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I dieci momenti che hanno cambiato la storia della chiesa
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I dieci momenti che hanno cambiato la storia della chiesa
E-book1.125 pagine12 ore

I dieci momenti che hanno cambiato la storia della chiesa

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Protagonisti, conflitti e riforme, dall’editto di Costantino al Sacro Romano Impero, dalla Controriforma al concilio vaticano II

La storia della Chiesa è stata, fin dai suoi albori, estrema¬mente travagliata. Questo libro ne ripercorre le vicende approfondendo i principali “momenti” che hanno talvolta portato quest’istituzione a fortificarsi, altre volte a indebolirsi ma, in ogni caso, a cambiare in relazione ai vari contesti storici. Si va dalla “rivoluzione” attuata da Costantino, si passa per Carlo Magno con cui, nel primo millennio, l’impero assunse un carattere sacro, si arriva al Grande Scisma, alla lotta per le investiture, alla riforma protestante dilagata dal nord Europa, fi no a giungere al Concilio Vaticano II. È vero che senza la Chiesa non ci sarebbero state crociate, né scismi, né guerre di religione, né movimenti riformisti, ma nemmeno l’assistenza tramite ospedali e orfanotrofi, la rotazione delle colture, la conservazione di antichi manoscritti, musica e arte sacra. Quella della Chiesa è una storia molteplice e varia, a volte contraddittoria, che ha cercato di superare le divisioni ritrovando la propria unità nella figura di Gesù, che ne costituisce il patrimonio spirituale e religioso. 

La storia della Chiesa in dieci tappe: dalle origini al concilio ecumenico, fino agli albori del terzo millennio

All’interno del libro:
Alle origini della Chiesa
Costantino e l’impero cristiano
Il concilio di Nicea
La nascita dello Stato Pontificio
Lo scisma d’Oriente e le crociate
Il conflitto tra l’impero e il papato
La riforma protestante e la Controriforma
La breccia di Porta Pia
I patti lateranensi
Il concilio ecumenico vaticano II
Andrea Antonioli
è un archeologo, uno storico e un museologo romagnolo, esperto di etruscologia e civiltà protostoriche. Ha condotto ricerche specifiche sul Medioevo e sul Rinascimento e ha progettato e coordinato l’allestimento del Museo Renzi, del quale è direttore, e organizza e cura mostre, convegni ed eventi culturali. Collabora con importanti istituzioni culturali ed è autore e curatore di articoli, guide e saggi, tra cui: Gli Etruschi in Romagna (2006), Alle origini della civiltà etrusca (2009), Ramberto Malatesta. Mente sublime & Anima oscura (2014), Il Museo e Biblioteca Don Francesco Renzi. Storia personaggi avvenimenti (2015), Garibaldi nelle terre del Rubicone (2016), Una rosa per Anita. Il tributo della Romagna ad Anita Garibaldi (2017), Da Palladio al Palladianesimo. Architettura d’imitazione tra Uso e Rubicone (2018). Con la Newton ha già pubblicato Il secolo d’oro del Rinascimento e Cesare Borgia. Il principe in maschera nera.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2018
ISBN9788822728807
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    Anteprima del libro

    I dieci momenti che hanno cambiato la storia della chiesa - andrea antonioli

    Il lungo cammino della Chiesa: momenti splendidi, momenti bui

    Il 24 maggio 1973, papa Paolo vi, nella sua allocuzione per il filologo francese Monsignor Louis Duchesne, sosteneva che, quando lo storico tratta la storia della Chiesa, il mistero diventa oggetto di contemplazione, diventa una sorta di sacramento che è estremamente delicato, difficile da identificare e da decifrare. Il papa intendeva probabilmente riprendere una sintetica affermazione del Decreto del Concilio Vaticano ii sulla formazione sacerdotale:

    La storia ecclesiastica deve illustrare l’origine e lo sviluppo della Chiesa come popolo di Dio, che si diffonde nel tempo e nello spazio, esaminando scientificamente le fonti storiche. Nell’esposizione della materia è necessario che si tenga conto del progresso delle dottrine teologiche e della concreta situazione della realtà sociale, economica e politica, nonché delle opinioni e delle dottrine che hanno esercitato più forte influsso, dopo averne studiato a fondo la reciproca interdipendenza, la connessione, l’evoluzione. Si dovrà infine mettere in risalto il mirabile incontro dell’azione divina e dell’azione umana […].¹

    Questa riflessione mette in luce le difficoltà e, ancor più, il tema dell’obiettività che il ricercatore storico deve affrontare ancor prima di cimentarsi in un’impresa come quella di scrivere un libro di storia della Chiesa; in altri termini la responsabilità cui si va incontro nel trattare tali argomenti con uno spirito disinteressato e libero da pregiudizi di fondo di qualsivoglia natura, teologica o non teologica. Ci si può chiedere allora quale possa essere il ruolo dello storico nel porsi di fronte alla massima istituzione delle anime cristiane. Può, egli, andare al di là dei limiti della sua scienza senza cadere nell’arbitrarietà del provvidenzialismo? E se afferma che il Cristo è il centro della storia, è lecito poi permettergli di approfondirne la figura?

    Per questo, come per altri motivi, lo storico della Chiesa – insegnante o ricercatore che sia – si sente spesso messo di fronte a un compito arduo, per non dire impossibile. In ogni caso occorre che egli metta da parte questi timori onde applicare il metodo storico nella sua semplice metodologia: scoprire il corso e l’intreccio degli avvenimenti umani, fissandone oggettivamente il ricordo, dove questi avvenimenti sono la risultante di numerosi e diversi fattori e talvolta possono presentarsi come dei segni o delle formule apparentemente indecifrabili, visto il numero e la varietà dei coefficienti da cui risulta ciò che si è convenuto chiamare il quadro storico.

    Per fortuna, uno dei componenti sostanziali, ossia l’uomo che agisce, è conoscibile con una certa facilità e costituisce l’oggetto più interessante per chi vuol descrivere lo svolgersi degli avvenimenti. Identificare con esattezza l’uomo, artefice della storia, mettere in luce la sua specificità di essere libero e dunque apportatore di sorprese e novità che possono scaturire dallo spirito umano: ecco cosa caratterizza il valore dello storico autentico e imparziale.

