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I serial killer
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E-book1.799 pagine44 ore

I serial killer

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Un successo da oltre 30.000 copie

Il volto segreto degli assassini seriali: chi sono e cosa pensano? Come e perché uccidono? La riabilitazione è possibile?

I serial killer sono sempre più presenti nell’immaginario collettivo.
Questo libro intende mostrare al lettore il volto reale dei serial killer: chi sono, perché uccidono, quali sono le strategie per catturarli. Per illustrare la loro psicologia, nella prima parte sono riportati brani di diari, lettere e interviste; la seconda parte esamina invece le efferatezze compiute dagli assassini seriali. Analizzando un campione di 2230 assassini da tutto il mondo, gli autori coniugano la trattazione teorica alla rivisitazione dei casi più eclatanti in 207 schede; propongono inoltre un’inedita classificazione sui “perché” dell’omicidio seriale e una nuova ipotesi di trattamento per i colpevoli. Questo volume è quindi un indispensabile strumento operativo per psicologi, psichiatri, criminologi, investigatori, avvocati, magistrati e per coloro che, in qualche modo, entrano in contatto con questo tipo di crimine (ad esempio, scrittori e attori), ma costituisce anche una guida interessante per tutte quelle persone che sono semplicemente curiose di conoscere l’universo segreto dei “mostri del nostro tempo”: gli assassini seriali.

L’universo segreto dei mostri del nostro tempo: gli assassini seriali

«Un libro che non è solo un prezioso strumento di conoscenza per gli addetti ai lavori, ma anche un’utile lettura per chiunque voglia comprendere davvero la realtà. Fuori dai luoghi comuni.»
Silvana Mazzocchi, la Repubblica

• Storia dell’omicidio seriale e definizioni
• Gli assassini seriali in Europa e nel mondo
• Perché si diventa serial killer?
• Le fasi dell’omicidio seriale: il modus operandi e la “firma ”
• Tecniche d’investigazione: come si cattura un serial killer?
• Diagnosi e cura di un serial killer
• Serial killer al femminile
• Omicidi seriali in Italia: Roberto Succo, Donato Bilancia, il “Mostro di Firenze” e gli altri
• Gli “Angeli della Morte”
• L’uso di internet per adescare le vittime
• Forme atipiche di omicidio seriale


Vincenzo Maria Mastronardi
È psichiatra, psicoterapeuta, criminologo clinico, titolare della cattedra di Psicopatologia forense, direttore dell’Osservatorio dei Comportamenti e della Devianza e del Master in Scienze Criminologico-forensi presso la «Sapienza» di Roma. È direttore dell’Istituto Internazionale di Scienze Criminologiche e Psicopatologico-forensi e del «CrimeC lab». Tra le sue molte pubblicazioni ricordiamo Le strategie della comunicazione umana, Manuale di comunicazione non verbale, La comunicazione in famiglia, Filmtherapy, Grafologia giudiziaria e, per la Newton Compton, Madri che uccidono (con Matteo Villanova) e I serial killer (con Ruben De Luca).

Ruben De Luca
È psicologo, criminologo, già collaboratore con l’Osservatorio dei comportamenti e della devianza presso la facoltà di Medicina dell’Università di Roma la «Sapienza». Tra le sue ultime pubblicazioni: Anatomia del Serial Killer e Il Terrore in casa nostra.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854162167
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    Anteprima del libro

    I serial killer - Vincenzo Maria Mastronardi

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    211

    Prima edizione ebook: ottobre 2013

    © 2009, 2010 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-6216-7

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura della geco srl

    Vincenzo M. Mastronardi - Ruben De Luca

    I serial killer

    Il volto segreto degli assassini seriali: chi sono

    e cosa pensano? Come e perché uccidono?

    La riabilitazione è possibile?

    logo_NCE.png

    Ringraziamenti

    Un ringraziamento davvero speciale a quei professionisti che hanno accettato di contribuire con parte del loro sapere alla stesura di questo volume e i cui nomi sono (in ordine alfabetico):

    – Dott.ssa Anna Maria Budoni, psicoterapeuta, esperta nel test di Rorschach e studiosa dei fenomeni di follia a due;

    – Dott.ssa Chiara Camerani, che ha messo a disposizione il materiale sulla psicopatia e sulle perversioni del Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia (CEPIC), da lei presieduto;

    – Dott.ssa Santina Caridi, psicologa che, da anni, studia la tematica dell’omicidio seriale femminile e che ha fornito materiale importante su alcuni casi storici italiani di donne serial killer;

    – Dott.ssa Barbara Manzia, valente e creativa psicologa che si occupa del rapporto fra omicidio seriale e l’arte figurativa;

    – Dott. Mario Maresca, biologo ed ex consulente presso la Polizia di Stato, che ha fornito il suo contributo scientifico ed esaustivo sulle tecniche di analisi del DNA;

    – Prof. Dott. Gaston O’Donnell, Rettore della Universidad de Ciencias Empresariales Y Sociales di Buenos Aires (Argentina), per i suoi consigli preziosissimi e il contributo fornito da lui e dai suoi collaboratori alla comprensione dell’omicidio seriale in Argentina.

    Si ringrazia la Dott.ssa Antonella Pomilla per i preziosi e puntuali suggerimenti forniti nella compilazione delle schede dei serial killer.

    Un ringraziamento doveroso va anche al Dott. Luis Maria De Simoni, Rettore dell’Istituto Universitario della Polizia Federale Argentina per la preziosa, e sempre proficua, collaborazione.

    Non da ultimo, un ringraziamento per la collaborazione all’organizzazione e alla stesura del volume di quest'ultima edizione, e per i suoi sempre utili consigli, va a Monica Calderaro, alla quale si è recentemente aggiunta la Dott.ssa Sabrina Avakian dell'UNICRI-ONU grazie al suo pregevole contributo sui serial killer africani.

    Introduzione

    Quando l’Editore mi ha proposto di scrivere un libro che parlasse di serial killer, il mio primo pensiero è stato: un altro? E sì, perché, se è vero che fino a qualche anno fa le pubblicazioni che si occupavano dell’argomento costituivano un genere di nicchia, adesso i libri che parlano di omicidio seriale in maniera diretta, o anche solo toccandolo marginalmente, abbondano. Oltre ai libri, esiste anche una pletora di film: ogni nuova stagione cinematografica ci propone tante pellicole nelle quali sono all’opera assassini seriali di ogni genere, e non si tratta più solamente di produzioni americane, ma anche italiane e di altri paesi.

    In poche parole, non sapevo se accettare la proposta oppure no e la domanda che mi assillava era: «Quale sarebbe il contributo originale apportato da un nuovo testo sui serial killer rispetto a tutti gli altri libri pubblicati in materia?». La risposta tardava ad arrivare quando ho pensato a Ruben De Luca e al suo pluriennale lavoro di ricerca sull’omicidio seriale. Conosco De Luca e apprezzo il suo lavoro da anni, anche se abbiamo collaborato insieme soltanto per poco. De Luca studia le problematiche correlate ai serial killer da più di dieci anni, documentandosi costantemente in maniera scientifica e approfondita, e, nel 1998 e nel 2001, ha scritto due versioni di un ottimo manuale sull’argomento, Anatomia del serial killer 2000, un prodotto estremamente originale e innovativo nel panorama internazionale perché analizza aspetti specifici dell’omicidio seriale mai trattati in precedenza.

    Dopo queste riflessioni, il passo successivo è diventato praticamente scontato, cioè il coinvolgimento nel progetto di Ruben De Luca, il quale ha accettato entusiasticamente di riprendere e ampliare il materiale casistico delle Banche Dati, internazionale ed europea, con la finalità di scrivere il trattato criminologico più completo sull’omicidio seriale che sia stato mai pubblicato. La sinergia formata dalle nostre due professionalità ci ha consentito di affrontare la tematica da una prospettiva davvero ampia, che ha unito la mia competenza di psichiatra forense e criminologo clinico con quella di Ruben in psicologia e criminologia.

    Per non trascurare nessun settore di analisi del fenomeno, ci siamo avvalsi della collaborazione di alcuni valenti professionisti che hanno messo a disposizione la loro competenza specifica per la stesura di alcuni paragrafi che costituiscono un valore aggiunto alla trattazione. In questa sede, colgo l’occasione per ringraziarli tutti, indistintamente, per la loro appassionata partecipazione, rimandando alla sezione dei Ringraziamenti la menzione specifica di ognuno dei essi.

    La figura del serial killer affascina e, al tempo stesso, inquieta e turba le coscienze della gente comune e ci spinge a porci la fondamentale domanda che ogni essere umano formula quando è costretto a confrontarsi con dei comportamenti all’apparenza inspiegabili e forieri di particolare sconvolgimento emotivo: «Perché succedono certe cose e come fanno alcuni individui a commettere certe azioni?».

