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Errare Humanum Est: Il Fattore Umano nei contesti lavorativi ad alto rischio
Errare Humanum Est: Il Fattore Umano nei contesti lavorativi ad alto rischio
Errare Humanum Est: Il Fattore Umano nei contesti lavorativi ad alto rischio
E-book340 pagine7 ore

Errare Humanum Est: Il Fattore Umano nei contesti lavorativi ad alto rischio

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Info su questo ebook

COSA LEGA LA MORTE DI MARY SANDERS DURANTE UN BANALISSIMO INTERVENTO CHIRURGICO, AL DISASTRO DI CHERNOBYL E AL NAUFRAGIO DELLA COSTA CONCORDIA?
FATALITÀ, APPARECCHIATURE DIFETTOSE, PUNIZIONI DIVINE...?
È L’ERRORE UMANO IL FILO ROSSO CHE LEGA QUESTI (E MOLTI ALTRI) TRAGICI EVENTI.
COME PREVENIRE, GESTIRE E RIDURRE I DANNI DELL’ERRORE UMANO È L’OGGETTO DELL’INDAGINE DI FERDINANDO RESTINA.
GUIDA ALLE COMPETENZE NON-TECNICHE PER LE PROFESSIONI AD ALTO RISCHIO

Storia, sviluppo e diffusione del Crew Resource Management nei contesti lavorativi complessi: aviazione, sanità, nucleare, ferrovie, marina, petrolchimico, ecc. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2017
ISBN9788827531884
Errare Humanum Est: Il Fattore Umano nei contesti lavorativi ad alto rischio

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    Anteprima del libro

    Errare Humanum Est - Ferdinando Restina

    Cohen 

    Introduzione

    Già nella letteratura classica si faceva riferimento all’errore umano: Livio, storie VIII 35 " venia dignus est humanus error , ogni errore umano merita perdono; Cicerone cuiusvis est errare, nullius nisi insipientis in errore perseverare , è cosa comune errare solo l’ignorante persevera nell’errore. Anche Sant’Agostino d’Ippona (IV-V secolo) in uno dei suoi sermoni afferma: humanum fuit errare diabolicum est per animositatem in errore manere " cadere nell’errore è dell’uomo, ma è diabolico insistere per superbia.

    Ma il primo a cui è stata attribuita questa locuzione latina è Seneca il Giovane (ca. 4 a.C.-65 d.C.) "Errare Humanum est".

    Questo assioma filosofico è ormai entrato a far parte del nostro linguaggio comune: tutti noi siamo o quasi, consapevoli che sbagliare è nella natura umana. In altre parole accettiamo questo ormai come una verità assoluta a patto che ne venga fatta una esperienza che conduce a una qualche riparazione, sempre che l’errore sia stato commesso inconsapevolmente.

    La riparazione non può avvenire però senza aver preso atto che l’azione commessa sia sbagliata o/e che causi danni a sé stessi o ad altri, cioè senza l’assunzione di una piena coscienza della natura dell’azione colui che sbaglia non avrà mai coscienza dell’errore ed è destinato a commetterlo ancora.

    L’uomo è un animale sociale che trascorre gran parte della propria vita all’interno di una qualche organizzazione, che sia familiare, professionale o semplicemente un gruppo sociale, all’interno della quale porta un contributo di qualche genere, spesso eroico per la sua affidabilità e resilienza. Nel contempo, per la sua stessa natura, è anche una minaccia alle dinamiche del gruppo di appartenenza.

    La prospettiva filosofica attribuita all’errore umano tende più a una visione morale piuttosto che all’analisi delle problematiche operative concrete.

    L’uomo moderno è parte di un meccanismo estremamente più complesso e interconnesso dove gli aspetti morali s’inseriscono nell’etica professionale sfiorando solamente gli aspetti della produzione, efficienza e sicurezza.

    L’avvento della tecnologia, durante la rivoluzione industriale, ha richiesto via via strutture organizzative sempre più complesse basando tutto o quasi sulla progettazione tecnica volta alla salvaguardia e l’integrità degli impianti e della produzione. Questo tipo di approccio ha subito per molto tempo lo stesso orientamento ricercando nelle indagini sugli accertamenti di responsabilità degli incidenti le sole cause tecniche, orientamento che ha influenzato a sua volta la ricerca nella stessa direzione.

