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Burua Kole Morbedup
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E-book300 pagine3 ore

Burua Kole Morbedup

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Info su questo ebook

L’autore Gianni Sacchiero,è nato nel 1950 ad Ariano Ferrarese, un piccolo paese a pochi metri dal Po. Nella vita ha coltivato due grandi passioni: la matematica e i viaggi, specialmente per mare.
Per tutta la vita l’autore ha convissuto con un istinto prepotente che gli diceva: ”Molla tutto e parti!”
Nel 2009 la svolta: ha ancora tanti sogni nel cassetto e, forse, il tempo comincia a diventare tiranno. Lascia il lavoro e parte. La destinazione è San Blas: sarà il suo primo viaggio da uomo LIBERO.
Costruisce una piroga a bilanciere, Burua Kole - Corre il vento – con l’intenzione di navigare e vivere immerso in una natura ancora selvaggia. Sognava una vacanza in cui isole incontaminate, sole, mare e vento fossero i soli protagonisti. Ma non aveva fatto i “conti” con il popolo kuna - ingenuo e forse primitivo, ma saggio e profondo - che, chiamandolo Giani, lo accompagnerà in un viaggio imprevisto portandolo indietro nel tempo… fino alle origini, vicino al grande fiume dove, da sempre, gli amici d’ infanzia lo chiamano… Giani.
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita9 dic 2011
ISBN9788897513551
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    Anteprima del libro

    Burua Kole Morbedup - Giani Sacchiero

    Giani Sacchiero

    BURUA KOLE MORBEDUP

    CORRE IL VENTO

    SULL’ISOLA DELLE GRANDI CONCHIGLIE

    Due mesi… due anni… una vita tra gli Indios Guna

    di San Blas

    Abel Books

    Proprietà letteraria riservata

    © 2011 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788897513551

    A Marco, Guido, Mino e Gilfredo, amici con i quali ho condiviso l'amore per il mare e con i quali purtroppo non potremo più navigare assieme.

    Bannaba dup naig gine, maci bipigua Nugenipe ye nugadi mai.

    Ukup gaka unnila gaamagdi daye, ukup birghine meghistae. Niiskuamar ebisega.

    Ar doa uisi guabigua niiskuamar niba nai! Uisi, niiskuamar gheghe ebislege, dehitega anba mutikigba ebisnonidae.

    In un’isola molto lontana vive un bimbo chiamato Nughenipe. Gli piace andare alla spiaggia, sedersi sulla sabbia e contare le stelle.

    Chissà quante stelle ci sono nel cielo! Sa bene che non finirà di contarle, ma continua per tutta la notte.

    Il contatore di stelle (Leadimiro Gonzales)

    INDICE

    Presentazione di Mario Bianchedi

    Prefazione

    Prologo

    I viaggio a San Blas - Febbraio 2008

    VECCHI AMICI E NASCITA DELL’IDEA

    II viaggio a San Blas 15.1–16.3 2009

    DA TRIESTE AL GUNAYALA

    COSTRUZIONE DEL PROA E

    SCOPERTA DELLA CIVILTÀ GUNA

    IL VIAGGIO DI BURUA KOLE

    RIENTRO A MORBEDUP

    III viaggio a San Blas - Febbraio 2010

    IL CERCHIO SI CHIUDE

    Nota finale

    Ringraziamenti

    Bibliografia

    Presentazione

    Ho conosciuto Gianni (in realtà lui preferisce farsi chiamare Giani, con una n sola, memore di una sua infanzia, oggi sessantenne, che aveva un suo enorme valore) nel pozzetto di una barca a vela di un comune amico. Per chi non lo sapesse, il pozzetto è quella zona all'aperto di una barca, con molteplici funzioni: ci stai al timone con qualsiasi tempo, ci mangi quando te lo puoi permettere, ci fai delle chiacchiere con gli amici, ci dormi sotto un tetto di stelle… Praticamente il salotto buono di casa, tolti inutili orpelli come il divano, la TV e la laurea appesa al muro...

    Un viso gentile, incorniciato da una barba e capelli bianchissimi, e due occhi azzurri che ti concedono il permesso di essere a tuo agio, perché capisci subito che Giani non mente, sapendo di mentire, e che ha voglia di ascoltarti, di condividere, di confrontarsi con te senza la presunzione di sapere tutto.

