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La Profezia dei Gemelli - L'Epilogo
La Profezia dei Gemelli - L'Epilogo
La Profezia dei Gemelli - L'Epilogo
E-book411 pagine5 ore

La Profezia dei Gemelli - L'Epilogo

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Info su questo ebook

“L’Epilogo” è la seconda e ultima parte del romanzo “La profezia dei gemelli”, iniziata con “La Riunificazione” e che ci ha lasciato con la misteriosa scomparsa di Argelia.

Il Consiglio dei Cinque affida a Matilde e Tommaso un incarico molto importante. I due gemelli devono preventivamente recuperare cinque oggetti sacri affidati a una ex studentessa del San Gregorio. Essi sono necessari per assolvere un volere divino, qualora il verificarsi di un evento lo richieda. La probabilità che si verifichi è alta, perché le predizioni della grande veggente Iolanda Ioli si sono sempre avverate…

Infatti, presto si svela l’enigma della sparizione di Argelia. Ella è tornata e non da sola… Era andata a consegnare il frutto di un lungo ed estenuante lavoro e per farlo si è macchiata di una grave colpa. Adesso pretende la ricompensa che le fu promessa.

Altea, l’altra gemella, è invece esonerata dall’incarico, ma questa futile decisione è l’inizio di una serie di eventi che compromette la riuscita della missione di Matilde e Tommaso.

Quando tutto sembra perduto, un uomo e una donna giungono inattesi a offrire il loro aiuto.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2020
ISBN9788831678537
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    Anteprima del libro

    La Profezia dei Gemelli - L'Epilogo - Sandra Palmisano

    PARTE

    Un salto indietro

    Mondo di Sopra, anno 3070

    Il drago dorato fissò il grosso tomo, rilegato in cuoio scuro e con borchie dorate, e tornò con la memoria al giorno in cui lo prese in consegna. Il nobile mago, cui aveva reso dei servigi, glielo affidò in punto di morte col compito di custodirlo e proteggerlo anche a costo della vita. La più grande e completa opera incantatoria mai esistita, un pezzo unico e di inestimabile valore, così quel mago decantò il Libro delle Ombre, consegnandoglielo avvolto in un panno scuro. Il drago dorato accettò l’incarico pensando che l’uomo avesse enfatizzato la semplice richiesta di prendersene cura, non immaginava certo che di lì a breve il drago nero avrebbe cercato d’impossessarsene. Al servizio di un figuro oscuro, il suo simile lo aveva già attaccato più volte. Finora il drago dorato era riuscito a difendersi. Tuttavia, i segni riportati nella lotta evidenziavano la supremazia dell’avversario. Il drago nero apparteneva a una razza di draghi con possente corporatura e di temperamento bellicoso; draghi poco intelligenti e piuttosto crudi nei rapporti sociali, facilmente soggiogabili e sempre pronti a servire il miglior offerente di malvagità dietro lauta ricompensa. Molto forti e resistenti ma distratti e superficiali, di questi draghi se ne contano pochi esemplari, poiché essi non si curano neppure della loro nidiata che è sovente depredata da altre creature. Proprio per le loro caratteristiche, non sono mai stati accettati all’interno delle diverse comunità di draghi, ma a questo non danno molto peso preferendo vivere isolati, fino a quando, però, qualcuno o qualche particolare circostanza non gli offre l’occasione di vendicarsi di quei clan così socievoli, ben organizzati e stimati dagli umani. Allora non se la lasciano sfuggire, appagando la loro necessità congenita di elargire sofferenza.

