Geronimo. La mia storia: Autobiografia di un guerriero Apache
Di Geronimo
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Anteprima del libro
Geronimo. La mia storia - Geronimo
GERONIMO. LA MIA STORIA
Nel 1906 Stephen Barrett, sovrintendente scolastico in Arizona, incontrò il vecchio capo indiano Geronimo, confinato nella riserva indiana di Fort Sill. Mosso dalle migliori intenzioni, Barrett chiese a Geronimo di raccontargli la sua vita, allo scopo di far conoscere al mondo la storia delle guerre indiane dal punto di vista dei nativi americani.
Geronimo acconsentì e i due si sedettero a gambe incrociate, l’uno raccontando una vita avventurosa, densa di eventi epocali e contrassegnata da battaglie e azioni ardimentose, l’altro riportando fedelmente le parole dell’indiano e successivamente perorando la causa della pubblicazione del volume presso il presidente degli Stati Uniti, Roosevelt.
Geronimo, l’uomo che aveva tenuto in scacco per decenni gli eserciti combinati del Messico e degli Stati Uniti, adottando una tattica di guerriglia che ispirò nel Novecento rivoluzionari di tutte le latitudini, il capo indiano Apache al cui fischio «i cavalli accorevano come posseduti», narra qui la sua giovinezza in una terra fertile e generosa; la sua maturità mentre le guerre indiane si profilano all’orizzonte in tutta la loro durezza; e la sua vecchiaia, da prigioniero di guerra, ostaggio di uomini bianchi incapaci di comprendere il grande dolore della sconfitta di un popolo.
Eccezionale documento storico e al tempo stesso avvincente testimonianza in presa diretta di un mondo che non cessa mai di affascinare, Geronimo. La mia storia non mancherà di interrogare il lettore sulle sue certezze da viso pallido.
GERONIMO
Nato libero con il nome di Goyahkla nel 1829, fu soprannominato «Geronimo» dai visi pallidi. Combattè furiosamente contro messicani e statunitensi nella seconda metà dell’Ottocento e il suo nome divenne sinonimo di guerriero Apache. Circondato da cinquemila uomini dell’esercito americano si arrese il 4 settembre del 1886. In quel momento la sua banda non superava la cinquantina di individui, donne e bambini compresi. Trascorre i successivi vent’anni della sua vita a Fort Sill. Morì da prigioniero di guerra nel 1909.
GERONIMO
LA MIA STORIA
Autobiografia di un guerriero Apache
Raccolta da Stephen Melvil Barrett
A cura di Dario Morgante
EDIZIONE INTEGRALE
REDSTARPRESS
Geronimo. La mia storia
Autobiografia di un guerriero Apache
Raccolta da Stephen Melvil Barrett
Edizione a cura di Dario Morgante
Titolo originale: Geronimo’s Story of His Life, Duffield & Company, New York, 1906
La riproduzione, la diffusione, la pubblicazione su diversi formati e l’esecuzione di quest’opera, purché a scopi non commerciali e a condizione che venga indicata la fonte e il contesto originario e che si riproduca la stessa licenza, è liberamente consentita e vivamente incoraggiata.
Prima edizione luglio 2013
Collana «Tutte le strade» 6
isbn 978-88-6718-043-1
Red Star Press
Società cooperativa
Via degli Equi 18/A - 00185 Roma
www.facebook.com/libriredstar
redstarpress@email.it | www.redstarpress.it
INDICE
Geronimo. La mia storia
INTRODUZIONE
Cosa state per leggere
di Dario Morgante
GERONIMO. LA MIA STORIA
PREFAZIONE ORIGINALE
NOTA INTRODUTTIVA ORIGINALE
Parte prima. Gli Apache
L’origine degli indiani Apache
Suddivisioni della tribù degli Apache
I primi anni
Divertimenti, usi e costumi della tribù
La famiglia
Parte seconda. I messicani
Kas-ki-yeh
Combattimenti difficili
Incursioni vittoriose
Alti e bassi della sorte
Altre incursioni (un capitolo scritto da Stephen M. Barrett)
Duri combattimenti
La più violenta battaglia di Geronimo
Parte terza. L’uomo bianco
L’arrivo dei bianchi
Il torto più grave
Trasferimenti
In prigione e sul sentiero di guerra
La lotta finale
Prigioniero di guerra
Parte quarta. Il vecchio e il nuovo
Le leggi che gli Apache si trasmettono oralmente
All’Esposizione Universale
La religione
Speranze per il futuro
Appendice
La resa di Geronimo
NOTE
INTRODUZIONE
Cosa state per leggere
di Dario Morgante
«Non avrei mai dovuto accettare la resa,
avrei dovuto combattere sino alla fine».