    Gli incidenti di Chalk River 1952 (Canada) dove l’errore di un tecnico provocò una reazione che portò alla semi distruzione del nocciolo del reattore; di Seveso (1976) tra i più gravi disastri ambientali della storia; di Three Mile Island (1979); dello Space Shuttle Challenger 1989 e del Columbia nel 2003; di Chernobyl 1986, il più grande disastro nucleare della storia; di Tenerife 1977 la collisione in pista tra due Boeing 747 con 583 vittime; e più recentemente Milano Linate 2001 ancora una collisione in pista tra un MD80 e un jet privato fino al recente naufragio di Costa Concordia 2012, ecc., tutti responsabili di elevati costi sia in termini di vite umane sia per la perdita d’ingenti patrimoni strumentali, evidenziarono la centralità dell’uomo non solo nel recupero di situazioni a margine di fattori a rischio, grazie alle sue intrinseche caratteristiche di flessibilità, ma al contempo lo riconobbero quale fattore contributivo, nonché causale, di numerosi incidenti.

    Questa consapevolezza suggerì l'esigenza di regolamentazioni e di una messa in opera di politiche di sicurezza più globali che richiesero l’appoggio e il contributo di nuove conoscenze negli ambiti delle scienze umane e sociali come l’ergonomia, la psicologia e la sociologia sensibilizzando esperti e operatori di tutto il mondo a indagare su un aspetto che emerge con particolare rilievo negli accertamenti di responsabilità, cioè il fattore umano (human factor).

    Il progresso tecnologico ha dato un importante contributo attraverso numerosi e sempre più sofisticati dispositivi, avvisi e automazioni. Ma mentre questi continuano ad aumentare la loro affidabilità (verso zero incidenti tecnologici), il contributo umano nella generazione degli incidenti si scopre sempre di più, evidenziando che l’anello debole è proprio l’uomo.

    Ricerche confermano che più dell’80% delle cause degli incidenti sono da attribuire al fattore umano (Helmereich,[1] 2000; Reason, 1990[2]).

    La sicurezza, quindi, non può prescindere dalla necessità di soffermarsi sull’analisi e la comprensione della dimensione umana specialmente in quegli ambiti professionali cosiddetti ad alto rischio come il settore aerospaziale, la sanità, il petrolchimico, la polizia, i vigili del fuoco, i militari, la marina mercantile, le centrali nucleari, i trasporti ferroviari, ecc.

    Tra i primi settori esplorati vi fu quello aero-spaziale, forse per il numero degli incidenti e per l’evidenza mediatica che tali eventi suscitano nell’opinione pubblica, dove la ricerca chiarì, almeno in parte, le dinamiche fisiche e cognitive che inducono l’uomo e le organizzazioni verso errori disastrosi.

    Una delle certezze che emersero fu che l’errore umano non è eliminabile, ma si evidenziò anche che può essere individuato, gestito e mitigato.

    Questo lavoro prende spunto dalla mia personale e trentennale esperienza in campo aeronautico, ambito in cui è data assoluta priorità alla sicurezza, ricercata non solo attraverso la tecnologia ma in particolar modo attraverso metodologie e comportamenti riconosciuti e condivisi all’interno di una cultura professionale.

    Negli anni ’90 in questo settore fu implementato un processo formativo, denominato con l’acronimo C.R.M. (Crew Resource Management) diventato obbligatorio per i piloti commerciali di oggi, un "team oriented concept" finalizzato alla definizione e diffusione di competenze non-tecniche, ovvero di competenze cognitive e sociali complementari alle competenze tecniche, metodologie comportamentali che identificano, gestiscono e mitigano "l’errore" insito nel comportamento umano, attraverso la formazione di una cultura della sicurezza dove l’errore è accettato come una risultante naturale, e non solo, è anche visto come un’occasione di apprendimento affinché non si ripeta.

    Questo saggio si sofferma sullo studio dei processi cognitivi umani, cioè del funzionamento della mente e di come a volte fallisca nei processi di elusione dell’errore, analizzando le dinamiche che sottendono i comportamenti a rischio e precisamente nelle aree del processo decisionale, della percezione e della consapevolezza situazionale, dalla comunicazione assertiva alla leadership e le dinamiche di gruppo, ecc., che conferiscono all’operatore le competenze cognitive, sociali e personali, complementari alle competenze tecniche guidandolo attraverso la consapevolezza delle proprie caratteristiche e dei propri limiti, verso comportamenti sicuri, migliori performance operative e empowerment professionale.

    Molti degli argomenti trattati sono già patrimonio inconsapevole di una generalizzata "cultura ingenua della sicurezza" che ognuno di noi, vuoi per esperienze vissuta o per studio o interessi vari ha acquisito e interiorizzato nel corso della propria vita, ma è una conoscenza che si possiede spesso sotto la soglia della consapevolezza.

