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Il Buio, la Luce, la Polvere
Il Buio, la Luce, la Polvere
Il Buio, la Luce, la Polvere
E-book480 pagine7 ore

Il Buio, la Luce, la Polvere

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Info su questo ebook

Sono entrata tardi nella Terra di Mezzo ma, da allora, ogni volta che ci torno non ne uscirei più.
Quando i personaggi usciti dalla mia penna, mi hanno accompagnato dentro alla loro storia, non ho trovato maghi dai super poteri, né eroi con doti mitiche. Ho conosciuto una pluralità di razze e di individui che lottano al meglio delle proprie possibilità. Possono essere uomini, draghi, tritoni o altro; ognuno di loro ha un compito da portare avanti fino alla meta. Sia esso far tuonare il cielo o portare un semplice anello, alla fine di tutto risolverà il conflitto.
Gente comune che crede nella libertà e da tutto ciò che che possiede per difenderla, fino alla fine, fino a diventare degli eroi.

Giuliana Penzo nasce il 15 gennaio 1965 a Mestre (VE) dove vive.
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2017
ISBN9788826014258
Il Buio, la Luce, la Polvere

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    Anteprima del libro

    Il Buio, la Luce, la Polvere - Giuliana Penzo

    http://write.streetlib.com

    1 – IL SIGILLO

    Un grosso meteorite squarciò l’azzurro del cielo per cadere con un grande tonfo nel mare.

    A causa della violenza dell’impatto molte cime si innalzarono dalla profondità degli abissi creando miriadi di isolette subito invase da piante rigogliose, palme dai frutti dolci e colorati, paradisi vegetali cresciuti quasi per magia. Questi piccoli smeraldi nell’azzurro del mare ben presto furono colonizzati da uccelli dal variopinto piumaggio e da minuscole scimmie dal manto dorato che crearono una meravigliosa simbiosi di suoni e colori.

    Nel cratere in fondo al mare il meteorite si frantumò lasciando intravedere il suo nocciolo di metallo lucente che si aprì, l’acqua ne invase l’interno ma, protetto da una bolla d’aria, uscì un omino ossuto dalla pelle rugosa e viola, il corpo tozzo e gli arti lunghi. Il cranio grinzoso si allungava ed allargava sulla nuca, facendolo assomigliare ad un’enorme pera, grossa e larga più dell’intero essere. Sulla testa, proprio sopra quel cono allungato, un piccolo specchio rotondo e nero era trattenuto grazie alle callosità della pelle raggrinzita.

    Occhi benigni vegliarono lo sconquasso. Videro la magnificenza degli isolotti e osservarono l’omino viola, il creatore di quei piccoli paradisi nel mare, solo ed in balia delle profondità oceaniche.

    La Madre, timorosa per la sorte dell’essere portatore di tanta beltà ed armonia, mandò le fate d’acqua in suo aiuto. Troppo tardi, il corpo raggrinzito ormai non rispondeva più al dolce tocco delle fate. Dal suo cuore, solo una piccola energia strana le fate riuscirono a raccogliere tra le mani, la scambiarono per un’anima sperduta in un mondo che non le apparteneva, incapace di trovare la strada verso la Luce, così la accompagnarono verso colei che tutti accoglie e rigenera.

    Aldebaran, drago guardiano, incrociò le ali opaline sul ventre appena vide le fate ed il portale, comandato dalla magia di quel gesto, si aprì.

    Farfalle di luce si attaccavano e staccavano dall’immagine del sinuoso corpo di pura luce della Madre, come scintille di un grande falò esse si disperdevano, dirigendosi al loro posto dentro ad un cuore neonato; tutto sotto gli occhi di Aldebaran, attento a che il ciclo della vita continuasse a seguire il suo corso. Davanti alla Madre le fate schiusero le mani e quella piccola anima strana fu attratta dalla sua luce, ma il volo di quella scintilla di energia aliena si sperdeva in volute e spirali senza raggiungere la meta, mentre la Madre allungava le braccia per accoglierla in sé, lentamente, senza tempo, con un’angosciosa ricerca del contatto. Aldebaran, sempre attento, lo percepì, volò a recupere quella scintilla di fuliggine che aveva guidato un essere vivente di carne ed ossa: un portatore di anima genere di esseri viventi che il drago non aveva mai visto e nemmeno riusciva a concepirne la sostanza. L’anima era un carboncino nero e tremante tra le sue mani.

    -Devi essere stata assegnata ad un orribile cuore, se il male che ha fatto è riuscito a ridurti così-. Sussurrò a se stesso più che all‘anima in pena, pieno di infinita pietà.

    La Madre attendeva quella briciola di luce spenta per rincuorarla ed avvolgerla nel suo grande abbraccio mentre l’anima tremava impercettibilmente tra le mani del guardiano, tanto che lui esitò, nessuno avrebbe temuto di riunirsi al Tutto! Ma la compassione provata era così grande che vinse la diffidenza del drago guardiano, e lui adagiò il puro spirito tra le mani della Madre. Fu allora, solo allora, che seppe di aver fallito il suo compito di guardiano. Tra le mani di luce bianca la piccola anima sembrava in preda ai convulsi, soffriva al tocco della purezza, eppure non si staccava. L’energia della Madre cessò di disperdere anime ed esplose, tutta convogliata nelle mani, l’anima nera si disintegrò in piccoli granelli di polvere che avvolsero gli arti della Madre nutrendosi della sua stessa energia. Striature nere, come vene di fumo, coprivano ora i polsi che solo poco prima erano di candida luce, ancora più su verso gli avambracci, i rami neri avanzavano ed inghiottivano i flussi di candida luce.