GERONIMO, sul letto di morte
Geronimo, il temuto capo indiano, non sapeva scrivere e se è per questo non si chiamava nemmeno Geronimo. Quindi prima di leggere le pagine che seguono è bene chiarire cosa avete davanti.
La sua autobiografia venne raccolta nel 1906 da Stephen Melvil Barrett, un supervisore scolastico che si trovava a Lawton, nell’Oklahoma, a poca distanza da Fort Sill, dove Geronimo era prigioniero di guerra assieme alla sua intera tribù da ben vent’anni, essendosi arreso al generale Miles nel 1886.
Nato nel 1829, Geronimo aveva all’epoca più di settant’anni, ed era un uomo psicologicamente provato, dipinto come uno degli ultimi grandi «malvagi» dell’epopea western americana. Barrett si accostò al vecchio guerriero con rispetto, e sembrerebbe che questa «autobiografia» riporti piuttosto fedelmente quello che Geronimo davvero disse. Si noterà anche che il testo ha un andamento incostante e spesso lacunoso, tipico del racconto orale, che era appunto la maniera indiana di narrare le cose.
Per poter pubblicare il libro Barrett arrivò ad appellarsi al presidente Roosevelt, visto lo status di «prigioniero di guerra» del capo Apache. L’autorizzazione arrivò e la casa editrice newyorchese Duffield & Company mandò alle stampe il volume negli ultimi mesi del 1906.
Nel corso del volume – a partire dalla stessa dedica – Geronimo ha per Roosevelt parole di grande rispetto, quasi si ammirazione. Bisogna riflettere sulla concezione del mondo tipica dei nativi americani, per i quali un «capo» è sempre un uomo di grande saggezza, rettitudine e integrità morale, giacché sono queste le doti che tra gli Apache portano a diventare un capotribù. Sfuggivano a Geronimo le sfumature della democrazia rappresentativa, anche se – va riconosciuto – il presidente Theodore Roosevelt proprio in quel fatidico 1906 vinse il premio Nobel per la pace.
Il nome indiano (Chiricahua) di Geronimo era Goyahkla che a dispetto delle attitudini militari e guerriere del suo possessore, voleva dire letteralmente «Uomo che sbadiglia». Fu l’ultimo grande leader militare nella stagione del crepuscolo definitivo della nazione Apache, al culmine del genocidio dei nativi americani. Nel testo Goyahkla racconta di come crebbe libero seguendo le usanze e le tradizioni della sua gente, e di come visse in prigionia gli ultimi anni della sua vita.
Nel libro le note a piè di pagina sono quelle originali di Barrett, mentre quelle numerate riportate alla fine del volume sono mie. Ho cercato dove possibile di spiegare il contesto delle parole di Goyahkla, che per Barrett dovevano essere più chiare di quanto non lo siano per noi oggi. Ho deciso di inserire un capitolo che era presente nell’edizione originale del 1906, ma che è poi stato espunto dall’edizione del 1970, curata da Frederick W. Turner III. Questo capitolo, Altre incursioni, a pagina 113, è scritto direttamente da Stephen Barrett e nella sua ingenuità chiarisce molto bene il contesto nel quale ha operato il compilatore di questo volume.
Bisogna leggere questo libro avendo ben chiaro in mente che Goyahkla, per gli statunitensi dell’inizio del secolo scorso, era come Vercingetorige per i romani del I secolo a.C.: un nobile re nemico, sconfitto e portato a Roma in catene per poter essere mostrato al popolo nel corso delle celebrazioni in onore di Cesare.
Nella prefazione di Barrett si scorge questa visione del mondo. Le sue intenzioni sono quelle del documentarista che raccoglie la testimonianza di un mondo che va scomparendo. Roosevelt autorizzò la pubblicazione del libro perché poteva ben permettersi di essere magnanimo. Non era possibile che Geronimo «sobillasse» nessuno, gli Apache erano stati sterminati, le guerre indiane definitivamente vinte.
