Serial Killer, omicidi seriali: rilievi investigativi e quadri psichiatrico-forensi
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Anteprima del libro
Serial Killer, omicidi seriali - Antonio Greco
Conclusioni
Premessa: Gli omicidi seriali. Le origini del Mito.[1]
Quando si legge di omicidi seriali, che sia in una relazione o in qualsiasi altro elaborato, troveremo assai spesso un inizio del tipo: l’omicidio seriale è un atto efferato, cruento ed inquietante
.
Si gioca con i termini per catturare l’attenzione del lettore. Invero, proprio da ciò si comprende come il "Serial Killer", oggi più che mai, non rappresenta soltanto un fatto di cronaca ma è diventato un fenomeno culturale che ha incuriosito l’opinione pubblica, ispirato scrittori e registi che, elaborandone le vicende storiche, ne hanno fatto il centro delle loro storie.
Con abilità il Mostro che incute timore e sofferenza diventa Mito.
In realtà siamo di fronte ad un fenomeno criminale di elevato allarme sociale; si tratta pur sempre di un reato e come tale va studiato ed analizzato, scevri da demagogiche costruzioni filodrammatiche. Si deve fare, quindi, un passo indietro. Ritornare al fatto di cronaca consapevoli che, il più delle volte, vittime incolpevoli dell’ossessione omicida sono persone indifese come, sempre più spesso, bambini. Il Mito ritorna ad essere il Mostro ogni volta che si fanno i conti con la realtà.
Un fenomeno senz’altro affascinante se si considera di per sé il comportamento deviante che porta all’atto criminale e, soprattutto, ai motivi che lo hanno determinato.
L’omicida seriale è una figura enigmatica che nasconde in se un mondo pieno di contraddizioni.
Difficoltà di relazionarsi, la conseguente frustrazione e fattori patologici più o meno gravi inducono nell’individuo una risposta aggressiva. Elemento aggressivo associato a paranoia, narcisismo, sete di potere, coazione a ripetere. Si prospetta, in definitiva, un quadro di difficile valutazione. Si tratta di una categoria alla quale è assai difficile assegnare una fisionomia precisa.
Per questo sulla figura dell’omicida seriale molti autori hanno cercato di fornire una definizione capace di comprendere le diverse sfumature del comportamento deviante caratterizzato dall’uccisione di più uomini.
In merito alcuni autori ritengono necessario, perché possa parlarsi di serial killer, l’uccisione di almeno due vittime altri ancora ritengono che il numero debba essere necessariamente superiore (Dietz, richiede un minimo di 5 vittime).[2]
Nel tentativo di definizione l’FBI sostiene che, per il configurarsi della fattispecie dell’omicida seriale, siano sufficienti tre o più omicidi distribuiti in un arco relativamente lungo di tempo intervallati da periodi di raffreddamento
durante i quali il serial killer conduce una vita sostanzialmente normale. A ben vedere questa tesi perde spessore allorquando la stessa FBI non è capace di dirci la lunghezza del periodo di cooling off
tra un omicidio e l'altro, affinché si possa parlare di assassino seriale piuttosto che di omicidio compulsivo, multiplo o di massa.[3] Una distinzione che, come nel caso dell’omicidio multiplo si rapporta, più che altro, alla dicotomia tra la species serial killer (omicida seriale) rispetto al genus.[4]
Sotto altro aspetto è stato evidenziato che l'assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni omicidiarie separate tra loro oppure esercita un qualche tipo di influenza psicologica affinché altre persone commettano azioni omicidiarie al suo posto. [5]
Tale definizione necessità che l’autore mostri una chiara volontà di uccidere e che elemento centrale sia la ripetitività dell'azione omicidiaria
. In tal senso, il cooling off
può andare da qualche ora a interi anni e le vittime coinvolte in ogni singolo episodio possono essere anche più di una.
In realtà vi sono diverse tesi sull'eziologia dell'omicidio seriale e diverse sono le discipline interessate. Infatti, complessi sono i fattori che determinano questo tipo di devianza. Vi è un intreccio di fattori biologici (la cosiddetta sindrome del serial killer) di fattori socio ambientali (con riferimento al contesto in cui l’omicida è cresciuto) e fattori propri del carattere e della personalità. E’ assai difficile, quindi, cercare una spiegazione che sia solo di natura psichiatrica più che sociologica o piuttosto biologica.