    -Sigillami Aldebaran!- Ma lui esitava sopraffatto dall’orrore, dal rimorso di aver potuto evitare la tragedia e non aver saputo…..

    –Sigillami guardiano!- sempre più imperiosa la voce della Madre nella testa di Aldebaran.

    -Sigillami finchè non avrò sconfitto la malattia. Io sono l’unico baluardo posto a difesa del tutto, niente che sia infettato di Caos deve giungervi. Sigillami! I viventi dovranno camminare da soli finchè non avrò vinto questa battaglia. I miei cristalli di luce li hanno accompagnati per così tanto tempo che la mia armonia non morirà in un secondo, loro non devono cadere, loro sono gli unici ignari eredi del mio potere contro l’oscurità-.

    Aldebaran ricordava appena l’antica magia del Sigillo, non aveva mai immaginato che sarebbe giunto il momento di doverla usare, era stata creata come misura estrema, era la morte in vita della Madre, chiusa per sempre al Tutto, da sola a lottare con il Caos. Era anche la sua morte, usare il sigillo per il guardiano era non essere più nulla, non avere più un ruolo fino a che la Madre non fosse riuscita a sconfiggere il Caos che la stava divorando… o fosse stata dimenticata dal Tutto trascinando il ciclo della vita nell’oblio. Aldebaran esitò per la seconda volta e tre scintille bianche si staccarono dal corpo venato di nero, più scintillanti delle altre, create apposta più grandi per contenere più potere, esse rappresentavano l’ultimo aiuto che la Madre lasciava al Tutto, un concentrato di potere magico rilasciato nel vuoto con la speranza che non andasse perduto. Le tre anime, ignare dei fatti accaduti, incapaci per loro natura di comprendere la malvagità, seguirono il normale ciclo dell’ordine delle cose, andando verso il Mondo del Tempo per occupare il loro posto dentro ad un cuore vivente; ma questa volta la direzione non era stata segnata, non sapevano quale portatore le avrebbe ospitate. L’energia della Madre, concentrata nella difesa, non poteva più seguire il ciclo della vita e le tre scintille dovevano trovare da sole la via.

    -Fa presto o tutto sarà perduto!- Un’onda disperata partì dalla Madre, mentre si contorceva nella lotta tentando di trattenere l’orrore. Il drago guardiano spiegò le sue ali di porcellana e cominciò a volteggiare secondo l’antico rituale, ripetendo all’infinito una cantilena triste, i suo occhi cominciarono a lacrimare fili di madreperla che avvolsero la luce in una ragnatela sempre più fitta dalla quale, le fate d’acqua in preda al terrore, fuggirono rintanandosi nel Limbo del quale erano le artefici.

    Tra le fate, nella concitazione della fuga, una piccola goccia nera furtiva, riuscì a fuggire staccandosi dalle dita ormai infette della creatura che era stata solo Luce, uscì tra le maglie sempre più fitte delle lacrime di drago e cominciò a vorticare nell’acqua nelle scie fatte dal passaggio affannoso delle fate.

    Quando la ragnatela di lacrime divenne quasi un’unica superficie liscia e compatta, Aldebaran le soffiò sopra ed al posto della Madre ora non c’era altro che un enorme bozzolo, un’anfora di ceramica, impenetrabile. Il soffio divenne fuoco ed impresse il sigillo magico sul collo del vaso: il lavoro era finito, il sigillo sarebbe stato spezzato solo dall’interno o da un atto di purezza estrema compiuto da un’anima incontaminata.

    Per la prima volta il drago era totalmente solo e completamente inutile. Se una creatura magica, quale lui era, avesse vacillato e perso la propria ragione di vita, il Caos si sarebbe generato dal nulla dentro al suo essere; doveva vincere la solitudine, doveva lottare, come stava facendo ora la Madre, o non ci sarebbe stata più nessuna ragione per la loro esistenza. Rivide ancora gli ultimi attimi del suo mondo, fu allora che ricordò le tre scintille, le ultime tre scintille staccatesi dalla Luce e prive di ogni guida per raggiungere il mondo del tempo Cerca le tre anime si disse sono le uniche anime pure nel tutto, l’eredità della Madre: cercale e proteggile.

    Un nuovo incarico, una ragione per non svanire.

    Il drago guardiano seguì la scia delle tre anime verso il Mondo del Tempo.

    Nessuna scintilla conosce esattamente quale sarà il suo posto nella dimensione della vita, quale cuore cercherà di rendere candido, era la Madre che indicava la via, ogni particella vitale seguiva il flusso emanato dalla Madre fino al destinatario: ma ora la Madre non c’era più.

    Le quattro scintille arrivarono nel mondo dove si conta il tempo: tre candide e note, inseguite da Aldebaran, la quarta vagante all’insaputa del guardiano, sola, triste e scura, ma con un compito ben preciso, unica tra le quattro a sapere che il suo destino già designato era creare il caos, per questo cercava disperatamente un corpo da abitare, uno qualsiasi, poco sarebbe importato, essa sarebbe sempre stata l’essenza di Ogor il portatore del Male.

    Quattro anime, di cui tre senza destinazione, vaganti nel Mondo del Tempo in cerca di essere attratte da un essere che stava per vedere la luce, in queste condizioni solo il Caos avrebbe deciso la loro collocazione: una prima vittoria, l’anima nera, l’aveva già avuta.