    Il drago dorato, Landór, questo era il suo nome, aveva fatto giuramento di proteggere il Libro delle Ombre, e per un drago il giuramento è inviolabile e riservato. Per questa ragione, non aveva mai chiesto aiuto nel gestire la faccenda, tantomeno aveva chiesto l’aiuto dei Guardiani degli Elementi. Non vi era, infatti, un illecito sull’uso della magia, ma una disputa sul possesso di un libro, anche se di magia ne era pieno. I Guardiani sono i soggetti di un’istituzione ancora in essere. Si tratta di quattro draghi scelti tra i più valenti, dotti e saggi, senza distinzione di sesso, per coadiuvare il lavoro del GAM¹ nella gestione degli abusi nell’utilizzo delle arti magiche. Ognuno dei quattro elementi è gestito da un genere di drago: un drago azzurro per l’Aria, uno dorato per la Terra, uno verde per l’Acqua e uno rosso per il Fuoco.

    Svaniti i ricordi, gli occhi di Landór si risvegliarono sul grosso tomo; lo scosse, lo rigirò con una zampa e lo abbatté con forza sull’altra, chiedendosi se il suo contenuto fosse davvero più prezioso della sua vita. Era vivo da poco più di due secoli, tempo che nell’arco vitale di un drago corrisponde appena a un quarto del suo corso, e adesso quel voluminoso e pesante libro avrebbe potuto decretarne la fine repentina. Non erano le profonde ferite su tutto il corpo a indurlo a un ripensamento, ma le minacce ricevute contro la sua famiglia. A quel prezzo non era più disposto a restare vincolato al giuramento. Sganciò la fibbia che lo teneva chiuso, poi infilò delicatamente un artiglio tra le pagine, in un punto a caso, e aprì il libro per la prima volta.

    «Ci hai sempre detto che non dovevamo aprirlo, che neppure tu lo avresti fatto.» La voce stupita del giovane drago giunse inattesa alle sue spalle, e lui richiuse di scatto il volume che emise un tonfo profondo. Æronmì lo stava guardando con occhi increduli e una smorfia di sfiducia gli deformò il muso. In quel momento giunse anche Ɛriƶian, la sua compagna, una dragonessa azzurra, che lesse negli occhi del suo compagno qualcosa che andava oltre l’imbarazzo.

    «Tuo padre avrà avuto un buon motivo per farlo. Sicuramente. Adesso vai di là a dormire, lasciami parlare con lui.»

    «Voglio sapere anch’io perché lo ha aperto» protestò.

    La dragonessa chinò il lungo collo e con la testa lo spinse in direzione dell’imbocco dell’attigua galleria.

    «Ci ha mentito!» bisbigliò all’orecchio della madre.

    «Vai subito di là e obbedisci» rispose lei con fermezza, ma senza omettere dolcezza nel comando.

    Il Giovane drago si allontanò lentamente e controvoglia. Camminando girò la testa e incontrò lo sguardo vigile della madre che seguiva i suoi movimenti. Si rigirò e mogio mogio se ne andò con la testa penzoloni.

    «Allora?» chiese la dragonessa quando il figlio fu lontano.

    «Che cosa è cambiato?»

    «La posta in gioco.»

    «Credi di trovare la soluzione lì dentro?» disse lei guardando il libro.

    «Voglio accertarmi se non sia il caso di distruggerlo, prima che il drago nero riesca a portarmelo via.»

    «Intendi disfarti del libro? E il tuo giuramento?»

    «Resto legato al giuramento fatto, ma non credo di essere in grado di proteggere questo libro a lungo. Devo perciò valutare la probabilità che finisca in mani sbagliate e che ciò che di prezioso contenga sia usato a fini malvagi. Ho in mano la più completa opera incantatoria al mondo, sono certo che conterrà incantesimi di ogni genere», la guardò con una certa eloquenza, «mi spiego?»

    «Sicuro, parli di magia nera. Non credo, tuttavia, che tu voglia davvero distruggere un libro d’inestimabile valore, come lo hai sempre definito. Perché non lo consegni a quelli del Consiglio?»