    Gli studi sul fattore umano sono stati e sono condotti tuttora, da numerosi studiosi nei più svariati campi della ricerca scientifica, dalla medicina alla psicologia e all’ingegneria dei sistemi perché i contesti lavorativi moderni, e in particolar modo quelli ad alto rischio, sono contesti complessi e dinamici in continua evoluzione e richiedono continuamente nuovi approcci evidenziando le molteplici problematiche d’interazioni e di relazioni dell’uomo con l’uomo, dell’uomo con i suoi artefatti, con il suo ambiente fisico, con le procedure e le regole e con il continuo e inarrestabile sviluppo tecnologico.

    Uno dei nuovi campi d’indagine che si pone all’attenzione per le sue conseguenze è la Sanità.

    Alla fine degli anni 90 l’Institute of Medicine statunitense, in seguito a un’indagine sullo stato della sanità americana, riportò (ricerca basata su dati del 1994) circa 98000 casi di decessi all’anno conseguenti a errori medici.

    Studi successivi e più accurate indagini appurarono che il numero dei casi è prossimo ai 210.000[3] la maggioranza dei quali si sarebbero potuti evitare.

    È un numero enorme che equivale, metaforicamente, a tre incidenti aerei al giorno senza superstiti.

    Questo rese necessario e urgente ricercare metodologie comportamentali e interventi, anche di tipo strutturali, che mitigassero i casi di "medical malpractice" in particolare nelle operazioni pre-ricovero, anestesia e pronto soccorso, contesti fertili per l’innesco di errori dove gli operatori sono sottoposti a elevati livelli di stress, deprivazioni del sonno conseguenti a lunghi turni con orari irregolari in un imprevedibile ambiente operativo in cui sono richieste immediate e competenti decisioni sulla vita o la morte di un paziente in un contesto caotico spesso caratterizzato da simultanee emergenze.

    Gli interventi giunsero dall’esperienza aeronautica, settore dinamico e ad alto rischio che fu preso a modello data la decennale esperienza sul campo che attraverso i programmi di CRM avevano ottenuto significativi risultati sia dal punto di vista della sicurezza sia nell’efficienza operativa che segnarono significativi aspetti economici.

    Infatti, tra i primi interventi importati dalle operazioni aeronautiche, vi fu l’introduzione di una check-list in sala operatoria che da sola contribuì a ridurre del 50% i decessi, di un terzo le varie complicazioni e a risparmiare circa 15 miliardi di dollari annui (The New England Journal of Medicine del 29 gennaio 2009)[4] grazie alla riduzione dei casi di malpractice che avrebbero richiesto cure aggiuntive e indennizzi per rivalse legali.

    Il Italia la richiesta di cure mediche ospedaliere è di circa 8 milioni di persone all’anno di cui circa 320 mila (il 4%) subiscono danni o conseguenze più o meno gravi che potrebbero essere evitate. Si stima che tra i 14 mila e i 50 mila perdono la vita a causa di errori compiuti dal personale sanitario o molto più spesso causati da una non adeguata organizzazione delle strutture organizzative con un danno economico che si aggira intorno ai 10 miliardi di euro[5]/[6].

    Questo volume è dedicato in particolare a quei professionisti inseriti in contesti organizzativi complessi quali medici, infermieri, piloti, operatori d’impianti industriali, marina mercantile, ferrovie, vigili del fuoco, forze dell’ordine ecc., ma non esclude un lettore comune.

    Non è richiesta alcuna conoscenza di base in psicologia e non ha la pretesa di definire i corretti comportamenti da adottare ma spero che fornisca elementi di riflessione sulle caratteristiche umane nella determinazione delle problematiche che causano errori specie in quelle operazioni dove le conseguenze possono recare danni a persone e cose.

    Molta della bibliografia utilizzata proviene dal mondo aeronautico ma i concetti utilizzati in quest’ambito sono di estrema utilità e importanza e applicabili in moltissimi contesti professionali e non.

    Nei vari argomenti verranno citati "casi studio", alcuni sono appena menzionati, altri più approfonditi relativamente alle dinamiche non tecniche che sono responsabili di incidenti allo scopo di fornire riflessioni e contestualizzazioni con le proprie esperienze operative.