    L’uomo, però, non è il solo protagonista che regola il corso delle vicende umane. Esse si fondano anche su un altro fattore imponderabile, ma di sicuro superiore e determinante per il destino ultimo della storia umana: è l’azione sovrannaturale di Dio, della Provvidenza, la cui presenza nascosta, nel tempo e fra gli uomini, fa della storia un mistero. E, per dirla con Paolo vi, quando si tratta della storia della Chiesa il mistero diventa oggetto di contemplazione, diventa una sorta di sacramento ed ecco allora che identificarlo e decifrarlo risulta un’opera estremamente problematica e complessa.

    Tuttavia esiste ormai la propensione metodologica a trattare una storia della Chiesa non teologica ma semplicemente e comunemente storica, anche se ciò non significa che lo storico credente possa liberarsi dalla propria precomprensione di fede, ma che essa pure dovrà essere considerata alla pari di qualunque altra precomprensione, ineliminabile dalla struttura conoscitiva umana, senza tuttavia pretendere di costituire la chiave interpretativa unica e decisiva degli avvenimenti del passato. D’altra parte, trattando l’argomento storico come qualsiasi altro, anche chi appartiene a una diversa confessione cristiana, o persino il non credente – come del resto si è già verificato – può riuscire a ottenere validi risultati. È dunque a questo secondo ordine di approccio metodologico che questo lavoro si propone di aderire, pur tenendo conto dei racconti delle Sacre Scritture e dei documenti storico-religiosi dei massimi esponenti del cristianesimo e della Chiesa.

    Quest’ultima ha peraltro avuto uno sviluppo reale che è possibile seguire nella liturgia, nella teologia, nell’organizzazione, nella dottrina e nella sua comprensione di sé. Il contatto con popoli e civiltà diverse ha causato profondi mutamenti nel tempo e nello spazio. Anche se gli uomini sono tutti uguali per natura, i loro schemi mentali non sono gli stessi. Tanto per fare un esempio, il modo di pensare dei predicatori della verità cristiana nel ii secolo è notevolmente diverso da quello di un teologo moderno; Tertulliano, Origene, Agostino, Vinfrido Bonifacio, Tommaso d’Aquino, Niccolò Cusano, Fénélon, Sailer, Newman, Schell, ecc. esprimono la comune fede cristiana in maniera del tutto diversa. In questa diversità si manifesta una parte della stratificazione storica e della costante crescita del pensiero cristiano e del modo di porsi e d’agire della Chiesa.

    Quanto sia stato lungo e travagliato il cammino della Chiesa, basta pensare in primo luogo alla vita e alle sofferenze di Gesù Cristo – elemento portante di tutto l’impianto sul quale si fonda la cristianità –, agli epocali eventi scismatici, alla prorompente riforma protestante e ai tanti altri accadimenti che hanno segnato la storia di questa istituzione importantissima e assai discussa e di una parte consistente dell’umanità a essa legata. Questo saggio si propone pertanto di ripercorrere le tappe principali che ne hanno contraddistinto le questioni cruciali, pur con tutte le luci e le ombre che le caratterizzano, nonché i punti di forza e di debolezza, le contraddizioni.

    Gli avvenimenti storico-ecclesiastici ci si presentano anzitutto come una molteplicità varia, che cambia scena, zona e tempo. Ma questa molteplicità non va vista come qualcosa di sconnesso. La forza che attenua o supera ogni divisione è innanzitutto la persona del fondatore della Chiesa alla quale in ogni tempo tutti hanno rapportato se stessi e il proprio patrimonio religioso. Secondo i documenti neotestamentari, la Chiesa è, inoltre, un tutto, un organismo. Di questa unità organica e di questo collettivo essa ebbe una coscienza che si andò sviluppando ma che fin dai primissimi tempi cristiani fu incredibilmente intensa; fu di conseguenza che andò sviluppandosi la sua storia unitaria, poiché si basa appunto sull’unico fondamento Gesù Cristo, la sua opera, il suo insegnamento e la sua istituzione, e che ritorna continuamente sugli stessi temi da lui proposti e imposti come compito e modello di vita. Attorno alla cupola della basilica di San Pietro in Roma vi sono, scritte in lettere di quasi due metri, le parole di Cristo a Pietro tratte dal capitolo sedicesimo del Vangelo secondo Matteo: «Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo claves regni caelorum»².

    E come la Chiesa si pone al mondo come opera della grazia divina e si manifesta tuttavia in uomini mortali e in azioni transitorie, condizionate dal tempo, allo stesso modo anche la sua vita, e quindi la sua storia, sono molteplici come sviluppo di piani diversi della sua struttura. Partendo da questa prospettiva la storia della Chiesa può essere articolata in alcuni fondamentali sfere, la prima delle quali è pertanto costituita dalla vita di Cristo, ovvero l’elemento divino che risiede in lui: è Gesù Cristo stesso come capo del suo corpo mistico, è il mistico corpo di Cristo in quanto vive della grazia divina indipendentemente dallo stato etico-religioso dei membri. Da questa vita fondamentale, mediante la cooperazione dei membri della Chiesa, germoglia la vita interna ed esterna di quest’ultima.

    La sua vita interna riguarda ciò che essa compie unicamente coi mezzi propri, indipendentemente anche dalla «società perfetta» che esiste al suo fianco (lo Stato), e a prescindere dal mondo. Si tratta della sua vita per quel che riguarda il campo strettamente religioso. Della vita interna della Chiesa fa parte per esempio la sua vita di pietà, sacramentale ed extrasacramentale, le sue attività caritative, la sua teologia, in altri termini la coscienza religiosa che essa ha di sé. La Chiesa ha anche una vita esterna, costituita soprattutto dalle relazioni con lo Stato e col mondo, quindi anche con la civiltà, con altre religioni, insomma, la sua propagazione esterna, non però intesa nel senso esclusivamente esteriore. Mediante il carattere missionario, immanente al cristianesimo, le relazioni della Chiesa con lo Stato, il mondo, la civiltà sono essenziali per la sua vita.