    Lo scopo principale del libro è proprio il tentativo di fornire una risposta a questa domanda attraverso l’analisi di alcuni aspetti particolarmente interessanti e innovativi:

    1. La disamina intrapsichica dell’assassino seriale, utilizzando come strumento principe di studio l’analisi delle modalità di comunicazione specifiche di questi soggetti, come si evince dai loro racconti diretti.

    2. Lo studio di una casistica internazionale di ampiezza mai registrata in nessuno studio sull’omicidio seriale pubblicato finora. Il campione considerato comprende 2230 nominativi di serial killer che fanno parte di una Banca Dati aggiornata al 30 aprile 2005 e in continuo perfezionamento. In questa sede, per la prima volta a livello internazionale, vengono esaminati casi di omicidio seriale riguardanti realtà territoriali che non erano mai state scandagliate, oppure erano state esaminate solo in maniera del tutto marginale, quali Australia, Giappone, Cina, paesi arabi e musulmani, Sudafrica, Canada, Brasile, Argentina.

    3. La presentazione di una Banca Dati europea, ESKIDAB, creata da Ruben De Luca nel 2001 e qui ingrandita e aggiornata da chi scrive al giugno 2013. Per la prima volta, viene analizzata in maniera approfondita la realtà europea dell’omicidio seriale che sarà oggetto di successive pubblicazioni ancora più particolareggiate.

    4. La presentazione di schede informative riguardanti 210 assassini seriali di tutto il mondo, allo scopo di permettere una comprensione davvero accurata della personalità di questi soggetti, attraverso lo studio di casi poco noti o del tutto sconosciuti al pubblico, sia italiano che internazionale.

    5. La correzione di ambiguità terminologiche e distorsioni interpretative legate a concetti cristallizzati nel pensiero criminologico comune e mai sottoposti ad autentica revisione critica, come, ad esempio, il concetto di spree killer, erroneamente tradotto, da circa venti anni, con il termine di assassino compulsivo.

    6. La proposta di una nuova classificazione motivazionale dell’omicidio seriale, più articolata e aderente a una realtà casistica complessa e numericamente importante, che delinea anche nuove tipologie di serial killer le quali, in precedenza, non erano state considerate dagli studiosi.

    7. Una nuova ipotesi di trattamento che, adottando diverse strategie terapeutiche, possa gettare un primo raggio di luce sugli abissi imperscrutabili dell’anima di questi soggetti e impedire che, se rimessi in libertà, tornino a uccidere vittime innocenti.

    L’occasione della stesura di questo libro mi è, inoltre, particolarmente gradita per comunicare i contenuti dei due Master da me diretti presso l’Università di Roma La Sapienza, di secondo livello in Scienze Criminologico-Forensi e di primo livello in Criminologia e Scienze Strategiche, in convenzione con il Ministero dell’interno e l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, condotti attraverso l’utilizzazione del metodo dell’In­se­gna­mento Video-Multimediale Interattivo.

    Per andare poi incontro ancor meglio alle esigenze di formazione manifestatemi da tutto il territorio nazionale ed internazionale abbiamo poi strutturato un Master Telematico on line grazie al polo telematico della Sapienza Università di Roma: il Master in Criminologia, Scienze Investigative e della Sicurezza (UNITELMA-SAPIENZA).

    Gli argomenti trattati sono: Serial killer, Criminalistica, Criminal Profiling e Scena del Crimine, Vittimologia, Violenza sui minori, Omicidiologia e Omicidi in famiglia (figlicidio, parenticidio ecc.), Criminalità in Internet, Pedofilia, Tecniche di Interrogatorio, di Inter­vi­sta e di Colloquio, le Sette, il Satanismo, Circonvenzione di Incapace, Terrorismo, Grafologia, Tecniche di comunicazione individuale e di massa, Psicopatologia sessuale forense, Tossicologia forense, Diagno­stica clinico-forense, Comunicazione verbale e non verbale, Sistema penitenziario, Diritto Penitenziario, Polizia Penitenziaria, Mobbing, Simulazione, Dissimulazione, Stalking, Predittività del Rischio e del Danno, Security Management, nonché Tecniche di Investigazione, Sopralluogo e Armi Chimiche, Criminalità Interna­zio­nale, Criminalità e Immigrazione, Strategie delle emergenze, Tecniche di negoziazione in caso di presa di ostaggi – Unità di gestione delle crisi, Security Management, Nozioni di Intelligence, il Personale secondo l’FBI, CIA, KGB e Servizi Italiani, Scienze della Sicurezza ed evoluzione internazionale, Valutazione della minaccia della globalizzazione del crimine.

    Le lezioni sono tenute da me medesimo e da altri docenti universitari italiani (insieme a una rappresentanza di prestigiosi docenti stranieri) tra i più noti e accreditati, magistrati, psichiatri, psicologi e criminologi selezionati per la loro specifica competenza, oltre che diversi rappresentanti degli organi di Stato (Carabinieri, Polizia ed Esercito).

    VINCENZO MARIA MASTRONARDI

    II.

    La scelta di inserire nel sottotitolo l’espressione volto segreto ha avuto la funzione di illustrare in modo perfetto l’obiettivo centrale di tutta l’opera: mostrare veramente chi sono gli assassini seriali, al di là delle facili rappresentazioni cinematografiche e di quei pochissimi casi famosi (sempre i soliti: Ted Bundy, Jeffrey Dahmer, Andrei Chikatilo e pochi altri) citati ripetitivamente dai cosiddetti esperti.

    Da oltre dieci anni, studio l’argomento raccogliendo, con pazienza certosina, materiale di ogni genere sull’omicidio seriale e, attraverso l’analisi di più di 2200 casi di tutto il mondo, mi sono accorto che l’universo dei serial killer è più complesso di quello che sembra leggendo molti libri che ne parlano in maniera superficiale. L’introduzione di una nuova definizione, di un nuovo modello di classificazione e di nuove tipologie di omicidio seriale tengono conto proprio della constatazione che non esiste soltanto il predatore sessuale, ma tante altre categorie di serial killer, meno visibili, che agiscono nell’ombra, eppure altrettanto pericolosi.

    La strutturazione e la stesura del libro sono state decisamente impegnative e molto ambiziose, ma sono convinto, insieme al Prof. Mastronardi, di non aver tradito le aspettative del lettore più esigente. Nel volume è affrontata tutta una serie di tematiche mai trattate in precedenza in altre pubblicazioni, oppure accennate solo in maniera marginale, con la presenza di materiale mai tradotto in italiano e le teorie più recenti, dell’inizio del xxi secolo, sull’argomento. Il punto di partenza fondamentale della stesura è costituito dai miei primi manuali del 1998 e del 2001, Anatomia del serial killer 2000, pubblicati dalla Giuffrè, una casa editrice che non ringrazierò mai abbastanza per essere stata la prima a darmi fiducia e a dare credito al mio lavoro. Rileggendo il volume del 2001, mi sono accorto che moltissime parti erano ancora di grande attualità e meritavano di essere riproposte, anche se inserite in un contesto totalmente differente e mescolate a materiale del tutto nuovo e recentissimo.

    Il Prof. Mastronardi, chiamandomi a far parte del progetto editoriale voluto dalla Newton & Compton, ha dimostrato di essere una persona lungimirante e di incarnare quell’ideale di professore universitario che dovrebbe essere la norma e invece, troppo spesso, è soltanto un’eccezione: un insegnante che persegue la scientificità, che mette costantemente in discussione le sue argomentazioni, accettando le critiche costruttive, e dà spazio alle idee dei collaboratori, fornendo loro l’occasione per dimostrare la propria capacità e senza appropriarsi indebitamente del materiale altrui. Per questo motivo, nonostante avessi già scritto da solo diverse pubblicazioni sull’omicidio seriale, ho accettato felice di lavorare insieme a lui e l’unione delle rispettive professionalità ci ha permesso di comporre un ritratto veritiero e, in larga parte, inedito del serial killer, teso alla ricerca della comprensione della sua reale essenza.

    Questo libro costituisce un riepilogo di tutto quello che si è detto sull’omicidio seriale in poco più di venti anni di studio della materia e una rampa di lancio di quelle che sono le nuove direzioni di ricerca contemporanea e futura.

    Per quanto mi riguarda, io continuo, quotidianamente, a documentarmi e a cercare, sempre più da vicino, di comprendere la psiche malata, ma affascinante, dei serial killer, nell’ambito dell’attività del gruppo di ricerca da me diretto e coordinato, il gorisc (Gruppo Osservatorio di Ricerca, Intervento e Studio sul Crimine), che opera in stretto contatto, e collaborazione proficua, con il cepic (Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia), organismo diretto dalla Dott.ssa Chiara Camerani.

