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Il fantasma del cambusiere
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E-book191 pagine2 ore

Il fantasma del cambusiere

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Thriller - romanzo (127 pagine) - Chi avrebbe mai detto che la parte migliore della mia esistenza l'avrei vissuta da morto?


Il fantasma del cambusiere narra le vicissitudini di un  fantasma scozzese scorbutico e misogino – Julian Moore – morto assassinato in casa, che vede all’improvviso il proprio cottage abbandonato preso in affitto da una bella donna inglese e dal fratello di dieci anni.

Lui, che in vita era un accreditato cambusiere sulle baleniere e con un carattere tutt'altro che socievole, dovrà fare i conti con inquilini rumorosi che, per colmo di sventura, sono persino incapaci di cucinare.

Il fantasma farà di tutto per mandarli via, però Lady Margareth è testarda e non vuole saperne di andarsene, soprattutto perché è in fuga. Qualcuno minaccia di ucciderla.  Non solo: qualcosa tuttavia lega il fantasma alla donna visto che lei è l'unica che può sentirlo senza che lui lo voglia. Di sicuro c'è un segreto nella vita di Lady Margareth e un mistero attorno alla morte violenta di Julian Moore. Entrambi dovranno imparare a far conto uno sull'altra per riuscire a convivere e, soprattutto, a far luce sui troppi enigmi che li circondano.


Fiammetta Rossi nasce a Roma nel 1972. Dopo aver trascorso l'infanzia in Sud Africa torna in Italia e si laurea in Economia e Commercio.

Attualmente vive a Vigevano, cura una rubrica radiofonica dedicata ai libri per DeejayFoxRadio e collabora con il MassaCarraraNews. Ha pubblicato diversi racconti d'appendice con il Giallo Mondadori, una raccolta di favole dal titolo Ancora nonna! (Kimerik 2014), e i romanzi per ragazzi: La strana bottega del signor Balaji (Leucotea 2018), Breinen e il segreto della Fonte (Il seme bianco, 2019) e 200 ORE (Delos Digital, 2022).

LinguaItaliano
Data di uscita29 nov 2022
ISBN9788825422474
Il fantasma del cambusiere

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    Anteprima del libro

    Il fantasma del cambusiere - Fiammetta Rossi

    Immagine

    Capitolo 1

    Non c'è più tempo da perdere, devo fermarli! Vento, fulmini, tempesta, a me! Fuggite via marmaglia! Vi travolga la bufera come una gigantesca onda marina, non abbia pace il Monsignore che trattiene sulla testa l'assurdo tricorno, o il giudice che insegue il mantello. E voi, parenti manigoldi, che la mia furia vi precipiti nell'abisso più nero e il vortice vi consumi assieme ai vostri oscuri propositi.

    – Che vento demoniaco è questo?

    – Il fantasma! Il fantasma del vecchio Moore non ci vuole in casa sua!

    Li sento belare come pecore impaurite e intanto penso a lei, che ha perso tutto eppure non si è data per vinta nemmeno di fronte al più pericoloso dei delinquenti.

    – Eccoli che arrivano! – Il piccolo Jonathan sta di vedetta e allerta la ciurma.

    Gli fa eco Mary – Siamo perduti. Oh Milady, non riusciremo mai a fermarli.

    Nemmeno io riesco a immaginare un finale felice a tutta questa assurda storia; del resto, chi avrebbe mai detto che la parte migliore della mia esistenza l'avrei vissuta da morto?

    * * *

    Cominciamo dal principio, ovvero dal giorno del mio funerale. Non c'è cosa peggiore che assistere alle proprie esequie. Avevo la sensazione che mi stessero strappando la pelle di dosso. Prima ancora s'erano dati un gran daffare i cerusici, strana razza di macellai. M'avevano aperto da parte a parte, rovistando nelle viscere e togliendo ogni cosa per poi analizzarla alla luce delle lanterne, nemmeno fosse un vinello francese e intanto scribacchiavano indaffarati in quei loro caratteri cinesi, Dio sa cosa.

