Curiosità cagliaritane: Luoghi, preziosità e cronache di storia cittadina
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Info su questo ebook
Curiosità cagliaritane è quasi una dedica dell’autore alla sua città, per farla conoscere con le sue luci e le sue ombre, le sue glorie e le sue miserie. Da un autore profondamente cagliaritano c’era da aspettarsi una raccolta come questa, una lente di ingrandimento che svela aneddoti veramente curiosi, spigolature saporite e talvolta esilaranti di una storia non meno ufficiale di quella che le guide raccontano con enfasi a turisti e crocieristi frettolosi.
è un invito a leggere la città attraverso quadri di vita vissuta in varie epoche, visitare luoghi più o meno noti con un occhio più attento, ripercorrerla con una maggiore capacità di immaginazione, con le voci e i linguaggi burocratici del tempo, inevitabilmente esposti all’ironia e a sornioni confronti con l’attualità.
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Anteprima del libro
Curiosità cagliaritane - Domenico Garbati
Domenico Garbati
Curiosità cagliaritane
Luoghi, preziosità e cronache di storia cittadina
a cura di Marcello Garbati
ISBN 978-88-7356-937-4
Condaghes
Indice
Nota del Curatore
Prefazione, di Giacomo Serreli
Via Sassari, S’arruga de Santu Nicolau
Piazza Yenne, nata come Piazza San Carlo
La statua di Carlo Felice
La chiesa di San Michele e la statua dell’Arcangelo
La Grotta della Vipera
Morte e onori al viceré Alfieri
La statua semicolossale dei Giardini Pubblici
Una mascherata del 1797 a Cagliari
L’assassinio del viceré
Le strade del centro storico
L’illuminazione con i lanternoni all’olio di lentischio
Nell’ospizio Carlo Felice
Quando a Cagliari si vendeva la neve del Gennargentu
L’ermellino del vescovo e la processione di Sant’Efisio
Carceri ecclesiastiche nella via del Fossario
Vietate le armi da fuoco sul tram del Campidano
Il colera asiatico del 1867
Teatro Civico: regolamenti e litigi, spettacoli e serate di gala
La Siziata per i detenuti del carcere di San Pancrazio
Ergastolani a Cagliari. Dalle galee alle dure celle e ai lavori forzati
Le saline produttrici dell’oro bianco
L’imperatore Carlo V a Cagliari nel 1535
Giochi proibiti e divertimenti nel Settecento e nell’Ottocento
L'Autore
La collana Pósidos
Colophon
Nota del curatore
Domenico Garbati, che già negli anni trascorsi tra Siliqua e Cagliari come direttore didattico si dilettava come autore di commedie in sardo, dedicò i primi anni della pensione a ricerche di storia locale, concentrandosi in particolare su tanti avvenimenti curiosi della città di Cagliari e dei suoi dintorni.
Le sue passeggiate diventavano così, per i tanti che avevano la fortuna di accompagnarlo (a volte di rincorrerlo, per via del suo caratteristico passo lungo e deciso) e di ascoltarlo con la giusta curiosità, impagabili visite guidate alla riscoperta di angoli nascosti, luoghi o monumenti che, pur consueti nelle passeggiate dei cagliaritani, erano – e tuttora sono – in realtà sconosciuti.
Le sue descrizioni sono diventate racconti ironici e spesso salaci, ricchi di umanità e bonaria comprensione per le debolezze e le miserie come per la retorica e la burocrazia del passato.
I testi raccolti in questo volume furono scritti, in periodi distanti tra loro, come tracce per amichevoli conferenze – prevalentemente serate alle quali veniva invitato dalle associazioni della terza età – o spigolature occasionali da pubblicare sui giornali locali*. Ciò spiega alcune descrizioni e commenti che si ripetono in capitoli diversi, nonché la forma narrativa delle citazioni bibliografiche, con riferimenti a volte solo accennati per non tediare il pubblico, soprattutto dal vivo.
L’effetto è senz’altro quello di incuriosire il lettore e invitarlo a visitare i luoghi descritti con un occhio più attento, leggere targhe e lapidi normalmente inosservate, ripercorrere la città con una diversa capacità di immaginazione, con la ricchezza di tanti aneddoti significativi che rappresentano pennellate di colore e di affetto per Cagliari e la sua gente.