    «A dire il vero, ci avevo pensato... Vedi cara, mi convinco sempre più che questo libro non appartenesse al mago che me l’ha dato, ma che in qualche modo ne fosse anche lui il custode. Solo che non è riuscito a dire molto prima di spirare. Ho indagato con discrezione presso il GAM e gli uffici del Consiglio, ma pare che nessun volume sia dato per disperso o trafugato. Perciò ho continuato a conservarlo personalmente, evitando di mettere in pericolo altre persone. Il drago nero non si fermerà davanti a nulla, pur di entrarne in possesso. Ha minacciato di far del male anche a voi due» disse lanciando uno sguardo in fondo alla galleria per assicurarsi che Æronmì fosse sempre laggiù. «Per questo vorrei che vi rifugiaste in un luogo sicuro» aggiunse a bassa voce, senza distogliere lo sguardo.

    «Sospetto che il mandante sia Haltheyvan III.»

    «Haltheyvan III?» ripeté lei, allibita.

    «Sì, proprio lui, il druido. Uno dei più perfidi della sua discendenza, se non il peggiore: quella degli Haltheyvan è una lunga stirpe. Perfino gli altri druidi li temono e li schivano.»

    «So chi sia. Credi che non ne abbia mai sentito parlare? Più di un millennio fa, un intero clan di druidi si rifugiò nel Mondo di Sotto, stanco di avere a che fare con gli Haltheyvan. Anche se... mi sarei aspettata di sentirti fare il nome di Haltheyvan IV, oppure del giovanissimo Haltheyvan V detto il Giovane², ma Haltheyvan III è un uomo molto vecchio: cosa potrà mai farsene del libro a questo punto?»

    «È quello che stavo cercando di scoprire» fece lui pensando, finalmente, che fosse giunto il momento di aprirlo.

    «Anch’io voglio aiutarti a trovare le cose brutte che ci sono nel libro» disse Æronmì. Rasentando le pareti in ombra della sua stanza preferita della caverna, quatto quatto si era avvicinato e aveva cacciato fuori la testa, affacciandosi nel primo ambiente.

    «Torna di là! È notte fonda» intimò il padre. Lo guardò dritto negli occhi ed emise uno sbuffo di vapore da entrambe le narici. «E queste non sono cose per te.»

    «Ma io sono grande», protestò lui con faccia tosta e senza timore, «Ho ben centodiciassette anni.» Si postò con le zampe anteriori incrociate ed emise anche lui uno sbuffo di vapore.

    «Smettila Æronmì. Sai bene di avere soltanto quarantasette anni: sei un drago adolescente. E quando io ti dico di andare di là, tu vai di là. Intesi?» Æronmì stava per abbassare lo sguardo e voltarsi, ma capì che sua madre stava per intervenire e si girò fiducioso che l’avrebbe difeso.

    «Mio caro Æronmì, non riesco proprio a comprendere la mania che ti è presa, da un po’ di tempo a questa parte, di aumentarti l’età. Tutta questa voglia di crescere in fretta! Fra soli quattro anni sarai un adulto giovane e allora dovrai assumerti già alcune responsabilità. Dà tempo al tempo» disse sua madre, col tono dolce di cui le sue parole mai erano prive.

    «Mamma, il tempo è molto noioso! Trascorre troppo lentamente, e io non vedo l’ora di diventare il Guardiano dell’Aria» fece lui, aggiungendo fervore e orgoglio nel nominare la nobile mansione.

    «Come se a deciderlo fosse lui!» ironizzò il padre.

    «Aspetta e vedrai» si levò la voce fiera e convinta del drago adolescente.

    «D’accordo, resta pure: poiché, se il destino vorrà che questo libro rimanga in mio possesso per molto tempo ancora, io, Landór, un giorno sarò costretto a passarti le consegne. Capisci anche tu che non potrà rimanere incustodito. Tuttavia, non sarai vincolato a nessun giuramento, quindi potrai deciderne liberamente le sorti.» Æronmì si galvanizzò a quelle parole, sentendosi investito, finalmente, di una responsabilità importante, anche se futura. Almeno, quella era la certezza del momento.