    Il caso TITANIC

    Dalla seconda metà dell’800, nell’era della Belle Époque, la medicina, la chimica e molte altre scienze avevano avuto un enorme sviluppo diffondendo grandi entusiasmi ed enormi aspettative nella società dell’epoca, facendo ritenere che ormai tutti i problemi relativi all’esistenza dell’uomo potessero essere risolti attraverso lo sviluppo tecnologico. Era una convinzione talmente radicata che alcuni intellettuali ipotizzarono che perfino la morte avrebbe avuto una soluzione tecnologica.

    Si può ben capire che in questo contesto socio-culturale che caratterizzò quel periodo l’affondamento di un gioiello come il Titanic, espressione della più alta tecnologia dell’epoca, ritenuto tra l’altro inaffondabile, suscitasse un enorme stupore e delusione nell’opinione pubblica segnando inesorabilmente la fine di un’epoca e delle grandi aspettative nelle scienze e nella tecnologia che da li a poco verrà asservita agli scopi militari per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

    Il RMS Titanic era una nave passeggeri della Olympic Class, divenuta famosa per la collisione con un iceberg avvenuta nel suo unico viaggio nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912.

    Il Titanic, con le sue due navi gemelle Olympic e Britannic, era stato progettato per offrire un servizio di collegamento settimanale con gli Stati Uniti, un tentativo della White Star Line di conquistare il dominio commerciale delle rotte oceaniche.

    Costruito nei cantieri Harland and Wolff di Belfast, era al tempo la nave più grande e lussuosa al mondo.

    Durante il suo viaggio inaugurale (da Southampton a New York) entrò in collisione con un iceberg la domenica del 14 aprile 1912. La collisione provocò uno squarcio nella fiancata destra provocando, 2 ore e 40 minuti più tardi, l’affondamento del transatlantico.

    Nella sciagura persero la vita 1517 dei 2227 passeggeri imbarcati, l’impatto mediatico ed emotivo fu enorme e portò alla convocazione della prima conferenza sulla sicurezza della vita umana in mare.

    È stato uno dei più grandi disastri della storia della marina mercantile di tutti i tempi.

    La storia

    Il Titanic, assieme alle sue gemelle Olympic e Britannic, fu progettata per competere con il Lusitania e il Mauretania, della compagnia concorrente Cunard Line (che nel 1927 assorbirà la stessa White Star Line, ed è tuttora operante), erano le navi più lussuose e veloci che solcavano le rotte transatlantiche.

    Le tre gemelle Olympic, Britannic e Titanic furono disegnate da William Pirrie, presidente della Harland and Wolff, e da Thomas Andrews capo del dipartimento di progettazione.

    I lavori iniziarono il 31 marzo 1909 e furono completati il 31 marzo del 1012. Il Titanic era lungo 269 metri e largo 28, con una stazza di 46.328 tonnellate (59.000 a pieno carico).

    La propulsione era a vapore (macchine alternative) più una turbina Parson a bassa pressione. Erano le macchine più grandi mai costruite che muovevano le due eliche laterali, mentre la turbina era collegata alla sola elica centrale. Complessivamente divoravano circa 728 tonnellate di carbone al giorno.

    Solamente tre delle quattro ciminiere erano funzionanti, la quarta aveva solo la funzione di presa d’aria, questa fu aggiunta anche per rendere la figura della nave più imponente.

    Il Titanic poteva trasportare fino a 3547 persone tra passeggeri ed equipaggio e navigare con una velocità massima di 23 nodi.

    Poiché svolgeva anche il servizio postale, le fu assegnato il prefisso RMS (Royal Mail Steamer) oltre a SS (Steam ship, nave a vapore).

    Era per l’epoca un vero gioiello di tecnologia ed era ritenuto praticamente inaffondabile (la stampa enfaticamente evidenziò che "nemmeno Dio in persona avrebbe potuto colarla a picco"). Uno dei dettagli che la rendevano unica era un doppio fondo cellulare e lo scafo era suddiviso in 16 compartimenti stagni che si potevano chiudere automaticamente dal ponte di comando con delle porte a ghigliottina (ma in caso di black-out elettrico queste si potevano chiudere meccanicamente sfruttando la forza di gravità). Era una caratteristica che consentiva al Titanic di galleggiare anche con quattro compartimenti allagati. Sfortunatamente lo squarcio provocato dalla collisione con l’iceberg causo l’allagamento di cinque compartimenti.

    Furono imbarcate solo 20 scialuppe di salvataggio, meno di un quinto del necessario, solo quattro in più del minimo legale (minimo 16 per le leggi dell’epoca che era calcolato in base al tonnellaggio e non in base al numero dei passeggeri); in ogni caso non sarebbero servite ad una nave inaffondabile e avrebbero rovinato l’estetica.