    Chi possiede una buona visione d’insieme, profondamente meditata, della storia ecclesiastica ed è giunto a una chiara, intima visione dello sviluppo che in essa si manifesta, possiede già un quadro solido e sempre facilmente verificabile entro cui può ordinare, al loro giusto posto, i fatti storici particolari, ma anche una visione d’insieme che può servirgli da guida e insegnargli a vedere e comprendere i singoli fatti alla luce del grandioso sviluppo, penetrando così maggiormente il senso della storia. Inoltre, come la vita degli individui è diversa nell’infanzia, nella giovinezza, nella maturità, e come lo stesso vale per la vita dei popoli, così vale anche per la Chiesa. Per essa, anzi, la questione si complica maggiormente per il fatto di essere un’istituzione che si estende a tutta la terra e a tutti i tempi (universalità spazio-temporale): sono cambiati i popoli nei quali la Chiesa nel corso dei tempi ha predicato e realizzato i suoi ideali e che a loro volta hanno impegnato le loro forze migliori per dare a essa forma e organizzazione. È cambiata perciò la scena della storia ecclesiastica e, in misura ancor più ampia, è cambiata anche la vita ecclesiale caratteristica di quel tempo, di quel popolo, di quel luogo.

    È dunque importante definire tali sfere della Chiesa, comprendere la sua vita storico-ecclesiastica e specialmente il loro stretto, vicendevole intreccio. Tra gli elementi più importanti si pone il problema della divisione cronologica del materiale storico e del suo risultato ai fini di un’efficace e chiara comprensione e questo lavoro non è certo esente, bensì consapevole di tale necessità. È vero che il corso della vita storica è qualcosa di continuo, ma come tale non è soltanto un miscuglio amorfo. Esso è articolato anche in sé e indipendentemente dallo spirito umano. In certo qual modo è possibile dare un nome a questa divisione, nei singoli gradi di sviluppo, per facilitare il processo di apprendimento, un aiuto eccellente alla conoscenza, il che non equivale però a suddividerla in periodi e quindi a limitarne il valore.

    La consuetudine di poter dividere la storia della Chiesa in tre grandi parti – Età Antica, Medioevo ed Età Moderna – proviene principalmente da due avvenimenti. In primo luogo le grandi trasmigrazioni di popoli del iv, v e vi secolo che ruppero il quadro nel quale fino ad allora si era svolta la storia della Chiesa e cioè l’antico impero romano; ciò portò al tempo stesso a un ampliamento e a un restringimento della scena della storia ecclesiastica, portando alla ribalta della storia universale popoli nuovissimi come membri attivi (per esempio i giovani popoli germanici e più tardi i popoli slavi). Successivamente si verificò una radicale trasformazione della vita spirituale dell’Occidente a iniziare dai secoli xiv e xv, che allentò sempre più l’intima unione dei popoli, tendenti a una spirituale autonomia, con la Chiesa della quale essi finora erano stati quasi naturalmente membri responsabili.

    Questo estraniarsi ebbe un’espressione particolarmente tragica nella spaccatura dell’Occidente, in conseguenza della Riforma di Lutero. Nell’ulteriore prosieguo dello sviluppo sorse poi una civiltà (autonoma), profana nel complesso, la quale in gran parte si sviluppò fuori della Chiesa, anzi contro di essa, permeando profondamente l’epoca moderna. Questa caratterizzazione vale soltanto per l’Occidente. I fattori che determinarono la sua storia fino ai nostri giorni differiscono profondamente da quelli che furono determinanti per la strutturazione dell’Oriente cristiano. La continuità dell’antichità ellenistica, o meglio, bizantina, era stata custodita in modo assai rilevante in Oriente attraverso la sopravvivenza dell’impero romano (fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453).

    Una delle più gravi conseguenze della separazione fra Chiesa occidentale e Chiesa orientale nell’xi secolo, fu che in Occidente venne meno il contatto con le fonti della vita della Chiesa greca (i Padri greci). Nella stessa Chiesa orientale però, la vita non ristagnava affatto durante quei secoli che noi in Occidente chiamiamo Medioevo, anzi, fu straordinariamente attiva, anche se nella teologia, nella pietà e nella vita monastica non conobbe un’attività come quella dell’Occidente. In compenso nella sua liturgia e nel carattere della sua teologia, la Chiesa orientale rimase assai più vicina all’atmosfera della cristianità primitiva. Poiché l’attestarsi della Chiesa nelle missioni d’oltremare fino ai nostri giorni è stato opera quasi esclusiva dell’Occidente e anche la Chiesa americana nacque in epoca moderna, questa suddivisione si riferisce soprattutto a quanto avvenne in Occidente.

    Tuttavia, i due suddetti avvenimenti della storia ecclesiastica e la loro incisiva importanza non devono essere oltremisura sopravvalutati. Nella storia non accade mai che un’epoca finisca completamente, e che poi ne inizi una nuova nettamente staccata dalla prima; è da quest’ultima, al contrario, che si sviluppano quei germi che diventano importanti nella successiva. Le epoche si intersecano e talvolta l’imposizione di periodizzazioni può essere pericolosa, tant’è che molti studiosi le evitano come la peste.

    Nella Tarda Antichità, per esempio, la Chiesa andava sviluppandosi sempre più nell’ambito della civiltà antica (già in decadenza) che essa poi portava ai nuovi popoli assieme alla dottrina cristiana e con essi edificava e attuava quello che noi chiamiamo Medioevo. Questi stessi popoli nuovi, sulla fine dell’Evo antico, furono dapprima servitori e collaboratori, e talora anche sostenitori dell’impero romano d’Occidente sempre più in decadenza, prima di distruggerlo e di sostituirlo con i nuovi regni nazionali e prima che da essi sorgesse poi l’unica civitas christiana, la cristianità occidentale.

    Per comodità, la menzionata triplice ripartizione della storia della Chiesa può essere suddivisa in un maggior numero di unità spazio-temporali e oggettive a seconda delle angolazioni e delle tematiche che esse hanno voluto esprimere. Così, a essa si antepone una suddivisione quadripartita, proposta dallo storico tedesco Hubert Jedin e accettata da tanti studiosi come August Franzen che così si può sintetizzare:

    – dalle origini al 600 o 700 d.C. l’età antica, dove la Chiesa è inserita nella sfera culturale ellenistico-romana;

    – dal 700 al 1300 quella medievale, dove la Chiesa è il fondamento della comunità dei popoli cristiani occidentali;

    – dal 1300 al 1750 l’età delle riforme, dove si registra il dissolvimento del mondo cristiano occidentale e il passaggio alla missione del mondo;

    – xix e xx secolo, dove la Chiesa si pone nel mondo caratterizzato dall’industrializzazione.