    -Un corpo, Un corpo…..- Ossessivamente veniva ripetuto nel pulviscolo di energia: -…Un corpo per la missione.- Era quello che l’anima nera sentiva. Cercava un nuovo nato. Poi, ecco, l’assordante rimbombo di un cuore che impara a pulsare, l’anima nera si fuse col Tutto, ed il suo Tutto era quel piccolo nido di calore e affetto, quel batuffolo di sincerità, innocenza e devozione che è proprio dei cuccioli di qualunque specie essi siano; quindi l’anima nera divenne carne ed il Caos cominciò ad esistere nel Mondo dove si conta il tempo.

    Ogor aprì gli occhi dentro al suo nuovo involucro e davanti a sé vide le creature più improbabili alle quali avesse potuto aspirare. Non aveva memoria di quella specie, nel suo ultimo viaggio verso la conquista della Luce non esisteva nulla di simile, d’altra parte niente esisteva ancora che avesse aria, acqua, terra. Probabilmente è una nuova specie creata apposta per questo nuovo mondo pensò l’anima nera; ma subito dopo si avvide di una cosa che non aveva ancora considerato: quel corpo non era affatto adatto allo scopo di Ogor. Oltre ad essere piccolo e delicato, apparteneva ad una specie priva di poteri magici e di determinazione. Era un corpo che portava impressi i segni della storia della propria razza, nel più profondo di esso l‘energia nera poteva ancora percepire un arcano conflitto tra bene e male, tra luce e buio, un conflitto che quella razza aveva aggirato e dal quale era fuggita. La conseguenza di ciò, era stato un indebolimento della volontà del popolo che, dal momento della grande fuga, non era più riuscito ad affrontare decisioni senza tergiversare o aspettare che il caso decidesse per esso. La rinuncia alla lotta fatta in un tempo ormai inesistente, aveva avuto anche come conseguenza lo spoglio e la rinuncia di tutti i loro poteri magici, lasciandoli deboli ed insignificanti, capaci solo a rintanarsi in qualche nascondiglio sotto la superficie.

    Le sole forze magiche di Ogor, diventato energia nera e poi reincarnato nel corpo senziente più inutile che potesse trovare, non sarebbero bastate a sconfiggere l’Ordine delle cose, avrebbe dovuto rafforzare l’essere in cui aveva trovato dimora fornendogli energia vitale e magica in modo che potesse servire al Caos. Scopo facile da raggiungere solo pensando al fatto che l’indole della razza che lo stava ospitando, era priva di volontà propria, di conseguenza facilmente malleabile ed assoggettabile, da quel punto di vista Ogor avrebbe potuto governarli tutti ed usarli per i suoi scopi. Ci sarebbe solo voluto più del previsto per sferrare l’attacco alla Luce e avrebbe dovuto cercare energia per rafforzare l’essere che lo ospitava, forse a quel punto la sorpresa del suo attacco poteva non essere più tale per gli esseri della Luce. Ciò nonostante, quegli sciocchi non avrebbero potuto nulla contro il suo accresciuto potere anzi, avevano reso il suo lavoro ancora più semplice, riunendo tutta la Polvere nera in quel mondo che avevano creato, un serbatoio di Caos fedele solo a lui. Con un po’ di pazienza e recuperando il suo piccolo specchio nero, sarebbe riuscito a procurarsi abbastanza energia magica per poter comandare e tramutare il mondo in un luogo oscuro da dove sferrare i suoi attacchi alla Luce.

    2 - LA CONSEGNA DELLE VELE

    La Luce del Sole solcava le acque, elegante e maestosa, con la prua alta e larga in armonia con le tre file di vele tinte di rosso con bordi rigati in oro, tessute dalle donne di Solera coi colori del mezzogiorno per onorare il nome della loro città. La nave era ormai sulla rotta del ritorno, d’altronde l’inverno era alle porte e, sebbene il galeone fosse provvisto di ogni conforto per il viaggio, la stagione invernale era preferibile passarla tra le mura domestiche, in seno alle proprie famiglie.

    Swen il Rosso, re di Solera, aveva un motivo in più per desiderare quel ritorno, la sua regina aspettava il primo figlio e lui non voleva mancare.

    Quei tre mesi di viaggio, ora lo capiva, erano stati una scelta avventata, così come lasciare sul promontorio del castello la sua Lyra che tratteneva le lacrime per non rovinargli la partenza. Ma la gioia che gli traboccava dal cuore quando la sua amata regina gli aveva portato la notizia che sarebbe divenuto padre, era tanta che non poteva contenerla dentro al petto, né tantomeno tra le mura del suo palazzo. Perfino l’intera Solera fino ai confini dei Monti Appuntiti sembrava troppo piccola per riuscire a fermare quella cascata di felicità che gli sgorgava dal cuore.

    Aveva organizzato un viaggio semplice, seguendo la costa, proprio per toccare i paesi e le città che gli erano amici ed avere l’orgoglio egli stesso, non un ambasciatore, di dare la notizia e ricevere le congratulazioni nei vari porti che avrebbe toccato. La tappa finale era Garenith, dove avrebbe detto a re Gulthor e alla regina Morwena che presto sarebbero diventati nonni, poi sarebbe ritornato, abbondantemente in tempo per realizzare tutte le migliorie necessarie al castello per accogliere un neonato. Ora, ritto sul ponte, i capelli color fuoco sotto il sole del meriggio, Swen assaporava la via del ritorno e il momento in cui il calore delle esili braccia di Lyra avrebbe avvolto le sue spalle.

