Adelasia di Torres
Di Enrico Costa
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Info su questo ebook
Anche Grazia Deledda rimase affascinata da questa enigmatica donna, tanto da renderla protagonista della celebre novella "Sigillo d'amore", che la scrittrice premio Nobel scrisse pensando proprio all'opera di Enrico Costa, del quale fu a lungo una discepola.
In “Adelasia di Torres” il Costa narra la vicenda storica, e quella leggendaria, della giudicessa sarda vissuta nel Duecento, moglie di Enzo (o Enzio) figlio dell’Imperatore Federico II, la cui vita, aperta colle nozze di Ubaldo Visconti e chiusa colle baratterie di Michele Zanche, attirò l'attenzione dei cronisti, degli storici, dei poeti e dei novellieri che si succedettero nel corso di quasi sei secoli, a cominciare dai primi commentatori di Dante.
L'autore
Enrico Costa nacque a Sassari l’undici aprile del 1841. Tra le sue opere più importanti ricordiamo: le novelle, Il muto di Gallura, La bella di Cabras, Giovanni Tolu, Costumi sardi, Da Sassari a Cagliari. Morì a Sassari il ventisei marzo del 1909.
L'eBook
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Anteprima del libro
Adelasia di Torres - Enrico Costa
Enrico Costa
Adelasia di Torres
Note critiche e divagazioni fra storie, cronache e leggende del secolo XIII
© 2014 Carlo Mulas
Indibooks | eReading Life
ISBN 9788898737031
A cura di Carlo Mulas
In copertina:
Opera derivata da
Le nozze di Eleonora
di Antonio Benini
Olio su tela – 1870 circa - Oristano
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Prima parte - La storia romantica
1. I mariti di Adelasia
I.
Fra i più interessanti, più drammatici, e dirò anche più geniali episodi della storia sarda, è certamente da annoverarsi quello riguardante la infelice Adelasia, nata dalle nozze di Mariano II di Torres con una figlia di Guglielmo di Massa, giudice di Cagliari.
La vita avventurosa di questa regina, aperta colle nozze di Ubaldo Visconti e chiusa colle baratterie di Michele Zanche, attirò l'attenzione dei cronisti, degli storici, dei poeti e dei novellieri che si succedettero nel corso di quasi sei secoli, a cominciare dai primi commentatori di Dante.
Nulla però nel mondo è duraturo; e il tempo — distruggitore eterno di città e di regni — pare pur goda di corrodere e di annullare anche la storia, forse perché questa mena vanto d’essere immortale, presumendo di trasmettere ai più tardi nipoti i vizi e le virtù, le glorie e le infamie dei nostri più remoti progenitori.
Riassumerò a larghi tratti un po’ di questa storia, quale ci venne trasmessa da documenti indiscutibili.
Nel 1218 i fratelli (Ubaldo e Lamberto Visconti, di famiglia pisana, avevano invaso il Giudicato di Gallura; ma Mariano II di Torres, che vantava diritti su quel dominio, si oppose colle armi agli usurpatori, incoraggiato dal papa Onorio III, il quale aveva pur eccitato il comune di Milano a prestare aiuto al suo protetto.
Finalmente Mariano — forse dubitando delle proprie forze o dell’efficacia dei soccorsi promessi — si decise di venire ad un accordo, concedendo nel 18 settembre 1219 la mano di sua figlia Adelasia ad Ubaldo, tiglio primogenito di Lamberto Visconti; e riuscì con tal nodo, non solo a riaffermare il genero nella Gallura, ma anche ad aprirgli la via della successione nel più importante giudicato di Torres. Per il matrimonio con Ubaldo, Adelasia era divenuta parente dei papi Innocenzo III e Gregorio IX.
Morto Mariano nel 1233, gli succedette nel regno il giovane figliuolo Barisone, fratello di Adelasia; il quale, tre anni dopo, fu barbaramente trucidato in una sommossa popolare ordita dai sassaresi, insofferenti del suo mal governo. La cronaca dice che l’assassinio avvenne per istigazione e raggiro del cognato Ubaldo, ambizioso di sedere sul trono turritano.
Ignara forse della perfidia del marito, Adelasia si querelò col papa Gregorio IX; e costui commise all’arcivescovo di Pisa l’incarico di fulminare le censure contro gli autori del misfatto.
Il pontefice pertanto, valendosi dell’occasione per riaffermare gli antichi diritti che la Santa Sede presumeva vantare sulla Sardegna, inviò un suo cappellano alla reggia di Ardara, dove Adelasia si era ritirata per piangere il giovane ed amato fratello. Il santo prelato riuscì coi raggiri a strappare alla desolata regina, annuente il marito, una carta da lei sottoscritta, colla quale dichiarava di riconoscere dalla Chiesa romana il regno turritano e i domini che per via dell'avo materno Guglielmo possedeva in Corsica, in Pisa ed in Massa, sottomettendosi interamente al supremo dominio dei papi, ai quali gli stati dovevano ritornare, ove Adelasia o i figli di lei fossero morti senza discendenza legittima.