    Altri poi, hanno voluto accostare un’ulteriore classificazione, più complessa ma nondimeno efficace, che permette forse di focalizzare con maggior precisione e immediatezza le problematiche epocali. Essa, peraltro, trova i suoi principali fondamenti in una collocazione prevalentemente politica della Chiesa che viene esaminata nei suoi diversi aspetti in ognuno dei dieci capitoli che compongono questo volume.

    – periodo i, dalle origini fino al 400: la Chiesa che vive la nuova realtà di Cristo mantiene la distanza di fronte al mondo, che da parte sua perseguita la Chiesa (nei primi secoli la Chiesa non prega per la conversione dell’imperatore, soltanto per il suo benessere, e non si immagina una evangelizzazione delle strutture);

    – periodo ii, dal 400 fino al 1800: tra Chiesa e mondo vi è una quasi completa identità, con soltanto poco spazio, molto marginale, per ciò che cristiano non è; si tratta di uno spazio che soltanto alla vigilia della Rivoluzione francese del 1789 comincerà ad aumentare. All’interno di questo periodo è poi possibile effettuare un’ulteriore suddivisione: A) 400-1000: l’imperatore e i re dominano; B) 1000-1500: la Chiesa (papa, vescovi, clero) domina; C) 1500-1800: lo stato assoluto domina.

    – periodo iii, dal 1800 fino al 1960: la Chiesa si trova in un isolamento di fronte al mondo, che da parte sua (negli stati liberali con una eredità giurisdizionalista) lotta contro la Chiesa. Così la Chiesa sogna il periodo ii B.

    – periodo iv, a partire dal Vaticano ii: la Chiesa si inserisce nel mondo, come un’istanza critica, per poter sviluppare ciò che è positivo e sanare ciò che è negativo.

    A ogni modo, quelli citati, sono solo alcuni dei criteri per interpretare nel più semplice e migliore modo possibile il cammino della Chiesa; ovviamente ognuno di essi va letto in maniera critica, contestualmente alle problematiche generali che emergono nel corso di duemila anni di storia della Chiesa, il che può quindi risultare molto dispersivo. Dunque, uno degli obiettivi principali di questo lavoro, a prescindere dai fatti storici, è quello di semplificare ulteriormente questo quadro d’insieme, ovvero sia isolando i dieci momenti più importanti – quindi fondamentali – che hanno segnato non solo le vicende interne della Chiesa, ma anche la stessa storia dell’umanità. Nel loro contesto questi momenti si collocano come vere e proprie fasi cruciali della storia ecclesiastica e cristiana e lo si può capire analizzando l’ambiente spirituale nei vari contesti storici e sociali in cui essa si è svolta e si è evoluta, a partire da ciò che costituisce l’essenza stessa del cristianesimo, ossia la persona del fondatore. Considerando il percorso storico, si è voluto pertanto coglierlo con dieci momenti ben precisi, ossia dieci anni, ognuno dei quali simbolizza e scandisce un’epoca cruciale e circoscritta.

    Cominciando dall’antichità cristiana, va subito precisato che il cristianesimo, durante quest’epoca, si trovò di fronte a una civiltà matura, altamente evoluta e, anzi, autonoma, già consolidata e a esso estranea: si tratta dell’antica civiltà pagana dominante in tutto il Mediterraneo. I momenti importanti di questa decisiva epoca sono ovviamente la morte di Cristo (ca. 30 d.C.) e, a distanza di trecento anni durante i quali il cristianesimo avanzò tra mille difficoltà, due avvenimenti che segnarono una svolta: l’Editto di Milano (313 d.C.) e il concilio di Nicea (325 d.C.).

    Con ciò si vuole mettere in luce che nell’Antichità il cristianesimo dovette fare affidamento specialmente e in primo luogo su se stesso. Perciò questo periodo, almeno nella sua prima metà, fu in modo speciale il tempo della vita interiore della Chiesa e della predominante o esclusiva attività religiosa. In questo tempo la Chiesa, sulle basi gettate nel periodo della sua fondazione (con Gesù e i suoi apostoli), elaborava le forme fondamentali della propria vita interna (pietà, liturgia, costituzione), stabiliva i princìpi fondamentali concernenti l’ambito e le caratteristiche del suo patrimonio e della sua attività e di conseguenza della sua missione (lotta contro il cristianesimo giudaico e la gnosi, professione scritta di fede dinnanzi allo Stato persecutore, raccolta degli scritti neotestamentari, simboli di fede, lotte dottrinali trinitarie e cristologiche), e con la predicazione, la vita e la definizione dei dogmi dava testimonianza della Rivelazione di Cristo.

    Il quadro esterno diveniva fondamentalmente diverso prima e dopo il 313. Prima di questa data la Chiesa, per quanto concerne l’ambito della vita esterna, si trovò in una posizione soprattutto di difesa; doveva sostenere una lotta sanguinosa per il suo diritto all’esistenza e tentava contemporaneamente di definire in qualche modo, per assaggi, i suoi rapporti con la civiltà. I cristiani rappresentavano una sparuta minoranza. Dopo il 313 invece il cristianesimo «acquistava la libertà» e diveniva poco per volta religione di Stato; il detentore del potere civile diveniva cristiano. Il metodo d’azione della Chiesa si faceva positivo, assumendo una maggiore iniziativa su tutta la linea della vita esterna. Anche le «masse» affluirono nella Chiesa. Essa stessa contraeva stretti legami con lo Stato e con la civiltà e diveniva una parte importante del mondo. Le lotte spirituali invece si spostavano nell’interno della Chiesa e crescevano di importanza, portavano però in sé tracce profonde della mutata situazione della Chiesa di fronte allo Stato e alla cultura. Insomma, l’Antichità cristiana fu l’epoca del sorgere della Chiesa, della sua prima attività missionaria e del consolidamento della sua esistenza di fronte allo Stato e all’eresia e poi della stabilizzazione della sua fondamentale coscienza dogmatica di sé.

    A differenza dell’antichità cristiana il Medioevo è caratterizzato dal fatto che la Chiesa «esisteva per la prima volta», senza che una più alta civiltà le si opponesse. Anzi, fu proprio essa che creò una nuova civiltà cristiano-ecclesiastica e la guidò poi fino a che quella avrebbe raggiunto la sua autonomia, fino a competere con le grandi entità statuali laiche. Così anche la Chiesa fu partecipe di questo cambiamento. Furono eventi emblematici in tal senso la raggiunta compattezza dello Stato Pontificio (756), il Grande Scisma d’Oriente (1054) e il conflitto con l’impero (1200).