    Landór tagliò il libro a metà: le grandi pagine, dalla grana spessa e porosa, sprigionarono tutto il buon odore della carta invecchiata. I caratteri molto ampi e ben marcati della grafia sarebbero risultati ben leggibili anche agli occhi stanchi e catarattici di Haltheyvan III. Sfogliò qualche pagina e quando trovò l’incantesimo e la formula per mezzo della quale un gemello elementale avrebbe potuto sottrarre temporaneamente i poteri al proprio gemello, gli sembrò davvero una cosa terribile, un’azione che avrebbe visto l’immediato intervento dei Guardiani degli Elementi. Tuttavia, non ritenne che potesse interessare al druido. Non poteva neppure iniziare a strappare le pagine secondo le sue sensazioni. Quando però trovò la formula che permetteva alle anime di lasciare il Paese Perpetuo, la bucò con l’unghia e la strappò di netto.

    «Ecco una cosa brutta!» disse con foga Æronmì. «Che cos’è, papa?»

    «La sua ora è vicina, ma lui non intende rimanere a lungo nel giorno che dovrà riferire al Conduttore delle Anime. Con questa formula sarà in grado di abbandonare la sua destinazione finale nel Tempo e tornare tra i vivi. Questa pagina porta il marchio di illecito e non è citata la fonte. Come vedete, questo libro contiene ogni tipo di magia esistente» Landór non aveva più dubbi: il drago nero era stato assoldato da Haltheyvan III, detto il Vecchio.»

    «Potrà uscire dal Paese Perpetuo!?» Ɛriƶian era incredula. Strinse a sé Æronmì.

    Deciso a distruggerla, Landór stava per soffiare sulla pagina il suo alito rovente, quando notò le due righe scritte in calce. La dimensione del carattere era più piccola e l’inchiostro più velato.

    «Cosa?» Diede fuoco a quella pagina, ma poi prese freneticamente a cercarne un’altra.

    Per fare prima, abbatté il libro alla sua sinistra e fece leva sull’unghiatura del piatto inferiore: sperò che l’ultima pagina contenesse l’indice.

    "Che stupido!" pensò, scuotendo la testa. Le due pagine che egli aveva visto prima non avevano numerazione: come ci sarebbe potuto essere un indice alla fine? Allora iniziò a sfogliarlo dall’inizio con la crescente sensazione di doversi sbrigare. Avvertiva fortemente che il pericolo era in agguato. Ed ecco, infatti, che udì un crepitio in direzione dell’entrata della prima galleria, dove aveva accatastato una grossa quantità di tronchi d’albero che ora stava andando a fuoco. Gridò alla sua compagna di nascondersi e di mettere in salvo il figlio facendolo passare per l’uscita segreta. Ɛriƶian badò subito a Æronmì, pensando poi di tornare ad aiutare Landór. Il drago dorato si spostò in una caverna più interna e non smise di cercare. Non è semplice per un drago sfogliare un libro, neppure se di grandi dimensioni. Intanto il rimbombo dei passi del drago nero cresceva man mano che si avvicinava. Non ci mise molto a trovare la galleria giusta. Poi, quando già l’ombra del nemico superò l’ingresso della camera, trovò la pagina che stava cercando. La recise, ma ormai l’avversario gli era addosso. Il foglio volò verso l’entrata e si adagiò sul ciglio. Iniziò la dura lotta tra i due draghi, fatta di colpi d’artiglio e di coda, di morsi e atterramenti. Dopo che il drago nero ebbe scaraventato il libro in un angolo lontano della caverna, iniziò una violenta sequenza di lanci di fiamma. Il drago dorato si difese con onore, infierendo anche lui colpi profondi al suo avversario, ma la superiorità della razza nera ebbe la meglio.

    Il drago nero lo lasciò agonizzante e prese il libro, ma uscendo vide il foglio per terra. Lo raccolse e indugiò sulla scritta. Quindi, accortosi di un piccolo brandello di carta che usciva dal taglio di testa, tornò sui suoi passi e cercò nella stanza, però era completamente spoglia e pulita. Andò allora in quella dove era passato prima e che si capiva essere quella usata principalmente dalla famiglia. A terra trovò un foglio bruciato di cui si era salvato un lembo. Il carattere era lo stesso delle pagine del libro e subito capì. Trovò un sacchetto di tela, quindi adoperò il foglio che aveva trovato per raccogliere quelle ceneri e riporle nel sacchetto.