Sebbene il papa avesse ordinato che questa convenzione (stipulata il 3 marzo 1236 e confermata nell’anno seguente) fosse tenuta segreta, tanto che il legato pontificio fulminò le censure a chi avesse osato renderla pubblica, la storia ci tramandò il documento, il quale attesta (come ben nota il Tola) quanto sleali o deboli fossero quei principi nell’acquistare o nel cedere i diritti della sovranità.
Ma perché Ubaldo volle accondiscendere a questa cessione? Chi lo sa! forse gli sorrise la speranza di potersi purgar l’anima dal brutto misfatto commesso in odio al cognato!
Il cappellano di Sua Santità rimase per un lungo anno al fianco dei reali sposi, collo scopo di strappar loro altri atti, che maggiormente stabilissero la dipendenza dei Regoli di Torres e di Gallura dalla Santa Sede.
Fatto è che un anno dopo, nei primi mesi del 1238, Ubaldo morì ancor giovane, senza discendenti, e la vedova perdette con lui anche il regno di Gallura.
Il papa Gregorio IX fu sollecito a scrivere un’affettuosa epistola alla parente vedova; e per meglio consolarla le propose un nuovo marito nella persona di Guelfo de’ Porcari, ligio alla Sede pontificia, c per conseguenza adatto a tutelare quei certi diritti che i papi pretendevano vantare sul regno di Torres e su tutta l’isola di Sardegna.
Ma questa volta il papa fu sopraffatto dall’imperatore di Germania, lo scomunicato Federico II. Non appena costui ebbe notizia del decesso di Ubaldo Visconti, si affrettò ad inviare un messaggio alla vedova Adelasia, offrendole la mano del suo Enzio, figlio bastardo avuto da una sua concubina.
Questo Enzio, od Enrico, giovanissimo, bello, prode, poeta, fu dal padre elevato alla dignità di re dì Sardegna – titolo che subito assunse, sdegnando di prendere l'altro più modesto di Giudice, in un’isola lontana e non troppo illustre.
Adelasia dunque, incoraggiata e raggirata dai Doria, accettò la mano del diciottenne Enzio, più giovane di lei di una ventina d’anni. La matura vedova (e chi oserà biasimarla?) preferì consolarsi con un marito giovane e figlio di un imperatore scomunicato, anziché con un marito ligio al papa, ma troppo inoltrato negli anni, qual’era il lucchese Guelfo Porcari, che un quarto di secolo addietro aveva coperto la carica di Podestà in Siena.
I fatti fin qui esposti sono avvalorati da seri documenti, e ben poche sono le varianti che vi si potrebbero introdurre. Di nebuloso non vi ha che la causa dell’assassinio di Barisone, fratello di Adelasia; assassinio (secondo Vico) che preludiò all’indipendenza della città di Sassari, la quale si resse a comune libero, sotto la protezione dei pisani prima, e sotto quella dei genovesi dopo.
II.
Riprendiamo ora i fatti, quali ci vengono riferiti quasi all’unisono da tutti i cronisti e gli storici del tempo, sì antichi che moderni.
Combinato il matrimonio, Enzio, in compagnia di sua madre Bianca Lancia, concubina dell'imperatore Federico, venne in Sardegna nell’ottobre del 1238, e vi sposò la vedova di Ubaldo Visconti, cingendosi la corona di Torres.
Ma non trascorse l’anno, ch’ei spogliò la sposa de’ suoi stati, la trattò con modi aspri e inumani, e finì per relegarla nel castello di Goceano, dove è fama terminasse miseramente i suoi giorni fra le lacrime e il rimorso di aver ceduto ai raggiri dei Doria, che la vollero unita al bastardo di Feder
Richiamato dal padre per prender parte alle guerre d’Italia, il re Enzio si affrettò a lasciar l’isola, affidando alla propria madre il governo del Giudicato e nominando per suo vicario Michele Zanche.
Dopo aver combattuto con eroico valore sui campi di battaglia, facendo di sé parlare la penisola italiana, Enzio cadde in potere dei bolognesi il 26 marzo 1249, e morì in prigione dopo avervi languito per oltre 22 anni. Egli aveva avuto da Adelasia una figlia — Elena — la quale a suo tempo fu data in moglie a Guelfo, il primogenito del famoso Conte Ugolino della Gherardesca.
Dopo la partenza di