    Terminarono facendo un bel lavoro di cucito con tanto di ritocco finale; vale a dire che mi spennellarono sul corpo una specie di unguento per rendermi presentabile a quei quattro gatti presenti alla funzione.

    Onestamente non ero malaccio, anzi a ben vedere facevo ancora la mia figura: i capelli erano tutti al loro posto e nerissimi; i capelli sono molto per un uomo e anche i denti. Il becchino aveva fatto la bara più lunga di un paio di pollici perché sono alto. Ero alto. E con un gran bel fisico: atletico e scattante; anche per forza, sulle baleniere mica puoi saltare in coperta se hai l'agilità di una foca. Come minimo rischi di finire in acqua o arpionato per sbaglio.

    Quelli delle pompe funebri poi, mi rivestirono meglio di un damerino, corpo di bacco! Spruzzarono persino del profumo, ma lo fecero per coprire l'odore di pesce che, se lavori su una baleniera, ti porti dietro fino alla tomba. Per l'appunto.

    Non ero mai stato così elegante nemmeno all'appuntamento con Nessie. Se m'avessero portato da lei in quel momento, capace che m'avrebbe fatto gli occhi dolci senza accorgersi di nulla e come niente sarebbe di sicuro uscita con me anche così. Quella usciva con tutti.

    Brutta storia quando mi calarono nella nuda terra. Non fece male, ecco se c'è una cosa buona è che non avvertivo dolore, né nulla. Solo tristezza. Vorrei vedere! Morire a trent'anni… puah, che cosa ridicola, che spreco.

    Il vecchio reverendo, che per inciso pareva una salma ben più di me, prese a recitare qualcosa dalbreviario, ma nemmeno la ricordo più quella nenia.

    Per tutto il tempo dell'omelia, me ne stetti sotto la quercia a guardare i miei compagni dell'ultimo imbarco: una dozzina di omaccioni della baleniera Dukas dall'aria rozza persino nei vestiti buoni, tutti scappellati e nessuno che piangeva. Per fortuna. Gli unici elegantoni erano il signor Hobbs primo ufficiale di bordo e i secondi, più a disagio e ancora storditi per l'accaduto, che commossi.

    Non mi aspettavo certo una folla, eh. Del resto avevo passato in solitudine buona parte della vita e tenendomi alla larga dagli altri. Fratelli e sorelle? No, ero pure orfano e appena ne ebbi l'occasione, mollai quello schifoso lavoro alla conceria dove la puzza di pelle ti entrava nelle ossa, per imbarcarmi sulla prima goletta in partenza da Glenn Port.

    Da allora ho passato quindici anni in mare.

    Dio, quanto mi manca! Il vento tra i capelli, l'odore dell'oceano, il beccheggio della nave e quel suo modo elegante che aveva di inchinarsi alle onde, come un penitente di fronte all'altare. Anche la caccia era eccitante, ma non era solo questo. Né l'avere per compagni gente da ogni parte del mondo, ognuno con un proprio trascorso (non esattamente luminoso) cui nessuno badava perché non aveva importanza da dove venivi, se eri stato schiavo o se avevi un colore diverso, e nemmeno il numero di cicatrici o tatuaggi che il tuo dio richiedeva.

    Il mare ha questa grandiosità: annulla tutte le differenze. Avremmo mangiato e bevuto insieme, dormito e puzzato allo stesso modo, ci saremmo guardati le spalle e difesi a vicenda condividendo la stessa sorte.

    E su una nave in mezzo all'Atlantico con le coste scozzesi lontane leghe e leghe e le balene davanti, chiunque vorrebbe avere uno di noi accanto, non certo quegli effeminati damerini che portano parrucche con i boccoli e calzano scarpette di stoffa esibendo modi affettati da invertiti. Il padrone della Dukas era uno di loro. Non lo sapevamo e quando salì a bordo rimanemmo tutti di stucco. Jebediah il negro gli scoppiò a ridere in faccia senza tante cerimonie, non aveva mai visto una bambola simile. Pensava fosse una specie di donnina.