    Ɛriƶian condusse il figlio per una lunga galleria secondaria che sbucava all’esterno. Lei sapeva che a un certo punto il cunicolo si sarebbe ristretto e per lei non sarebbe stato possibile proseguire. Strofinò forte con amore la sua testa contro quella di Æronmì, poi gli ordinò di andare avanti e mettersi in salvo.

    «Mamma, non lasciarmi solo. Fuori è buio.»

    «Ti raggiungerò il prima possibile... Adesso va’.»

    «Me lo prometti?»

    «Te lo prometto. Vai alla casa del Guardiano del Fuoco, che è la più vicina. Ci vediamo là.»

    La dragonessa azzurra tornò indietro in aiuto al suo compagno, ma lui era già stato sconfitto. Vide il drago nero fuggire con il libro e un sacchetto di tela. Si precipitò a soccorrere Landór morente. Lui, prima di esalare l’ultimo respiro, tentò di dirle qualcosa, ma le uniche parole che lei riuscì a discernere furono il nome del perfido druido e ceneri.

    Prologo

    Mondo di Sopra, anno 3175

    La foschia dell’alba avvolgeva Nebrus e un velo di rugiada faceva luccicare il cammino di Calype. Il cocchio avanzava lento lungo la strada lastricata con pietre lisce e rettangolari. A cassetta sedeva un vecchio ossuto, vestito di nero, con la barba lunga e bianca. Con le redini in mano, conduceva al trotto leggero due Equus Magnus, due grandi cavalli neri. La larga falda del cappello gli adombrava il viso, nascondendo l’espressione di stizza nei riguardi dei suoi obbligati passeggeri.

    Quei tre dentro il cocchio stavano ancora litigando. Il più giovane era quello maggiormente adirato, poiché era stato costretto a subire l’interferenza degli altri due. Continuava a protestare, sostenendo che sarebbe spettata a lui la scelta della destinazione. Era a lui, infatti, che il vecchio ossuto, il Conduttore delle Anime, aveva posto la domanda di rito, e adesso aveva il forte presentimento che la data impostata non fosse quella scelta da lui.

    Il vecchio non ne poteva più e non vedeva l’ora di arrivare nel Paese Perpetuo e sbarcare i tre maghi a destinazione, non importava quale. Ormai la data era stata inserita nel dispositivo Trova-Porte - un congegno piramidale a tre livelli mobili e incastri sequenziali, collocato nel monoblocco fissato al pavimento della carrozza, che costringeva il vecchio a rimanere a gambe aperte - e non poteva essere modificata. Inutile dire che un fatto simile non gli era mai capitato in tutta la sua lunga vita da cocchiere; di viaggi ne aveva fatti a migliaia, conducendo alla meta finale gente di ogni tipo, salita sul cocchio lasciando trasparire ai suoi occhi il proprio stato d’animo: timore, riluttanza, rassegnazione, ottimismo, ma mai qualcuno che in vita era stato costretto a condividere il proprio corpo con due entità. Entità che avevano prevalso fino all’ultimo, intralciandolo anche nell’importante decisione della propria destinazione nel Paese Perpetuo.

    Nel ripensare alla scena vissuta poco prima, il vecchio passò le redini nella mano destra e con la sinistra si tolse il cappello; lo esaminò e cercò di far rientrare una brutta ammaccatura, poi, con una smorfia di disappunto, lo calzò nuovamente. Così, mentre i tre uomini discutevano ancora animatamente, la sua mente iniziò a rivangare quanto accaduto:

    Arrivato davanti al Palazzo del Governatore, aveva bussato al portone principale, sbattendo forte il batacchio per tre volte. Non aveva bisogno di bussare per presentarsi al cospetto del morto, ma preferiva essere educato e non piombare all’improvviso in casa altrui. Pregò il Governatore, Aulo Nerasmo, di prendere il suo bagaglio e seguirlo. Giunti in strada, recitò il rituale prima di invitare l’uomo a salire sul cocchio:

    Aulo Nerasmo, è giunta la tua ultima ora. Sono qui per condurti nel Paese Perpetuo, luogo dal quale non potrai più far ritorno e dove, quindi, dimorerai per l’eternità. Ti è concessa la facoltà di scegliere la tua destinazione nel tempo: passato o presente, non muterà. Esprimi ora la tua preferenza.

    È in quel momento che accadde l’impensabile. L’evanescente figura di Aulo, con la testa spaccata per via del cervello esploso per la pazzia, cercò di parlare per comunicare al vecchio la sua scelta, ma una mano gli tappò la bocca. Una mano collegata a un braccio fuoriuscito dal suo corpo, laddove una testa apparve dal lato opposto. Aulo si dimenava, intanto che due fantasmi, a turno, tentavano di staccarsi da lui, proiettandosi ora a destra ora a manca, come due lunghe ombre. Iniziarono così a litigare. Il fantasma dell’uomo più vecchio, coi capelli bianchi e lunghi quanto la barba, inveiva contro il più giovane, poiché non era riuscito a dominare nel corpo il tempo necessario a prepararsi il bagaglio; poi era risucchiato nel corpo e le sue mani annaspavano cercando di riemergere. Era quindi il turno dell’altro, che si distaccava in parte, continuando a tenere la mano a mo’ di bavaglio sulla bocca di Aulo.

    Taci, figlio! gli disse. Non hai il diritto di scegliere per tutti.

    Ma Aulo morse la mano del padre e gridò: Basta! Uscite! Rivoglio il mio corpo!.

    Allora il Conduttore era intervenuto: Corpo? Tu non hai più un corpo. Non ti sei reso conto di essere un fantasma? E voi altri, spregevoli parassiti, uscite di là. Come vi è saltato in mente di stabilirvi abusivamente in quest’essere disgraziato? Suvvia! Vedete di non farmi perdere tempo, ho altre tratte da fare.

    Il vecchio, pensieroso, si grattò la barba. Era partito con la commessa per una singola presa, non poteva tornare indietro con tre spettri, ma soprattutto non poteva sbarcarli in tre diverse epoche. Si affrettò a raggiungere il dispositivo Trova-Porte, vedendo che i tre, finalmente, si erano separati. Chiese ad Aulo Nerasmo quale fosse la destinazione scelta, ma Bruto, il padre, gli si parò davanti.

    Non mi sembra corretto, disse con solerzia, Dovremmo discutere la cosa e addivenire a un comune accordo.

    Non se ne parla! Finalmente posso prendere una decisione autonomamente e, fosse l’ultimo atto che potrò compiere in questo mondo, giuro che vi impedirò in qualsiasi modo di ostacolarmi. Quello è il mio cocchio, voi aspetterete il prossimo. Aulo spinse di lato il padre con forza, tra due spettri il contatto fisico era possibile.

    Una delle spie luminose nel dispositivo Trova-Porte iniziò a lampeggiare, emettendo una luce gialla. Il Conduttore capì di aver ricevuto un’altra commessa, era già la quinta da quando era partito e la giornata era appena iniziata. Quanto tempo, quei tre avevano intenzione di fargli perdere? Guardò il foglietto che il dispositivo sputò fuori da una fessura. Lo lesse con la speranza che nel Paese Perpetuo si fossero accorti delle nuove anime da collocare e che quella commessa fosse per loro. Sperò, pertanto, di fare un unico viaggio, ma la fortuna non girò dalla sua.

    Sono qui per Aulo Nerasmo, è lui che devo condurre. La scelta spetta pertanto a tuo figlio disse rivolto a Bruto. Quando arriverò a destinazione, esporrò il caso e sarà disposto il vostro richiamo.