    Il giorno prima era stato salutato dagli abitanti dell’Isola Regina in festa. Con la nave colma di doni per il nascituro, la Luce del Sole aveva lasciato gli ormeggi del porto di Punta Nord giusto in tempo per essere accolti da uno stormo dei leggendari uomini aquilone che, con le loro ali di papiro multicolore, volteggiavano in splendide coreografie con dietro il sole del mattino. Swen ora voleva tornare al più presto a casa, Lyra gli mancava, ogni mattino al suo risveglio e ogni sera prima di addormentarsi vedeva il volto della sua amata regina pallido e teso mentre lo salutava dal giardino sul mare e non poteva fare a meno di rimproverarsi quel viaggio, fatto solo per soddisfare il suo orgoglio di futuro padre, che aveva costretto la moglie a rimanere da sola nei primi mesi di gravidanza, quando probabilmente la presenza del suo compagno le sarebbe stata di grande conforto.

    Per accelerare il viaggio il Re, in accordo con il Capitano Kelso, aveva tracciato una nuova rotta per il ritorno, non più seguendo la costa, ma in mare aperto dritto verso Solera. Gli uomini aquilone, con la loro esperienza millenaria del cielo e delle sue correnti, non annunciavano burrasche nell’imminente. Il viaggio non avrebbe comportato nessun rischio, entro il giorno dopo avrebbero salutato la città di Volta Sud e in una quindicina di giorni avrebbero scorto dal largo i grande faro di Torre di Faro. Ancora poche settimane e le case abbarbicate alla costa rocciosa di Solera, coi loro colori vivaci, sarebbero state visibili.

    Sul ponte l’equipaggio era allegro, salutava le bandiere issate sulle mura merlate di Volta Sud per porgere l’ultimo augurio alla nave da parte dell’Isola Regina. Gli uomini intonavano canzoni rigovernando la nave e ringraziavano il mare per quelle giornate serene e ventose che gli avrebbero fatti tornare in seno alle loro famiglie nel più breve tempo possibile.

    Quel pomeriggio al largo, dopo aver visto l’alto faro di Volta Sud sparire all’orizzonte, all’improvviso il vento smise di alitare.

    Il sole alto, a picco sul mare, con al sua sfera enorme era quasi minaccioso, aveva un che di sinistro e le canzoni intonate dall’equipaggio si fecero più lente. La circonferenza dell’astro sembrava prendere quasi tutto il cielo, dilatata dall’afa pesante che saliva a spirale dalla piatta superficie dell’acqua. Fu il primo di parecchi giorni tutti uguali, giorni di imprecazioni, di scoramento, di speranza e, alla fine, di paura. Niente davanti niente dietro, fermi dentro ad una immaginaria bolla di stabilità, priva di uccelli e pesci, solo silenzio e il lento sciabordio dell’acqua mossa dai remi: impercettibile, immobile. Molte le storie che gli uomini si raccontavano, per poter spiegare quel maleficio: …qualche dono per il nascituro sicuramente era stato stregato da parenti invidiosi, …la maledizione di una donna conosciuta ed abbandonata troppo in fretta in qualche porto. Alla fine anche la superstizione degli uomini del mare perse volontà consumando anime, cibo e acqua, lasciando solo disperazione, fame e sete. Nonostante questo, il re scrutava il cielo, il desiderio di tornare era troppo forte per lasciarsi andare alla deriva, nessuna bonaccia era eterna, nessun fenomeno durava per sempre, i pesci sarebbero tornati e con loro gli uccelli ed il vento che avrebbe finalmente tolto gli uomini stremati dai remi. Sul ponte, sempre al fianco del re, il capitano si passò il dorso della mano sulla fronte, gli occhi ridotti a fessure per contrastare il riverbero del sole sull’acqua del mare, forse fu la luce accecante, forse il caldo umido o il sudore tra gli ispidi capelli neri, ma ad un certo punto, come un lampo, gli sembrò che il sole vomitasse nuvole di piccoli insetti, talmente veloci che il suo occhio abituato a cogliere ogni piccolo bagliore, non riusciva a seguirli; erano un guizzo nel cielo, un’esplosione di buio.

    -Mio re- così si rivolse il capitano all’uomo che gli stava a fianco.

    -Dimmi Kelso-

    -Una strana burla mi ha giocato questo caldo, ho creduto di vedere granelli di cenere uscire dal sole per tuffarli in mare-

    Il re sorrise stanco: -Niente di migliore che ci faccia sperare di trovare acque conosciute?- Gli posò una mano sulla spalla, benevolo, come un amico imbattutosi nella stessa sventura.

    -Purtroppo no mio re. Oggi il sole sembra ancora più rovente di ieri ed il mare è più caldo del piscio, forse per questo i pesci se ne stanno alla larga.-

    -Vedi Kelso, per ogni fenomeno c’è una ragionevole spiegazione, ed ora tu hai fornito il motivo per cui i pesci sono scomparsi; del resto anche noi, potendo, ce ne staremmo alla larga da questo brandello di mare.- La risposta leggera voleva nascondere quello che preoccupava il re e che Kelso sembrava non aver notato. Fu col battito rallentato del cuore che Swen si voltò indietro sperando di non vedere ancora ciò che temeva, ma ancora una volta, osservava l’impossibile: la nave avanzava lenta spinta dalla disperazione dei rematori ma non lasciava scia sul filo dell’acqua, né increspatura di onde, guardando il mare a poppa, loro sembravano immobili.