    Nel mio personale progetto di ricerca e di studio sulle problematiche connesse all’omicidio seriale, questo manuale rappresenta un punto di partenza per nuove indagini e pubblicazioni specifiche che hanno preso e prenderanno spunto da alcuni capitoli del presente testo.

    Nel 2006 è stato pubblicato un mio nuovo volume che tratta un punto di vista più ristretto e particolareggiato dell’omicidio seriale. Il libro, intitolato Omicida e artista: le due facce del serial killer (Roma, Magi Edi­zioni), è a me particolarmente caro perché frutto di due anni di intenso lavoro: si tratta di uno studio pionieristico e davvero ardito, mai tentato prima a livello internazionale, che mette a confronto la personalità dell’assassino seriale con quella dell’artista figurativo: per un primo assaggio di questo argomento, consiglio di leggere il paragrafo 6.7. del presente libro. Nel 2010 prevedo di pubblicare L’omicidio seriale in Europa, il primo studio sistematico dell’omicidio seriale sul territorio europeo: anche di questo argomento, è presente un nutrito antipasto nel paragrafo 2.3.

    E, in futuro, prevedo di pubblicare due nuovi titoli che ritengo estremamente interessanti e sempre dedicati ad aspetti peculiari dell’omicidio seriale:

    1. Come riconoscere se tuo figlio è un potenziale serial killer. Guida pratica alla prevenzione dei comportamenti violenti per genitori, insegnanti e operatori sociali.

    2. Il mondo interno del serial killer e le sue strategie di comunicazione.

    E adesso, illustrerò brevemente la struttura del volume che permetterà a te, Caro Lettore (per usare un’espressione tipica del giallista Ellery Queen, uno dei miei autori preferiti), di orientarti agevolmente, e per soddisfare al meglio le tue esigenze, nella struttura apparentemente pachidermica di questo libro.

    Innanzitutto, va detto che il volume è diviso in due grandi parti ben distinte fra loro.

    La prima affronta i cosiddetti Temi generali ed è formata dai capitoli che vanno da 1 a 6; in questa sede, sono sviluppati tutti i concetti di base utili alla comprensione del fenomeno serial killer, chi è, perché uccide, come si diventa un mostro (e come riconoscerlo prima che diventi tale), cosa fare per catturarlo e cosa farne, dal punto di vista del trattamento, una volta che se ne è catturato uno. I capitoli sono corredati, laddove è stato possibile reperire il materiale, da riflessioni, pensieri e interviste agli stessi serial killer, per ascoltare direttamente, almeno in modo parziale, la loro voce interiore. L’idea di inserire delle dichiarazioni in prima persona mi è venuta dopo aver letto il bellissimo libro del Prof. Mastronardi, Le strategie della comunicazione umana, edito da FrancoAngeli, la cui tesi centrale collima perfettamente con le mie convinzioni più profonde: ogni azione umana, da quella del santo a quella del mostro, racchiude il bisogno di comunicare un messaggio al mondo e la sua analisi, in termini di strategie comunicative, può fornire una conoscenza approfondita delle dinamiche motivazionali più profonde dell’individuo.

    La seconda parte è dedicata agli Approfondimenti, cioè a quegli aspetti specifici che, spesso, sono trascurati oppure brevemente considerati in altri libri sull’argomento.

    Questa sezione è formata da cinque capitoli, da 7 a 11, che, nell’ordine, si occupano di:

    – omicidio seriale commesso dalle donne (Capitolo 7);

    – omicidio seriale in Italia (Capitolo 8);

    – omicidio seriale in ambito sanitario (Capitolo 9);

    – omicidio seriale compiuto adescando le vittime tramite Internet (Ca­pitolo 10);

    – forme atipiche di omicidio seriale (Capitolo 11).

    La maggior parte degli studiosi che si occupano dell’argomento considerano le donne solo come vittime d’elezione dell’assassino seriale e non le ritengono capaci di mettere in atto loro stesse certi comportamenti, invece le donne serial killer esistono, sono abbastanza numerose, ma riescono a uccidere rimanendo più a lungo invisibili rispetto alla loro controparte maschile.

    Per quanto riguarda l’omicidio seriale in Italia, ci sono solamente due studi specifici, entrambi davvero interessanti, su questa area particolare: quello del 2001 di Paolo De Pasquali, L’omicidio seriale in Italia (edizione FrancoAngeli) e quello di Andrea Accorsi e Massimo Centini del 2003, La sanguinosa storia dei serial killer (edizione Newton & Compton). Il primo presenta 43 storie di vita di assassini seriali nostrani e il secondo circa 60: la mia Banca Dati comprende più di 120 nominativi di assassini seriali italiani, a testimonianza della meticolosità del lavoro di ricerca svolto.

    Il problema degli Angeli della Morte, i medici e gli infermieri che uccidono sul posto di lavoro, è trattato poco volentieri dagli studiosi perché presenta dei risvolti davvero inquietanti: quelle stesse persone alle quali affidiamo le nostre stanche esistenze malate e dalle quali ci aspettiamo cura e sostegno, possono acquisire delle caratteristiche perverse e uccidere invece di guarire, come illustra efficacemente il recente caso, avvenuto proprio in Italia, dell’infermiera Sonya Caleffi.

    Il Capitolo 10 si occupa dell’uso della tecnologia informatica da parte dei serial killer per adescare con maggiore facilità le loro vittime, presentando i primi due casi di questo genere registrati nella letteratura scientifica internazionale: John Edward Robinson e Armin Meiwes, il cannibale di Rotenburg. Internet è un prezioso strumento di conoscenza e divulgazione del sapere, ma, purtroppo, è necessario considerare anche l’altra faccia della medaglia e il suo possibile uso a scopi criminali, come nei due casi citati e trattati con dovizia di particolari.

    Nel capitolo dedicato alle forme atipiche di omicidio seriale consideriamo quelli che possono essere definiti serial killer nascosti, cioè soggetti che hanno tutte le caratteristiche di personalità tipiche del predatore classico, ma che commettono i loro omicidi camuffandoli sotto l’insegna di motivazioni apparentemente concrete (omicidio di stampo mafioso, terroristico, rapine a mano armata ecc.) e, in alcuni casi, condivisibili dalla gente comune per il contesto in cui maturano (ad esempio, gli omicidi in tempo di guerra). L’argomento è sicuramente delicato e può dare origine a controversie, ma merita un approfondimento e una discussione critica: nel Capitolo 11, cerchiamo, per la prima volta nel panorama europeo (negli Stati Uniti, soltanto Lester, nel 1997, ha parlato di forme atipiche nell’omicidio seriale), di trattare questo argomento con un’analisi meticolosa e ciò vuole rappresentare un punto di partenza per ulteriori studi futuri.

    A chi è destinato questo libro? In verità, Caro Lettore, il volume è pensato proprio per te e la lettura è consigliata a ogni tipo di persona, non soltanto al professionista che debba leggerlo per motivi di lavoro. La struttura della narrazione permette di soddisfare le esigenze più disparate, da quelle professionali e scientifiche fino ad arrivare alle curiosità più morbose. Vediamo in che modo.

    Ogni capitolo del libro presenta una parte teorica dedicata alla trattazione scientifica dell’argomento, costellata da numerosi esempi pratici riguardanti singoli casi, e da una parte pratica costituita da circa 200 schede informative staccate dal testo principale (e introdotte dal nome del soggetto e, se conosciute, le date di nascita e di morte, il luogo degli omicidi, il periodo di azione, il numero e la tipologia delle vittime) che raccontano le storie di vita di questi soggetti. Molte schede sono tratte dalla mia tesi di laurea in Psicologia del 1996 e riguardano casi del tutto sconosciuti al grande pubblico, schede che, insieme a molte altre, verranno raccolte in un altro volume che conto di scrivere e pubblicare nel 2006 e il cui titolo provvisorio è: Enciclopedia internazionale dell’omicidio seriale. Presentazione di woskidab, la Banca Dati Mondiale dei serial killer.

    Il libro che hai tra le mani, Caro Lettore, si configura, quindi, un po’ come trattato scientifico un po’ come enciclopedia discorsiva e, leggendo tutte le schede informative raccolte, tu puoi costruirti la tua idea personale e autonoma di come e perché un serial killer uccide senza andarti a leggere una sola riga di teoria, e poi decidere di approfondire gli aspetti specifici che ti interessano di più. Ogni capitolo è anche arricchito da tabelle e schede di approfondimento che ti consentono di comprendere meglio alcuni argomenti correlati, ma periferici, rispetto al tema centrale dell’omicidio seriale.

    E, adesso, non mi resta altro che augurarti Buona Lettura, con la speranza che tu possa trovare, finalmente, in questo libro, le risposte che cerchi alle tue domande, per conoscere veramente da vicino il volto segreto dei serial killer.

