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L’Abate di ghiaccio
L’Abate di ghiaccio
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E-book258 pagine3 ore

L’Abate di ghiaccio

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Info su questo ebook

«Il convento pare svanito, inghiottito da questa strana foschia… Temo che siamo caduti nella rete dell’usurpatore».

In questa nuova avventura Dana di Blackwood deve salvare da un malvagio usurpatore l’abate Arslan, il cui legittimo potere potrà essere ristabilito grazie a un misterioso sigillo.

Per trovarlo, Dana e i suoi compagni seguiranno gli indizi nascosti all’interno del monastero e nella loro stessa memoria, e non mancheranno interventi magici e sovrannaturali.
Riuscirà a trionfare il Bene sul Male? Quale sarà la sorte del monastero e dei suoi abitanti?


Lucia Raffaella Caprioli (1962) è nata e vive a La Spezia. Diplomata in pianoforte e laureata in lettere, alterna l’attività artistico-musicale all’insegnamento nella scuola media. Ha pubblicato una raccolta per ragazzi di Poesie didattiche (2007) e Il Diamante della Luce (2013), prequel di questo romanzo. 

 
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2018
ISBN9788827851456
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    Anteprima del libro

    L’Abate di ghiaccio - Lucia Raffaella Caprioli

    Blackwood

    Capitolo primo

    Ritorno

    La luce morbida del mattino filtrava appena attraverso la bifora, lasciando che il tessuto leggero che ne velava l’apertura si tingesse delicatamente dei colori dell’aurora. Tenui giochi luminosi disegnavano tremule linee cangianti sul soffitto chiaro della stanza, rivelando e nascondendo istante dopo istante le sottili danze silenziose del pulviscolo iridescente.

    Dana si svegliò di soprassalto. I suoi occhi si spalancarono nella penombra, ancor prima che la sua mente potesse comprendere che cosa l’avesse riscossa così bruscamente dal sonno. Batté più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco con lo sguardo ciò che i pensieri ancora non rendevano chiaro. Nella stanza tutto pareva tranquillo e immoto, il silenzio era interrotto soltanto da lontani garruli echi – giochi canori di uccelli – e dal nitrito di un cavallo, forse proveniente dal basso, dal cortile centrale del castello.

    Eppure qualche cosa la turbava profondamente. La giovane donna si era svegliata all’improvviso, in preda a una strana inquietudine che si agitava dentro il suo petto, scorrendole nel corpo come un brivido sottile e apparentemente immotivato.

    Asciugò con una mano le piccole stille di sudore che si erano formate sulla sua fronte, e come sorpresa da un pensiero fulmineo si girò di lato, verso la culla di legno che si trovava accanto alletto. Poi si sollevò su un gomito, e guardò suo figlio. Il piccolo dormiva ancora profondamente, lasciando sfuggire dalle labbra leggeri sospiri regolari. Dana sorrise, ritrovando la calma. E continuò a guardare il bambino, così indifeso e insieme felice, mentre i lineamenti delicati erano distesi nell’inconsapevole pace del sonno. La donna sfiorò i capelli chiari del bimbo, piano piano, per non destarlo, e sorrise sentendo la tenerezza traboccare dentro di sé, fino a riempirla e ad appagarla completamente.

    «Dormi, piccolo Galead…» sussurrò appena. «Dormi e sogna ciò che può sognare un angelo… la tua mamma veglia su di te, e continuerà a farlo finché vivrà… Tuo padre è lontano, ma i suoi pensieri sono qui e ti tengono al sicuro».

    Dana si alzò e sedette sul letto. Nonostante la rassicurante visione del figlioletto addormentato e sereno, quell’inquietudine subdola e inspiegabile che l’aveva svegliata riprese ad agitarsi dentro di lei, tenendo in allerta la sua mente e il suo corpo. Le sembrò di avvertire il vago ricordo di qualche cosa di antico, una sensazione indefinibile ma già provata… Quasi senza rendersene conto, tornò indietro con il pensiero.

    Erano passati tre anni da quando aveva adempiuto la missione che il destino della sua famiglia le aveva riservato, come molto tempo addietro era accaduto a suo padre, e ai suoi avi prima di lui. Ciò che era accaduto durante il viaggio – compiuto attraverso luoghi a lei ancora sconosciuti – creava ora nella sua mente un duplice effetto: così, mentre ricordava ogni particolare di quella straordinaria avventura in modo estremamente netto e quasi palpabile, contemporaneamente provava un senso di affascinante distacco, come se quelle azioni e quegli avvenimenti fossero avvolti da una nube di fantastica irrealtà.

