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Marea
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E-book178 pagine2 ore

Marea

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Info su questo ebook

Cosa accadrebbe se ci lasciassimo condurre dalla marea invece di farci travolgere quando non ne possiamo più?
Myrta crede di poter controllare tutto e pretende di andare contro il flusso naturale delle cose perché nella sua testa ha un copione stabilito da seguire. Lei e Jacopo sono una coppia come tante, che ha progettato un futuro insieme, ma nel farlo non ha tenuto conto degli imprevisti. E' per questa ragione che quando sopraggiunge "l'alta marea", i due ne restano travolti. Messa alle strette da Jacopo, da sempre insofferente alla vita ordinaria a cui sembra essersi condannato, Myrta si ritroverà a dover scegliere tra l'accettazione di una vita diversa da come l'aveva immaginata e la consapevolezza di poterla trasformare in un'opportunità. Ripercorrendo le vicissitudini degli ultimi anni, marito e moglie finiranno per prendere una decisione estrema, perché non ci si può sottrarre alla "marea" quando questa irrompe nella nostra vita. Spesso siamo proprio noi ad ostacolare il nostro cammino, ponendo un freno alle infinite possibilità che la vita ci offre, e finiamo per vivere chiusi in una gabbia dorata pur di non rischiare di affogare. Poi arriva un momento in cui ognuno è costretto a fare i conti con la propria esistenza. A quel punto sapere di aver colto tutte le opportunità che si sono presentate diviene la sola maniera per non avere rimpianti.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ago 2016
ISBN9788822828668
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    Anteprima del libro

    Marea - Marzia Cortese

    MARZIA CORTESE

    MAREA

    Immagine in copertina: " Il V eliero Fantastico" dipinto 60x60 di Battista Mombrini.

    UUID: 9d3e250c-76d9-11e7-bc2c-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Tra vent'anni

    sarete più delusi

    per le cose che non avete fatto

    che per quelle che avete fatto.

    Quindi mollate le cime.

    Allontanatevi dal porto sicuro.

    Prendete con le vostre vele i venti.

    Esplorate … Sognate … Scoprite …

    (Mark Twain)

    A Giovanni Marco,

    a cui ho affidato il timone della mia vita.

    A chiunque sia capitato di visitare uno zoo, non può essere sfuggito lo sguardo malinconico dell’orango tango. Chiuso in una delle tante gabbie, se ne sta disteso come un sacco di patate e ti fissa con quegli occhi tristi e l’aria affranta, procurandoti atroci sensi di colpa perché sai benissimo che il suo habitat non è quello e che lui vorrebbe tanto essere da tutt’altra parte. Il suo sguardo, intelligente e intenso, è così simile a quello di un uomo che ti mette quasi a disagio. E’ lo sguardo arreso di chi ha capito che da quella gabbia non uscirà mai più e non gli resta altro che contare i giorni che lo separano dalla sua fine.

    Devono sentirsi così anche i carcerati, uomini che per qualche ragione hanno smesso di essere tali nel momento in cui sono stati rinchiusi in delle autentiche gabbie, finendo così per assomigliare piuttosto a delle bestie. Ce ne sono alcuni che davanti a sé non hanno che un muro - alto e spesso - e devono usare tutta la loro immaginazione per riuscire a vedere cosa c’è dietro. Ce ne sono altri, invece, che hanno avuto l’incredibile fortuna di essere rinchiusi in un carcere vista mare e possono perciò intravedere - dietro sbarre abominevoli - un orizzonte infinito e pieno di opportunità.

    Nel primo caso c’è la resa ad un destino iniquo; nel secondo c’è la speranza di essere un giorno finalmente liberi. Quegli uomini, contrariamente allo sfortunato orango, hanno il vantaggio di poter sognare. Probabilmente, spingendo il loro sguardo oltre quelle sbarre, sogneranno di assaporare l’aria fresca del mattino, sentire l’odore del mare sospinto dalla brezza marina, immergersi in quelle acque pure e cristalline per ripulirsi di tutte le lordure possibili per riemergere come esseri nuovi e pieni di voglia di vivere. Quando al tramonto guarderanno il sole che si specchia nel mare, i loro occhi resteranno incantati di fronte al luccichio delle onde che avanzeranno festose e spavalde verso di loro. Sarà forse quello un invito a volerle seguire nell’immensità del mare; sarà il richiamo della vita che li attende fuori da quella prigione. E’ certo che soltanto un uomo libero può essere un uomo migliore. D’altra parte, tutti hanno diritto ad una seconda opportunità.

    Ma chi ha detto che non ci si possa sentire in gabbia pur non essendo imprigionati?

    A volte siamo noi stessi a costruirci una prigione ideale dentro la quale ci sentiamo protetti fino a quando le sbarre non cominciano a materializzarsi e solo allora ci accorgiamo che stiamo rinunciando alla nostra libertà.

    Non esiste un luogo preciso per definirsi in gabbia. E’ una questione mentale.

