colmi, finisca il compito e lei William vada fuori per il resto dell’ora».

    Vado fuori senza protestare, già è molto che ha dato una possibilità a Kira. Mi siedo sulla panchina di ferro, un po’ più lontano dall’entrata, mi rinfilo il cappellino, accendo l’mp3 e una sigaretta, la musica sembra scaldarmi, senza non riuscirei ad affrontare niente. Ogni cosa che faccio è accompagnata dalla musica come tutti i ricordi, ogni emozione per me ha una canzone, una melodia, senza non darei molta importanza alle cose che mi succedono intorno.

    La sensazione di essere guardata è fortissima, così prendo un bel respiro e apro gli occhi.

    Me ne pento subito, vorrei richiuderli. Gli occhi verdi più belli che abbia mai visto sono davanti ai miei, sfumature di diamanti li rendono luminosi e belli da far male, vorrei guardare altrove o almeno trovare le parole che non vogliono uscire, con una lentezza unica mi sfilo le cuffie.

    «come hai detto scusami?».

    «ti ho chiesto l’accendino, per favore».

    «tieni scusa, con le cuffie non sentivo».

    «e con gli occhi chiusi non vedi. Ottima musica, complimenti per la scelta».

    «già. Sei nuovo?».

    «non proprio, tu invece sei nuova, non mi sembra di averti vista altre volte».

    «diciamo di sì, è già un anno che vivo qui».

    «non dirmelo: sei stufa, rivuoi l’America, bla, bla».

    «non credo, qui ci sto benissimo, ci sono dei posti meravigliosi, poi, scusa che ne sai tu dell’America?».

    «il tuo accento è americano, non si può sbagliare».

    «no, infatti, sono americana, beh per metà».

    «sì, certo, scusa se t’interrompo ma non mi interessa la tua intera vita. Ci si vede, eh!».

    Resto senza parole, chi diavolo si crede di essere? Stupido, presuntuoso, mi ha fregato anche l’accendino! Lo sapevo, se un ragazzo è carino, deve per svariati motivi essere anche odioso. Già è cominciata male la mattina, ci mancava solo lui.

    Torno in classe alla fine dell’ora, la professoressa Titani non è ancora arrivata, sono irritata e contrariata, non mi accorgo nemmeno della nuova ragazza che parla con Kira.

    «Giul, lei è Atena, una nuova studentessa».

    «ciao Giul, piacere di conoscerti, io sono Atena».

    Resto quasi senza fiato sia per l’adrenalina che mi fa formicolare la mano destra che stringe Atena e anche per gli occhi, gli stessi occhi del ragazzo di prima. Dovrei dire qualcosa prima che mi prenda per matta.

    «sei una parente del nuovo ragazzo odioso che si aggira per i corridoi?».

    Porca l’oca, con tutte le cose che avrei potuto dire, proprio la più stupida. Mannaggia a me e la mia linguaccia! Almeno sta sorridendo.

    «scusami, volevo dire che è un piacere anche per me, io sono Giulietta, Giul va benissimo».

    «non preoccuparti. Così hai conosciuto mio fratello, è vero, all’inizio può sembrare odioso, ma ti assicuro che non è così».

    «lo spero per lui. Scusa ancora, non so cosa mi prende oggi, sono più irritante del solito».

    «credo dipenda dalla lunga settimana di scuola, ma questa sera, ci penserò io a farvi divertire».

    «hai intenzione di rapirci e portarci a Las Vegas?».

    «no, solo al mio concerto al Fuerte».

    «fai parte della band? Stupendo, ci voleva un po’ di movimento in paese».

    «credo che sia meglio rimandare a più tardi, è entrata la professoressa».

    L’ora con la Titani è volata, come il resto della mattina. L’uscita dalla scuola il sabato è fenomenale, alla fine delle lezioni sembra di sentire un unico sospiro di sollievo. Tutte queste anime tenute in una scatola per un’intera settimana e poi liberate tutte insieme, è una bella sensazione.

    «allora ci vediamo direttamente al Fuerte visto che sei la star».

    «star è un parolone, però sì, ci vediamo lì, a stasera».

