I custodi del caos
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Fantasy - romanzo breve (57 pagine) - L’antico Egitto, le sue arcaiche divinità, un amuleto maledetto… e nelle mani di un ladro la salvezza della terra dei faraoni.
Apep, il Dio del Caos, si è macchiato del più orrendo dei crimini, la Necromanzia: i suoi rituali blasfemi hanno riportato in vita schiere di cadaveri per farne una legione infernale. E per questo è stato giustiziato.
Alla sua morte, Isfet, essenza vitale del dio, viene racchiusa in un Idolo dalle sembianze mostruose, nascosto tra le aspre Montagne del Merur
Setau giovane ladro, che sbarca il lunario depredando i templi di Menfi, scoprirà che qualcosa di misterioso lo lega alla sorte del Dio del Caos. Il frammento di amuleto che porta al collo cela più di un segreto; primo fra tutti l'esistenza dei Custodi, guardiani in grado di contenere il potere distruttivo di Isfet. Se l'antico segreto riaffiorasse dalle sabbie del deserto, rischierebbe di corrompere e stravolgere le leggi della Natura. Il Caos regnerebbe ovunque.
Ma cosa accadrebbe se Apep si reincarnasse in chi venera le tenebre, tanto da agognare che l'oscurità della morte cali sul Nuovo Regno? Dietro la maschera funebre del sacerdote di Ptah si nasconde una minaccia ancor più terribile.
Suo malgrado Setau sarà costretto a intraprendere un pericoloso viaggio alla ricerca dell'Idolo, che lo condurrà al proprio destino. Ma dovrà fare in fretta, non può immaginare mai cosa lo attenderà al suo ritorno.
Miriam Palombi è nata a Milano nel 1972. Ceramista e scrittrice, autrice di narrativa horror, dark fantasy, thriller. Le sue opere esplorano un universo macabro e spettrale, ispirandosi ai temi più classici del genere. È membro della Horror Writers Association. Cura la collana horror della DZ Edizioni, è tra i fondatori del blog Horror Cultura ed è socia dell’associazione culturale “La nuova carne”. Da sempre porta avanti un progetto per la divulgazione della cultura Horror.
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Anteprima del libro
I custodi del caos - Miriam Palombi
Prefazione
Era un feto, un embrione che aveva in sé la commistione di molte creature. Un connubio di tutto ciò che di impuro e di confuso si trovasse in natura. Membrane sottili e piedi caprini. Un naso camuso e occhi privi di palpebre, su di un corpo tozzo e gibboso le cui braccia e gambe erano le spire di una serpe._
Era Isfet, l’essenza del Caos, lo spirito che aveva albergato nel corpo di Apep.
La cultura dell'antico Egitto, con il suo pantheon di divinità antropomorfe, offre notevoli spunti narrativi. Ci mostra una religiosità misterica, che segue l'uomo lungo tutto l’arco della vita, lo accompagna nella morte… e oltre. Questo aspetto mi ha sempre affascinata. Cosa c'è dopo la morte? E se quella fosse solo una condizione transitoria, cosa tornerebbe dall'aldilà?
Da questa domanda, e dalla presenza di due elementi, tra i più classici della letteratura di avvenuta e mistero, ossia un amuleto dai poteri incredibili e la ricerca di un Idolo maledetto, nasce I Custodi del Caos. Un dark fantasy dalle spiccate sfumature horror che narra di antichi dei dimenticati, di Vita e Morte, e del destino particolare che il fato riserva a tutti noi.
Miriam Palombi
1
In un tempo lontano
La notte era giunta. Una coltre scura che allungava le sue spire negli angoli più remoti della vallata; le ombre scivolavano, come neri serpenti, a colmare ogni cavità e anfratto. Il vento spirava increspando le dune del deserto, e gli esili arbusti delle umide oasi si piegavano in forme sinuose.
Apep impassibile, nascosto all’ombra delle alte colonne, seguiva con lo sguardo il manipolo di uomini appena giunto; si muovevano cauti, le ampie tuniche fluttuavano al refolo che riusciva a infilarsi nella sala. Le voci sommesse e lo scalpiccio dei sandali interrompevano il silenzio.
