La mia vita da libellula: Condanna
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"Condanna" è parte di una raccolta di volumi di "La mia vita da libellula".
L'illustrazione in copertina è dell'autrice e cambierà ad ogni volume.
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Anteprima del libro
La mia vita da libellula - Ramona Verdosci
Lucia
Capitolo 1
Guardo dallo specchietto retrovisore l'allontanarsi del grigiore del cielo. Metto a fuoco quello che mi si prospetta davanti. C'è una tinta nuova e ricca di sfumature. Mio padre riuscirà a respirare molto meglio.
Adoravo la mia città. Adoravo i miei amici. La mia routine. Al mio risveglio, ogni mattina aprivo la finestra della mia stanza e guardavo la gente che faceva jogging, prima di andare al lavoro, nel parco tanto curato sotto il palazzo. L'unica macchia di verde in tutta la zona. Amavo solo guardare quella scena ogni mattina, non parteciparvi. E al parco non andavo praticamente mai, perché dopo aver aperto la finestra dovevo correre a prepararmi per arrivare in tempo alla lezione. Facevo colazione al bar fuori la scuola con le mie amiche di corso Sara e Giulia e alle nove iniziava la prima ora. La Sara è la mia migliore amica. Dall'era dei tempi. Abbiamo deciso assieme il percorso da fare per crescere e diventare donne. Adesso è finito tutto. I miei hanno aspettato la mia laurea prima di andare via.
Mi volto un’ultima volta. Lascio la mia adorata vita alle spalle.
Un week end siamo andati fuori città, per far respirare meglio papà. Odio fare viaggi in auto, soprattutto se lunghi. Quindi mi armai di tutte le pennette che avevo e le riempii di musica. Almeno il tempo passava in maniera piacevole. Dopo quattro ore interminabili, arrivammo in un piccolo paese. Oltre alla chiesa, riuscivo a vedere solo ettari interminabili di campagna. - Lo faccio per papà, - mi ripetevo. Il problema di quel giorno non fu tanto la campagna, il caldo, il sole cocente o le zanzare che continuavano a torturarmi braccia e gambe. No. Il reale problema fu che i miei genitori mi avevano omesso il vero senso di quel viaggio. Cercare casa lì per trasferirci.
Girammo da un paesino all'altro, finché non trovammo qualcosa migliore delle altre catapecchie fatiscenti. Non volli nemmeno entrare e adesso me ne pento. Grande, nulla da dire. Ma niente a che vedere con la nostra casa. Restai, invece, in giardino e accesi una sigaretta. La mia ultima, me l'ero già promessa. Lo promettevo sempre in realtà, ma quella per me sarebbe stata veramente l'ultima. Mentre assaporavo la fine della mia carriera da fumatrice, vidi sfrecciare un ferrovecchio davanti al mio viale. C'era vita anche su Marte, evidentemente. L'auto fece retromarcia e si affacciò un ragazzo biondo dal finestrino. Abbassò gli occhiali da sole, mi fece un occhiolino ed un sorriso smagliante per poi sfrecciare di nuovo in avanti. " La fauna locale!". Che cafone. Al momento odiavo tutto. Non riuscivo a trovare una nota positiva a tutta la storia. Per me, non per papà. Lui poteva solo migliorare.
Il viaggio in auto è di nuovo interminabile. Stavolta fa ancora più caldo dell’ultima e l'aria condizionata non fa il lavoro che dovrebbe. Levo le cuffie dalle orecchie. Quelle canzoni evocano tristezza. Lana Del Rey mi sta soffocando. La ascoltavo sempre con il mio Ascanio. Ammetto. Non ci vedevamo proprio tutti i giorni. La lontananza per noi non sarà tutto questo problema. Almeno non credo che inciderà sul nostro rapporto perfetto. Il suo lavoro lo porta a viaggiare molto, quindi erano più i giorni di distanza che quelli passati assieme. Ma solo l’idea di vivere in Umbria mi rende tutto così incerto. Quando ritornerà dal suo ultimo contratto firmato, non verrà a trovarmi. Né io passerò la notte a casa sua a guardare un film e mangiare cibo spazzatura. Non potrò più accarezzare i suoi capelli folti e spessi color nocciola, guardandolo addormentarsi dalla stanchezza per la sua ultima trasferta. Mi mancherà tutto questo. Già lo so.
Eccoci arrivati. Rivedo il giardino dopo tanto tempo. Per arrivare all’ingresso bisogna percorrere un lungo viale di terreno e ciottoli. Non elegantissimo, direi. La casa sembra immensa per sole tre persone e sicuramente non avremo tanti ospiti. Nemmeno daremo feste con gli amici, visto che sono a chilometri di distanza. Ai due fianchi ci sono due abitazioni, un casale ristrutturato ed una villa poco più piccola della nostra. Poi terra, terra ed ancora terra. Mi chiedo se mai vedrò un essere umano nella mia vita futura. Un essere umano normale e civilizzato, non come il tale dell’ultima visita. Faccio il mio primo sopralluogo della casa. È ancora mezza vuota. Il camion dei traslochi dovrebbe arrivare tra un paio d’ore. I miei hanno già portato l’essenziale in altri tre viaggi precedenti. Ho saputo evitarli. Volevo passare più tempo che potevo con le persone alle quali sono più legata. Inizio a portare la mia unica scatola, non tanto grande, ma pesante e piena di ricordi, in camera. Ho paura del disastro imminente. Perfetto. Niente cabina armadio. In compenso, c’è un piccolo bagno con la doccia. Non tutto è perduto. Poggio la scatola sul letto e cerco qualcosa di tagliente per aprirla. Ovviamente la stanza è vuota, cosa mi aspettavo di trovare? Già scoraggiata, scendo al piano di sotto. I miei sono in cucina. Mi appiattisco contro il muro di fianco alla porta, ascoltando i loro discorsi, fatti a bassa voce. Scorgo mio padre seduto su una smilza sedia di legno che apparteneva già a questa casa. Poverino, sarà molto stanco dopo il viaggio. Mia madre lo accarezza amorevolmente sulla spalla.
- Avremo fatto la cosa giusta? Le piacerà stare qui?
- Dai tempo al tempo, Fede, - mamma cerca di dargli sostegno.
Devo aver rimuginato qualcosa a voce troppo alta di sopra. Così