    E lui di Cose ne avrebbe da dire: una carriera piena di soddisfazioni da Professore universitario, una passione: la Matematica, la Ricerca fatta modus vivendi, la sua scelta di andarsene da quel Mondo per fermarsi ad inseguire i suoi sogni, che erano anche altri, quasi una comune contraddizione di quanti di noi possono essere Esseri mutanti, qualsiasi cosa o mestiere abbiano fatto col massimo dell'impegno. Se hai un’anima da Ulisse, non ti basterà l'avere raggiunto, dovrai seguire il tuo istinto che ti chiede di andare oltre a cercare, al di là dell'orizzonte che conosci.

    Fra i naviganti della vita - che sia con una barca a vela o una bicicletta o anche solo con il desiderio, (è preciso e identico) - scatta ad un determinato momento un bisogno di andare, di cercare, di scoprire, di sapere chi sei. Un grande Navigatore - Bernard Moitessier - a suo tempo definì molto bene questa sindrome: Non puoi chiedere ad un gabbiano ammaestrato perché ogni tanto senta il bisogno di volare lontano, oltre l'orizzonte... Ci va, e basta.

    Giani ha navigato per anni come Uccello d'alto mare con una barca di acciaio di 12 metri, da lui rimessa a posto come la voleva lui, durante le ferie. Poi, forse, ha capito che i suoi sogni di bambino avevano un significato che trascende la realtà. Si è fermato a pensare, forse ha capito che Qualcuno aveva commesso un furto, non lasciando spazio alle sue fantasie giovanili, lui per primo quale complice. Ha lasciato anzitempo una Carriera per tornare vergine. Non più turista di lusso, ma nomade del mare, su una piroga a vela, a contatto diretto con una Natura in via di estinzione, nell'Arcipelago di San Blas, fra Panamà e Colombia. Nomade anche di vita, dove nel suo racconto conosce e si integra (leggi umiltà e partecipazione) con il Popolo dei Guna, con rispetto (leggi umiltà e partecipazione) dove la narrazione ti coinvolge perché riconosci anche tu che è da lì che vieni anche tu, prima di perderti.

    Un racconto che cresce via-via di intensità, una catarsi che riconosci, quasi come un serpente che cambia nella muta la propria pelle, Giani perde la sua corazza, uguale alla nostra ma che noi teniamo ben stretta per paura di ritrovarsi con l’unica ricchezza che abbiamo: noi stessi.

    Quando Giani mi ha parlato di questo suo Diario di bordo, in quel pozzetto di quella barca a vela di un comune amico, l'ha sigillato con una frase che tutti i Naviganti sanno interpretare:

    ...Un viaggio importante è un’esperienza che molto ti da, ma che, in cambio, molto ti chiede. Quando torni i tuoi occhi non sono più gli stessi, la tua vita non è più quella di prima, tu sei un'altra persona...

    Gli ho risposto che: A mio avviso tu sei riuscito a far quadrare un cerchio vecchio come il mondo di una ricerca/esigenza di una integrazione, POSSIBILE SOLO se ci si confronta allo stesso livello, possibile solo se si è riusciti a tornare vergini, possibile solo se i dogmi del nostro corredo genetico vengono volutamente cercati, poi capiti, e alla fine esorcizzati.

    Non ho navigato quanto e come te, ma sono con te quando riconosco con te che più che i gradi che riesci a stringere di bolina valgano gli occhi di chi conosci navigando...

    Sono con te nel fermarsi a cercare "una fisicità diversa col mare...

    Giani e la sua Fisicità non ha niente di matematico... O forse no?

    Riporto ancora quanto ci siamo detti, anche perché questa mia presentazione nulla deve avere a che fare con il narcisismo accademico purtroppo imperante:

    Sempre a mio avviso, trovo questo tuo libro stupendo nel leggere (a volte fra le righe) di una tua giusta nostalgia ...Mi mancano gli amici italiani, e sopratutto gli Amici dell'Isola... scritte da un uomo che - per fortuna - non è solo acciaio inox...

    Trovo meraviglioso una specie di un RITORNO all'infanzia che ti ha arricchito, nella comparazione del tuo PO, della tua nebbia, del tuo fiume... Credo che questa tua voglia spasmodica di realizzare un tuo sogno (come poi hai fatto) abbia là le sue radici, come è giusto che sia.

    Mi sono commosso nel Pathos che riesci a trasmettere alla fine, immagini e colori che durano (credo volutamente) come fugaci intense pennellate in un quadro di serena malinconia, serena perché hai conosciuto e vissuto credo come un immenso regalo della Vita, malinconia perché una parte determinante di te è rimasta là, andandotene: ...Burua Kole... Sarà l'ultima volta che qualcuno mi chiama così...

    E qui, a mio avviso, fino in fondo c'è un Ulisse, comune a tutti noi, anche se – purtroppo - molti di noi non riescono più a riconoscerlo, grazie alla lobotomizzazione dei cervelli in atto.

