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Sempre Vergine?: Una risposta
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E-book104 pagine1 ora

Sempre Vergine?: Una risposta

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Non sono mancate nel corso della storia della Chiesa minacce riduzionistiche nei confronti del mistero della verginità di Maria. Nei tempi antichi come in quelli recenti una sorta di nouvelle vague volendo dire Maria in un “modo nuovo” o “rinnovato”, a volte più conforme alle aspirazioni dell’uomo che vive nel mondo, ha finito coll’accantonare la sana dottrina insegnata perennemente dalla Chiesa.
Ma questo nuovo parlare del mistero di Maria, più aggiornato ai tempi, si è trasformato spesso in un affossamento dello stesso mistero e a ciò si è accompagnata una perdita di senso del valore della verginità e della castità per il Regno dei cieli. Oggi sembra che quelle parole del Signore esortanti a dare tutto per il Vangelo, finanche il proprio corpo, siano semplicemente cose d’altri tempi, di tempi ormai sepolti sotto le macerie di una teologia arrogante e manualistica. Si chiede alla Chiesa, ad esempio, di rivedere il mistero del celibato ecclesiastico. In questo modo appare evidente l’accusa alla teologia che lo ha supportato per secoli, ritenuta niente altro che roba vecchia da mandare in frantumi.
È proprio vero questo? Si tratta di una teologia vecchia o non piuttosto di un prurito mondano nuovo, ma poi non tanto nuovo se si guarda a certi periodi di storia della Chiesa?
LinguaItaliano
EditoreChorabooks
Data di uscita9 gen 2018
ISBN9789887851400
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    Sempre Vergine? - Serafino Maria Lanzetta

    E

    PROLOGO

    Non sono mancate nel corso della storia della Chiesa minacce riduzionistiche nei confronti del mistero della verginità di Maria. Nei tempi antichi come in quelli recenti una sorta di nouvelle vague volendo dire Maria in un modo nuovo o rinnovato, a volte più conforme alle aspirazioni dell’uomo che vive nel mondo, ha finito coll’accantonare la sana dottrina insegnata perennemente dalla Chiesa.

    Ma questo nuovo parlare del mistero di Maria, più aggiornato ai tempi, si è trasformato spesso in un affossamento dello stesso mistero e a ciò si è accompagnata una perdita di senso del valore della verginità e della castità per il Regno dei cieli. Oggi sembra che quelle parole del Signore esortanti a dare tutto per il Vangelo, finanche il proprio corpo, siano semplicemente cose d’altri tempi, di tempi ormai sepolti sotto le macerie di una teologia arrogante e manualistica. Si chiede alla Chiesa, ad esempio, di rivedere il mistero del celibato ecclesiastico. In questo modo appare evidente l’accusa alla teologia che lo ha supportato per secoli, ritenuta niente altro che roba vecchia da mandare in frantumi.

    È proprio vero questo? Si tratta di una teologia vecchia o non piuttosto di un prurito mondano nuovo, ma poi non tanto nuovo se si guarda a certi periodi di storia della Chiesa? Ultimamente il tentativo di rivedere il celibato ecclesiastico si accompagna ad un’altra manovra, quella di ridurre l’indissolubilità del matrimonio a un fattore temporale. Ma ancor prima di questo tardo revisionismo, la vita religiosa è stata declassata a semplice opzione cristiana, una tra le tante.

    Cercheremo di incalzare questi pruriti di novità andando alla radice del problema, mostrando per contro la sempre attualità del dato fondamentale della verginità di Santa Maria; soprattutto lumeggiando l’armonia delle Scritture e la logicità teologica, che in Maria semprevergine, come in un bozzetto, già delineano i contenuti evangelici riguardanti la proclamazione del Regno di Dio in Cristo e il suo compimento. Crediamo che il vero problema oggi della contestazione nella Chiesa si radichi in una superficiale quanto soggettiva visione cristiana e in una lettura esegetica e teologica piuttosto parziale del mistero di Colei che nella Chiesa è la madre e il modello del cristiano. Certo ci sono anche altre ragioni, ma a noi queste sembrano la radice. La verginità di Maria è il grembo puro della Chiesa, il grembo immacolato nel quale si plasmano tutte le vocazioni, interdipendenti, ma sempre vivificate dallo Spirito e sospinte a guardare alle «cose di lassù» (Col 3,1), da Colei che è stata sempre lassù.