A chi ha conosciuto l’autore, la lettura farà ritrovare l’arguta ironia delle sue commedie e dei suoi racconti in sardo campidanese-cagliaritano, permetterà di ricordarlo e quasi riascoltarlo come narratore, a dieci anni dalla sua scomparsa.
Marcello Garbati
* Alcuni dei testi qui proposti sono stati pubblicati sul quotidiano L’Altro
tra il 1981 e il 1983.
Prefazione
Negli anni epici, calcisticamente parlando, dello scudetto del Cagliari fu perfino rivestita di rossoblù e pavesata a festa, eppure quella statua in bronzo di Carlo Felice, che domina la piazza che una volta era San Carlo, non sembra avere goduto, nelle sue origini, di particolari entusiasmi e tantomeno della necessaria considerazione da parte dell’amministrazione comunale. Arrivò perfino, dopo la sua realizzazione nel 1831 e la morte quell’anno del sovrano dei Savoia immortalato in abiti da antico romano, a relegarla, dimenticata per 30 anni, in un deposito dell’arsenale e solo nel 1860 fu eretta e sistemata là dove ancora oggi si trova.
Questo è solo uno degli episodi che scopriamo nella lettura di queste pagine, che mirabilmente ci restituiscono le scoperte di quelle passeggiate per Cagliari alle quali l’autore si dedicò nei primi anni del suo pensionamento.
È come se Domenico Garbati ci prendesse per mano e girando per la città ci accompagnasse in una rilettura della storia dei suoi angoli più suggestivi, materializzandone le scene di vita quotidiana che li animavano, mostrandoci e illustrandoci le targhe che, affisse in diverse strade, ricordano eventi e personaggi altrimenti inghiottiti dall’oblio.
Il cuore di queste sue riscoperte sono i quartieri storici della città (Castello, Stampace, Marina, Villanova) e il suo raccontare ha impresso il marchio dell’immediatezza, che gli derivava da quelle doti di grande affabulatore, capace di catturare l’attenzione soprattutto degli anziani, che per anni aveva intrattenuto con le sue conferenze e conversazioni dense di spigolature, mirate a rivivere gli aspetti e le vicende anche più marginali della città.
Possedeva egli una dialettica avvincente, che accompagnava con la forza esplicativa e coinvolgente della sua gestualità, del linguaggio del corpo, della mimica facciale, con una dose di teatralità che rappresentava un valore aggiunto del suo essere divulgatore, offrendo una narrazione scevra di inutili orpelli accademici, per puntare alla resa immediata e chiara del suo racconto e delle sue ricostruzioni, esposte immancabilmente con semplicità ma non con approssimazione.
Perché Domenico Garbati è stato appassionato frequentatore di archivi, vorace e puntiglioso nel recuperare tutte le testimonianze, gli studi, i documenti che servissero allo scopo primo di questa sua passione: farci conoscere e apprezzare Cagliari, la sua storia, la sua gente. Soprattutto quella delle classi popolari, rese protagoniste anche attraverso la descrizione di personaggi pure pittoreschi.
Un approccio di questo tipo lo offrono anche le tre raccolte, pubblicate tra il 1995 e il 2003, di racconti, memorie e personaggi cagliaritani, spesso frutto in quel caso della testimonianza diretta dell’autore, tra infanzia e adolescenza, resi con un taglio talvolta perfino umoristico, con garbata ironia e con leggerezza.
Perché c’è anche questo aspetto nel ruolo di rigoroso e documentato divulgatore svolto da Domenico Garbati: l’autore non lesina battute, colorite espressioni, gustose descrizioni, spassosi resoconti, talvolta dai risvolti piccanti, come gli episodi legati ai cosiddetti matrimoni di presenza
che facevano gridare allo scandalo. Il tutto con il fine di rendere ancora più brillante questo suo sforzo descrittivo e di ricostruzione storica.
Illuminanti sono così i passaggi sui colpevoli di infrazioni alla religione ufficiale
, concubini, bigami destinati ad affollare le carceri ecclesiastiche, il tutto reso con uno stile misurato, pacato, in qualche modo sornione, senza concessioni a volgarità.
Come non sorridere poi leggendo quello straordinario percorso sulla toponomastica cittadina che ci restituisce un glossario tra più gustosi, destinato a venir meno con la successiva italianizzazione dei nomi di strade e piazze, al punto da trasformare quella che era stata s’arruga de su casu, cioè la via Porcile, in una banale via del cacio
.
