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Computer scuola e formazione (1996)
Computer scuola e formazione (1996)
Computer scuola e formazione (1996)
E-book111 pagine1 ora

Computer scuola e formazione (1996)

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Info su questo ebook

Nel 1996 usciva il mio primo libro. La prima parte parlava di temi poco conosciuti che prefiguravano scenari oggi in gran parte noti.
Come potrai vedere questo testo è di grande attualità oggi. Infatti, avrai sentito parlare spesso di realtà virtualedeclinata in varie forme (aumentata, immersiva, parallela, ecc.) e di mirabolanti soluzioni, anche didattiche, che si otterrebbero con queste "nuove" tecnologie, che quel libro prendeva in considerazione già 25 anni fa! In effetti per poter proporre sempre nuovi prodotti c'è bisogno di "filosofie" che ne supportino l'utilizzo. Ma, ci chiediamo: da dove hanno origine queste "filosofie"? Risposta: dalle elaborazioni degli anni novanta, quelle che, precisamente, avevo sottoposto a critica al loro primo apparire. Ed ecco che con questa ripubblicazione, potrai scoprire cose interessanti in merito alla realtà virtuale, perfino alla creazione di nuove religioni, o alle tecnologie militari, passando dall'architettura liquida, al telelavoro e alla teledidattica, tutti argomenti che prendevo in considerazione quando stavano sviluppando i loro primi passi e che tu ora puoi confrontare con gli sviluppi odierni. In effetti spiegavo che le tecnologie non sono neutre, che dipendono dai sistemi di produzione e che sono oggetto di un enorme business che ne determina l’impiego e ne condiziona la ricerca. Spiegavo anche che per coprire questa verità venivano elaborate, appunto, una serie di ideologie a cui ho prima accennato, nell’ambito di quello che era chiamato “ciberspazio” (o cyberspazio, all’americana). Quindi criticavo il ruolo delle tecnologie, criticavo le ideologie che lo supportano e lo facevo da appassionato e grande utilizzatore delle cosiddette “nuove tecnologie”.
Oggi, in piena pandemia, con le persone che muoiono perché non ci sono i “mezzi” (sic!), per arrestare la diffusione del coronavirus, che le scuole sono chiuse, che la sicurezza dei lavoratori è semplicemente un mito, che sembra che un’altra ventata mistica sospinga il telelavoro e la teledidattica (oggi chiamati con termini quali lavoro facile, easy, didattica a distanza), mentre in tutto il mondo centinia di milioni di persone non dispongono dei mezzi necessari, certamente non perché non ci siano - o non ci potrebbero essere - le tecnologie idonee per impedire questo flagello, quello che scrivevo nella prima parte di questo libro, è di nuovo attuale.
In ogni caso, sta al lettore giudicare.
LinguaItaliano
EditoreDidanext
Data di uscita10 apr 2020
ISBN9788835804284
Computer scuola e formazione (1996)

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    Anteprima del libro

    Computer scuola e formazione (1996) - Alberto Pian

    Indice

    Indice

    Presentazione

    Lezione  I Tra progresso e barbarie

    Le tecnologie sono buone o cattive?

    I computer e la guerra

    Controtendenze

    Tecnologie e forze produttive

    Lezione II Il bestiario del ciberspazio: cultura e società

    Il ciberspazio

    Un nuovo linguaggio telematico?

    Cultura e tradizione

    La morte del libro?

    Posizioni irrazionali

    Lezione III Il bestiario del ciberspazio: reale e virtuale

    L’imbroglio dei ciberfilosofi

    Religioni e realtà virtuale

    Cibersex

    Architettura liquida

    Le vere utopie

    Lezione IV Il business multimediale

    Multimedialità e interattività

    Televisione e computer si fondono?

    Business, libertà e spionaggio in Internet

    Strane convergenze tra scuola e industria

    Saldature tra chip e cervello?

    Registrando gli uccellini

    L'agguato della teledidattica

    Quando i supertecnocrati fanno le brioche

    Le insidie del telelavoro

    Opere citate

    Presentazione

    Nel 1996 usciva il mio primo libro. La prima parte parlava di temi poco conosciuti che prefiguravano scenari oggi in gran parte noti. La seconda proponeva delle metodologie di impiego del computer, soprattutto a fini di formazione. I temi trattati nella seconda parte sono stati frutto di continua ricerca e applicazione per i successivi 24 anni (sto scrivendo questa Presentazione il 10 aprile del 2020). I temi che riguardano la prima parte sono stati oggetto di informazione personale, ma non ho più sviluppato quegli argomenti in modo sistematico. Per quale motivo? Perché ritenevo di aver detto l’ultima parola in merito. Riconosco che c’era un po’ di presunzione in questo. Ma, a distanza di 24 anni, penso di aver avuto ragione sul fondo dei problemi sollevati. Nella prima parte del libro spiegavo come le tecnologie non fossero neutre, che dipendevano dai sistemi di produzione (quello capitalista) e che erano oggetto di un enorme business che ne determinava l’impiego e ne condizionava la ricerca. Spiegavo anche che per coprire questa verità venivano elaborate una serie di ideologie nell’ambito di quello che era chiamato ciberspazio (o cyberspazio, all’americana). Quindi criticavo il ruolo delle tecnologie, criticavo le ideologie che lo supportano e lo facevo da appassionato e grande utilizzatore delle cosiddette nuove tecnologie.