    RUBEN DE LUCA

    ELENCO DEI SIMBOLI E DELLE ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO

    MO: modus operandi.

    SC: Scena del Crimine.

    QI: Quoziente Intellettivo.

    Vittime: 10+: simbologia usata nelle schede informative dei serial killer, significa che il soggetto ha sicuramente ucciso un minimo di dieci vittime, ma la polizia sospetta che il numero reale delle vittime sia superiore.

    Vittime: 10-30: il numero delle vittime del serial killer va da un minimo accertato (10) a un massimo probabile (30).

    Vittime: 10-30+: in questo caso, la maggior parte delle fonti che si è occupata del caso ritiene che il numero massimo di vittime sia accertato (30), ma alcuni studiosi pensano che possa essere superiore.

    (1900-?): al momento della stesura del libro, il soggetto è ancora vivo, oppure non si conosce la data della morte.

    (?-2000): non si conosce la data di nascita di un soggetto, ma solo quella di morte.

    (?-?): non si conosce né la data di nascita, né quella di morte.

    ESKIDAB: European Serial KIller DAta Bank (Banca Dati Europea sugli Assassini Seriali).

    WOSKIDAB: WOrld Serial KIller DAta Bank (Banca Dati Mondiale sugli Assassini Seriali).

    Modello sir: Modello Socio-ambientale, Individuale, Relazionale.

    DAP: Disturbo Antisociale di Personalità.

    Parte prima

    Temi generali

    1

    Chi è il serial killer.

    Storia dell’omicidio seriale

    e definizioni

    Oggi, nel XXI secolo, si sente parlare dei serial killer quasi quotidianamente, grazie anche all’abbondanza di libri e film dedicati ad essi, ma se ci fermiamo a riflettere con attenzione, dobbiamo considerare il fatto che questo tipo di criminale viene studiato come entità a se stante solo dall’inizio degli anni ’80 del XX secolo¹. In passato, esisteva semplicemente un enorme contenitore onnicomprensivo che andava sotto il nome di omicidio multiplo e che comprendeva, indistintamente, tutti quei casi in cui un assassino uccideva più di una vittima.

    Nel mondo contemporaneo, si sta verificando un fenomeno del tutto peculiare: una crescita esponenziale dell’interesse (che, per molti versi, si può definire morboso) mostrato dal pubblico per questo soggetto, accompagnato da un lento, ma costante, sdoganamento della sua figura in alcuni strati non convenzionali della società. Il serial killer non viene più visto solo come un esemplare particolarmente feroce di criminale, ma anche, in molti casi, come icona degna di ammirazione da parte di una certa controcultura trasgressiva, e alle sue gesta sono dedicati libri, film e trasmissioni televisive di ogni genere. Dai primi studi pionieristici condotti dall’FBI, anche la letteratura scientifica internazionale sull’argomento si è moltiplicata e diversificata, con l’obiettivo di trovare il maggior numero possibile di elementi che consentano di decifrare la contorta e sfaccettata personalità dell’assassino seriale. Godwin (2000) fa notare come la maggior parte delle considerazioni originarie dell’FBI, basate su campioni di osservazione particolarmente ristretti, non sia più da considerarsi valida perché la realtà oggettiva è molto più complessa e articolata. In Italia, De Luca (2001) è giunto alle stesse conclusioni dopo aver esaminato un campione di 1520 serial killer provenienti da tutto il mondo.

    Scheda 1.1. DEFINIZIONE DI MASS, SPREE E SERIAL KILLER DELL’FBI (1979)

    Gli assassini multipli – ad eccezione di quelli che uccidono due vittime nello stesso tempo e in un luogo solo ("double killer) oppure tre vittime nelle stesse condizioni (triple killer") – si dividono in tre categorie:

    a) Mass Murderer (Assassino di Massa): uccide quattro o più vittime nello stesso luogo e in un unico evento; di solito, il soggetto non conosce le proprie vittime e la scelta è generalmente casuale;

    b) Spree Killer (Assassino Compulsivo): uccide due o più vittime in luoghi diversi e in uno spazio di tempo molto breve; questi delitti, spesso, hanno un’unica causa scatenante e sono tra loro concatenati in un certo periodo; anche in questo caso, il soggetto non conosce le vittime e, dato che non nasconde le sue tracce, viene catturato facilmente;

    c) Serial Killer (Assassino Seriale): uccide tre o più vittime in luoghi diversi e con un «periodo di intervallo emotivo» (cooling-off time) fra un omicidio e l’altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di una vittima; può colpire a caso oppure scegliere accuratamente la vittima; spesso, ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato².


    ¹ Nel 1957, il criminologo James Reinhardt utilizza il termine assassini a catena (chain killers) per descrivere chi uccide ripetutamente, con degli intervalli di tempo fra un omicidio e l’altro. Nel 1966, un autore inglese, John Brophy, è il primo a usare la definizione di serial murderer, termine che, invece, fa la sua prima comparsa in un testo scientifico americano nel 1976, ad opera dello psichiatra Donald Lunde. Nel suo libro, Murder and Madness, Lunde definisce mass murder tutti i casi di omicidio in cui sono coinvolte più vittime, in contrapposizione al single murder basato, invece, sul rapporto assassino/vittima di uno a uno. Nel capitolo 5 (p. 47), Lunde segnala che la letteratura psichiatrica e legale a volte utilizza il termine «serial murder» per distinguere il caso in cui l’assassino «commette un certo numero di omicidi lungo un periodo di mesi o, in alcune circostanze, di anni».

    ² Robert Ressler – Ann Burgess – John Douglas, Sexual Homicide: Patterns and Motives, London, Simon & Schuster, 1988.

    1.1. Definizioni classiche di omicidio seriale

    La prima definizione di serial killer è stata elaborata dagli agenti speciali del Dipartimento di Scienze Comportamentali dell’FBI con sede a Quantico in Virginia, che, contemporaneamente, hanno delineato anche la figura dello spree killer e del mass murderer (scheda 1.1.). L’indubbio merito dell’FBI è stato quello di introdurre nuove categorie descrittive nell’indistinto e monolitico universo dell’omicidio multiplo, facendo emergere il bisogno di diversificare i tipi di omicidio e di studiare ogni tipologia con metodiche appropriate.

    La definizione storica prodotta da Quantico non può, però, essere più utilizzata in un’ottica contemporanea per una serie di motivi che elencheremo qui di seguito.

    1. Allo stato attuale, la definizione dell’FBI è anacronistica, tende a un’eccessiva semplificazione e non tiene conto della realtà oggettiva proposta dalla casistica internazionale. Già nel 1992, Newton aveva evidenziato i principali difetti della definizione dell’FBI: innanzitutto, non viene specificata la lunghezza del cosiddetto "periodo di intervallo emotivo" fra un omicidio e l’altro per far rientrare il soggetto che uccide nelle categorie di assassino seriale, compulsivo o di massa. Quanti minuti, ore, giorni, mesi devono intercorrere fra un omicidio e l’altro per poter parlare di serial killer?: è una delle tante domande alle quali l’FBI non ha mai risposto.

    Ancora più macroscopico l’errore logico di considerare serial killer solo un individuo che uccide ­«tre o più vittime»¹. E allora un assassino come Luigi Chiatti che è stato catturato dopo aver compiuto due omicidi, non dovrebbe essere considerato un serial killer? E su che base lo escludiamo dalla categoria, per un criterio puramente numerico? Se un soggetto ha commesso solo due omicidi, nella sua testa può essere già scattato il circuito della ripetizione per cui va considerato un assassino seriale a tutti gli effetti².

    Busch e Cavanaugh (1986) affermano che la classificazione dell’omicidio seriale proposta dall’FBI è poco esatta e inutile dal punto di vista operativo perché soltanto descrittiva e non generalizzabile alla totalità degli assassini seriali in circolazione, aggiungendo che anche la spiegazione del movente non è attendibile perché manca di supporto statistico³

    Godwin (2000) segnala un altro limite molto evidente del lavoro dell’FBI: le loro definizioni si basano su un campione ristretto comprendente 36 assassini a movente sessuale (e, fra questi, solo 25 erano effettivamente assassini seriali) che sono stati intervistati nelle prigioni americane in cui erano rinchiusi, un campione scelto senza rispettare le regole della casualità, solo in base alla partecipazione volontaria dei singoli soggetti, e che qualsiasi statistico considererebbe inattendibile perché non rappresentativo dell’insieme della popolazione considerata. Le interviste si basavano su questionari non strutturati e non è mai stata presentata un’analisi dettagliata del materiale impiegato, né tantomeno i nomi degli assassini coinvolti nel progetto: Ressler e colleghi si sono solo limitati a mostrare delle tabelle riassuntive con le risposte dei soggetti⁴.