    Si beccò dieci frustate per insubordinazione. Il capitano dapprincipio s'era opposto, ma quel damerino aveva fatto il diavolo a quattro davanti agli ufficiali e a tutti noi, per una questione di rispetto, diceva. E non lasciò altra scelta.

    Il povero Jebediah, però, poteva contare sulle cure del miglior cerusico della marina: il dottor Sebastian Hill, che non perse tempo e subito dopo gli applicò sulla schiena un unguento per calmare il dolore. Il capitano ruminava brutto mentre il dottore non faceva che raccomandargli di starsene buono pure lui. Non era il caso di mettersi contro quello là.

    E invece quella sera litigarono. Me lo ricordo bene perché ero presente.

    Ma non è solo la complicità con la ciurma a mancarmi o questi ricordi strappati dal ventre della mia solitaria morte.

    No. A togliermi il sonno è il desiderio ardente di provare ancora una volta quel brivido: la sensazione che provavo all'estremità della prua quando osservavo l'immensità del mare stendersi fino alla fine del mondo, quando potevo sentire il suo pulsare incessante sotto le fredde onde dell'oceano e farne persino parte. Mi bastava chiudere gli occhi e allargare le braccia per volare come un gabbiano.

    Mi manca quel senso di libertà assoluta che avevo di andare per il mondo, quando il mondo era mio.

    Ricordo che dal mio ultimo rientro erano passati appena pochi mesi e già scalpitavo per riprendere il largo. Fu il vecchio Turnball, giù alla capitaneria, a procurarmi l'ingaggio sulla Dukas e a presentarmi il capitano Roger.

    Lo conobbi per poco tempo, il capitano Roger, ma il suo ricordo è uno dei pochi indelebili. Ancora me lo vedo: appoggiato alla paratia del cassero proprio sotto l'albero di poppa intento a scrutare il mare con l'occhio profondo di chi ha visto tutto quello che vale la pena di conoscere. Il capitano Roger era uno di quegli uomini integerrimi e tutti d'un pezzo cui si obbedisce istantaneamente e senza che nessuno te lo ordini. A volte i grandi uomini non hanno bisogno di presentarsi, li senti e basta.

    Aveva anche lui preso da poco il comando e apportato una serie di migliorie alla sua Dukas che, infatti, venne rimessa a nuovo e dotata di una meravigliosa e altissima alberatura così da sfruttare qualsiasi vento con vele, rande e controrande nuove di zecca. Inoltre aveva raddoppiato il fasciame per renderla più resistente e voluto un nuovo e largo sperone sulla prora per aggredire meglio i ghiacci polari.

    Aveva le idee chiare il capitano Roger e fegato da vendere.

    Pace a lui, povero diavolo.

    Dal giorno della mia morte sono passati dieci lunghi, monotoni e grigi anni. Dieci anni senza che nessun angelo custode o che so io, m'avesse detto cosa diavolo ci stavo a fare ancora qui. Certo, non sono mai stato un cristiano purosangue: qualche bestemmia m'era scappata di tanto in tanto e avevo collezionato anche un buon numero di risse in giro per il mondo. Ma dieci anni senza sapere che fare è una cattiveria. Dico io.

    A ogni modo non sono tipo da lamenti e piagnistei. Io e il buon Dio abbiamo sempre avuto un rapporto speciale e se vuole dirmi qualcosa, ebbene sa benissimo dove trovarmi.

    Di quando in quando mi andavo a trovare al campo santo; osservavo la mia lapide sbilenca pensando che prima o poi l'avrebbero tolta. Il nome non si leggeva quasi più e nessuno era mai venuto a portare un fiore o una candela. Anche il mio corpo a quest'ora era un tutt'uno con la terra: non resta mai nulla di ciò che eravamo. Solo il ricordo. Ma avendo coltivato pochi affetti, nessuno si ricordava più di me.