    Eppure tutto era accaduto veramente. Aveva compiuto il viaggio necessario per salvare il suo mondo dal pericolo mortale che lo minacciava da tempi remotissimi. Aveva affrontato il Nemico, come ogni venticinque anni doveva fare l’ultimo discendente della famiglia dei Blackwood. Aveva incontrato quell’essere abominevole e crudele che voleva, da sempre, eliminare la luce dal mondo, per impadronirsi di esso e dominarlo con le sue oscure brame di potere e di distruzione. E aveva vinto, ricacciando il Signore dell’Ombra nelle oscurità da cui era sorto.

    Dana rabbrividì, ricordando in pochi istanti il cammino costellato di pericoli che aveva dovuto fatalmente percorrere, per arrivare all’oggetto meraviglioso destinato a salvare la luce, e con essa la vita di ogni essere animato e inanimato… Rabbrividì ricordando la lotta finale, la disperazione e la tenacia che l’avevano sorretta e guidata nel confronto impari con quell’essere potente e privo di ogni pietà, che voleva annientarla e rendere vana la sua missione.

    Poi, improvvisamente, si riempì di gioia e di riconoscenza, e le lasciò fluire libere dentro di sé, ancora una volta, ripensando a Colui che l’aveva accolta alla fine del viaggio, dopo la battaglia… Rivide l’Angelo della sorgente, e quella Luce piena d’amore che l’aveva avvolta, là, nella caverna scintillante sotto la superficie della terra, e volle con tutta se stessa rivivere quel momento, ritrovare quei colori e quei riflessi paradisiaci… Desiderò udire ancora, almeno per un istante, quella voce dolcissima e rasserenante che l’aveva guidata nell’ultima tappa del suo viaggio.

    Dana rivide se stessa sollevare il Diamante della Luce verso i raggi del sole, nel giorno dell’equinozio di primavera, e chiuse le palpebre per contemplare meglio, solo con gli occhi della mente, l’ondata di fulgore accecante e vitale che ne era scaturita. Rivisse in un attimo il trionfo della luce sull’ombra che voleva inghiottirla, il trionfo della vita sull’oblio della morte. Riprovò quel sentimento di gioia irrefrenabile che l’aveva colta, quel senso d’inesprimibile completezza che l’aveva pervasa totalmente.

    Poi si riscosse. Riaprì gli occhi, e per un attimo si sentì quasi persa nell’atmosfera familiare e tranquilla della camera. Lo sguardo si posò sul bambino, ancora addormentato nella culla che era stata il primo nido anche per lei, ora giovane madre. Dana osservò a lungo suo figlio, non riuscendo a distogliere l’attenzione dal ritmico respiro che sollevava appena il petto nel corpicino addormentato, e non poté trattenere un sospiro, mentre una lieve stretta le opprimeva il cuore.

    Un giorno sarebbe toccato a lui. Era il destino della sua famiglia, era il compito di ogni discendente dei Blackwood. Ogni venticinque anni, durante l’equinozio di primavera, tutto doveva essere nuovamente compiuto. Il Diamante avrebbe dovuto rivedere la luce, il viaggio – forse nuovo, forse diverso, ma con un’identica meta – avrebbe dovuto avvenire, ancora una volta. E il piccolo Galead – sì, Galead, come il padre di Dana, così come la donna aveva voluto che il bambino venisse chiamato – ormai divenuto un giovane uomo, addestrato alle armi, istruito su tutto ciò che era necessario sapere, sarebbe partito e avrebbe affrontato i mille pericoli di quella missione, fino a incontrare il Nemico, ancora una volta deciso a strappare la vita a ogni essere vivente…

    Così doveva accadere. Dana non poteva far nulla per proteggere suo figlio dal compito che lo attendeva, così come suo padre non aveva potuto impedire che lei stessa lo affrontasse.

    La donna accarezzò ancora il bambino, poi sorrise e si allontanò dalla culla.