    2. La dicotomia serial killer «organizzato» e «disorganizzato» creata dall’FBI non è così netta. La maggior parte degli assassini seriali, così come gli esseri umani in generale, presentano elementi di organizzazione e disorganizzazione nel loro comportamento, miscelati in una gradazione variabile da soggetto a soggetto. Wilson (1996) afferma che è più corretto parlare di un continuum fra la disorganizzazione e l’organizzazione perché molti criminali violenti presentano caratteristiche mescolate di entrambe le categorie. Canter et al. (2001) hanno dimostrato, in uno studio compiuto su 728 omicidi commessi da 107 assassini seriali statunitensi, che le categorie organizzato/disorganizzato spesso si sovrappongono⁵.

    Sempre Godwin (2000) fa notare che esistono diverse discrepanze se si compara la descrizione dell’FBI delle caratteristiche principali del tipo organizzato e disorganizzato (tab. 1.1.). Ad esempio, nella lista di caratteristiche del criminale disorganizzato, si notano alcuni comportamenti che richiedono un notevole grado di pianificazione: l’esecuzione di atti sessuali postmortem sul corpo della vittima non implica affatto una disorganizzazione. Il soggetto necrofilo pensa e ripensa all’oggetto inanimato e può lasciarsi andare a fantasie prolungate che riguardano la manipolazione del cadavere, da mettere in pratica nel momento in cui ne ha a disposizione uno⁶.

    Altri elementi considerati tipici della personalità disorganizzata dall’FBI non sembrano, invece, essere un’esclusiva di questo genere di criminale: un serial killer organizzato può scegliere una vittima a caso, ma pianificare tutte le fasi dell’aggressione; può operare il processo di depersonalizzazione sulla vittima come meccanismo di difesa dalle sue angosce; può attuare uno scambio verbale minimo con la vittima perché gli interessa osservare le sue sofferenze piuttosto che comunicare qualcosa; può evitare di usare mezzi di costrizione fisica, perché agisce

    Tabella 1.1. Caratteristiche principali del criminale organizzato e disorganizzato secondo l’FBI (Ressler, Burgess e Douglas, 1988).

    con rapidità ed efficacia uccidendo subito la vittima; e può lasciare il cadavere nello stesso posto in cui ha commesso l’omicidio per ragioni di praticità e di risparmio di tempo. In definitiva, sembra che le uniche caratteristiche davvero peculiari di un crimine disorganizzato siano:

    – che si tratta di un crimine impulsivo dovuto all’influsso di particolari stimoli momentanei;

    – che la mancanza di pianificazione fa sì che la Scena del Crimine (che, per esigenze di brevità, d’ora in poi indicheremo con la sigla SC) possa essere disordinata e confusa, probabilmente a causa di una colluttazione fra l’aggressore e la vittima, e il primo non ha avuto tempo (oppure si è fatto prendere dal panico) per rimettere in ordine la scena;

    – che gli stimoli momentanei provocano uno scoppio di violenza improvviso che origina il crimine disorganizzato;

    – che, come conseguenza dello scoppio di violenza improvviso, l’arma scelta dall’assassino è un’arma di opportunità reperita sul momento;

    – che, se il crimine è impulsivo, dovuto a uno scoppio di violenza improvviso e la scena è disordinata e confusa, è probabile la presenza di numerose tracce fisiche che parlano dell’assassino.

    3. Tutti gli studiosi di omicidi multipli si ostinano a tradurre la categoria dello spree killer come assassino compulsivo, rendendo la definizione ambigua e incorretta come traduzione. La parola inglese spree significa baldoria, per cui lo spree killer deve essere tradotto come assassino per divertimento e, concettualmente, l’aspetto ludico dell’omicidio non ha nulla a che vedere con il fatto che ci sia o meno una compulsione. Per come è stata concepita fino ad oggi, la definizione di spree killer è assolutamente inutile e non serve a comprendere realmente quello che passa nella testa dell’assassino. Forse che l’aggettivo compulsivo è di esclusivo appannaggio dello spree killer? Ma l’assassino seriale e quello di massa non agiscono seguendo una loro compulsione interna? Se un individuo esce di casa la mattina e decide di sterminare tutti i colleghi del suo ufficio, non agisce obbedendo a una compulsione? L’assassino seriale disorganizzato non uccide in base a una compulsione?

    L’intero impianto definitorio si basa sulla quantificazione del "periodo di intervallo emotivo", per cui se un soggetto uccide le vittime facendo intercorrere solo qualche minuto fra i diversi omicidi viene definito spree killer, se invece fa trascorrere giorni, mesi o anni, viene chiamato serial killer. La realtà casistica internazionale dimostra che ci sono molti assassini seriali che, in alcuni momenti della loro carriera omicidiaria, possono far trascorrere diversi anni di letargo fra un omicidio e altro, mentre, in alcuni periodi di frenesia compulsiva, possono anche uccidere più vittime nello stesso giorno.

    Il termine inglese spree deve essere tradotto in italiano con la parola baldoria e la categoria di criminale che risponde alla definizione di spree killer è assassino per divertimento: indipendentemente dalla durata del periodo di intervallo emotivo, uccide per scopi puramente ludici, di evasione dalla noia. Molte volte, vanno considerati spree killer soprattutto i soggetti di età piuttosto giovane che uccidono in gruppo: un esempio tipico di questa categoria è la banda di giovani criminali del film Arancia meccanica di Stanley Kubrick

    4. Così come sono state concepite fino ad oggi, le uniche due definizioni che hanno un senso sono quelle di assassino seriale e assassino di massa. È necessario, però, introdurre una terza categoria di sintesi: assassino seriale/di massa. Un soggetto può decidere di dare sfogo alla propria pulsione omicidiaria in un unico momento, uccidendo più vittime che gli è possibile finché qualcuno non lo ferma (assassino di massa), oppure può decidere di uccidere in più episodi separati (assassino seriale), prendendosi dei periodi di pausa la cui durata dipende dalla sua capacità di raggiungere una calma temporanea attraverso l’elaborazione mentale dell’omicidio commesso, oppure da circostanze fortuite indipendenti dalla sua volontà (una malattia che lo costringe all’immobilità, l’arresto e l’incarcerazione per un altro crimine estraneo alla serie omicidiaria ecc.).

    L’analisi della casistica internazionale rende evidente la presenza di un assassino seriale/di massa, figura già definita da De Luca (2001). In questo caso, l’assassino sceglie a volte vittime singole, mentre, in altre occasioni, può decidere di uccidere diverse persone nella stessa azione omicidiaria. L’elemento centrale del comportamento del soggetto che uccide è sempre la ripetitività dell’azione omicidiaria, ma la scelta di più vittime in contemporanea aumenta la difficoltà dell’impresa e l’eccitazione percepita dall’assassino che si sente onnipotente⁸.

    L’omicidio seriale/di massa si differenzia dall’omicidio di massa classico in quanto quest’ultimo rappresenta una specie di suicidio allargato, in cui l’assassino, con una singola e devastante azione omicidiaria, esaurisce la sua missione di rivendicazione verso la società e, non avendo più nulla da comunicare, generalmente si suicida non appena terminata la strage, oppure si lascia catturare (o, più frequentemente, uccidere) dalla polizia. L’assassino seriale/di massa, invece, decide semplicemente di alzare la posta emotiva all’interno del suo schema di ripetizione dell’azione. Quando le vittime sono molteplici, di solito manca il contatto fisico che invece è spesso presente quando l’assassino fronteggia una vittima singola; nel caso dell’azione diretta contro più vittime contemporaneamente, l’attenzione dell’assassino è concentrata sul controllo assoluto della scena, per cui è frequente il ricorso ad armi da fuoco (come nell’omicidio di massa tipico) che garantiscono il massimo risultato distruttivo nel minor tempo possibile⁹.

    Un caso esemplare che illustra questa tipologia è quello di Richard Speck, per molti anni considerato erroneamente un mass murderer. Il crimine per cui Speck divenne famoso e fu arrestato, accadde nel 1966, quando lui si introdusse di notte in un dormitorio nel quale si trovavano nove infermiere. Speck lega le ragazze, le violenta e ne uccide otto. La nona infermiera, la filippina Corazon Amurao, si salva semplicemente perché, a un certo punto, lui è frastornato, perde il conto delle vittime e lei finge di essere morta, aspettando che Speck se ne vada. La Amurao va alla polizia e la sua descrizione contribuisce in maniera determinante a farlo catturare.

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    RICHARD FRANKLIN SPECK (1941-1991)

    Luogo omicidi: Stati Uniti - Monmouth, Chicago (Illinois), Indiana.

    Periodo omicidi: 1966.

    Vittime: 12+, donne.