    Haltheyvan, l’altra anima litigiosa, s’infuriò e avanzò minaccioso verso il Conduttore:

    E cosa dovremmo fare nel frattempo? Vagare per la città? Sono stato io il primo a morire! Spetta a me quel viaggio, mi sia riconosciuto il diritto di precedenza.

    Il diritto te lo sei giocato tempo fa, sfuggendo alla tua sorte.

    Io insisto affinché ci portiate tutt’e tre. E ribadisco che la scelta debba essere condivisa s’intromise Bruto.

    Allora siete duri di comprendonio! Ve l’ha già spiegato: dovrete attendere il vostro turno ribadì Aulo cercando con lo sguardo il sostegno del Conduttore.

    Bruto agì d’astuzia e con repentina mossa s’infilò nel fantasma del figlio. Haltheyvan, preoccupato, sbarrò gli occhi e come un fulmine vi entrò anche lui. Pensarono, stupidamente, di riformare un’unica entità e parlare con la bocca di Aulo. Ognuno cercò di dire la propria data col risultato di emettere solo incomprensibili suoni gutturali. Fu allora che il vecchio si levò il cappello e lo sbatté rabbiosamente per terra, calpestandolo almeno tre volte.

    Pensò di mettere fine alla questione trasportandoli tutt’e tre. Non ne volle sapere nemmeno di affrontare un nuovo viaggio con gli altri due. Non gli importava neppure a chi toccasse la scelta della destinazione. L’importante era sbarcarli prima possibile per toglierseli di torno.

    Scomponetevi! ordinò, Vi condurrò tutti quanti. Ascolterò le vostre date, poi deciderò io quale impostare a vostra insaputa. Questo è il mio inoppugnabile verdetto. Il primo che fiata, giuro innanzi alla Dea dell’Universo, vagherà in eterno con gli Spiritelli Effimeri. Poi scelse la data che ricordava essere una destinazione chiusa.

    Quando la nebbia dei ricordi si diradò, il Conduttore delle anime si accorse di essere già arrivato a destinazione. Aprì la porta del cocchio e fece scendere le tre anime. Aulo stava ancora protestando e probabilmente la sua protesta si sarebbe rinnovata ogni giorno, a ogni quotidiano risorgere del 42° Mitigo 1205.

    Capitolo 1

    Puzza di fregatura

    Nella sua stanza al San Gregorio College, Tommaso stava preparando il bagaglio. La professoressa Gramegna, la rettrice del college, aveva concesso a lui e Matilde le vacanze anticipate. Era il minimo che potesse fare dopo l’impresa straordinaria dei due ragazzi. Certo, si erano avvalsi dell’aiuto di Altea, l’altra gemella, perché senza di lei il potere dei quattro elementi non sarebbe stato completo e non sarebbe avvenuta la fusione elementale, ma la ragazza non frequentava il college. A lei erano stati impartiti insegnamenti privati nel Palazzo del Governatore, poiché sua nonna, Argelia Nerasmo, aveva stabilito così. Viveva nel territorio di Nebrus, organizzato in un’unica immensa città che ora tutti potevano vedere. Adesso, però, molte cose stavano cambiando velocemente nella sua vita, e con l’inizio del nuovo anno scolastico, si sarebbe iscritta ai corsi di studi superiori del college.

    Tommaso stava riponendo gli indumenti nella borsa con una tale e inusuale cura di cui non si stava rendendo conto, poiché la sua mente seguiva altri pensieri; altrimenti si sarebbe meravigliato di se stesso. Invece, ci fece caso Karmis, il suo compagno di stanza.

    «Ci stai ripensando?»

    «A chi?»

    «A chi?» Karmis fece un sorrisetto, «A cosa, semmai. Io parlavo del viaggio.»

    «Assolutamente no. Sto preparando la borsa, non vedi?»

    «Ci stai infilando anche i pensieri?»

    Tommaso abbassò gli occhi dentro la borsa e sorrise sotto i baffi, poi tirò fuori un paio di calze arrotolato e lo scagliò in testa all’amico.