    Allora, d’improvviso, il pensiero andò ad Arslan. L’agitazione che si rimescolava dentro di lei crebbe in un attimo. Fu come se una voce, confusa ma in qualche modo già nota, gridasse all’interno della sua mente. Fu come se qualcuno, da una lontananza incalcolabile, tentasse di chiamarla, di farsi udire, di attirare la sua attenzione, distraendola da qualunque altra cosa si trovasse in quel momento accanto a lei, distogliendola perfino da suo figlio…

    Mentre cercava di chiarire a se stessa ciò che stava provando, lottando contro quell’ansia inattesa e inesplicabile, dentro di lei si fece strada il vago ricordo di una sensazione passata, che non aveva più avvertito ormai da molto tempo, ma che prepotentemente riportò alla luce un ben preciso sentimento, o piuttosto un senso di comunione mentale già sperimentato e mai completamente compreso. E alla sua mente si affacciò l’immagine dell’Abate, uomo venerabile che tanta parte aveva avuto nella missione da lei compiuta… Ricordò come avesse sentito, più e più volte, la voce del vecchio monaco risuonare all’interno dei propri pensieri, quasi intessuta con essi, lontana e difficilmente distinguibile, ma nello stesso tempo autorevole e sicura… E poi ripensò ad Arslan, giovane compagno con cui aveva condiviso quasi tutta quell’avventura, affrontando gli stessi pericoli, giungendo alla stessa meta.

    Sì, Arslan, che adesso era il nuovo Abate del convento arroccato sulla montagna, lassù, tanto più in alto del castello… Arslan, che da ragazzo scanzonato e ribelle si era trasformato in un giovane uomo coraggioso e fidato. Lui, che aveva deciso di trascorrere tutto il resto della vita nel monastero, e aveva accolto dentro l’anima le parole dell’anziano padre superiore, accettando di divenirne il successore… e ancora così inesperto e ingenuo aveva preso sulle proprie spalle un peso forse più grande di quanto potesse immaginare, per adempiere la sua personale missione…

    Un sussulto di nostalgia fece scorrere una lacrima sulle guance di Dana. Il vecchio Abate si era spento ormai da tempo. Un anno prima, subito dopo la nascita del piccolo Galead, il monaco era rientrato in quella che aveva sempre considerato la sua vera casa, il Cielo a cui aveva tanto desiderato riunirsi, dopo un’esistenza dedita alla ricerca del Bene, che egli solo sembrava, talvolta, intravvedere, nei momenti più difficili o nelle nebbie che spesso offuscavano il cuore di tutti gli altri. Non aveva mai distolto lo sguardo dalla Luce, e alla Luce era tornato, con assoluta certezza. Dana sorrise, ripensando al momento in cui il venerando frate aveva sollevato tra le esili braccia il bambino appena nato, l’ultimo discendente dei Blackwood, e l’aveva benedetto, accarezzandolo con uno sguardo che sembrava già proiettato lontano, uno sguardo che, forse, solo Dana aveva saputo capire.

    Ma perché tutto questo tornava così improvvisamente alla mente della donna? Perché quella sensazione così inquietante, quell’impressione di riudire, dentro di sé, la voce lontana dell’Abate, perché il pensiero assillante del giovane Arslan continuava quasi a tormentarla, impedendo ai suoi pensieri di librarsi sereni sul nascere della nuova giornata?

    Arslan era divenuto la nuova guida del monastero, e dopo aver seguito con docilità e tenacia gli insegnamenti del suo predecessore, stava cercando di portare avanti un vero e proprio lavoro di perfezionamento, per essere davvero degno di sostenere l’incarico assunto.