    Richard Speck nasce a Kirkwood (Illinois) il 6 dicembre 1941. Quando ha solo 6 anni, i genitori, che fino a quel momento avevano vissuto in una piccola cittadina, decidono di trasferirsi a Dallas. Fin da piccolo, aveva un carattere particolarmente irrequieto e si metteva spesso nei guai. Ben presto, divenne un criminale abituale che si faceva notare per ubriachezza molesta, condotta disordinata e violenta e furti, collezionando ben trentasette arresti nella sola Dallas. Spesso, prendeva parte alle risse che scoppiavano nei bar, quando non era lui stesso a scatenarle: la sua concezione di una bella serata era quella di ubriacarsi, ingoiare delle pillole, andare in un bar e iniziare una rissa; se riusciva a menare per bene le mani e a fare molto male agli altri, considerava riuscita la serata, altrimenti si metteva a girare per le strade fino a quando non trovava un vagabondo da picchiare selvaggiamente per sfogarsi e poi se ne tornava a casa e dormiva soddisfatto.

    Nel 1961, Speck trova un lavoro part-time come netturbino, sposa una ragazza di quindici anni e ha un figlio. Nel 1965, viene accusato di aver assalito, in un parcheggio, una donna con un coltello. Dopo aver fatto il netturbino per un periodo, trova lavoro in un cantiere navale, finché, nel 1966, non ebbe una violenta discussione con un ufficiale che gli fece perdere il posto di lavoro. Nello stesso anno, la moglie chiede la separazione, perché lui le ripeteva spesso che aveva il desiderio di ucciderla e, a volte, era molto violento. Speck faceva uso smodato di droghe e alcolici e questo aumentava la sua violenza, impedendogli di mantenere un lavoro stabile, anche perché il posto in cui gli piaceva più stare erano i bar. Era talmente violento che tentò di uccidere anche il suocero perché lo aveva contrariato durante una discussione.

    Speck è ossessionato dal sesso e gli piace aggredire le donne per fare quello che lui chiama «del buon sesso violento». Prima del massacro del dormitorio, ha ucciso altre quattro donne, ma la polizia sospetta che possa aver ucciso anche altre ragazze. Stuprava e derubava le vittime, poi le strangolava, le pugnalava ripetutamente e, come atto conclusivo, tagliava loro la gola; in uno degli attacchi, mutila l’ano della vittima di turno con un coltello.

    Condannato a morte, riceve la commutazione della pena in ergastolo nel 1972. Richard Speck muore in carcere nel 1991, dopo aver manifestato un comportamento violento anche dietro le sbarre¹⁰.

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    Il massacro delle infermiere rappresenta l’esplosione finale di una violenza che è cresciuta nell’arco dei tre mesi precedenti, partendo, però, da una vittima singola, proprio come un serial killer tipico. La prima a morire fu Mary Pierce, una cameriera che aveva rifiutato le sue attenzioni, il 10 aprile 1966. Il 2 luglio, Speck uccide, in uno stesso pomeriggio, tre ragazze, a poche ore di distanza una dall’altra, riuscendo letteralmente a far sparire i cadaveri. Il 13 luglio, armato di una pistola e di un coltello, e dopo aver fatto il pieno di droga e alcol, entra in un dormitorio in cui si trovano delle apprendiste infermiere e inizia a violentarle e sterminarle¹¹ Richard Speck inizia comportandosi come un serial killer e finisce agendo come un mass killer.

    Dopo quella dell’FBI, nel corso degli anni, ci sono state molte altre definizioni di serial killer e dell’omicidio seriale di tipo generico, oppure focalizzate su alcuni aspetti specifici del fenomeno (ad esempio, l’organizzazione dei delitti, la locazione della sc ecc.). Le principali definizioni sono riassunte nella scheda 1.2.

    Scheda 1.2. ALCUNE DEFINIZIONI DI SERIAL KILLER

    1. Egger (1984). Fornisce una definizione operativa di omicidio seriale, individuando sei caratteristiche principali:

    a) ci sono almeno due omicidi;

    b) non ci sono relazioni di nessun tipo fra l’omicida e la sua vittima;

    c) gli omicidi sono commessi in tempi diversi e non hanno una connessione diretta con quelli precedenti o con i successivi;

    d) gli omicidi, spesso, sono compiuti in luoghi diversi;

    e) gli omicidi non sono commessi per ottenere un guadagno materiale, ma sono, di solito, atti compulsivi; a volte, mirano al raggiungimento della gratificazione di alcuni bisogni che si sono sviluppati attraverso la fantasia;

    f) ogni vittima presenta delle caratteristiche in comune con quelle che lo hanno preceduto e con quelle che lo seguiranno.

    2. Dietz e Rappaport (1986, 1988). Questi due psichiatri forensi individuano cinque categorie di assassino seriale:

    a) Crime Spree Killers («assassini compulsivi nell’atto di compiere un crimine»): si tratta di soggetti che possono agire tanto individualmente che in coppia o in gruppo; i loro omicidi sono collegati alla commissione di altri reati, come rapine, furti o traffico di droga;

    b) Functionaries of Organized Criminal Operations («esecutori di operazioni criminali organizzate»): si tratta di individui che commettono i loro omicidi per ricavarne un guadagno personale o su commissione; di solito, sono collegati alla criminalità organizzata; molti assassini seriali di questo tipo fanno parte dei cartelli internazionali del traffico di droga;

    c) Custodial Poisoners and Asphyxiators («avvelenatori e asfissiatori¹² di persone in custodia»): questi soggetti, spesso, fanno parte delle professioni mediche e sono soggetti che uccidono i loro pazienti per ragioni finanziarie o per sollevare se stessi dalla fatica di assistere persone invalide, malate o, comunque, dipendenti;

    d) Psychotics («psicotici»): in questa categoria, sono compresi quegli assassini seriali i cui pensieri irrazionali, spesso, li conducono ad agire un comportamento pericoloso. Dicono di uccidere perché sentono delle voci nella loro testa che li obbligano a farlo; molti psicotici hanno dei conflitti religiosi e credono di agire su comando di Dio o del Diavolo;

    e) Sexual Sadists («sadici sessuali»): questi assassini torturano le vittime prima di ucciderle; il loro scopo primario è quello di infliggere dolore alle vittime e utilizzano il sesso per tale scopo.

    3. Ressler, Burgess e Douglas (1988). Questi autori, agenti speciali dell’FBI, introducono la distinzione fra comportamento organizzato e disorganizzato degli assassini seriali, distinzione che ritengono utile soprattutto nel campo pratico dell’investigazione:

    a) Organized Serial Killer («assassino seriale organizzato»): pianifica con cura i propri delitti, scegliendo un tipo particolare di vittima che, in qualche modo, ha un legame simbolico con lui;

    b) Disorganized Serial Killer («assassino seriale disorganizzato»): agisce per un impulso improvviso che lo porta a uccidere vittime scelte casualmente, senza preoccuparsi di coprire tutte le tracce, per cui è molto più facile catturare questo tipo di assassino seriale, in quanto sussiste una maggiore possibilità che lasci degli indizi sulla sc.

    4. Newton (1990, 1992, 1993). Uno dei massimi esperti americani di omicidio seriale, si ispira al lavoro di Hickey (1991) e definisce i serial killer in base alla loro mobilità e al loro raggio d’azione, distinguendo tre tipologie:

    a) «assassino seriale territoriale»: è quello che elegge come proprio terreno di caccia un’area ben determinata (una città, un paese, a volte un particolare quartiere, una strada, un parco ecc.) e che, raramente, sconfina dalla zona che conosce bene. Alcuni di questi assassini seriali scelgono un territorio estremamente specifico, creando un panico diffuso nella comunità, alterando i rapporti sociali e le modalità comportamentali in un quartiere. Questo tipo di assassino non commette mai omicidi in altre località;

    b) «assassino seriale nomadico»: è quello che si sposta continuamente da un posto all’altro (e da uno stato all’altro sul territorio americano) in cerca della vittima ideale. Alcuni assassini di questo tipo sono vagabondi abituali, sempre alla ricerca di un lavoro part-time e di una facile vittima da uccidere, altri viaggiano deliberatamente allo scopo di far perdere le proprie tracce e rendere più difficile il lavoro d’investigazione;

    c) «assassino seriale stazionario»: questo tipo commette gli omicidi prevalentemente a casa propria o sul posto di lavoro (ospedali, case di riposo, cliniche ecc.). Indossando una maschera di normalità, gli assassini seriali stazionari sono capaci di uccidere per molti anni senza destare il minimo sospetto nella comunità in cui sono ben inseriti e stimati. Di solito, pianificano con cura gli omicidi e la maggior parte delle donne serial killer fanno parte di questa categoria.