    -Gli uomini ai remi sono stremati dal caldo e dalla fatica, ancora un giorno e anche le ultime razioni di acqua finiranno. Alla fine saranno sirene e tritoni a decidere sulla nostra fine.- Continuò il capitano.

    Essere in balia del popolo del mare non piaceva a nessuno. I fondali marini erano spezzettati in una miriade di regni e contee in continuo mutamento, dato che tritoni e sirene erano in continuo conflitto tra di loro e sempre alla ricerca di nuove alleanze da contrapporre ai regni confinanti. Nemmeno un esperto marinaio con l’ausilio di un ambasciatore del popolo del mare, avrebbe saputo dire se, sotto di loro, il fondale gli fosse amico od ostile. Si narrava di ambasciatori tritoni che, tornati a casa dopo brevi missioni sulla terraferma, erano stati giustiziati dai nuovi tenutari del loro regno marino saliti al potere grazie a violenti e repentini colpi di stato. Oltre a questo, per i naviganti incauti, spesso c’erano strani balzelli o dazi da pagare anche se si passava in acque amiche, come quello capitato a Kelso in uno dei suoi primi viaggi: spaventare mille gabbiani affinché non si cibassero del pesce allevato dalla tribù di tritoni padrona del tratto di mare attraversato dalla nave.. Sempre nello stesso viaggio un altro membro dell’equipaggio raccontava che una volta aveva dovuto contare le acciughe che transitavano in un certo posto, allo scopo di sapere se la contea subacquea vicina ne avesse trattenute più del necessario. Tutto ciò portava via un sacco di tempo ed energie ai viaggi per nave, quindi ogni navigatore teneva aggiornate il più possibile le carte politiche dei fondali per non incappare in strane richieste o, peggio, in fraudolente falle negli scafi. Ora, quella anomala bonaccia, la scomparsa di ogni riferimento costiero conosciuto che avrebbero già dovuto raggiungere seguendo la rotta a destra dell’aurora, turbava i loro pensieri non meno della ripartizione del fondale sottostante.

    Il Re chiuse gli occhi nel tentativo di cancellare quella assurda assenza di onde, in quell’attimo un leggero sussurro di vele lo fece voltare. I rematori stavano alzando lo sguardo mentre un rumore di onde leggere si diffuse nell’aria.

    -I signori del mare possono aspettare ancora per le nostre carcasse, il tempo gira!- Il re sollevato diede due pacche sulle spalle di Kelso e si sporse dal parapetto per godere di quella piccola increspatura delle onde.

    Gli uomini sentivano il vento asciugare il sudore della pelle, vedevano le vele gonfie e negli occhi apparve la salvezza: i remi non servivano più.

    Swen sorrideva a quella rinata volontà, ma ugualmente osservava Kelso imperturbabile al suo fianco.

    -E’ impossibile mio re!... E’ impossibile che il tempo muti così in fretta.- Disse piano Kelso senza mai perdere di vista l’orizzonte. -Sono giorni che scruto il cielo, non c’è mai stata una nuvola…. Ed ora arriva il vento mentre il sole brucia le carni e la sua luce ci acceca ancora.- Il tono di Kelso era aumentato, nonostante il Re gli fosse accanto, lo sentiva malamente tanto in poco tempo era aumentata l’intensità del vento.

    I marinai, lasciati i remi e rinfrancati dalla speranza di giungere finalmente in porti sicuri, correvano per governare le vele, incapaci nell’euforia di notare quanto strano apparisse quel fenomeno.

    Tutto durò per una mezz’ora circa, un piccolo lasso di tempo che mise a soqquadro l’intera nave, il vento forte strappò le vele mentre il sartiame dell’albero di prua frustava l’aria ed i malcapitati che gli erano a tiro, poi, misteriosamente come era venuto, il vento di colpo cessò.

    L’equipaggio era smarrito, perso in quel gioco di cui loro si sentivano le pedine mosse da una volontà sconosciuta.

    -Siamo dentro ad una trappola elfica!- Esclamò uno dei marinai, facendosi portavoce dei pensieri di tutti, tutto quello che stava succedendo non aveva altra spiegazione che la magia.

    -Trigo gli elfi non si sprecano con noi! Avanti, gettate in mare le vele strappate dal vento e poi ai remi!- Kelso non poteva fare nulla contro la superstizione della gente di mare, doveva dargli qualcosa da fare per non farli pensare e doveva minimizzare ogni riferimento ad una sorte avversa.

    -Capitano! Vi hanno sentito tutti urlare al vento che questo tempo è innaturale!-

    Mentre Kelso cercava nella sua testa una buona ragione da appore al suo interlocutore, da prua il mozzo urlò: -Terra! Terra!- Il ragazzino saltellava come un indemoniato, il primo ad avvistare quella misera striscia di ocra e verde all’orizzonte era stato lui, l’ultimo arrivato, e ciò lo riempiva prima di orgoglio e poi di felicità.

    Swen e Kelso si guardarono per un fuggevole momento dritti negli occhi, quella terra era troppo vicina per non averla vista prima, il vento in mare non viene forte e burrascoso senza una burrasca, non se ne va senza lasciare traccia; ma l’equipaggio era rinvigorito da quella striscia di terra, i marinai scesero ai remi senza ricevere nessun ordine, i dubbi dei due uomini morirono in quello sguardo scambiato.