Senz’altro l’interesse per l’omicida seriale nasce come definizione negli Stati Uniti d’America se non altro per la terminologia comune con cui l’autore viene identificato: serial killer. Proprio la fantasia popolare colloca il Mito (che sostituisce il Mostro) nel nuovo continente. Si finisce così con il crederci. In realtà il termine fu impiegato per la prima volta per descrivere una catena di insoluti omicidi a sfondo sessuale commessi in Germania tra gli anni venti e trenta e coniato dal Procuratore Generale di Amburgo, il Dr. Bucker: "Mordserien? letteralmente
Omicidi in Serie?"[6]
Siamo ben lontani da quegli anni settanta-ottanta in cui Ted Bundy, autore degli omicidi di numerose giovani donne negli Stati Uniti tra il 1974 ed il 1978 e David Berkowitz, meglio conosciuto con i soprannomi Son of Sam o The 44 Caliber Killer che confessò l'uccisone di 6 persone e il ferimento di molte altre a New York nei tardi anni '70, fecero conoscere al mondo intero l’omicida etichettato come serial killer. L’agente speciale dell’F.B.I., Robert Ressler, che contribuì ad intervistare e a studiare questi ed altri 34 autori di omicidi seriali, conquistò, quindi, la sua notorietà.
Del resto il termine serial killer è assai più agevole da ricordare e utilizzare piuttosto che quello coniato in Germania. Naturalmente tutto ciò è superfluo. Si tratta solo di terminologie, come alquanto superfluo è il cercare di capire a quando risale il fenomeno.
Si potrebbe dire che già nel secolo XV Gille de Rais, uno degli uomini più facoltosi di Francia, abbia rapito, violentato e ucciso un centinaio di giovani ragazzi. Ed ancora all'inizio del XVI secolo la contessa ungherese Elisabeth Bathory uccise circa seicentocinquanta giovani donne allo scopo di fare il bagno nel loro sangue. Nell'Ottocento, a Londra, vi fu Jack lo Squartatore
e nel 1870 nel Pavese vi fu l'italiano Vincenzo Verzeni.
Tutto questo è solo un tentativo di storicizzare un atto criminale considerato relativamente nuovo che serve poco alla comprensione dello stesso.
Ciò che interessa è piuttosto lo studio del fenomeno in quanto tale, il resto non è altro che mitizzazione.
CAPITOLO 1
Omicidi seriali: Analisi del fenomeno
CAPITOLO 1
Omicidi seriali: Analisi del fenomeno
1. Gli omicidi seriali. Il perché dell’atto omicida; 1.1. (segue) Un approccio Biologico; 1.2. (segue) La personalità sociopatica; 1.3 (segue) L’approccio psicologico; 2. Tentativi di classificazione, 2.1 (segue) Un tentativo di organizzare concettualmente le categorie; 3. La donna serial killer.
1. Gli omicidi seriali. Il perché dell’atto omicida.
Ogni volta che si studia un atto criminale in quanto tale non è mai sufficiente analizzare semplicemente l’accaduto al fine di individuare il colpevole ed assicurarne la punizione ma, in ogni caso, è fondamentale capire perché l’autore ha agito in quel modo. In altri termini cosa ha determinato la devianza.
Ciò è tanto più importante quando i reati commessi sono caratterizzati da comportamenti assai violenti e spietati come nel caso dell’omicidio di più persone. Cercare di capire cosa determina la necessità di ripetere quell’atto criminale. In altri termini, cosa determina l’appagamento nel compierlo tanto da rendere l’agente dipendente
da quell’atto. Vi è da fare subito una premessa assai spesso trascurata. Tali assunti sono veri soltanto escludendo dall’analisi il cosiddetto killer per professione, anch’esso ben inteso, un omicida seriale. Ciò che spinge questi soggetti all’atto criminale ripetuto dell’omicidio è soltanto una motivazione economica o comunque di profitto personale. Ad appagare l’agente non è mai la vittima intesa come oggetto del desiderio ma il guadagno economico che deriva dall’atto criminale in quanto tale. In questo caso l’omicidio seriale deve essere considerato alla stregua degli altri atti criminali: analizzare, quindi, i motivi sociologici del comportamento e già mai psicologici o biologici. Ciò naturalmente se ad esso non si accompagna una patologia in tal senso ma questo resta ben inteso. Questa osservazione trova supporto nella precisazione di Steven Egger che aggiunge alla definizione di serial killer che il movente non è materiale o monetario ma si crede che sia la soddisfazione dei desideri dell'assassino di avere il controllo totale sulle sue vittime
.[7]
Ciò detto il comportamento carico di una distruttività