    5. Lane (1992). Uno dei massimi esperti britannici, Brian Lane elenca i sei elementi che ritiene essenziali per caratterizzare ogni assassino seriale:

    a) gli omicidi sono ripetuti (seriali), a intervalli brevi oppure lunghi, e possono susseguirsi anche per anni; a volte, la frequenza degli omicidi è sempre più alta con il passare del tempo; la serie può continuare fino a quando l’assassino non viene catturato, muore oppure si suicida;

    b) come gli omicidi singoli, anche gli omicidi seriali tendono ad essere uno-contro-uno;

    c) non c’è connessione (oppure è superficiale) fra l’assassino e la sua vittima; è raro che le persone coinvolte in un omicidio seriale siano, in qualche modo, relazionate fra di loro;

    d) sebbene ci possa essere uno schema e le vittime possano avere dei tratti in comune, è difficile che gli omicidi di una serie mostrino un movente razionale o chiaramente definito;

    e) con l’avvento dell’automobile, la mobilità è aumentata enormemente e ciò ha reso possibile all’assassino seriale di muoversi rapidamente da un posto all’altro, per commettere un altro omicidio ancora prima che quello precedente venga scoperto;

    f) di solito, si nota un alto grado di violenza gratuita, un accanimento sul cadavere non finalizzato all’uccisione (fenomeno dell’overkilling).

    5. Non c’è molta omogeneità fra le varie definizioni di omicidio seriale e, soprattutto, quasi nessuno degli studiosi che si è occupato del fenomeno indica la numerosità del proprio campione di riferimento. Quanti casi di omicidio seriale sono stati analizzati da ognuno di essi per arrivare a un certo tipo di definizione? Non ci è dato di saperlo e, quindi, non è possibile fare dei confronti adeguati di tipo scientifico. Ressler, Burgess e Douglas sono tra i pochi a indicare il loro campione di riferimento, quei famosi 36 assassini incarcerati che sono serviti per la definizione originaria dell’FBI.

    Dietz, Hazelwood e Warren (1990) hanno effettuato uno studio descrittivo su un campione di 30 assassini seriali sadici sessuali, mentre Hickey (1991) ha realizzato un importante studio sui serial killer e le loro vittime sulla base di 203 casi, in un campione composto da 169 maschi e 34 femmine¹³. Il limite principale del lavoro di Hickey è che i soggetti da lui esaminati sono solamente americani, difetto comune alla maggior parte delle ricerche sul fenomeno.

    Dietz e Rappaport (1986, 1988) sono gli unici autori a considerare nella categoria degli omicidi seriali anche quelli su commissione, eseguiti nell’ambito della criminalità organizzata. Per contro, c’è un accordo pressoché unanime fra gli studiosi che si sono occupati di omicidio seriale nell’escludere dalla definizione gli omicidi compiuti in ambito terroristico, gli omicidi politici e le stragi compiute nel corso di guerre¹⁴.

    De Luca (2001) è stato l’unico autore a effettuare uno studio transnazionale sull’omicidio seriale e a considerare un campione di più di 1500 assassini di tutto il mondo.

    6. Nella maggior parte delle definizioni di omicidio seriale, si tende a enfatizzare il fatto che tra l’assassino e le sue vittime non c’è alcun tipo di relazione, oppure ce n’è una di tipo superficiale: niente di più sbagliato. Se questo assunto fosse vero, la conseguenza principale sarebbe quella di non considerare come omicidio seriale quello agito dalla quasi totalità delle donne che, invece, uccidono di preferenza persone con cui hanno delle solide relazioni affettive (mariti, amanti, figli, parenti di ogni genere ecc.), così come gli omicidi seriali commessi in ambito sanitario dove ci può essere un’altrettanto solida relazione medico-paziente o, comunque, un rapporto di assistenza. In effetti, questo è uno dei motivi principali per cui la maggior parte degli autori tende a sottostimare la consistenza della categoria delle donne serial killer.


    ¹ Michael newton, Serial Slaughter. what’s behind America’s Murder Epidemic, washington, Loompanics, 1992.

    ² In realtà, come spiegato meglio più avanti, per etichettare un soggetto come serial killer non è neanche indispensabile che le due vittime siano effettivamente morte, perché possono anche sopravvivere per uno o più casi fortuiti. L’elemento centrale è la presenza o meno nel soggetto che uccide di una chiara intenzione di uccidere ripetutamente.

    ³ Grover Maurice Godwin, Hunting Serial Predators. A Multivariate Classification Approach to Profiling Violent behavior, Boca Raton, CRC Press, 2000, pp. 18, 19.

    ⁴ Ivi, pp. 11, 12, 17.

    ⁵ Massimo Picozzi – Angelo zappalà, Criminal Profiling. dall’analisi della scena del delitto al profilo psicologico del criminale, Milano, McGraw Hill, 2002, p. 367.

    ⁶ Ivi, pp. 15, 16.

    ⁷ Tratto dal romanzo A Clockwork Orange di Anthony Burgess del 1962, il film di kubrick, realizzato nel 1971, ritrae una Inghilterra del futuro nella quale Alex (un magistrale Malcolm Mc- Dowell) e i suoi Drughi si dedicano di notte allo sport dell’ultraviolenza. Arrestato per omicidio e stupro, Alex è sottoposto a un lavaggio del cervello che lo rende inoffensivo, ma quando esce si trova in un mondo più violento di quello che già era ai suoi tempi. Dei tre film di kubrick che si possono considerare fantascientifici, è sicuramente il più violento e quello più attuale.

    ⁸ Ruben De Luca, Anatomia del serial killer 2000. Nuove prospettive di studio e intervento per un’analisi psico-socio-criminologica dell’omicidio seriale nel terzo millennio, Milano, Giuffrè Editore, 2000, p. 170.

    ⁹ Ivi, pp. 171, 172.

    ¹⁰ Michael newton, Hunting Humans. An Encyclopedia of Modern Serial killers, Port Townsend, Loompanics, 1990, pp. 303, 304.

    ¹¹ Ibid.

    ¹² Il termine asfissiatore non esiste nella lingua italiana, è un neologismo per indicare colui che asfissia e l’abbiamo usato per rendere fedelmente il neologismo inglese di identico significato (asphyxiator) usato dagli Autori.

    ¹³ Godwin, Hunting Serial Predators, cit., pp. 22, 23.

    ¹⁴ De Luca, Anatomia del serial killer 2000, cit., p. 44.

    1.1.1. Le teorie di Colin Wilson sulle cause dell’omicidio seriale¹

    L’inglese Colin Wilson è uno dei massimi studiosi europei sull’omicidio seriale, argomento del quale ha iniziato a occuparsi nel 1961, anno di pubblicazione di una pionieristica enciclopedia del delitto nella quale erano riportati molti casi di assassini seriali, anche se non erano ancora chiamati con questo nome.

    Nel corso dei decenni successivi, Wilson ha elaborato sei teorie che, prese separatamente o insieme, ritiene possano spiegare le origini e le cause del comportamento omicidiario seriale.

    1. La teoria dei bisogni progressivi (A. Maslow). L’assunto principale di questa teoria prende in prestito le concettualizzazioni di Abraham Maslow, secondo cui l’uomo è motivato ad agire perché vuole soddisfare alcuni bisogni. Alla soddisfazione di un bisogno di base, segue un nuovo bisogno e così via, con un aumento progressivo delle richieste.

    Il bisogno di nutrirsi è la prima esigenza dell’essere umano e quello che segue è il bisogno di sicurezza: le preoccupazioni principali di ogni individuo sono l’ottenimento del cibo e di una abitazione dove potersi riparare e riposare. Una volta soddisfatti questi bisogni primari, è la volta del bisogno di gratificazione emozionale e sessuale: l’amore e le amicizie sono i veicoli principali per raggiungere un certo grado di soddisfazione a questo livello. Il più elevato, nella scala gerarchica delle esigenze umane, è il bisogno di autostima che viene soddisfatto quando il soggetto, che aspira ad avere un successo visibile e a essere considerato un vincente, riesce a ottenere il rispetto da parte degli altri membri della società².

    Secondo Wilson, il crimine si è evoluto negli ultimi tre secoli parallelamente allo sviluppo dei bisogni nell’essere umano: nel XVIII secolo, le condizioni di vita erano misere e la maggior parte dei crimini venivano commessi al solo scopo di sopravvivenza (i primi due bisogni di Maslow); intorno alla metà del XIX secolo, gli omicidi avvenivano soprattutto all’interno delle mura domestiche e la motivazione prevalente era la salvaguardia della sicurezza familiare (terzo bisogno); tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, fa la sua comparsa l’omicidio a sfondo sessuale modernamente concepito, mentre, nel secondo dopoguerra, il quarto livello di Maslow, il bisogno di autostima, diventa il motivo principale degli omicidi. Wilson sostiene che l’omicidio seriale scaturisce da questo bisogno insoddisfatto: il serial killer non ha un sufficiente livello di autostima, sente di essere un perdente e allora sfida la società, mettendo in atto il comportamento omicidiario che gli consente di sentirsi qualcuno L’insicurezza e la mancanza di un’identità precisa tornano prepotentemente a opprimere il soggetto, costringendolo a ripetere il comportamento, sempre nella speranza di affermare il proprio sé.