    Ciò comportava il possedere doti non comuni. Questo era apparso chiaro fin dal primo momento. E, nonostante l’età ancora acerba, il ragazzo aveva dimostrato di avere capacità inusuali, e di saper agire con un coraggio e una consapevolezza ben superiori al numero dei suoi anni. L’Abate aveva visto in lui, molto prima che egli giungesse al convento, le qualità che lo rendevano adatto a divenire il suo successore, l’unico che potesse, in quel preciso momento, esserne degno, l’unico predestinato, forse, ad assumere il fardello di quell’incarico tutt’altro che ordinario. E così il vecchio monaco l’aveva cresciuto secondo i principi e gli scopi che avrebbero improntato la sua vita. Gli aveva trasmesso tutto ciò che era necessario conoscere, per adempiere al compito che doveva porlo al di sopra dei comuni mortali e farlo diventare una guida per coloro che si fossero trovati a vivergli accanto. Gli aveva insegnato anche ciò che a nessuno era dato sapere. L’aveva abituato a trarre il meglio da se stesso, a valorizzare le proprie qualità, anche e soprattutto quelle che lo distinguevano da ogni altro uomo, rendendolo così speciale e per questo indispensabile in quel momento, in quel luogo e per quel preciso scopo. Nemmeno Dana conosceva ciò che i due monaci si erano detti, durante i due anni che avevano trascorso insieme. Non poteva sapere quali fossero stati gli ammonimenti, i segreti, le antiche pratiche, i metodi per potenziare e sviluppare le doti presenti nel giovane allo stadio ancora germinale. Ella comprendeva soltanto che quel ragazzo, incontrato apparentemente per caso durante il suo viaggio, avrebbe acquisito, con l’aiuto del padre superiore, un livello spirituale e mentale non paragonabile a nessun altro. Sarebbe divenuto una persona a cui potersi rivolgere, in futuro, per ottenere guida e sostegno, una persona, soprattutto, destinata ad aiutare suo figlio Galead nella missione che il giovane Arslan aveva già vissuto, insieme a lei.

    Tutti questi pensieri si sovrapponevano confusamente nella mente della donna, mentre l’ansia che la turbava profondamente creava una sorta di mulinello all’interno della sua fronte, generando una sensazione fisica di straniamento, che le impediva di fare chiarezza dentro le idee, e la teneva avvinta a una sorta di preoccupazione indistinta ma incessante. Tutto ciò che riusciva a comprendere era che quella strana, logorante agitazione era in qualche modo legata ad Arslan e perfino al vecchio Abate… Così come nel passato era riuscita a udire in maniera inspiegabile le loro voci e i loro stessi pensieri dentro di sé, così adesso stava accadendo, e nuovamente la loro presenza premeva con urgenza nella sua anima, chiamandola a qualche cosa di ancora sconosciuto.

    Dana si avvicinò all’antico cassettone di legno che da sempre era addossato a una delle pareti della stanza. Aprì lentamente uno degli scomparti, con espressione assorta. All’interno, vecchie carte, mappe scolorite, lettere conservate con amore per rivivere momenti di un lontano, prezioso passato da custodire nel cuore, e ancora documenti relativi al castello, alle terre, alle persone che le abitavano e che a esse dedicavano una vita d’intenso lavoro.

    In un angolo del cassetto, seminascosta da un fascio di fogli ingialliti dalle scritte ormai quasi illeggibili, la donna trovò una lettera, piegata in più parti, vergata da una mano tremante su una vecchia, sottile pergamena.

    Con lentezza, senza quasi guardarla, Dana la estrasse dal luogo in cui l’aveva riposta un anno prima, e tornò a sedersi sul letto, tenendola tra le mani, quasi timorosa di svolgerla e di rileggerne il contenuto. Poi, con attenzione reverenziale, aprì il foglio e abbassò lo sguardo su di esso. Ma non cominciò subito a scorrerne le parole scritte con tratto incerto. Si soffermò per qualche attimo a chiedersi perché, proprio in quel momento, provasse la necessità di riprendere quel documento, perché sentisse dentro di sé un insopprimibile bisogno di toccarlo e di leggerlo… Perché continuava a pensare ad Arslan e al suo predecessore, come se la nuova giornata non potesse procedere senza il loro ricordo, come se quell’indefinibile sensazione che l’aveva tanto turbata al risveglio non potesse placarsi altrimenti?

    Infine Dana cominciò a leggere lo scritto che teneva tra le dita. Era una lettera scritta per lei dall’Abate, pochi giorni prima che egli volasse via da questa vita. Con essa il monaco voleva raccomandarle di vegliare sul giovane Arslan, che di lì a poco sarebbe divenuto la nuova guida del convento, e avrebbe assunto il nome di Tiberius, onorando in tal modo la memoria del proprio padre. Dana ripensò a ciò che il ragazzo le aveva confidato, relativamente alla morte dei suoi genitori – l’umile agricoltore Tiberius, appunto, e sua moglie – che avevano sacrificato la vita per salvare lui, ancora bambino, dall’aggressione di un gruppo di banditi in cui si erano imbattuti apparentemente per caso. Ma durante il cammino percorso insieme, Dana e Arslan avevano potuto conoscere la verità su quel fatto atroce. Quei malfattori erano, in realtà, emissari del Signore dell’Ombra, che conoscendo la futura missione del ragazzo – non un semplice campagnolo, ma un futuro potente Abate! – aveva tentato di ucciderlo tramite i propri inviati, privi di ogni coscienza e completamente soggiogati dall’oscuro padrone, che li teneva sotto il suo assoluto controllo.