Alle vicende umane di Goyahkla e al contorto rapporto tra i vincitori di allora e la memoria del grande condottiero Apache, c’è una sorprendente e al tempo stesso disgustosa coda. Il teschio di Geronimo fu trafugato dalla tomba a Fort Sill nel 1916 da alcuni giovani militari di leva appartenenti alla potente confraternita universitaria nota come Skull and Bones. Tra di loro anche Prescott Bush, il nonno di George Bush (le elezioni presidenziali del 2004 furono soprannominate «The Bones Election» visto che vedevano contrapposti due ex membri della confraternita, George Bush e John Kerry). La confraternita ha sempre ufficialmente smentito che il teschio di Geronimo sia custodito nell’inviolabile sede della società segreta, nota come La Tomba. Ciononostante nel 2009 Ramsey Clark, ex Ministro della giustizia, ha avviato un’azione legale per chiedere la restituzione delle spoglie del guerriero Apache.
Geronimo non sapeva dunque scrivere, posava in costumi tradizionali allo scopo di raggranellare qualche dollaro, ringraziava il presidente Roosevelt come un suddito leale. Eppure era stato un leader tribale, un grande guerriero e un uomo rispettato. Nella sua autobiografia possiamo scorgere quel senso di profonda sconfitta storica, così lontana dagli stereotipi hollywoodiani, che parla direttamente ai nostri cuori e alle nostre coscienze. Ribaltando i luoghi comuni per cui gli indiani erano «malvagi» e ribaltando i luoghi comuni successivi per cui erano «buoni» questo libro racconta, più di molti film, quanto il crepuscolo segni il cammino delle esistenze. Eppure la voce di Geronimo esce con decisione da queste pagine. «Mi sono battuto», sembra dire, «perché era giusto farlo. Ho perso. Gli dei hanno abbandonato il popolo Apache. Ora ci resta solo la magnanimità dell’uomo bianco. Come spettri popoliamo le terre che un tempo attraversavamo orgogliosamente». Se in questo libro c’è una morale è che le nostre vite sono preda di un destino più grande, dove le semplificazioni non sembrano trovare posto. E che Usen accompagni il nostro cammino e, se possibile, sia buono con noi.
GERONIMO
LA MIA STORIA
Autobiografia di un guerriero Apache
Perché mi ha concesso di raccontare la mia storia; perché ha letto questa storia e sa che cerco di dire la verità; perché ho la certezza che sia leale e disposto ad adoperarsi per rendere nel futuro giustizia al mio popolo; e perché è il capo di un grande popolo, dedico questo racconto della mia vita a Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti.
GERONIMO
PREFAZIONE ORIGINALE
L’idea iniziale, nella compilazione di quest’opera, era di offrire ai lettori un documento autentico sulla vita privata degli indiani Apache e di accordare a Geronimo il diritto che hanno tutti i prigionieri di guerra: esporre i motivi che lo indussero a resistere alla nostra civiltà e alle nostre leggi.
Se la causa degli indiani è stata presentata in modo corretto, se la difesa dei prigionieri è stata esposta in modo chiaro e se la quantità d’informazioni generali concernenti un tipo di uomini che va scomparendo è aumentata, mi dichiaro soddisfatto.
Desidero attestare la mia riconoscenza per i loro preziosi consigli al maggiore Charles Taylor, Fort Sill (Oklahoma); al dottor J.M. Greenwood, Kansas City (Missouri); e al preside David R. Boyd dell’università di Oklahoma.
In quest’occasione desidero in modo particolare dichiarare che, senza il cortese consiglio e aiuto del presidente Theodore Roosevelt, questo libro non si sarebbe potuto scrivere.
Rispettosamente
S.M. BARRETT
Lawton, Oklahoma
14 agosto 1906
NOTA INTRODUTTIVA ORIGINALE
Incontrai Geronimo la prima volta nell’estate del 1904, quando gli feci da interprete dall’inglese allo spagnolo, e viceversa, per la vendita di un copricapo da guerra. Dopo di ciò mi rivolse sempre qualche parola gentile quando m’imbattevo in lui, ma non entrò mai con me in una vera conversazione finché non venne a sapere che una volta ero stato ferito da un messicano. Appena glielo dissero, venne da me ed espresse con veemenza la sua opinione sul messicano medio e la sua avversione per tutti i messicani in