    All’avvicinarsi, la terra avvistata si stava rivelando un isolotto con una vegetazione rigogliosa, mai scorta prima a quelle latitudini, uccelli variopinti ora arrivavano quasi fino alla nave, tutti ne rimanevano estasiati, dopo l’inferno sembravano aver raggiunto il paradiso.

    Sotto coperta, nella stanza di comando, Kelso raggiunse il suo re, egli era in piedi con le mani poggiate sul tavolaccio su cui svariate carte nautiche erano state srotolate, comprese quelle dei fondali. Il capitano lo vedeva solo di spalle, ma non serviva scorgergli il viso per sapere che la sua fronte era corrugata e i suoi occhi azzurri più profondi del solito. Le spalle del re non erano curve per la posizione, portavano il peso della paura per quello che li circondava e ciò che stava accadendo era tutto incomprensibile, senza regole plausibili.

    -Prima una burrasca senza pioggia, ora un’isola dove prima c’era acqua di mare profonda.- Il re pensava ad alta voce, chiedeva a se stesso: -Su nessuna carta è riportato niente di simile anche pensando di essere finiti fuori rotta di molti sbuffi di calamaro.- Non aveva paura di mostrarsi debole o vulnerabile, stimava troppo il capitano per ritenerlo preda di facili conclusioni.

    -Consigliami Kelso, come facevi con mio padre, dimmi che c’è una spiegazione a tutto questo.-

    -Da più di 20 anni sono sul mare, ho cominciato come mozzo, poi marinaio…. Qualche volta ci sono finito anche sotto al mare, con navi vecchie e consumate dalla salsedine: non riesco a ricordare nessun episodio simile, nessun caldo simile; non riesco a ricordare nessun racconto fatto da marinai sotto coperta la notte o parole dette sul ponte guardando le stelle. Niente di tutto questo è mai accaduto ad alcuno.-

    Le labbra del Re si incurvarono il un sorriso triste: -Avrei preferito che mi raccontassi che i tritoni avevano innalzato un’isola al solo scopo di farcela aggirare, oppure che gli elfi avevano fatto una magia….-

    -Sapete bene che i tritoni non hanno familiarità con terra e roccia, siamo noi della terraferma che costruiamo i loro muri di confine quando ce lo impongono come pedaggio. Per quanto riguarda gli elfi, loro non vanno per mare, l’acqua salata gli ustiona la pelle, e noi tutti sappiamo che le manipolazioni elfiche esistono solo dove c’è un elfo.-

    I versi degli uccelli e degli altri animali presenti nell’isola, ora riempivano col loro fragore tutta la sala di comando.

    -Ho bisogno di una spiegazione.- Disse il re parlando ancora a se stesso. I suoi nobili lineamenti non sembravano più quelli di un fiero giovane uomo, bensì quelli di chi per la prima volta si trova a dover affrontare un ignoto che sembra ostile ed avverso e, incontro ad esso, avrebbe dovuto andarci anche con tutti i suoi uomini.

    Dietro l’occhio di vetro e la cicatrice che si nascondeva sotto la barba nera striata di grigio, anche Kelso cercava una spiegazione, per sé e per il suo Re.

    -Molti anni fa, in un porto molto a sud delle isole delle Perle, un vecchio raccontava di una terra gialla, infuocata dal sole, dove non esiste né acqua, né pianta o albero che sia, in quella landa desolata il sole è talmente forte che fa vedere cose che non esistono. Il vecchio li chiamava miraggi. Ecco questa potrebbe essere una spiegazione.-

    -Vuoi dirmi che il caldo di questi giorni farebbe vedere a tutti noi la stessa cosa, comunque inconsueta? Mi sembra poco probabile, ma se anche fosse questo, mio caro Kelso, non mi consola affatto, perché se ciò che vediamo è solo immaginazione, significa che nella realtà siamo ancora prigionieri del mare.-

    Kelso si strinse nelle spalle, strano atteggiamento per un uomo fiero come lui, ma erano talmente aliene le cose che stavano succedendo che, nonostante la sua età ed esperienza, si sentiva perduto. Il re sorrise divertito, e Kelso non potè fare a meno di pensare come l’uomo che aveva visto ragazzo e poi giovane re, oggi fosse così forte da riuscire a trovare l’ironia anche dove c’era solo paura.

    -Bene Kelso, allora i primi uomini che scenderanno a terra si troveranno una bella sorpresa, dovranno nuotare nel mare calmo della realtà in cui stiamo e magari ai loro occhi sembrerà di nuotare nella sabbia della spiaggia.- Anche Kelso rise immaginando la scenetta.

    Era ormai il tramonto e l’isola era molto vicina, un marinaio scese sotto coperta per chiedere il permesso di gettare l’ancora, trovò il capitano ed il re che ridevano divertiti e risalì all’aperto sollevato nel constatare che i suoi comandanti non erano preoccupati per quello che da molti giorni stava capitando attorno a loro. Dietro a lui salirono in coperta anche il re e il capitano, curiosi di vedere da vicino quella nuova terra.

    La palla del sole stava scendendo nel suo letto e la foresta rigogliosa dell’isola risultava buia ed ostile, piante mai viste ed intrichi di liane ne rendevano l’aspetto estraneo agli uomini esausti che dalla nave la stavano rimirando. L’impressione bizzarra era rafforzata dallo strano gracchiare di uccelli ed il verseggiare di animali che quei marinai non avevano mai udito, pur avendo toccato infiniti porti. Se non fosse stato per la quasi mancanza d’acqua potabile a bordo della Luce del Sole, mai il capitano avrebbe dato l’ordine di sbarcare al tramonto, in un posto strano e mai esplorato prima, ma la necessità di fare provviste lo costrinse a decidere diversamente.