Il volto del dio era privo di ogni espressione. Solo gli occhi, cupi come schegge di ossidiana, tradivano impazienza. Il suo istinto colse l’effluvio appagante dell’umana paura, esalato dalle pelli riarse dei portatori; poteva vedere il sudore luccicare sulla loro fronte, ma vi era un altro olezzo, ancora più penetrante.
I servitori posarono l’involto sul letto di pietra, dispiegarono le stuoie di juta e si allontanarono, chinando il capo con sacro timore.
Il corpo disteso era stato sottratto a una delle molte fosse tombali; semplici buche nel suolo ricoperte di sabbia, che sorgevano sulla riva sinistra del Nilo, a occidente, là dove la credenza popolare collocava il regno dei morti. Apep rise sardonico, a quel pensiero.
La sua attenzione si concentrò di nuovo sulla materia inerte che aveva a disposizione. Piccoli cristalli di natron erano rimasti intrappolati nei capelli gretti del cadavere, residuo delle abluzioni.
Le sabbie del deserto non avevano ancora prosciugato lo strato di grasso sotto la pelle tesa, le carni conservavano un aspetto quasi integro. La vistosa cicatrice sull’addome era il segno che l’intestino era stato svuotato, e il corpo preparato per il viaggio nell’aldilà, ma il processo di mummificazione artificiale era stato interrotto dalla profanazione, prima che fosse del tutto iniziato.
Inspirò a lungo, l’odore della morte lo inebriò; particelle di decomposizione si insinuarono nel fondo di naso e gola, accendendo le sue sinapsi.
Tutto ciò gli ricordava quanto fosse fragile l’umanità, in balia della caducità della propria esistenza. Gli uomini si alternavano al mondo come singoli granelli di un’immensa distesa desertica. Insignificanti.
Ora avrebbe operato su quelle spoglie, trasmutandone per sempre la materia. Avrebbe agito con l’Arte Oscura, violando le leggi sacre e antiche che vincolano persino gli dei. Un atto che non doveva neppur essere nominato. Nekromanteia.
Le parole iniziarono a uscire dalle sue labbra dischiuse come il sibilo di un serpente. I suoni si spandevano, riempivano l’aria, agitando un flusso di energia che nasceva nelle profondità, dove non c’era più nulla di umano. Lì il caos primigenio ribolliva come melma putrescente, nell’intento di risalire verso la superficie.
Apep si mosse alla sola luce di una torcia che ardeva prepotente, generando riccioli di fumo grigio. Sfilò dalla cintola il pugnale dalla lama ricurva, e lo avvicinò al cadavere.
Intanto il fiume continuo di parole prese forma. La voce mutò di tonalità divenendo un’eco che proveniva da un altro luogo, remoto e disabitato.
La lama penetrò in profondità; la pelle avvizzita, poco sopra il polso, non oppose alcuna resistenza. Con un leggero movimento, Apep incurvò il pugnale e una piccola parte dell’avambraccio venne via, recisa di netto, lasciando al suo posto un’asola cremisi.
Il dio afferrò quel boccone di carne putrescente e se lo infilò in bocca. Lo lasciò scivolare su lingua e palato, assaporandone il residuo ferroso, poi lo spinse in fondo, giù per la gola.
Dopo quel pasto sacrilego iniziò a incidere le carni con la punta del coltello, lentamente, con cura. Presto un fitto aggrovigliarsi di simboli e caratteri avrebbe riempito ogni singola porzione di pelle livida. Erano le stesse formule arcane che gli uscivano dalle labbra in una litania estatica.
…dall’orrido trai i tuoi poteri, sottrai cadaveri per divorarli, offri il sangue impuro dei defunti facendoli così schiavi nella morte. Genera nella natura il caos….
Una volta terminato il rito, avrebbe avuto inizio un processo inverso, contro natura; opposto alla morte, eppure lontano dalla vita.
I bordi tumefatti di quelle lesioni, proprio perché inferte nella carne esanime, non erano in grado di cicatrizzarsi, ma per assurdo un morbo sconosciuto le avrebbe trasformate in profonde piaghe infette, segno che il male aveva attecchito. Solo allora i cadaveri si sarebbero ridestati.
Decine e decine di corpi giacevano accatastati nei sotterranei del palazzo dove l’oscurità non si dissipava mai, nascosti allo sguardo di chiunque, senza udire altro che lo squittire di ratti. Aspettavano in compagnia delle ombre, in attesa di