    «a stasera Atena, è stato un piacere».

    La vedo avvicinarsi a una gigantesca e lucidissima moto nera, sorride al conducente, si mette il casco e sale dietro senza aggrapparsi in alcun modo, facendoci mangiare la polvere.

    Kira e io ci salutiamo davanti casa sua che si trova sulla strada principale, poco distante dalla mia che è vicina al fiume.

    La nostra casa è bellissima, grande e ariosa. L’enorme cucina è stata la gioia della mamma, c’è una graziosa finestra sul lavello, dove resto incantata a guardare il bosco ogni volta che lavo i piatti. Ci sono due forni, buon per me, così ho sempre un’ampia scelta di dolci. Al centro della stanza c’è una penisola di legno scuro, dove mi siedo sempre a mangiare, ormai la mamma ci ha rinunciato a dirmi di usare la sedia, è più forte di me.

    Papà ha uno studio tutto suo, dove può tranquillamente scrivere senza essere disturbato, questo è il suo lavoro: scrive per una rivista locale su  fantastiche storie a puntate, ma il lavoro più grande lo fa con due case editrici importanti, una italiana e una americana, per questo viaggiano molto lui e la mamma, per fare sempre dei reportage.

    Per mio fratello Dan è stata sistemata la mansarda, anche lì come in tutte le camere c’è un bagno. Ho cercato di sistemarla al meglio, sempre se verrà qui un giorno, ormai è passato un anno, mi manca tantissimo, siamo molto legati, abbiamo sempre fatto tutto insieme e adesso ci sentiamo un giorno sì e uno no per telefono, pochissimo su internet.

    La sala è grande con due enormi divani di pelle nera, sono comodi ma caldi in estate e freddi d’inverno. La grande tv a schermo piatto mi tiene molta compagnia, come lo stereo con le casse più alte di me.

    Della stanza più bella ne ho preso possesso subito, è la camera dei miei sogni, si trova al piano di sotto, ha una grande vetrata sul giardino a pochi passi dal fiume. Quasi tutte le notti esco e arrivo sulla mia panca in pietra, molte volte mi addormento lì, con il cuore che ascolta il canto della natura, cullata da essa. Lo scroscio dell’acqua fa da ninna nanna alle mie notti malinconiche. Altre volte invece con la piccola barca a remi raggiungo la riva opposta per sognare a occhi aperti di entrare nella villa più bella del mondo: villa Shadow, disabitata da tempo per me è sempre stata misteriosa e inaccessibile, non ho mai trovato il coraggio di superare il cancello. Vorrei tanto toccare con mano gli intarsi sul grande portone nero, vorrei sedermi sotto il grande acero rosso, ma ogni volta raggiungo il cancello e torno indietro con il cuore in gola per la traversata e la paura di essere scoperta.

    Dopo aver dato una bella sistemata alla camera, decido di fare il bucato, la mamma sarà contenta, almeno se domani partiranno per l’ennesima volta senza portarmi con loro, sarà felice che io sia in grado di lavarmi i vestiti da sola. Dopo circa mezz’ora persa a leggere le istruzioni della nuova lavatrice, lo stomaco comincia a brontolare, nel frigo in cucina c’è un bigliettino in bella grafia, è sicuramente di mamma:

    Piccola, io esco a comprare un regalino per Selma,

    papà è andato a ritirare i vestiti in lavanderia.

    Per te nel forno ci sono le lasagne, mangia un pochino,

    ti voglio bene

    Mamma

    Senza nemmeno sporcare il piatto mangio dalla teglia, piatto uguale lavare e non ne ho voglia, non mi va nemmeno di studiare, rimetto la teglia nel forno e mi stendo sul divano, dopo nemmeno un minuto di zapping mi addormento coccolata dal caldo plaid rosa.

    «dovresti toglierti quest’orribile accento».

    «chi ti credi di essere, anche tu hai un accento diverso, non sei italiano».

    «io posso permettermi questo e altro, tu invece dovresti tornartene in America, stupida ragazzina».

    Il suono del cellulare mi sveglia, porca l’oca! Anche nei sogni doveva infastidirmi quell’odioso di… non so nemmeno il suo nome, perfetto, uno sconosciuto totale mi crea problemi anche nel sonno!