    Ma ciò che doveva compiersi si era compiuto. Ora quel giovane era davvero il nuovo Abate, e il suo destino pareva essersi perfettamente realizzato.

    Dana rilesse alcune righe della lettera, soffermandosi sulle parole che, più di altre, avevano fin dall’inizio colpito la sua mente e le si erano impresse indelebilmente nell’animo. Il vecchio monaco parlava di Arslan come di un essere spiritualmente elevato, dotato di capacità uniche, sviluppate in quei due anni di permanenza al monastero sotto la guida dell’anziano Maestro, ma ancora suscettibili di ulteriore perfezionamento, che il tempo e la maturità avrebbero portato a compimento. Egli sarebbe diventato l’Abate più potente che avesse mai governato su quel monastero e destinato, in futuro, a opporsi con rinnovata energia – con la mente e con il cuore – al Nemico che, a tempo debito, avrebbe nuovamente tentato di trionfare sulla luce e sulla vita.

    Ma proprio per queste ragioni Arslan era in pericolo. Il Signore dell’Ombra certamente avrebbe tramato contro di lui, cercando di eliminarlo, poiché la forza di quel giovane rappresentava una minaccia terribile per le mire oscure di quell’essere spietato. Per tutto ciò, Dana era chiamata a proteggerlo, a custodirlo fedelmente e costantemente, con tutta la tenera amicizia e l’ammirazione di cui fosse capace. Il giovane Abate sarebbe divenuto un grande difensore della vita, della pace e della luce, ma si trattava pur sempre di un ragazzo, esposto ancora alle insidie di chi tramasse, nell’ombra, contro di lui.

    La donna ripiegò accuratamente il foglio ruvido e delicato. Le parole appena rilette, già scese un anno prima nella sua anima come pregne d’inestimabile importanza, acquistarono in quel momento un valore nuovo. Improvvisamente le parve che tutta l’ansia provata al risveglio trovasse una spiegazione proprio in quelle frasi dirette unicamente a lei. Ebbe la sensazione che qualche cosa stesse per compiersi, che quella lettera stesse per rivelare tutto il suo valore e il suo senso più pieno. Pur senza comprendere il motivo di quell’intimo convincimento, Dana sentì crescere dentro di sé una consapevolezza rinnovata e più forte del proprio compito. Un fremito di timore la scosse, come se si trovasse d’un tratto di fronte a pericoli già incontrati e affrontati, ma ora confusamente riemersi dal buio del passato.

    Ella ripose la lettera nello stesso angolo del cassetto da cui l’aveva estratta. Guardò il suo piccolo, che lentamente cominciava a destarsi, e cacciò lontano da sé ogni incertezza e ogni turbamento. Era lì per lui. Era lì anche per il giovane Abate, che forse, presto, avrebbe avuto ancora bisogno di lei. Il suo appoggio non sarebbe mancato a nessuno dei due. Entrambi rappresentavano il futuro, ed erano destinati a combattere ancora e ancora contro le forze dell’ombra. Nella loro lotta l’avrebbero sempre trovata come alleata, finché le forze gliel’avessero consentito. Era pronta a sacrificare qualunque cosa, anche la propria vita. Poiché sarebbe stata sacrificata per assicurare il futuro della Vita stessa.

    Lanciò un breve sguardo al vessillo di famiglia che ornava una delle pareti. Si soffermò per un attimo sulla piccola figura azzurra e alata che sovrastava le altre immagini. Ora sapeva che cosa significasse. Mormorò sottovoce una preghiera, cercando di mantenere impressa nella mente la visione incomparabile dell’Angelo che le aveva parlato, al termine del suo viaggio, per indicarle il luogo in cui era custodito il Diamante. Socchiuse gli occhi per un istante, come per non lasciar fuggire quella visione dai propri

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