    Ci si può sentire imprigionati ovunque, soli o in mezzo agli altri, nell’ufficio dove si lavora o tra le mura domestiche; o semplicemente quando ci si ritrova incastrati in una vita che non abbiamo scelto e da cui non riusciamo ad uscire. Non perché non lo vogliamo, ma perché non ne abbiamo la forza.

    Quante persone sono veramente soddisfatte della vita che conducono? Quanti di noi non hanno sognato almeno una volta di dare una svolta a quel tran-tran quotidiano per tuffarsi in qualcosa di diverso e del tutto nuovo?

    A volte le cose basta farle accadere …

    Chi s’intende di navigazione a vela, sa che conoscere la direzione del vento è fondamentale per potersi spostare in mare. Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è il vento a portarci bensì noi che siamo al timone. Siamo noi infatti che alla fine direzioniamo la barca in base alla rotta che intendiamo tenere, sfruttando la spinta propulsiva dei venti. Basta una piccola spinta e possiamo arrivare ovunque, se lo vogliamo.

    L’idea del cambiamento è tanto affascinane quanto devastante. Può creare disorientamento e perciò è tanto difficile. Decidere di cambiare la propria vita è qualcosa che ci sorprende all’improvviso. E' come la marea che cresce rapidamente e ti travolge; per poi ritirarsi un attimo dopo e lasciarti in secca. L’onda inizia a curvarsi su se stessa, prende forma man mano che si alza - sempre più alta, sempre più vicina - fino a quando non giunge a noi gonfia come un ventre materno che accoglie e rigenera. Ci prende per mano e ci trascina dove non credevamo di spingerci. E poi ci lascia prosciugati e stanchi - senza più barriere di protezione - ma finalmente liberi dalle nostre paure.

    Pulsa la marea, come un cuore che batte forte, come il ritmo ansimante di un respiro, come una musica fatta di energia che ti accende l’anima e ti fa sentire vivo.

    CAPITOLO I

    Una seconda chance

    - Hai pensato a quello che ti ho detto?

    - Sì, ci ho pensato.

    - Quindi?

    - Non ho ancora deciso. Ho bisogno di tempo.

    - Tempo per cosa?

    - Per capire se è giusto farlo.

    - Myrta, non devi prendere una decisione sulla base di ciò che può essere giusto o sbagliato. Devi soltanto sapere se vuoi farlo oppure no.

    - Jacopo, io vorrei farlo, ma …

    - Se ci sono dei ma, vuol dire che non sei ancora pronta per fare il salto.

    - Ma quale salto, Jacopo? Tu mi proponi un tuffo nel buio!

    - No, Myrta, sarebbe piuttosto un salto dall’altra parte del fossato proprio per evitare di caderci dentro.

    - Ecco, io sono ai bordi di quel fossato adesso e ne sto valutando la profondità.

    - A cosa ti serve farlo? Sai benissimo che domani quella buca sarà ancora più profonda di oggi e con il passare dei giorni lo sarà sempre di più fino a quando ti sentirai mancare la terra sotto i piedi e allora sarà troppo tardi per saltare!

    Jacopo, per la verità, non aveva la minima idea di ciò che avrebbe trovato dall’altra parte del fossato, come lui stesso amava definirlo. L’unica sua certezza era che valesse la pena scoprirlo.

    Myrta doveva prendere una decisione: se stare al di qua o al di là del fosso. Saltare avrebbe significato lasciare tutto: casa, lavoro, città, amici e tutto ciò che era riuscita a costruire in quegli anni. Eppure la proposta di suo marito era allettante. Rompere gli argini e andare via insieme, affrontandone tutte le conseguenze, per dare una scossa alla loro vita ormai divenuta immobile.

    Era ora di darla quella scossa. Gli anni erano trascorsi così in fretta che né lei né Jacopo avevano avuto modo di accorgersene. E il tempo era scivolato via con lo stesso silenzio delle bolle di sapone quando si alzano in volo.

    Myrta adorava le bolle di sapone. Quando era bambina, faceva a gara con le sue compagne per creare la bolla più resistente, quella indistruttibile o comunque l’ultima a svanire. Era tutto così semplice, allora. Bastava immergere un bastoncino nel sapone magico, soffiare leggermente nel cerchietto di plastica colorato, e mille bolle colorate si disperdevano nel cielo come corpi abbandonati che fluttuano nell’aria dopo essere stati liberati da un alito di vita. Era stupefacente osservare in trasparenza tutte quelle sfere dai colori cangianti mentre si sparpagliavano dappertutto senza una meta precisa. Erano così fragili che sarebbe bastato un niente per dissolverle, per esempio allungando semplicemente un dito. Sfiorarle.

    Myrta aveva l’impressione che ogni istante da lei trascorso non fosse altro che una grossa bolla di sapone destinata prima o poi a rompersi. Le pareva quasi di guidarla con lo sguardo, quella piccola sfera, mentre si sollevava leggera, facendo attenzione a non perderla mai di vista in mezzo alle altre mille. Sperava che non dovesse mai terminare il suo volo finché non la vedeva improvvisamente scoppiare senza un perché. Per qualche strana legge della fisica non c’era verso di farla restare su. Il suo viaggio s’interrompeva così, di punto in bianco, senza concederle la minima possibilità di afferrarla.