    Avevo deciso che questa presentazione non sarebbe stata più lunga di una pagina... Altrimenti si ricade sempre nel narcisismo accademico... Mi sono fatto prendere. A mia scusante per Giani e per Burua Kole Morbedup ne è valsa la pena, e ho pure delle attenuanti specifiche:

    C'è un modo di dire dei gitani secondo il quale il paradiso non è alla fine del cammino, ma nel cammino stesso. Il cammino. La libertà. Sono idee fisse su cui insiste qualsiasi gitano con cui vi capiterà di parlare. E libertà significa non possedere altro che quello che ci si può portare dietro, significa muoversi di continuo, non appartenere a nulla e per questo non poter mai essere dominati da nessuno, nell'essere mutevoli e duttili come la natura" (anonimo).

    Io credo che Giani, in questo suo libro, l'abbia ampiamente dimostrato.

    Mario Bianchedi

        PREFAZIONE

    Da alcuni anni la memoria mi gioca strani scherzi ed è per questo che ho imparato a segnarmi le cose su un quadernetto, giusto degli appunti del tipo: 10.8 dipinta la casa, 12.9 visita di Gabriele e Anita, 5.10 viaggio ad Ariano...

    Quando poi faccio un viaggio di qualche giorno senza mia figlia Maria, ad esempio lunghi itinerari in bici o crociere in barca, questo quaderno si dilata, tutti gli avvenimenti della giornata sono descritti: dalla colazione del mattino fino a come ho dormito la notte, passando attraverso la descrizione dei luoghi visitati, dei personaggi, più o meno simpatici, incontrati. Insomma il quaderno diventa un resoconto di viaggio che, quando torno, lei è ben contenta di leggere.

    Stavolta ero partito con lo stesso intento e, infatti, nei primi giorni descrivo avvenimenti, situazioni e persone. Col passare dei giorni però, dapprima in punta di piedi, poi prepotentemente, do spazio alle sensazioni, ai sentimenti. Questa non era più, o forse non era solo, la solita relazione di viaggio per Maria, ma era diventato un diario, il mio diario, cui raccontare tutto, al quale non nascondere nulla. Questo libro non è quindi il resoconto della mia piccola avventura, o meglio, non è solo questo ma il racconto integrale, a cuore aperto, di me stesso.

    PROLOGO

    Sono le 6 del mattino. Sta per sorgere il sole sull’isola di Morbedup. Sono a bordo di Burua Kole, dentro la mia piccola tenda, nella calma offerta dal ridosso dell’isola; a pochi metri da me è iniziata anche la giornata di Ologuni, Puna Bibi, Horatio e Alicia, i soli abitanti di Morbedup. E’ rassicurante la visione della famiglia Guna alla quale da qualche settimana sono vicino e alla quale, in un certo senso, sento di appartenere.

    Fuori, in mare aperto, ci sono 25-30 nodi di vento. Oggi sarà impossibile navigare con la mia piccola canoa a bilanciere e allora me ne sto qui tranquillo e lascio i miei pensieri vagare. Ripenso alla splendida avventura che sto vivendo e che cominciò esattamente un anno fa.

    Scoprii l’esistenza di San Blas una ventina d’anni fa. Stavo sfogliando un libro che mia figlia maggiore, Naomi, mi aveva appena riportato da un viaggio a Parigi. Era stato scritto da Antoine, noto cantante-navigatore francese, con l’intento di descrivere tutte le isole che si possono visitare facendo un giro del mondo in barca a vela. Ricordo ancora nitidamente che sfogliando una pagina vidi alcune foto e rimasi a bocca aperta. Si trattava appunto di San Blas che si trova a poche decine di miglia ad est del canale di Panamà, tappa imprescindibile per chi compie il giro del mondo seguendo gli Alisei.

    San Blas è un vasto arcipelago della costa atlantica della Repubblica di Panamà. Si allunga per 230 km, parallelamente al continente centroamericano, dal golfo di San Blas giù per est-sudest fino alla Colombia. Si dice sia costituito da 365 isole di cui poco meno della metà abitate. Il territorio panamense comprendente l’arcipelago e la striscia di terra parallela viene detto Gunayala - terra dei Guna - dal nome del popolo indio che lo abita.