    2. Sindrome della volontà di potenza. Secondo Wilson, l’obiettivo principale dell’assassino seriale non è il sesso, ma il controllo totale della vittima. Per affermare la propria individualità, l’assassino seriale ha bisogno di sperimentare un senso di onnipotenza. Il suo mondo interiore è governato da fantasie di dominio e il sesso violento è uno dei mezzi che il soggetto ha a disposizione per realizzare le proprie fantasie: umiliazione e sottomissione della vittima equivalgono all’affermazione del proprio io.

    3. Sindrome di Jekyll e Hyde. Wilson ritiene che questa sindrome sia tipica di quegli assassini seriali che si suicidano oppure che commettono un errore talmente grossolano, nella sequenza omicidiaria, da condurre al loro arresto; è come se questi individui avessero una parte buona che si accorge della presenza di una parte cattiva: l’impulso a confessare spontaneamente o a fare in modo di farsi catturare, è la risultante di un tentativo inconscio della parte positiva di sconfiggere quella negativa.

    4. Teoria della sovrappopolazione e del 5% dominante (J. Calhoun). Questo psicologo, partendo dalle osservazioni degli etologi Lorenz e Tinbergern sulla presenza di un 5% dominante in tutte le specie animali, ha fatto un’interessante osservazione: quando i topi si trovano a vivere in una situazione di sovraffollamento, il 5% dominante diventa criminale e mette in atto un comportamento completamente estraneo agli altri topi che vivono in condizioni normali.

    Secondo Wilson, queste considerazioni valgono anche per l’uomo, il quale tende a sviluppare un comportamento di tipo criminale in situazioni di eccessiva densità di popolazione. L’omicidio seriale è una delle possibili modalità di comportamento criminale scelta dalla personalità dominante che non trova soddisfazione, attraverso i mezzi permessi dalla società, al suo desiderio di dominio. Wilson rafforza la teoria osservando che nessun assassino seriale ha alle spalle un ambiente di vita socialmente privilegiato e che la maggior parte di essi è cresciuta in quartieri periferici sovraffollati.

    5. Sindrome dell’imperatore romano. Si tratta di un’esasperazione della sindrome della volontà di potenza. Wilson ritiene che molti assassini seriali siano annoiati dalla vita moderna, perché essa, attraverso il progresso e la sempre maggiore comodità, produce soltanto situazioni di routine. Questi soggetti, allora, cercano disperatamente nuovi stimoli, sensazioni forti in grado di dare un senso alla loro vita; nel fare ciò, si comportano proprio come gli imperatori romani che consideravano le altre persone come dei semplici oggetti utili per il loro piacere e divertimento. L’assassino seriale tipico considera le vittime come oggetti che hanno la sola funzione di servire ai suoi scopi.

    6. Teoria dell’uomo violento o dell’uomo che ha sempre ragione (A. E. van Vogt). Nel 1954, questo scrittore di fantascienza osserva che tutti i dittatori sembrano avere in comune una convinzione irrazionale di essere sempre e comunque nel giusto.

    Wilson applica questa teoria agli assassini seriali, sostenendo che essi razionalizzano ogni loro condotta per autogiustificarsi. Molti di loro non provano alcun rimorso per le proprie azioni, perché credono di avere sempre ragione: qualsiasi forma di violenza è giustificata perché gratifica il loro egocentrismo. Di solito, questi assassini manifestano già da bambini la tendenza a considerarsi il centro dell’universo e a sviluppare un comportamento aggressivo nei confronti degli altri³.


    ¹ Il paragrafo è tratto integralmente da De Luca, Anatomia del serial killer 2000, cit., pp. 35-38.

    ² Abraham Maslow, Motivazioni e personalità, Roma, Armando, 1954.

    ³ Colin wilson – Donald Seaman, The Serial killers. A Study in the Psychology of Violence, London, True Crime, 1990 (trad. it. Il libro nero dei serial killer, Roma, newton & Compton, 2005).

    1.2. Un po’ di storia: dalle origini dell’omicidio seriale

    alle soglie del XX secolo¹

    L’omicidio seriale esiste fin dai tempi più remoti, ma non veniva chiamato in questo modo. Centinaia di pazzi sanguinari, lupi mannari, vampiri, maniaci omicidi, assassini a catena, pluriomicidi che hanno costellato la storia criminale dell’umanità, in realtà, avevano tutte le caratteristiche dei serial killer moderni. Ad esempio, gli imperatori romani Nerone e Caligola erano degli assassini seriali in piena regola: la maggior parte dei loro omicidi non era motivata da una semplice brama di potere e, spesso, uccidevano per il solo gusto di sperimentare nuove emozioni, essendo annoiati della monotonia della loro vita quotidiana. Personaggi storici come Cesare Borgia, il sanguinario sovrano inglese Enrico viii che fece uccidere alcune delle sue mogli e tante altre figure appartenenti alla nobiltà potrebbero essere definiti serial killer secondo i criteri classificatori attuali.


    ¹ Parte di questo paragrafo è tratta quasi integralmente da De Luca, Anatomia del serial killer 2000, cit., pp. 1-19.

    1.2.1. La preistoria dell’omicidio seriale: la verità si mescola alla leggenda

    In una prospettiva moderna, Nerone sarebbe rientrato nella categoria del Mass Serial Killer (assassino seriale/di massa): usò il veleno per uccidere il fratellastro Britannico, poi, dopo un tentativo fallito, riuscì a far uccidere la madre, Agrippina, e, in seguito, fece uccidere anche la zia paterna per impossessarsi dei suoi beni; dopo aver commesso altri omicidi, raggiunse il culmine delle sue atrocità quando diede l’ordine di bruciare Roma, facendo morire tante persone innocenti; non contento, accusò i cristiani di essere gli incendiari e ne fece massacrare quanti più possibile¹.

    Anche l’imperatore Caligola, con i criteri e la terminologia odierna, verrebbe definito serial killer. Amava assistere agli spettacoli violenti e provava un gusto sadico nell’assistere alle torture e alle esecuzioni capitali: tra le sue abitudini preferite, c’era quella di vagabondare per le strade di Roma con una parrucca per non farsi riconoscere, in modo tale da poter frequentare indisturbato i locali equivoci della città. Una volta morto l’imperatore Tiberio (anche lui un serial killer, che risiedeva a Capri e aveva l’abitudine di gettare in mare da una rupe i giovanetti dopo aver soddisfatto le sue voglie omosessuali e pedofile), Caligola assunse il potere e si rese responsabile di una serie di uccisioni totalmente indiscriminate e gratuite: un giorno, innervosito dalla confusione delle persone che si ammassavano all’ingresso di un circo, ordinò alle sue guardie di bastonarle, facendone uccidere cinquanta. Il suo motto preferito, che non sfigura accanto alle frasi celebri di molti assassini seriali moderni, era «Colpisci in maniera che quello si accorga di crepare»².

    Secondo Michael Newton (2000), lo studioso che, più di ogni altro, si è occupato dell’analisi internazionale del fenomeno, il primo caso documentabile di omicidio seriale sarebbe da considerare quello di Locusta (che, in alcuni resoconti storici dell’epoca, viene anche chiamata Lucusta), un’avvelenatrice professionista attiva a Roma durante il i secolo d.C.³. Sembra che Locusta fosse di origine gallica e avesse un negozio sul monte Palatino in cui vendeva veleni ed elisir di ogni tipo. La donna era molto popolare in città, perché conosceva tutta la farmacopea tossica dell’epoca e sapeva dove e come procurarsi le sostanze più velenose e più adatte ai contratti che le venivano commissionati, e le miscelava alla perfezione⁴.

    Nell’anno 54, i servizi di Locusta sono richiesti da Agrippina la Giovane, madre di Nerone, per preparare il piatto di funghi avvelenati che uccide il marito, l’imperatore Claudio. L’anno successivo, Locusta viene arrestata per aver commesso un altro omicidio e condannata a morte, ma Nerone, che nel frattempo era diventato imperatore, le salva la vita per utilizzare il suo talento letale. La donna commette diversi avvelenamenti ubbidendo agli ordini di Nerone, ma i resoconti dell’epoca riportano anche cinque ulteriori omicidi (senza, però, indicare i nomi delle vittime) compiuti da Locusta per semplice soddisfazione personale, anche se è possibile che il numero complessivo delle vittime sia di molto superiore. Quando Nerone si suicida, nell’anno 68, Locusta rimane senza protezione e, nel gennaio dell’anno 69, l’imperatore Galba la condanna a morte: secondo le cronache, fa stuprare la donna da una giraffa addestrata in maniera speciale e poi il suo corpo

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