    Era questione di attimi, quelli che lei non sapeva cogliere dato che la sua razionalità glielo impediva categoricamente. Myrta aveva infatti una regola basilare: la riflessione innanzitutto; e non era capace di rinunciare a quelle che erano le sue certezze. Tutto il contrario di suo marito Jacopo, il quale non faceva che ripeterle:

    - La barca che resta in porto non va incontro alla tempesta, però non va da nessuna parte!

    Era tarda sera quando Myrta rientrò a casa dal lavoro, stanca morta come al solito. Quella era stata, tra l’altro, una giornata particolarmente difficile. Il suo capo stava diventando sempre più pretenzioso e lei, per quanto si sforzasse, non riusciva ad essere ineccepibile come lui avrebbe voluto, o piuttosto come lei avrebbe voluto.

    Il desiderio di essere impeccabile: quello era certamente un altro dei suoi crucci.

    Era stata sempre così, Myrta. Fin da bambina esigeva da se stessa e dagli altri la perfezione e puntualmente rimaneva delusa. Niente sembrava mai essere all’altezza delle sue aspettative. Voleva un mondo perfetto dove non ci fosse spazio per la sofferenza, le ingiustizie, il male.

    Si era costruita un mondo ideale nel quale vivere per difendersi dai graffi della vita, ma crescendo si era poi dovuta scontrare con qualcosa di diverso, una realtà che tutto era fuorché giusta e perfetta. Accettare una simile verità fu per lei la sfida più difficile della sua vita.

    Il problema era che, mentre per gli altri la perfezione era un concetto astratto a cui tendere, per Myrta era qualcosa di concreto da raggiungere costantemente ed in qualsiasi situazione. Il suo sforzo era pertanto eccessivo sul lavoro così come lo era stato ai tempi della scuola, quando ogni punteggio al di sotto di quello massimo finiva per viverlo come una clamorosa sconfitta. Anche il giorno della laurea si era rivelato un autentico dramma a causa di quella lode che non le era stata concessa nonostante la splendida tesi che aveva portato al vaglio della commissione di esaminatori. Fu la sua prima delusione, che non servì tuttavia a farle comprendere che in alcune occasioni non basta l’impegno, ma molto dipende anche dalla sorte.

    In ogni caso, se c’era una cosa che proprio non riusciva ad accettare, era il fatto di non poter rimediare a certe situazioni, l’impossibilità di tornare sui propri passi, il non avere una seconda chance.

    Adesso però era nelle condizioni di poter scegliere. Jacopo, suo marito, le stava offrendo l’opportunità di cambiare aria e voltare finalmente pagina!

    C’era un’isola situata nell’Oceano Indiano, al largo della costa orientale dell’Africa, che era sempre apparsa ad entrambi un sogno. Erano anni ormai che vi trascorrevano le loro vacanze estive. L’avevano visitata in lungo e in largo e la trovavano semplicemente meravigliosa. Quella terra incontaminata, con la sua eccezionale biodiversità e gli incredibili baobab con rami che sembravano radici rovesciate verso il cielo, aveva finito per essere da loro percepita coma la terra promessa.

    Jacopo era nato al nord Italia e ci viveva da sempre. La pianura padana era casa sua, così come la catena alpina che la circondava. La montagna, il suo primo amore, gli era apparsa nel corso degli anni ogni volta diversa nonostante la sua apparente staticità. Ancora giovanissimo, aveva subito il fascino della sua imprevedibilità che porta sempre con sé una nuova scoperta. La montagna aveva riempito le sue giornate quando si concedeva escursioni, solitarie e rigeneranti, anche in alta quota; oppure seguendo antiche mulattiere per inoltrarsi nei sentieri delle Orobie dove gli era stato possibile ammirare scenari di rara bellezza. Le immense valli bergamasche, avvolte dalla nebbia mattutina, erano lo scenario che lo aveva accompagnato fin da bambino e tutte le volte che gli capitava di percorrerle, veniva trascinato nell’epoca della sua infanzia.

    Eppure, nonostante avesse a cuore le Alpi e le valli, per lui il mare era tutto.

    Era ancora un ragazzino quando un giorno, mentre era in vacanza con i suoi genitori sull’isola d’Elba, gli capitò di avvistare una barca a vela dalla scogliera. La vide attraversare l’orizzonte e gli parve che lo tagliasse in due. Quella linea di demarcazione netta tra cielo e terra lo indusse a chiedersi se fosse davvero possibile trovare un punto preciso dove qualcosa finisce e l’altra comincia. Fu nel tentativo di rispondere a quella domanda che la sua mente si perse in astruse congetture circa l’esistenza di due mondi diversi che s’incontrano in uno spazio imprecisato, che non appartiene né al cielo né alla terra: una specie di non luogo dove solo l’immaginazione avrebbe potuto approdare. Venne quindi catturato dall’idea un po’ bizzarra che un veliero fantastico potesse viaggiare su quella linea di confine tra il reale e il surreale e che il solo a poterlo condurre fosse lui. Ma poi, crescendo, si convinse che non esistevano altri mondi

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