    Fino alla seconda guerra mondiale il solo modo di raggiungere il Gunayala era la barca, poi gli americani costruirono alcune piste d’atterraggio per piccoli aerei e, infine, da alcuni anni una strada sterrata unisce l’estremità ovest del Gunayala con la capitale, Ciudad de Panamà. Comunque, in auto, in aereo o in nave, si possono raggiungere solo pochi punti isolati della regione, dopo di che l’unico modo per andare alla scoperta delle meraviglie dell’arcipelago è con piccole imbarcazioni e, anche con queste, la navigazione è molto difficoltosa a causa degli innumerevoli bassi fondali. Proprio per questo, fino ad una ventina d’anni fa, prima dell’avvento della moderna tecnologia legata al GPS - precisissimo sistema di posizionamento satellitare - erano poche le barche che si avventuravano all’interno dell’arcipelago. Tale isolamento unito alla grande saggezza dei Sagla o Sahilas - guide politiche e religiose- ha fatto sì che il Gunayala abbia conservato quasi intatte fino ai nostri giorni le proprie tradizioni, la propria cultura e la propria religione.

    Per molti aspetti è considerato un posto unico al mondo. Tale unicità gli deriva dalla straordinaria bellezza: isole incantate, ricoperte da alte e lussureggianti palme da cocco, che sorgono da lagune turchesi immerse in acque trasparenti ricche di pesce e protette da variopinte barriere coralline; ma, soprattutto, dal popolo che lo abita, solo esempio di tribù americana che ha conservato il diritto di abitare ed amministrare in totale autonomia la terra che fu dei lori padri.

    Dalla scoperta di Panamà nel 1501 fino al 1953, anno in cui i Guna ottennero dal Parlamento panamense la piena autonomia giuridica e amministrativa, ci furono cinque secoli di tentativi di sottomissione da parte di spagnoli, francesi, inglesi e, dopo il 1903, anno di fondazione della repubblica di Panamà, degli stessi panamensi, così come tentativi di proselitismo da parte di numerose religioni. Le battaglie sostenute per conservare la loro terra, la loro religione e le loro tradizioni hanno forgiato il carattere di questo popolo, ma fortunatamente non hanno modificato la loro indole gentile.

    Il mare incontaminato e pescoso, la bellezza dei fondali e delle barriere coralline, l’atmosfera da mari del sud che si respira sulle isole, il fascino selvaggio della foresta vergine, la pacatezza, il buon umore e la gentilezza degli Indios Guna, stanno rendendo il Gunayala sempre più, oltre che un’eccezionale area di navigazione, anche una meta ambita del turismo internazionale. E questo purtroppo è un altro discorso.

    Per vent’anni ho desiderato visitare il Gunayala, curioso di scoprirne la natura e di conoscere il popolo che lo abita. L’occasione di farlo mi venne offerta dai nostri vecchi e cari amici, Gabriele e Anita, che ci invitarono sulla loro bella barca, il Sunny Side, che da alcuni anni navigava nell’arcipelago delle San Blas.

    I viaggio a San Blas

    Febbraio 2008

    VECCHI AMICI E NASCITA DELL’IDEA

    Insieme a Nicoletta, mia moglie, eravamo a bordo di un piccolo aereo della compagnia Aeroperlas e stavamo raggiungendo Corazòn de Jesus, piccolo villaggio nel centro dell’arcipelago. Era una splendida giornata di sole. Da poco avevamo doppiato Punta San Blas, dove inizia l’arcipelago, e, fronte incollata al piccolo oblò, stavamo guardando, poche centinaia di metri sotto di noi, l’incantevole paradiso dei Guna. Letteralmente! Infatti, stavamo volando sopra il Canale dell’Eden, una delle vie d’acqua che dal mare aperto conducono al cuore del Gunayala. Pochi minuti e, in lontananza, vedemmo una grande baia, delimitata dalla terraferma a oriente e, nella parte occidentale, da un collana di piccole isole: le prime due verso nord abitate, mentre le altre impenetrabilmente ricoperte di mangrovie. Infine, in fondo alla baia, su una lunga isola a nordest, comparve la pista d’atterraggio. Le due isole abitate corrispondono ai villaggi di Yandup, Narganà, e di Akuanusatupu, Corazòn de Jesus. Un lungo ponte coperto le unisce in un gemellaggio d’amicizia come testimonia il suo nome: "Puente de la amistad".

    Arrivando in Gunayala da Ciudad de Panamà, questo è sicuramente lo scalo meno traumatico, infatti, Narganà fin dall’inizio del secolo scorso, quando il famoso Sagla Charly Robinson vi costruì la sua bella casa di legno a due piani, è considerata la capitale del modernismo a San Blas. Anche se le case più belle sono quelle tradizionali con pareti in bambù e tetto coperto di foglie di palma, la maggior parte delle abitazioni è costruita con blocchi di cemento. C’è una banca, un presidio medico, una libreria, una prigione ed un posto di polizia. Ci sono inoltre scuole, telefoni pubblici, alcuni negozietti ed un rumoroso generatore che fornisce energia elettrica alle due comunità. A Narganà ci sono persino, cosa rara a San Blas, un paio di gradevoli ristorantini dall’atmosfera tradizionale.