    «Tu, piuttosto: mi allontano due giorni e mi spunti con la sorpresa» disse portandosi le mani ai fianchi e fingendosi indispettito.

    «Beh, era nell’aria, lo sapevi. Ho solo colto l’attimo.»

    Tommaso inarcò le sopracciglia, il suo sguardo era di diffidenza.

    «D’accordo, ha fatto tutto lei» ammise con disagio. Gli restituì le calze lanciandole dentro la borsa e passò la palla.

    «Veramente mi aspettavo che fossi tu il primo a parlare» si giustificò Karmis.

    «Altea? Fai il misterioso. Non mi racconti niente. Adesso che vi ha aiutato, avrai cambiato idea su di lei. E Matilde, allora? Hai passato insieme a lei un intero giorno. Niente... sei una tomba. Con due gnocco-maghe intorno, lui non ha niente da dire!»

    «Che vuoi che ti dica? Non ho avuto tempo per pensare a certe cose: ero in missione!»

    «Vabbè, quando hai voglia di parlare fammi un fischio. Vado a trovare la mia colombella. Non perdo il mio tempo con un missionario!»

    «Colombella» ripeté piano Tommaso con una smorfia nauseata.

    «Sì, caro, colombella! Non è una sdolcinatezza. Quando la faccio arrabbiare, lei si trasforma in una colomba e tenta di beccarmi, perché sa che ho timore di quella razza di uccelli.»

    «Ma che ti parlo a fare, tanto tu non le capisci le ragazze.» Lo provocò e uscì.

    Tommaso riteneva che Karmis fosse a caccia di pettegolezzi, quindi, se gli avesse confidato qualcosa, non lo avrebbe ascoltato con la dovuta riservatezza. E comunque non aveva voglia di ascoltare i suoi commenti. Lo giudicava un frivolo mattacchione ed era sicuro che Marta doveva avere il suo bel da fare per tenerlo a freno.

    Comodo incolpare l’amico quando in verità era lui a essere un tipo schivo, che non riusciva a parlare liberamente di certi argomenti, oltre al fatto che, in quel frangente, aveva le idee e i sentimenti in subbuglio. Doveva ancora fare un po’ di ordine per capire cosa voleva veramente.

    Per Matilde provava una certa forma d’affetto. Si sentiva legato a lei, ma non riusciva a discernere il tipo di legame che li univa. Stava bene in sua compagnia, anche quando si punzecchiavano. Era pieno di attenzioni e premure nei suoi confronti, come quella volta, durante l’esame elementale, che aveva riscaldato l’acqua gelida del lago dove lei si era dovuta immergere per ripescare la perla di Acquitrella, la fata dell’Acqua. Sapeva che l’avrebbe protetta per sempre. Se non la vedeva in giro, si chiedeva dove fosse o cosa stesse facendo. Quando però pensava ad Altea, il volto di Matilde si sfocava nella sua mente, le pulsazioni del cuore incalzavano e nello stomaco svolazzavano le farfalle. Non era uno stolto, sapeva che quelli erano i tipici sintomi dell’innamoramento, ma si sentiva in imbarazzo nei confronti di Matilde. Durante l’esame elementale, era sicuro di aver colto timidi segnali di avvicinamento da parte della sua gemella elementale, ma aveva preferito giocare la parte dell’ingenuo, piuttosto che rovinare quei momenti già segnati da battibecchi a causa di Altea. Durante quella lunga e impegnativa giornata, in cui avevano dovuto superare le difficili prove escogitate dalle Fate degli Elementi, Tommaso si era convinto che la bella Riccirossi fosse gelosa della dea dai lunghissimi capelli corvini. Pur in maniera non esplicita, aveva provato a convincerla che non nutriva alcun interesse verso l’altra gemella che, se anche una volta aveva avuto l’occasione di definirla bellissima, rappresentava ancora un enigma. Aveva conosciuto Altea ancor prima di Matilde, quando era convinto che fosse

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