    «pronto».

    «Giul, sono io, mi sto congelando fuori dalla tua finestra in camera, mi fai entrare?».

    Urlo all’aria, mentre corro ad aprire a Kira.

    «mi dispiace, mi sono appisolata».

    «appisolata? Giul sono le sei, sicuramente russavi come un orso».

    «le sei? È tardissimo entra dai, scaldati un po’, io vado a fare la doccia, hai portato l’occorrente per i miei ricci?».

    «certo, tranquilla, vado a preparare un po’ di caffè».

    «perfetto, tra cinque minuti sarò pronta».

    Mentre cerco di districare i capelli sento Kira che canta allegramente accompagnata dall’aroma del caffè, m’infilo la maxi maglia dei "Sex Pistols³", che ormai è diventato il mio pigiama, e corro in cucina.

    «Kira, ci voleva, grazie».

    «dovresti venire così alla festa stasera, sei affascinante».

    «dici? A proposito, io non russo come un orso».

    «come no, certo!».

    Siamo interrotte dal telefono di casa, con la fretta stavo per prendere una storta.

    «casa William, chi parla?».

    «Giul, sono io, Dan».

    «fratellone, ciao».

    «mamma non c’è?».

    «no, è uscita a compare un regalino per una bimba, tra un’oretta sarà a casa».

    «va bene Giul, allora richiamo dopo, ciao».

    «Dan? Ci sei?».

    «era tuo fratello al telefono?».

    «sì, ha messo subito giù, non mi ha dato nemmeno il tempo di salutarlo».

    «non è possibile che tu non abbia nemmeno una sua foto».

    «è vero, ma ha insistito, diceva che era più facile stare lontani».

    «vorrei conoscerlo».

    «e io vorrei rivederlo».

    Kira con la spazzola e il fono è una maga, così, in men che non si dica, mi ritrovo con i capelli lunghi fino al sedere e liscissimi, anche se odio la piastra, è inevitabile per i miei ricci. Il castano dei capelli non è molto diverso dal colore dei miei occhi, la differenza la fanno le meches: viola incanto questo era il nome della tinta nella cartella della parrucchiera di mia madre, ne volevo molte di più ma sei ciocche è stato il massimo concesso, anche se in realtà sono dieci.

    «Giul sei bellissima».

    «non lo so, non sono troppo marrone? Insomma, occhi, capelli, carnagione, sembro la corteccia di un albero».

    «non dire stupidaggini, la tua pelle è luminosa quasi quanto i tuoi occhi, poi hai anche un po’ di viola, non ho mai visto un albero viola».

    «no, tu sei bella».

    «andiamo sciocchina, tu vestiti e io vado a darmi una sistemata, ci vediamo al Fuerte, cerca di non arrivare tardi. Quasi dimenticavo, il deodorante per auto è sul tavolo della sala. Ciao».

    «proverò ad arrivare intera e in orario, a dopo Ki e grazie, sei fantastica».

    Kira è una ragazza eccezionale, la classica amica che ammazzerebbe tutti i demoni dell’inferno per te. Quando mi sono trasferita qui, è stata lei ad avvicinarsi, una mattina si è seduta vicino a me e ha iniziato a parlarmi come se mi conoscesse da una vita, da allora siamo inseparabili. Molte volte quando i miei non ci sono, ha il permesso di rimanere a dormire da me, così restiamo sveglie tutta la notte a mangiare e parlare, parliamo di tutto. Non è come molte ragazze che parlano e pensano solo ai ragazzi, con Kira posso parlare di qualsiasi cosa, sono fortunata ad averla conosciuta, è molto intelligente e ovviamente bellissima, abbastanza alta da farmi sentire una nana da giardino; a differenza di me lei ha i capelli lisci color miele, dei bellissimi occhi grigi e un sorriso ampio, io da quando sono qui avrò sorriso di cuore sì e no tre volte, inutile ripetere che mi manca mio fratello.