    UNA GERARCHIA NELLA PERFEZIONE CRISTIANA? LA DISCUSSIONE SUGLI STATI DI VITA

    Dovremmo fare una breve digressione, toccando, anche se a volo d’uccello, una questione importante, quella cioè riguardante gli stati di vita del cristiano in relazione alla verginità o perfetta castità consacrata a Dio sommo bene e da sempre elogiata dalla Chiesa. Una variazione importante nell’insegnamento della Chiesa a tal riguardo ha provocato a nostro giudizio un riassetto i cui frutti però tardano a venire, anzi cresce un’instabilità e una perdita di identità.

    Nella visione tradizionale si usava considerare tra gli stati di vita – religioso, sacerdotale e laicale – quello religioso come stato di perfezione evangelica. Ciò non in ragione della superiorità dei religiosi rispetto ai laici o di una qualità di santità più alta che i religiosi possono acquisire, ma in ragione del fatto che i religiosi tendono con atti religiosi, cioè con la professione dei consigli evangelici della povertà, dell’obbedienza e della castità, alla perfezione del Vangelo. E ciò in questa vita, non nell’altra, configurando in questo mondo il modo più perfetto di vivere la vocazione cristiana perché conforme alla vita di Gesù e di Maria Semprevergine. Infatti, Gesù rivolgendosi a quel giovane che intendeva seguirlo, oltre l’osservanza dei comandamenti, gli chiede: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21).

    L’aggettivo perfetto è reso con téleios (da telos) nel senso di avere tutto quello che è necessario per raggiungere la completezza. È vero che lo stesso invito alla perfezione ritorna anche in Mt 5,48, dove Gesù dice riferendosi a tutti: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». L’essere perfetti come il Padre è reso con lo stesso aggettivo che indica la completezza. Lo stesso farà poi San Paolo, ad esempio in Rm 12,2, quando inviterà tutti i cristiani a non conformarsi alla mentalità di questo mondo, ma a lasciarsi trasformare per conoscere ciò che è gradito e perfetto secondo la volontà di Dio. È difatti l’invito ad «arrivare all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13, anche qui perfetto è reso con la stessa parola). Però si può facilmente notare una differenza sostanziale: mentre il giovane ricco è invitato ad essere perfetto ora, facendo ciò che Gesù gli consiglia, cioè lasciando tutto per suo amore e seguendo Lui, trovando così la via della perfetta sequela Christi, negli altri contesti in cui si richiama l’importanza della perfezione cristiana, essa è un imperativo o meglio un precetto ed è sempre un qualcosa da acquisire. In questi altri casi, cioè, non si punta per sé all’ esse ma al fieri.

    Il fine della vita cristiana è la perfezione della carità mediante l’osservanza del precetto della carità: amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi (cf. Dt 6,4-5; Mt 22,37). I comandamenti sono il mezzo necessario ( ad esse) per questo fine. I voti religiosi – « Se vuoi essere perfetto…» – sono un mezzo utile ma non necessario, un qualcosa in più perciò ( ad bene esse) a cui corrisponde un di più nella vita cristiana in termini di conformità visibile a Cristo. Qui il verbo usato dal Signore è un presente indicativo [1] .

    All’essere perfetti come il Padre celeste corrisponderà sicuramente un cammino di fedeltà a Cristo, un’intera vita di conformità a Lui compiendo atti interiori di virtù, e comunque la perfezione acquisita sarà una lontana partecipazione di quella del Padre. La perfezione del religioso non è la santità acquisita – in questo i religiosi come i laici sono entrambi chiamati alla santità – ma lo stato in cui vive che lo colloca in una posizione privilegiata e superiore ad ogni altro stato di vita per gli atti pubblici che egli compie. Gli atti pubblici tendono alla perfezione della virtù, ma diversamente dal laico, tali atti sono anzitutto esterni, visibili e sempre riconoscibili come tali e anche interni. Come il sacrificio del Signore è un atto interiore di obbedienza al Padre al quale corrisponde l’immolazione del suo corpo, così accade per il religioso, il quale non è più santo di un laico perché religioso, ma è collocato in uno stato di vita più perfetto, perché conforme all’oblazione di Cristo. Il che non significa neppure che il religioso sarà necessariamente più perfetto di un laico nel Regno dei cieli: è la santità raggiunta da entrambi che segnerà il grado di contemplazione di Dio, ma unicamente che la vita religiosa è più perfetta in se stessa della vita laicale [2]. La ragione ultima di questa superiorità ed eccellenza consiste nel fatto che la verginità è superiore al matrimonio. Se perciò il religioso non raggiunge il traguardo della santità sarà doppiamente responsabile davanti al Padre celeste e quasi sempre scivolerà molto in basso, trascinando con sé molti altri. Avendo smarrito il concetto di sacrificio nella vita cristiana, si è smarrito anche quello di vita religiosa

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