    Oggi, in piena pandemia, con le persone che muoiono perché non ci sono i mezzi (sic!), per arrestare la diffusione del coronavirus, che le scuole sono chiuse, che la sicurezza dei lavoratori in fabbrica è semplicemente un mito, che sembra che un’altra ventata mistica sospinga il telelavoro e la teledidattica (oggi chiamati con termini quali lavoro facile, easy, didattica a distanza), mentre decine di milioni di persone non dispongono dei mezzi necessari, non perché non ci siano - o non ci potrebbero essere - le tecnologie idonee per impedire questo flagello, ma perché i rapporti di produzione capitalisti lo impediscono, quello che scrivevo nella prima parte di questo libro, è di nuovo attuale. Sicuramente oggi tratterei gli stessi argomenti in modo un po’ diverso e anche con un linguaggio un po’ differente, ma la sostanza non cambierebbe. Nel quadro di questi rapporti di produzione, le tecnologie sono "uno strumento avanzato di distruzione delle principali forze produttive, che sono l’uomo e la natura", sostenevo all’epoca e sostengo, a maggior ragione, oggi.

    Allora scrivevo:

    "Nel momento in cui la maggioranza dei Paesi è priva di efficienti sistemi sanitari e negli altri sono seriamente rimessi in causa da politiche di privatizzazione c'è da meditare sul tipo di reale incidenza di massa che potranno avere queste tecniche. In ogni caso si sa in quale contesto reale sono inserite.

    Vi siete mai accorti che per ogni ospedale attrezzato, per ogni computer inserito in un contesto educativo, vi sono intere aree geografiche prive di analoghi mezzi e non solo: proprio lo sviluppo tecnologico, che sarebbe teoricamente in grado di risolvere numerosi problemi (semplici vaccini potrebbero evitare milioni di morti infantili ogni anno), è invece causa di uno spaventoso imbarbarimento?

    Ma c'è di più: a quali Paesi potrebbe maggiormente giovare un sistema di chirurgia a distanza, se non proprio a quelli poveri, che hanno, più di altri, la necessità di gestire oculatamente i bilanci sanitari? E tuttavia sono pronto a scommettere che questi Paesi saranno tagliati fuori dallo sviluppo tecnologico e in quanto agli altri, dato il progredire dei piani di privatizzazione sanitaria, saranno innanzitutto appannaggio dei cittadini che ne avranno i mezzi."

    Oggi, che un governo realmente dalla parte della popolazione dovrebbe requisire la produzione e la tecnologia necessaria per metterla al servizio della cura e della salute, oggi che un governo realmente al servizio della popolazione dovrebbe prendere i soldi là dove ci sono: dalle banche che sono state salvate, dagli istituti finanziari a cui si sono ripianati i debiti, dalle aziende che si sono sostenute per trenta o quarant’anni, dalle multinazionali a cui si sono fatti enormi benefici e sconti fiscali, per poter riorientare la tecnologia e la produzione verso la protezione della popolazione, sentiamo, da questi capi di governo, da queste istituzioni del capitale finanziario come l’Unione Europea e la BCE, che non ci sono i mezzi, non ci sono tamponi, non ci sono mascherine, non c’è sicurezza per i lavoratori nelle aziende, che dopo la crisi virale verrà quella economica e dovremo fare nuovi sacrifici. Come se quelli fatti fino a ora non siano bastati, come se il progresso tecnologico, la ricerca, non avessero la possibilità di offrire all’umanità intera un’esistenza confortevole e sicura!

    Questa immensa opera di distruzione di forze produttive pone un semplice problema: o la produzione e le tecnologie vengono collocate dal lato della sopravvivenza della natura e dell’umanità o la natura e l’umanità periranno sotto i colpi di una società, fondata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, il cui scopo è generare profitti immensi a un polo e miseria dall’altro. L’alternativa è posta da tempo e non l’ho posta io. Nel 1996 scrivevo alcune pagine per mostrare quanto drammatica fosse. Nel 2020 tutto il dramma di questa alternativa è sotto i nostri occhi: di quale progresso tecnologico stiamo parlando se queste sono le condizioni miserabili in cui scopriamo di trovarci? Medici e infermieri che non riescono a curare e devono scegliere chi far sopravvivere, strumenti sanitari che mancano, ospedali insufficienti, chiusi, privatizzati, famiglie e insegnanti privi di strumenti e di connessioni sufficienti per apprendere, ma anche di generi alimentari, lavoratori in aziende privi di sistemi di sicurezza e che continuano a lavorare per assicurare la produzione indispensabile.

    Il virus ha reso evidente che il re è nudo. Persino la propaganda televisiva e sociale non riesce nascondere la verità che è sotto gli occhi di tutti: il virus, certo, ma le politiche suicide di governi incapaci di rompere con un sistema capitalista moribondo e in guerra permanente con i bisogni elementari dei popoli, sono i veri responsabili del cataclisma che tutto il mondo sta vivendo oggi.

    Non saranno le tecnologie a salvarci, ma gli uomini e le donne che,

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