    -Avanti ragazzi dividetevi a metà, una parte resterà sulla nave in caso si debba salpare, l’altra metà scenderà a terra in esplorazione e alla ricerca di acqua e cibo.- Appena l’equipaggio fu diviso, Kelso scese dal ponte: -Bene uomini, alle scialuppe!-

    -No Kelso. Esplorerò io con i volontari quest’isola.- Lo fermò Swen.

    -Mio re, nell’isola potrebbero esserci tribù ostili o chissà che altri pericoli.-

    -Proprio per questo sbarcherò io, tu sei il capitano della nave, l’unico che può dirigere i lavori di riparazione delle vele e riportare sani e salvi i superstiti a Solera.- Poi aggiunse sottovoce solo per Kelso: -E in caso non tornassi tu sei l’unico che può abbracciare la mia regina mettendo in quell’abbraccio tutto il mio affetto.-

    Il re poggiò la mano sulla spalla di Kelso, si staccò, raccolse lo scudo, infilò il suo stiletto nel fodero sotto l’ascella, agganciò la guaina della spada alla cinta, incrociò l’avambraccio all’amico in segno di saluto: -Aspetta una notte e un giorno, poi salpa senza voltarti indietro.-

    -Si mio re, una notte e un giorno, poi salperò.- Kelso abbassò lo sguardo, il suo cuore era chiuso in una morsa mentre guardava il suo re remare verso riva.

    La spiaggia si inabissava velocemente e l’intrico di vegetazione cominciava dopo pochi metri di sabbia. La foresta principiava immediatamente alta e fitta, non c’era il dolce degradare del paesaggio al quale erano abituati, mentre il sole era sempre più nascosto dall’orizzonte e la luce crepuscolare alle porte, affrontarono l’entroterra entrando tra la boscaglia; la loro visita all’isola sarebbe stata un susseguirsi di ombre.

    I ventuno uomini dovettero sguainare le spade per farsi largo tra le liane e la rigogliosa vegetazione. Dentro la macchia, la fievole luce del crepuscolo, faticava a filtrare, ma di tanto in tanto si rifletteva su enormi fiori dagli sgargianti colori. Uccelli gracchianti volavano tra le foglie che li rendevano invisibili agli occhi dei marinai, il caldo e l’umidità erano insopportabili.

    Era buio ormai quando l’apripista colpendo con la spada il sottobosco, mandò il suo colpo a vuoto, la vegetazione era di colpo finita, analogamente a come sulla spiaggia incominciava di colpo, la Luna stava illuminando la radura che avevano raggiunto, era un enorme cerchio regolare di terra nera, forse bruciata dal sole. La sua circonferenza era delineata dall’intrico della vegetazione. Gli uomini avanzarono cauti allo scoperto: davanti a loro il re. La foresta, per quanto estranea ed ostile, era pur sempre un riparo che ora dovevano abbandonare se volevano trovare l’acqua. D’improvviso un forte vortice di vento sollevò la terra granulosa e li avvolse tutti rendendoli ciechi, li sollevò spostandoli di qualche decina di metri e poi si dissolse nel buio.

    Ora, al centro della radura c’erano diciannove uomini più il re, venti persone impaurite che tossivano e si sbattevano via la terra di dosso, rimettendosi in piedi al chiarore della Luna. Fu Swen che aprì gli occhi per primo. Al centro di quel cerchio perfetto ora c’erano quattro imponenti statue di granito raffiguranti uno strano essere con uno specchio di cristallo nero sulla testa deforme. Al centro del quadrato immaginario che le statue disegnavano, c’era un cucciolo, un cucciolo di tritone; doveva avere poche settimane, forse solo giorni, se ne stava immobile al centro di una pozza di fango scuro. All’inizio credettero fosse morto, un tritone, per giunta piccolo, fuori dall’acqua non poteva respirare facilmente e non avrebbe mai potuto ritornare nel suo elemento dal centro dell’isola. Restava un mistero come fosse giunto li, ma non era morto: i suoi occhi si aprirono come fari nella notte. Tutto era inquietante, ma quell’essere ricoperto di fango, era raccapricciante, avrebbe fatto distogliere lo sguardo a chiunque. Non era la sua pelle grinzosa con chiazze senza squame, da neonato in sofferenza, nemmeno la piccola coda di pesce divisa quasi a metà e screpolata per la mancanza d’acqua; era la sua aura, i suoi occhi… Occhi enormi, spropositati per la grandezza del viso, con l’iride gialla che nessuno di loro riusciva a smettere di fissare e fissandola, si sentirono vuoti dentro, come alla fine di un baratro senza speranza con solo quella luce gialla, fissa, come guida di salvezza. I loro pensieri, desideri, quello che erano svanì, le loro menti furono completamente soggiogate a quegli occhi e loro si persero in essi.

    Quando la luce svanì, si trovarono seduti sul ciglio di una radura più o meno circolare, l’erba umida odorava di fresco sotto la luna piena, si guardarono l’un l’altro inebetiti, ognuno leggendo negli occhi dell’altro la stessa domanda L’hai sognato anche tu? perché di questo si trattava, erano concordi tutti, di un sogno puro e semplice. La domanda che subito dopo si posero fu Come mai tutti lo stesso sogno? e qui Swen venne in loro aiuto raccontando quello che poche ore prima aveva sentito da Kelso.