    Durante la costruzione non mancarono gli incidenti, con ben 17 morti. La pressione sugli operai era elevata e le norme sulla sicurezza vaghe. Le navi dovevano essere varate nel rispetto delle scadenze per le pressanti esigenze politiche e commerciali.

    Il Viaggio Inaugurale

    Il Titanic partì per il suo primo e unico viaggio il 10 aprile 1912 da Southampton verso New York, il comando fu assegnato al Capitano Edward J. Smith, veterano della compagnia White Star Line, a coronamento di una lunga e brillante carriera, ultimo incarico prima del pensionamento.

    In una intervista Smith dichiarò:

    When anyone asks me how I can best describe my experiences of nearly forty years at sea, I merely say uneventful. I have never been in an accident of any sort worth speaking about. I never saw a wreck and have never been wrecked, nor was I ever in any predicament that threatened to end in disaster of any sort.

    Ma i problemi non tardarono a manifestarsi. Sembra che prima di salpare si fosse sviluppato un violento incendio in una delle sale macchine e che si fosse deciso di partire ugualmente provvedendo alla soluzione del problema durante la navigazione. L’incendio fu domato diverse ore dopo la partenza.

    Alcune delle recenti teorie affermano che le alte temperature raggiunte dall’incendio abbiano indebolito la struttura molecolare dell’acciaio della paratia adiacente, punto che corrisponderebbe all’impatto con l’Iceberg.

    Inoltre a causa del risucchio causato dalla partenza del gigante, una piccola nave, la New York, ormeggiata nelle vicinanze, ruppe gli ormeggi avvicinandosi pericolosamente al Titanic, incidente che causò un ritardo di un’ora alla partenza.

    Dopo avere attraversato La Manica il Titanic effettuò un prima tappa a Cherbourg in Francia, per poi ripartire dopo una breve sosta alla volta di Queenstown (oggi Cobh) in Irlanda, dove a causa di uno sciopero del carbone molti passeggeri di seconda classe imbarcati su altre navi furono ri-protetti sul Titanic.

    In prima classe viaggiavano alcuni tra gli uomini più in vista e più ricchi al mondo; Benjamin Guggenheim, Isidor e Ida Strauss e John Jacob che erano i maggiori oppositori al progetto di creazione della Federal Reserve.

    Con il viaggio inaugurale viaggiava anche l’amministratore delegato della White Star Line, Joseph Bruce Ismay che aveva scelto il nome Titanic e che fu l’ideatore del progetto. Era presente anche il principale progettista Thomas Andrews che voleva constatare di persona gli eventuali problemi del primo viaggio.

    Andrews scelse di colare a picco con la nave, mentre Ismay prese posto sull’ultima scialuppa disponibile, gesto che fu poi condannato come un atto di codardia.

    Cronaca del Disastro

    Era una notte gelida, limpida e senza luna, il mare era calmo. L’assenza della luna e l’eccessiva calma delle acque rendevano difficoltoso l’avvistamento di eventuali iceberg, la cui presenza poteva essere notata solo grazie allo sciabordio delle onde sul ghiaccio e/o al riflesso della luna e/o delle stelle.

    Un messaggio ricevuto dal vapore Baltic alcune ore prima, intorno alle 13:42, segnalava: Al Capitano Smith, venti moderati variabili, tempo bello, sereno. Motonave Greca Athinai segnala la presenza di enormi banchi di ghiaccio a 400 km sulla rotta del Titanic 41°51 latitudine Nord e 49° 52 longitudine Ovest. Questo messaggio è uno dei tanti misteri del Titanic, sembra che il Capitano Smith l’abbia mostrato a Bruce Ismay che lo tenne in tasca per ben cinque ore fino alle 19:15 dando poco peso alla cosa perché ritenne che la modifica alla rotta (più a sud) fatta da Smith fosse sufficiente ad evitare gli iceberg; del resto, la presenza di iceberg sulle rotte del nord Atlantico era un fatto abbastanza comune. In ogni caso nessuno dei due ritenne necessario condividere l’informazione con gli altri ufficiali e il resto dell’equipaggio.

    Nonostante l’informazione la nave non diminuì la velocità, anzi, fu dato l’ordine di accendere le ultime quattro caldaie.

    Nella stessa giornata seguirono altri avvisi.

    La Corinia, di proprietà della Cunad, segnalò: Al Capitano del Titanic – Navi dirette a ovest riferiscono presenza ghiacci, piccoli iceberg, banchi di ghiaccio da 42°N a 49° 51" ovest, 12 aprile.

    Il messaggio

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