    Si può affermare che la Chiesa e i popoli nuovi crebbero insieme attuando, in sempre più stretta e vicendevole compenetrazione, quella compagine cristiana che noi chiamiamo l’Occidente cristiano del Medioevo. L’Europa fu cristiana sin dalle sue radici. Sotto la spinta di una vita interna molto fiorente (ordini monastici, liturgia, arte, teologia, diritto, devozione popolare), la Chiesa si dedicava ora con molta energia anche alla sfera della vita esterna, volgendosi alla civiltà ammettendola completamente nella vita cristiano-ecclesiastica e, fatto straordinario, influiva e interagiva con la sua politica nelle questioni internazionali, ponendosi in prima linea e sullo stesso piano e relazionandosi con gli Stati.

    Con l’Epoca Moderna la vita spirituale-culturale raggiunge una certa indipendenza nell’ambito dell’unica cristianità, la vita cristiano-ecclesiastica soggiace in parte alla civiltà che la Chiesa aveva concorso a creare e che un po’ alla volta, ma poi in modo considerevole, si distacca dalla Chiesa e, in misura crescente, le si oppone in quanto non cattolica, non cristiana e non religiosa. L’origine di questa lotta trova il suo motivo saliente nel Medioevo e anche in certi atteggiamenti della gerarchia medievale (lotta con l’impero per l’idea ierocratica del papato).

    La vita interna della Chiesa però dimostra anche qui una molteplice e in parte ammirevole ricchezza, anche se attraverso dolorosi alti e bassi, atti di forza e di debolezza. Così ci fu una lotta costante che si concretizzò dapprima in tutta la sua prorompenza con la Riforma luterana (1517) e con la successiva reazione della Chiesa che creò per forza propria una nuova riforma cattolica. Nel xvii secolo essa offrì al mondo lo spettacolo del secolo dei santi e, dopo il xviii secolo, nel xix raccolse le forze per quella nuova ascesa dopo gli eventi risorgimentali che sancirono la definitiva annessione di Roma all’Italia con la celeberrima epopea di Porta Pia nonché la contestuale fine dello Stato Pontificio quale entità storico-politica (1870). Così, nel xx secolo, dopo la prima guerra mondiale, giungeva il mutuo riconoscimento tra quest’ultimo e lo Stato italiano (1929) e, dopo la Seconda, il Concilio Vaticano ii (1962-1965) che ha determinato l’attuale assetto interno della Chiesa.

    Toccando questi momenti fondamentali, si coglieranno aspetti sorprendenti e rivelatori che possono persino stupire il paziente lettore che si ponga di fronte al lungo e travagliato cammino della Chiesa da intendersi alla fin fine come veicolo che possa portare alla redenzione dell’umanità. Spesso si è persino tentati di scoprire questa redenzione identificandola con le vittorie della Chiesa. Scrittori più ardenti che sagaci hanno tentato ripetutamente di scoprire tali trionfi e di descriverli, mentre altri hanno preferito interrogare la storia rinviando spontaneamente alla predizione autentica del Vangelo, che in un mondo come questo non ci sarà mai vittoria definitiva³ e la Chiesa non deve ritenersi esclusa da questo fatto. Questo per dire che la storia della Chiesa può considerarsi come un continuo avvicendarsi di alti e bassi nella lotta della verità e della santità cristiane contro l’errore, la menzogna e la malizia iniqua, all’interno e all’esterno di essa, una lotta che ha prodotto scontri con i Popoli e tra i Popoli, ma che in sostanza vuole una salvezza per i Popoli e quindi per gli uomini.

    1 Optatam totius 16 e Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (n. 79) del 16 gennaio 1970.

    2 Traduzione: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, a te darò le chiavi del regno dei cieli».

    3 Cfr. Giovanni 14, 17; 15, 18; 16, 20; 18, 36.

    1

    Anno 30 d.C. Alle origini della Chiesa

    1.1. Il contesto storico e ambientale agli albori del cristianesimo

    L’ombra di Roma

    L’impero romano era sorto alcuni decenni prima della nascita di Gesù Cristo (27 a.C.) e con Ottaviano, che dal Senato aveva ricevuto l’appellativo di Augusto (30 a.C.-14 d.C.), e i suoi diretti successori, esso si stava espandendo sempre di più, inesorabilmente. Comprendeva i paesi del Mediterraneo, la Gallia e parte della Britannia; il Reno e il Danubio segnavano i confini sul continente.

    Il i secolo d.C. rappresentò al tempo stesso il culmine della potenza dell’impero romano, ma anche l’inizio della sua decadenza, seppure lentissima e impercettibile. Al tempo della nascita di Cristo la Palestina apparteneva a questo impero. Dopo la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo nel 63 a.C. non esisteva più uno Stato giudaico indipendente, anche se rimaneva il principato ereditario. Dopo la morte dell’idumeo Erode il Grande (37-4 a.C.), Augusto assegnò il suo territorio ai figli. Nell’anno 6 d.C. la Giudea, l’Idumea e la Samaria furono sottoposte come province a un procuratore romano. Dal 26 al 36 d.C. Ponzio Pilato fu procuratore in Giudea e Samaria. Sotto Erode Agrippa i (39-44 d.C.) i territori furono di nuovo riuniti sotto l’alto controllo di Roma. Nel grande impero romano, il pezzetto di terra palestinese, patria dei denigrati Giudei, era solo una parte insignificante. L’imperatore possedeva un potere quasi illimitato nell’immenso territorio; tuttavia il governo mostrava una certa moderazione nelle sue decisioni e nel suo modo d’agire. Le province potevano così godere di una certa autonomia.