    Di certo non Pinky la bella figlia del birraio che spillava le bionde con tanta generosità secondo la mancia che le lasciavi… e nemmeno Nessie o il vecchio prete che a quest'ora sarà morto di sicuro. È rimasta solo questa lapide, un nome e due date:

    Julian Moore 1833-1864

    RIP

    Quando la toglieranno sarà come morire di nuovo. Ogni tanto vedo altri come me, non sono certo il solo fantasma di Glenn Port, per Diana! Ci salutiamo con un cenno della testa e via, ognuno per la sua strada. Del resto se non mi sono fidato dei vivi, perché dovrei fidarmi dei morti?

    Capitolo 2

    Quello che più detesto è il fischio del mostro. Un serpente di ferro rumoroso e nero. Un treno. Da Glasgow, niente meno! Ma che ci viene a fare la gente fino qui? È solo un piccolo porto ventoso.

    Così, per sfuggire alla monotonia delle mie giornate andavo al vecchio faro, costruito su uno sperone di roccia a un paio di miglia dalla costa. E là, potevo provare l'illusione di volare giocando con la cresta delle onde o con le nuvole basse, quel tanto che basta per sentire ancora l'aria salmastra e profumata di lavanda che cresce tutto intorno alla baia. Ma ho sempre avuto le ore contate e, dopo un poco, inevitabilmente mi ritrovavo nella mia soffitta. Ho capito col tempo, che la casa era il mio argano e non potevo allontanarmene troppo o per troppo tempo.

    È qui dove sono nato, dove sono morti i miei genitori, dove mi sono ubriacato la prima volta, e dove sono stato ucciso. Nonostante sia disabitata ha conservato tutto il suo fascino. Qualche volta ho il timore che possa cadermi addosso, tanto scricchiola. Forse allora sarò libero di starmene al faro.

    Comunque se la cosa non ha mai preoccupato Dio, non potevo certo farmi sangue amaro io.

    Poi però, accadde qualcosa. Quel giorno il vento soffiava dolce disperdendo i profumi della brughiera, io avevo preferito un sentiero solitario per evitare la gente che si godeva gli ultimi tepori estivi. Meglio stare alla larga.

    Soprattutto dai ragazzini. Sono dei nani diabolici! Quei maledetti hanno un sesto senso, un fiuto speciale per le cose strane come me. Più sono piccoli e più sembrano sensibili. I primi tempi provavo a capire se sapevano qualcosa che io ignoravo e cercavo di parlarci. Ma quelli si spaventavano a morte e non la smettevano più di frignare per poi dirlo alle loro madri che finivano per diventare matte più di loro.

    Se erano intelligenti, chiudevano il becco al marmocchio, ma le donne, secondo me, sono un'evoluzione bella e buona delle oche perché si mettevano a gridare: mio figlio vede i fantasmi! E buona notte al piccolo Chase che sarà per sempre l'idiota del villaggio.

    In conclusione: quando il tempo era buono, passavo per la brughiera. Casa mia sorge sul picco di una collina: un cottage con un lembo di terra a un miglio dal villaggio e proprio davanti l'oceano.

    Quel giorno una carrozza nera con uno stemma che ben conoscevo, era ferma alla staccionata di casa mia. Dal barroccio scesero quel furfante dell'agenzia immobiliare, una donna e un moccioso.

    Numi del cielo, a_ncora!_

    Perbacco, era la terza volta che quello spilungone d'inglese cercava di rifilare casa mia a qualche dannato babbeo straniero. M'avvicinai giusto in tempo per sentirlo fare tutto l'ossequioso con la donna. Beh, non gli potevo dare torto; era proprio un bocconcino; doveva essere inglese pure lei. Certo che era proprio stonata in un posto sperduto come questo. Quella sua pelle bianchiccia non avrebbe retto al vento e al sole di queste parti nemmeno un giorno e poi da com'era vestita sembrava piuttosto abituata alle comodità, non certo agli spifferi di casa mia. Il ragazzino invece girava tutto eccitato.

    – Maggie guarda: si vede il mare da qui!

    – Jonathan non ti sporgere è pericoloso, oh signor

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