Scorrendo le pagine di questi scritti, che pure nascevano principalmente per una loro fruizione orale e non perché dovessero essere fissati sulla carta, sembra di rilevare quasi un singolare e riuscito sovrapporsi di quelle cifre stilistiche che hanno accompagnato Domenico Garbati nelle sue multiformi espressioni letterarie: i racconti densi di leggera ironia, le ricerche di taglio storiografico e, non ultimo, la freschezza e l’effervescenza dei suoi testi teatrali in sardo.
Insomma tono narrativo ed esigenza divulgativa trovano qui una loro equilibrata ed efficace combinazione.
A sorprendere è inoltre la mole considerevole di documenti o citazioni di altri studiosi e storici richiamati dall’autore (pur se non sempre compiutamente indicando le fonti), a dimostrazione di quanto questo suo studio nei meandri della Cagliari di un tempo fosse mosso dal desiderio del rigore e da un’appassionata ansia di completezza.
Rigore e precisione che non gli erano stati estranei anche setacciando gli archivi di Stato, della Curia Arcivescovile o dei Comuni al fine di predisporre, con altre meticolose ricerche, la storia delle comunità di Uta o Vallermosa, per esempio, che aveva imparato a conoscere da vicino negli oltre trent’anni trascorsi a Siliqua come direttore didattico.
Libri di memorie che, come questi scritti, sembrano voler rispondere all’intento dichiarato in altre occasioni dall’autore: «rispecchiare curiosità, usanze, partecipazione popolare alle vicende quotidiane dei vecchi quartieri cagliaritani».
Giacomo Serreli
Via Sassari
S’arruga de Santu Nicolau
A Santu Nicolau
anti postu buttega,
su carru è giai parau
po andai a Sant’Arega,
tralallera leralerallalera,
tralallera leralerallala
Questo muttetto¹ era il segnale del pronti a partire nella Cagliari dell’Ottocento, era l’annuncio dell’adunata da parte del capocarovana, dato alle traccas² sparpagliate nello spiazzo del Carmine; era l’inizio della festa tradizionale, chiassosa, allegra, contemporaneamente cittadina e paesana, coinvolgendo sia is biddunculus (i paesani) provenienti dal contado campidanese, sia i cittadini generosamente spendaccioni coi proventi de sa cascia de Sant’Arega³. Il muttetto, infatti, nella sua traduzione e versione in prosa annuncia che nella vasta radura davanti alla chiesa di San Nicolò gli ambulanti hanno allestito ricche e assortite bancarelle di generi vari, mentre infiorati e vistosi carri sono pronti a partire in carovana fino a Decimomannu alla festa di Santa Greca.
Per dare conferma dell’intenzione di voler spaziare, di non voler porre limiti ai comportamenti più scatenati e divertenti, dalla lunga carovana che ormai partiva verso Decimomannu si levava il coro del successivo muttetto che diceva:
A Sant’Arega andeus
tottu sa cambarada
e impari ‘ndi torreus
con sa conca segada
e cioè: «A Santa Greca andiamo / tutti in comitiva / e insieme torneremo / con qualche testa rotta», prevedendo che immancabilmente, dopo formidabili sbornie, qualcuno sarebbe tornato un po’ malconcio a causa di litigi o cadute.
Così tutti gli anni, nel mese di settembre, convenivano numerosissimi i carri riccamente addobbati per la festa di Santa Greca: si radunavano nella piazza del Carmine davanti alla chiesa di San Nicolò dei Napoletani, chiesa qualificata allora fuori dalle mura di questa città, nel sobborgo di Stampace, verso il convento del Carmine.
Il canonico Giovanni Spano, nella sua famosa Guida della città e dintorni di Cagliari (1861)⁴, fa un racconto piuttosto leggendario e suggestivo sulla fondazione di questa chiesa di San Nicolò di Bari, chiesa nazionale dei Napoletani, ringiovanendola assai. Scrive che il principe Pignatelli ne fu il fondatore: «Si racconta che questo principe, trovandosi in mare con tutta la sua famiglia ed essendo insorta una forte burrasca, fece voto di edificare una chiesa a questo Santo nella prima terra dove salvo sarebbe approdato. Essendosi la nave rifugiata nel golfo di Cagliari, fece tosto eseguire questa chiesa che diede a uffiziare ai Napoletani, i quali vi avevano una congregazione che poi si sciolse».
Invece di questo racconto fatto dal canonico Spano è molto più attendibile una relazione