    Il centro assoluto, capitale e insieme specchio di tutto l’impero, era Roma, l’Urbe, una vera meraviglia del mondo. In considerazione dell’ideale dell’impero eterno che incarnava, Roma era una forza reale che per tutta l’Antichità e il Medioevo esercitò un influsso intenso e ineguagliabile, di somma importanza anche per la Chiesa, come si vedrà. Questo influsso è uno dei grandi fenomeni della storia che è possibile comprendere in maniera razionale solo per approssimazione. Naturalmente, sia dal punto di vista della storia profana che da quella ecclesiastica, non fu sempre un’idea positiva, anzi risultò spesso uno squallido luogo comune. Basti pensare all’idea di dominio incarnata nella maestà di Roma, o al fatto che in Costantinopoli quale seconda Roma essa rese possibile l’antagonismo di quella Chiesa nei confronti del papato e infine contribuì, in reciproca concorrenza, alla fatale scissione fra Chiesa orientale e Chiesa occidentale.

    Roma compendiava in sé gli aspetti più svariati dell’impero. La città non aveva un volto spirituale unitario e tuttavia la sua struttura era pagana; si può a malapena immaginare la profonda differenza intercorrente fra essa e una città cristiana. Era piena di templi che in verità erano soltanto dimore per le immagini degli dèi e non luoghi di preghiera; il culto, poi, veniva praticato davanti alle porte. Il centro effettivo della città erano il Campidoglio e il Foro, ossia i luoghi della legislazione, dell’amministrazione della giustizia, della vita politica, in funzione della quale era anche la liturgia ufficiale.

    Vi erano palazzi sfarzosi e di un lusso raffinato che allora incominciarono, in misura crescente, a servire alla vita mondana volta al godimento. Vi erano teatri e anfiteatri nei quali un’arte sovente immorale e anche la crudeltà celebravano i loro fasti, mentre mancavano quei luoghi indispensabili per curare e accudire le persone in difficoltà e i poveri, ossia gli ospedali. Il fatto che esistessero delle associazioni religioso-caritative per la concessione di aiuti (in modo speciale per la garanzia di una sepoltura dignitosa), e l’influsso della filosofia stoica, attenuano alquanto il quadro, ma sostanzialmente non lo mutano.

    Mancava la forza che sapesse trasformare la vita. Nel vasto impero l’immoralità penetrava sempre più profondamente in tutti i ceti sociali. Il lusso eccessivo e la vita voluttuosamente raffinata si accompagnavano con uno spregevole disprezzo della vita umana, specialmente dei ceti socialmente più miseri, degli schiavi. I frequenti giochi dei gladiatori nei quali venivano sacrificate, per il piacere degli spettatori, innumerevoli vite umane, ne costituiscono un impressionante documento. Persino sotto un imperatore come Tito (79-81 d.C.), definito «delizia degli dèi e degli uomini», molte migliaia di schiavi furono uccisi in tali lotte, come a Cesarea, dove furono addirittura in 2.500 a perdere la vita dopo la distruzione di Gerusalemme.

    La vita nel vasto impero romano, specialmente nelle sue città, nelle colonie civili, nelle stazioni militari, era modellata su quella della sua grande capitale. Così l’impero era in certo qual modo una propagazione di Roma sotto ogni aspetto della vita e del costume. Per l’espansione del messaggio cristiano questo fatto poteva presentare dei vantaggi, anche se come rovescio della medaglia facilitava all’occorrenza la lotta contro di esso.

    Scriveva san Paolo che Gesù Cristo venne «quando il tempo fu compiuto»⁴, il che significa, al di là del suo contenuto fondamentale (storico-salvifico), che questa pienezza si era realizzata in tutti i campi della civiltà di allora. Per pienezza si intende una disposizione degli spiriti e degli animi, spiritualmente e religiosamente molto varia (che tuttavia non riusciva a uscire dal solco della superstizione), alla quale il messaggio cristiano poteva riallacciarsi solamente ponendosi in posizione dialettica di contrasto. In altri termini, i cristiani erano coloro che si ponevano come fossero fuori dal mondo. Ed era, questa, un’interpretazione autentica della persona del Signore crocifisso e risorto. Era lui la novità assoluta!

    Roma, Arco di Tito: particolare del rilievo con la distruzione di Gerusalemme.

    Il complesso ambiente giudaico

    Al tempo di Gesù, nella religione giudaica si erano formate diverse correnti. Due forme specialmente erano diventate importanti per il suo destino e per quello della sua dottrina. Una predominava in Palestina, l’altra fra i Giudei fuori della Terra promessa, in tutte le grandi città dell’impero romano, vale a dire nel giudaismo della diaspora (dispersione). La corrente palestinese era caratterizzata soprattutto da una straordinaria ristrettezza e rigore che si chiudeva gelosamente di fronte a tutto ciò che non fosse giudaico e si esprimeva a sua volta con sfumature molto diverse. I partiti principali di questo ambiente molto rigido erano i Sadducei, i Farisei e gli Esseni.

    I Sadducei si svilupparono dai circoli aperti alla cultura ellenistica. Fin dai loro inizi essi ritenevano valida soltanto la legge scritta, senza la tradizione orale, perciò rifiutavano le aggiunte e gli sviluppi posteriori della fede ebraica, per esempio l’immortalità dell’anima e la risurrezione del corpo. Erano una corrente spregiudicata di increduli, materialisti e liberi pensatori ed erano rappresentati soprattutto dalle grandi famiglie sacerdotali, sempre attente a conservare i propri privilegi, anche a prezzo di compromessi con l’occupante romano. Al tempo di Gesù diventarono un partito politico.

    Rispetto ai Sadducei, i Farisei erano ancor più rigidi e anche più chiusi, come sta a significare lo stesso nome ebraico; discendevano dai chassidim (devoti) e si ritenevano i rappresentanti del corretto giudaismo, dando un’interpretazione minuziosa alla legge e facendo riferimento alle opinioni dei maestri anteriori, cosicché la tradizione ebbe una parte di primo piano nell’erudizione biblica del periodo successivo. A questo partito appartenevano anche gli scribi e i sacerdoti, che per il loro zelo, talvolta soltanto esteriore, riscuotevano il sostegno del popolo.

    Anche gli Esseni erano un ramo dei chassidim. Fra loro c’erano dei circoli di carattere monastico. Attraverso i rinvenimenti di manoscritti presso il Mar Morto (per quanto ancora molto discussi e frammentari), sono stati conosciuti di recente specificamente gli Esseni di Qumràn, il cui maestro di sapienza emerge come figura singola. Si è ritenuto probabile che Giovanni Battista abbia avuto relazioni con loro.