    Mi affretto a vestirmi, con poca indecisione, m’infilo i jeans scuri, gli unici con cui riesco a muovermi tranquillamente; Kira insiste a farmi comprare cose aderenti. Dopo un minimo di tentennamento m’infilo una maglia rosa a maniche lunghe con sopra la mia maglia lilla preferita, un po’ larga sulle spalle, ha le ampie maniche a tre quarti e delle bellissime farfalle sul davanti, metto le sneakers viola e sono pronta.

    «Giul tesoro sei pronta?».

    «Sono pronta, arrivo. Ah, quasi dimenticavo, ha telefonato Dan».

    «Dan? Cosa ti ha detto?».

    «solo che avrebbe richiamato. Ha messo giù senza salutarmi, ci sono rimasta un po’ male».

    «non preoccuparti, avrà avuto un buon motivo, stasera quando torni se sono ancora sveglia, lo chiameremo insieme, ok?».

    «va bene. Cosa hai comprato a Selma?».

    Mentre la mamma mi racconta le varie peripezie subite per comprare una casa delle bambole con l’ascensore, preparo la borsa con l’mp3, non si può mai sapere, se tante volte la noia ha la meglio.

    «mamma, hai visto il mio foulard?».

    «si Giul, è sull’appendiabiti all’ingresso».

    Corro giù e per fortuna lo trovo, quando indosso maglie poco accollate lo metto sempre, così non si vede il tatuaggio che ho sul collo, mi dispiace coprirlo, a me piace molto, è un simbolo di famiglia e ce lo tatuano a quindici anni. Ho delle tradizioni familiari un po’ strane, chiunque direbbe malsane, insomma non è il massimo far tatuare una bambina, ma questo è il nostro simbolo, quello che ci tiene uniti. Il mio è una farfalla, come quella della mamma e della nonna, mentre gli uomini della famiglia hanno un cobra alla nuca. Non mi lamento, anche se a volte, prude insopportabilmente, ma adoro le farfalle; è perfetto il tatuaggio ma non voglio che gli altri lo vedano, è mio, personale.

    Un ultimo sguardo allo specchio e sorrido, i capelli adesso sono quasi ondulati, come quelle pieghe perfette che si vedono sulle riviste.

    La signora Sidri ha fatto le cose in grande. Sembra più un ricevimento di matrimonio che un compleanno di una bimba di dieci anni. La casa è molto spaziosa per ospitare tutte queste persone, anche se non ne conosco nemmeno la metà, mi butto tra la folla meglio questo, che essere torturata da cinquanta bambini pieni di zuccheri nel sangue.

    Dopo dieci minuti nell’angolo affollato, sono riuscita a mangiare qualche gamberetto e tre tartine, chiamarla cena è una bestemmia. Cerco di fare degli sguardi intensi alla mamma, ma sembra non capire, così mi decido ed esco allo scoperto, grande errore.

    «Giulietta, principessa Giulietta, ci aiuti, c’è un attacco dei mostri, solo lei può aiutarci!».

    Ecco la piccola Selma, vuole sempre giocare alle principesse e ai mostri che vogliono mangiarle, la fantasia non le manca, ma a me manca l’aria, così appena Selma si distrae, corro nel lato opposto della stanza e mi nascondo dietro una tenda.

    Un uomo con tanto di baffi del settecento scosta la tenda e mi guarda come se fossi un’aliena.

    «signorina, cosa ci fa lì? Vuole rubare?».

    «no signore, scusi, sa ci sono dei mostri che vogliono mangiarmi, le sarei molto grata se chiudesse la tenda».

    L’uomo restio a credermi, richiude la tenda e si allontana protestando. Che figura, ci mancava solo che fossi scambiata per una ladra, adesso basta!

    «mamma, io vado via, non ce la faccio più».

    «va bene Giul, sei durata anche troppo. Vai e divertiti stasera tesoro».

    Le do un bacio e corro fuori. Che bella sensazione, aria pura, fresca, mi ricorda che sono viva, dentro casa con tutti quei profumi rischiavo di soffocare.