    -..un miraggio, ragazzi miei, solo un miraggio. Se fossimo frequentatori delle coste al di là delle Porte Sud, riconosceremmo sicuramente questi inganni che la mente umana fa quando si trova nelle avversità.-

    Si, era possibile, comunque al loro ritorno avrebbero sempre potuto chiedere al capitano di raccontare quella stessa storia, così, tanto per verificare. Fu a quel punto, grazie ai primi raggi che giungevano da est, che il piccolo mozzo che non era riuscito a tenere il passo dei compagni, riuscì finalmente a guadagnare il sentiero aperto dagli altri, ed uscì nella radura dove, poco lontano, stavano parlottando i marinai.

    - Ehi!- li chiamò alzando il braccio, dirigendosi verso di loro:- Vi siete dimenticati qualcosa qui!- Deviò verso il centro della radura, dove gli altri avevano sognato una pozza di fango e un cucciolo di tritone, e raccolse un sacco da cui usciva una tela finissima, liscia al tatto, nera come la pece e leggera più dell’aria.

    -No! Vieni via da li.-

    Nessuno di loro era veramente convinto di aver visto un miraggio.

    Il mozzo li raggiunse con il sacco in mano senza capire perché quei venti pezzi d’uomo sembrassero allarmati, addirittura spaventati, da lui.

    -Signori, vi eravate dimenticati le vele!- Disse il mozzo porgendo loro il sacco. I marinai passavano lo sguardo dal mozzo al sacco senza decidersi a prenderlo: -Allora? Le vele.-

    -Quali vele, pezzo di manigoldo sfaticato! Da dove vieni.-

    -Nessuno di voi mi ha aspettato stanotte, sapete bene che non ho una spada per farmi strada, mi sono perso.- Rispose il ragazzino.

    -Ora che ci penso, tu sei mezzo elfo.-

    -Si, dalla nascita, non hai mai notato le mie orecchie a punta?- Disse sornione accartocciando le punte delle orecchie che spuntavano dai capelli arruffati.

    -Meno spirito ragazzino! Quello che voglio dire è che tu sei come quelli li, conosci la magia. Hai architettato un bello scherzetto stanotte ed ora ti vieni con questa bravate delle vele.-

    -Già, come fai a sapere che sono vele?- Trigo diede man forte al suo compagno.

    -La tela che esce ha gli orli e i fori per fissarle agli alberi della nave.- Rispose il mezz’elfo con fare da saputello.

    Un terzo marinaio aprì la bocca per ribattere, ma vedendo la stoffa ciondolare dall’apertura del sacco si rese conto che quello che diceva il ragazzo era ovvio, si sentì troppo ebete per ribattere e la richiuse. A quel punto però a tutti era chiaro il fatto che tutto ciò che avevano vissuto durante la notte era reale come la terra che stavano calpestando e l’aria che respiravano.

    Quello era uno strano posto, sicuramente malvagio, dovevano andarsene al più presto, tornare alla nave e salpare il più velocemente possibile.

    Visto che le vele servivano davvero per andarsene dall’isola dato che le loro erano andate completamente distrutte nella burrasca, Korlok dimenticò ogni superstizione e strappò di mano il sacco al mezzelfo. -Da qua ragazzino, dobbiamo vedere se tutta la tua grande esperienza di navigatore è riuscita anche ad indovinare se queste vele vanno bene per noi.- Gli disse tra il burbero ed il divertito.

    Le vele non pesavano affatto ed occupavano uno spazio veramente piccolo, le tirarono fuori dal sacco e le spiegarono per controllarle: erano vele grandi e resistenti, di un colore insolito ma belle, tutti le toccavano e le rimiravano rapiti. Era così strano quello spettacolo quasi di adorazione, che il mozzo si sentì di affermare sornione: -Ricordate che le ho trovate io!-

    -Zitto mezzosangue.- gli rispose secco Korlok. Il ragazzo avvertì un brivido di paura corrergli lungo la spina dorsale incrociando il suo sguardo, occhi che per un attimo gli erano sembrati color della lava incandescente però freddi, pieni di terrore. Fu solo un attimo, un lungo attimo, sufficiente a convincerlo a camminare in retroguardia, rischiando di perdersi di nuovo, quando la colonna di uomini, ripiegate le vele dentro al sacco e caricato quest’ultimo in spalla, prese la pista della notte prima per tornare verso la spiaggia.

    Nel tragitto, il sacco passò di spalla in spalla, l’ultimo ad aver l’onore di portarlo fu il re. Il gruppo arrivò alla nave cantando canzoni di mare, erano tutti di buon umore, avevano trovato un tesoro: vele fatte di stoffa invincibile.

    Alla luce del sole videro che l’isola era piena di alberi da frutto, uccelli che si facevano prendere con facilità e un piccolo rigagnolo, che correva nascosto sotto le enormi foglie di felce, avrebbe fornito alla nave tutta l’acqua necessaria. Dopo un buon riposo sarebbero stati visti tonici e pronti a darsi da fare per riempire la stiva con tutto quel ben di Dio.

    Il mozzo li seguiva più indietro, attento a non perdere la scia delle canzoni davvero inopportune in una terra sconosciuta. Aveva fatto notare che il troppo chiasso avrebbe attirato eventuali nemici, ma era stato zittito in malo modo. Negli occhi degli altri vedeva lo stesso lampo che aveva scorto negli occhi di Korlok alla

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