    Il giudaismo farisaico mirava soprattutto a conseguire la giustizia attraverso l’esatto adempimento, secondo la lettera, delle numerose prescrizioni particolari della Legge. In un simile atteggiamento c’era molta esteriorità, presunzione e ipocrisia, che nei Vangeli Gesù spesso biasimò duramente⁵. Questa forma estrema del giudaismo possedeva anche una forza interiore. Lo prova, più di ogni altra cosa, il fatto che seppe vincolare fortemente al suo servizio uno spirito nobile come Paolo di Tarso. Senza dubbio era un ideale pericoloso quello al quale il giudaismo, in fondo, si consacrò sacrificando la propria esistenza, ma era pur sempre un ideale. Era la superba coscienza di possedere, nella sua caratteristica ed esclusività, il giudaismo rinato nell’eroica lotta dei Maccabei nel ii secolo a.C. contro il seleucide Antioco iv Epifane, e la grande aspirazione a tenerlo lontano da ogni elemento impuro.

    I Giudei odiavano i romani, i distruttori della loro indipendenza politica. La massima gloria del popolo giudaico era quella di riconoscere come proprio re soltanto Jahvé, l’Altissimo. I Giudei a loro volta erano molto mal visti dai romani e anche dai greci. Tuttavia la religione monoteistica e la morale tutta interiore dei Profeti, di parecchi Salmi e degli scritti sapienziali costituivano una forza di attrazione che trasformò un numero considerevole di pagani in proseliti (ossia simpatizzanti) del giudaismo. Alcuni si convertivano completamente e si sottomettevano alla circoncisione e a tutta la legge cerimoniale. Altri invece cercavano un accostamento al giudaismo accettando specialmente la fede nel Dio uno e unico; costoro erano i timorati di Dio conosciuti dal Nuovo Testamento⁶. Questi proseliti e timorati di Dio costituiscono una prova delle aspirazioni religiose nel paganesimo di quel tempo.

    La religione del giudaismo è consegnata negli scritti dell’Antico Testamento di lingua ebraica e in parte di lingua greca. La traduzione di questo libro sacro per opera, come si dice, di settanta dotti (Septuaginta) della comunità giudaica di Alessandria (iii e ii secolo a.C.), trasmise al mondo greco pagano la religione monoteistica veterotestamentaria. In questa traduzione l’Antico Testamento divenne e rimase la Sacra Scrittura del cristianesimo più antico. Esso non era solo il libro dei cristiani, ma il Libro sacro. Gli scritti del Nuovo Testamento sorsero solo successivamente e furono raccolti ancora più tardi.

    Il contenuto dell’Antico Testamento non è filosofia, ma rivelazione religiosa, effetto e testimonianza ispirati delle relazioni storico-salvifiche di Dio col suo popolo eletto. Esso contiene il chiaro monoteismo e il messaggio etico-religioso dei profeti fondato sull’autorità divina. Questo Libro sacro giunge, oltre il giudaismo, al tempo messianico della salvezza. Verso l’inizio dell’era cristiana ci furono invero dei Giudei sostenitori di una vicina attesa, a sfondo politico, del Messia. Ma tanto gli scritti «apocalittici», quanto il messaggio dei profeti prepararono alla comprensione della futura dottrina religiosa del Messia-Redentore. In questo senso il giudaismo stesso testimoniò in favore della Chiesa quando questa fece sua l’eredità del popolo eletto.

    Di grande importanza per la storia della Chiesa fu anche la consapevolezza, scaturita e alimentata dalle Sacre Scritture, che ebbe Israele di essere il popolo da Dio prescelto. Questa consapevolezza, resa ancora più forte dalle promesse e dal compito missionario del Signore, passò quale eredità legittima al cristianesimo. Essa apportò, dopo quella centro-giudaica, una visione cristiana del mondo e della storia. Il fatto che il cristianesimo sia divenuto in tal modo erede del giudaismo produsse sempre una sintesi molto feconda nella Chiesa che gode del titolo giuridico e glorioso di un passato antichissimo, onorevole e consolidato ma che nello stesso tempo rimane giovane.

    L’ostacolo del paganesimo

    All’inizio dell’era cristiana le religioni pagane, nonostante quanto si è detto, non erano affatto decadute del tutto nell’impero romano. Tutta la vita, sia pubblica che privata, era pur sempre sottesa da sacrifici, da oracoli e da incantesimi religiosi di ogni specie in onore degli dèi. Un culto, perfezionato in tutti i sensi, veniva esercitato da una numerosa e influente casta sacerdotale. Inoltre, proprio in quel tempo, per volere dell’imperatore fu introdotto il culto di nuove divinità. Accanto alla dea Roma, incarnazione dello Stato, fu posta innanzitutto la persona dell’imperatore a cui furono tributati onori divini. Questo culto fiorì specialmente nelle province orientali: si pensi infatti all’Oriente quale patria del culto dei sovrani per eccellenza. Questo culto dell’imperatore – che era stato annunciato già in Cesare e diventò in Augusto fatto compiuto – da Domiziano in poi sarebbe diventato obbligatorio per tutti.

    Nella religiosità pagana di quel tempo molto era solo esteriorità. Tutto sommato, la religione mitologica antico-pagana degli dèi olimpici aveva superato già da lungo tempo il suo apogeo sia in Oriente che in Grecia e anche a Roma. I tentativi – fatti per esempio da Augusto – di farla rivivere ebbero scarso successo. L’illuminismo filosofico, insieme a un crescente desiderio di interiorizzazione, già da tempo avevano esercitato con successo la critica delle antiche divinità come Cronos, Zeus, Era. Anche quella propagazione ed effettiva diffusione del culto dell’imperatore non può essere considerata la prova di una crescente religiosità. Il culto dell’imperatore non era che una profonda espressione della confusione del concetto pagano di Dio al quale mancava l’assolutezza e la santità.