    Prendo una bella boccata d’aria e m’incammino verso il Fuerte, ormai Kira sarà lì, sono quasi le dieci. C’è qualcosa nell’aria stasera che mi rende felice, quasi euforica, facendomi sorridere da sola. Mi capita spesso, per strada o al supermercato, non m’importa cosa possono pensare le persone, sono felice ed è bello esternare le proprie emozioni, l’ho sempre pensato per cui mai tenersi qualcosa dentro, qualsiasi sia l’emozione, rabbia, ira o gioia, bisogna tirare tutto fuori.

    Mi guardo attorno e la strada è deserta, ma non appena sono su Viale dei Pini, la musica e le risa arrivano a rallegrarmi e intravedo Kira seduta sulla panchina, spengo l’mp3 e quatta, quatta, senza fare alcun rumore, mi getto di peso sulla mia amica.

    «Giul, mi hai fatto prendere un colpo, sei caduta da un albero?».

    «quasi. Allora com’è la situazione sabato sera da queste parti?».

    «la band tra poco inizia a suonare, vuoi sederti al solito posto o al tavolo sotto il palco?».

    «solito posto, andiamo dolcezza, muovi un po’ quel sedere, è sabato, sembra che stiamo andando a un funerale, su, su, un po’ di vita».

    Il solito posto consiste in una panca al lato del palco, è il nostro posto preferito perché possiamo muoverci tranquillamente tra il bancone, il bagno e possiamo raggiungere l’uscita senza chiedere di continuo permesso.

    Come al solito lo troviamo libero e ci accomodiamo subito, la musica dello stereo cerca di scaldare i corpi e gli animi, in inverno il Fuerte diventa la seconda casa di tutti, essendo l’unico locale, nel raggio di venti chilometri, e devo ammettere che se non avesse dei proprietari così giovani e simpatici non ci verrei troppo volentieri.

    I signori García, Juan e Janira, moglie e marito sono arrivati dalla Spagna appena sposati, hanno deciso di mettere su famiglia in questo posto dimenticato da Dio, hanno aperto il locale e organizzano molti eventi estivi, sono davvero simpatici, se non fosse per loro, non sapremmo cosa fare, tanti giovani allo sbaraglio per le vie di un paesino.

    Janira mi saluta subito e versa un succo di lamponi per me e stappa una bottiglietta di birra per Kira. Non bevo alcolici, dopo la festa che mi avevano organizzato le mie amiche di New York, non ho più toccato un goccio, sia perché sono stata male due giorni e poi perché non mi piace, mi annebbia la mente e i sensi, non mi sento sicura se non ho il controllo della mente e del corpo, insomma mi piace essere naturale.

    «ecco le mie ragazze, i soliti per le migliori».

    «grazie Janira, come va? C’è il pienone stasera».

    «tutto bene mi corazón. è vero, merito dei Butterfly Ink».

    «questa mattina abbiamo conosciuto Atena, è molto simpatica».

    «simpatica e brava, tra poco sentirai. Godetevi la serata».

    Ci strizza l’occhio e va in fondo al bancone, dove i ragazzi urlano le ordinazioni. Kira e io torniamo alla nostra postazione, sono euforica, mi metto in piedi sulla panca e mi lascio andare.

    Mentre ballo tranquilla da sola, scuoto la testa e sorridendo mi volto a guardare il palco.

    No more will my green sea go turn a deeper blue⁴

    I bellissimi occhi verdi mi fissano ironici e mi fanno perdere il ritmo, la concentrazione, e resto ferma immobile a fissarli di rimando, incantata da qualcosa di folle che la mia mente non riconosce, vorrei voltarmi, ma sono ipnotizzata, sento il battito del mio cuore accelerare, mentre dei pensieri sconosciuti mi accarezzano la mente.

    «Giul, ti senti bene? Stai diventando viola».

    Mi scrollo di dosso quei pensieri mai avuti, nuove sensazioni e torno a guardare Kira.

    «wow. Sto bene Ki, andiamo un po’ fuori?».

    «sì, andiamo, stai per prendere fuoco».

    Senza riprendere la giacca e la borsa mi precipito fuori, sono quasi sconvolta, quel ragazzo è antipatico, non so nemmeno il suo nome, non può farmi questo effetto.

    «hai notato lo strafigo che ti mangiava con gli occhi?».

    «dove?

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