    A completare il processo di modernizzazione manca solo l’acqua corrente per la quale, residenti e barcaioli di passaggio, si forniscono nel vicino Rio Diablo, fiume che sfocia a qualche centinaio di metri dal ponte. Il modernismo dei due villaggi ha portato come logica conseguenza il ripudio del tradizionale stile di vita Guna. Pertanto il Sagla è meno ascoltato ed ha minore autorità che altrove e, fatto visivamente più evidente, le donne vestono all’occidentale.

    Comunque, modernismo o no, siamo nel Gunayala, quindi le strade sono in terra battuta, le antenne delle televisioni si trovano in cima a lunghissimi pali di bambù e la maggioranza dei gabinetti è costruita su palafitte con vecchie lamiere arrugginite, a cielo aperto e a... perdere. L’atmosfera che si respira è piacevole: la gente che incontri muovendoti lungo le vie polverose dei villaggi gemelli, in genere indios o barcaioli, è rilassata  e sorridente, ti saluta con un sorriso ed è pronta a scambiare qualche parola.

    Sorvolando il vasto ancoraggio, dove una ventina di barche si dondolavano pigramente, riconobbi l’inconfondibile sagoma del Sunny Side. Ancora pochi secondi e l’aereo si fermò alla fine della pista, vicino alla modesta capanna degli uffici dell’aeroporto e ad un piccolo molo dove alcuni gommoni e due grosse canoe a motore aspettavano di trasportare i nuovi arrivati verso le barche ancorate in baia o i vicini villaggi. In quel punto una semplice recinzione di legno delimita la pista. Oltre lo steccato riconobbi immediatamente l’inconfondibile sagoma di Gabriele, bermuda e t-shirt a parte, straordinariamente somigliante all’immagine con cui viene rappresentato l’arcangelo suo omonimo: il viso appena abbronzato era infatti incorniciato in modo teatrale da una cascata di bianchissimi capelli ricci scenograficamente mossi da una brezza leggera. L’aspetto però, come spesso capita, è ingannevole, vedendolo lo direste un poeta, un filosofo o, forse, un letterato. Niente di tutto ciò, Gabriele è un tecnico sopraffino: meticoloso e, nonostante sia in pensione già da una decina d’anni, terribilmente informato su tutte le novità. Le sue letture preferite sono articoli e testi scientifici e non disdegna i manuali d’uso e manutenzione dei più disparati congegni tecnologici. Ma è anche un uomo d’azione: non c’è parte della barca che non conosca perfettamente e che, in caso d’avaria, non sia in grado di riparare. Queste sue doti così preziose nel mondo dei barcaioli, gente che ha scelto la barca come casa e il mare come patria, non hanno tardato a farlo conoscere ed apprezzare e, ora, non passa giorno senza che qualcuno non l’interpelli per un consiglio o per riparare qualcosa. Il Sunny Side – un Maramu dei cantieri Amel, una barca concepita esclusivamente per andarsene in giro per il mondo in comfort e sicurezza - è una creatura a sua immagine e somiglianza: strapiena di ogni congegno tecnologico. Ma Gabriele è anche un uomo prudente e sa bene che mare ed elettronica non vanno molto d’accordo, quindi, ogni strumento, ogni diavoleria a bordo, ha almeno un ricambio. Se Gabriele è unico non da meno gli è Anita, sua moglie: una donna mai banale, colta e profonda con alle spalle una vita intensa vissuta in anticipo sui tempi, come quando insieme ad un’amica si spinse nel desolato e immenso sud dell’Argentina su una Fiat millecento e una tenda o quando, sempre tanti anni fa, fece due volte il giro del mondo in aereo prendendosi tutto il tempo che le serviva. Formalmente è italiana, nacque a Trieste prima della seconda guerra mondiale, a due anni insieme alla famiglia emigrò in Argentina e poi, per lavoro, in Venezuela. In realtà è cittadina del mondo, a proprio agio in ogni luogo o situazione. Anagraficamente potrebbe essermi madre, come lucidità e profondità di pensiero la considero piuttosto una sorella minore. Ci conoscemmo una decina d’anni fa. Patrizia, la nostra barca, e Sunny Side erano in uno stesso cantiere a Cumana in Venezuela. Non ci volle molto a scoprire che, con Gabriele e Anita, stavamo bene insieme. In seguito, Patrizia ed il Sunny Side hanno navigato fianco a fianco tra le

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