    D’altra parte, però, nel paganesimo di allora esisteva un reale anelito religioso che si può immaginare sebbene solo in maniera approssimativa; esso andò in verità distanziandosi sempre più dal culto religioso ufficialmente prescritto ed esercitato dallo Stato. Le persone di cultura, per quanto non cadessero completamente nell’indifferenza, si rifugiavano per la maggior parte in una religiosità filosofica che, non di rado, inclinava notevolmente al monoteismo o, perlomeno, a una specie di sincretismo religioso, inteso proprio come quel complesso di fenomeni e concezioni dovuti all’incontro di forme religiose differenti. I ceti sociali più bassi (ma anche persone colte) cercavano la salvezza e la redenzione negli antichi misteri allora rifiorenti o in quelli nuovi di provenienza orientale, nei quali, attraverso segni esterni misteriosi e suggestivi (battesimo, sacro banchetto), si credeva di trovare la purificazione e l’unione con la divinità. Il contenuto religioso di questi misteri ellenistici, portati a un ulteriore sviluppo, era però molto diverso, spesso addirittura problematico. Questo vale specialmente per i pretesi paralleli con la morte e la risurrezione di Gesù: bassa (e oscura) superstizione e idolatria a differenza della figura del Signore che è la vita⁷ e nella fede dona la vita; fantasticherie di fronte alle molteplici testimonianze, storicamente inoppugnabili, di coloro ai quali Gesù apparve dopo la sua risurrezione. Di particolare importanza è la differenza fra auto-giustificazione pagana, confessione cristiana della colpa e remissione gratuita.

    Straordinariamente importanti e, per alcuni secoli, anche in concorrenza con il cristianesimo furono i misteri di Mithra, nei quali si insinuava una specie di «battesimo». Nel culto della Gran Madre (Cibele, Attis), conosciamo il tauribolio nel quale l’iniziato si faceva cospargere di sangue di toro, per venire purificato dai peccati.

    Alla suddetta interiorizzazione aveva contribuito anche il diritto romano. La sua applicazione da parte dello Stato, al tempo stesso tollerante e intollerante, era bensì diventata fortemente positivistica, ma il concetto dell’aequitas (che significa interiore, vale a dire giustizia fondata sul diritto naturale) era assurto, attraverso la giurisprudenza, a una vera forza. Valendosi di esso – partendo quindi da un principio riconosciuto anche da parte pagana – gli apologeti cristiani nel ii secolo potevano condurre una critica decisiva alla procedura, ostile ai cristiani, dello Stato e ai princìpi giuridici su cui si basava.

    Dunque nel vasto ambito dell’impero romano universale si fronteggiavano in particolare tre ambienti, spiritualmente e culturalmente diversi, tre sfere culturali essenzialmente diverse: il giudaismo, la civiltà greca e la civiltà romana. In pratica non si trattava altro che delle tre lingue insite nella soprascritta posta sulla croce di Gesù.

    L’ambiente greco-ellenistico, però, specialmente là dove si sovrapponeva ad antiche civiltà molto sviluppate, si era in parte talmente evoluto che, anche per quel tempo, si può già parlare di un quarto ambiente, quello orientale. Attraverso il carattere unitario della civiltà ellenistica dell’epoca imperiale questa triplice (o quadruplice) diversità finì col subire una profonda concentrazione, ma non fu tuttavia eliminata. Il nascente cristianesimo, nel suo corso attraverso i primi secoli, si imbatté dunque in tre civiltà essenzialmente diverse tra di loro e con esse dovette entrare in comunicazione: la civiltà giudaica, quella greca, quella romana. Su questo fatto si fondano tutti i problemi che la storia della Chiesa antica ci presenta. Solo facendo luce sulle caratteristiche particolari di questi substrati culturali si può dare una risposta esauriente al problema relativo alla natura, al corso e alla causa dell’espansione del cristianesimo nel mondo antico.

    Mirando soltanto ai caratteri più salienti delle suddette sfere, il mondo giudaico ci si presenta come religioso, quello greco come filosofico, quello romano come politico: religione giudaica, cultura ellenistica, stato romano (ovvero diritto romano nella sua attuazione concreta). Ciascuna di queste civiltà pose il cristianesimo dinanzi a ben precisi problemi, a difficili scelte e agì su di esso in maniera ben definita, sia attraverso modi diversi di comprensione che attraverso gli ostacoli appostigli dalle molte e svariate abitudini (sia del pensiero che della vita pubblica e privata). Questi influssi corrisposero sempre al carattere di quel determinato ambiente. Il fatto è che i grandi problemi e le grandi lotte che dominarono la storia della Chiesa nell’Antichità sono radicalmente diversi nel mondo giudaico, in quello greco e in quello romano. In ciascheduno di essi si esprime similmente la coscienza che la Chiesa ha di sé all’interno della sua sostanziale unità, pur in una ben precisa diversità.

    1.2. Gesù Cristo nella storia

    Il problema dell’esistenza storica e della nascita di Gesù

    Il cristianesimo è una religione storica rivelata e deriva direttamente dalla persona storica di Gesù Cristo, uomo-Dio, e dalla sua opera salvifica. Premessa e fondamento a ogni storia della Chiesa è quindi la dimostrazione dell’esistenza storica del Messia e della storicità della fondazione della sua Chiesa. Diversi autori dell’Ottocento⁸ e degli inizi del Novecento⁹ hanno cercato di configurare il cristianesimo come un’invenzione degli apostoli e hanno considerato la figura storica di Gesù una personificazione irreale, fittizia e mitica, di nostalgie e di idee religiose, una pia frode creata dalla cerchia dei discepoli o, addirittura, una sublimazione e una variazione delle figure divine di eroi dell’Asia anteriore e delle religioni misteriche ellenistiche.

    La storia comparata delle religioni, allora in pieno sviluppo, scoprì improvvisamente nella vita di Gesù analogie e parallelismi con il dio solare Mithra¹⁰, con l’eroe dell’epopea babilonese Gilgamesh¹¹, con la figura mitica del salvatore che muore e risorge¹². Si ritenne persino che l’immagine della vita e della dottrina di Gesù, delineata dai Vangeli, dovesse essere interpretata come un’eco personificata delle nostalgie sociali delle masse oppresse¹³. Tutte queste teorie si sono rivelate totalmente prive di validità scientifica e oggi sono state abbandonate.

    Nel frattempo, l’esegesi biblica moderna – operando sul testo sacro con maggiore scrupolosità e acribia e servendosi di un metodo criticamente più esatto – aveva ricollocato l’intero problema su nuove e più solide basi¹⁴. Si imparò così a distinguere la forma espressiva mitica, condizionata dal tempo, propria a molti testi scritturistici, dal loro contenuto essenziale e a liberare da quel rivestimento il loro nucleo storico fondamentale, con le istanze centrali del messaggio neotestamentario sull’opera divina di salvezza in Gesù Cristo. Altre ricerche, fondate sul «metodo della storia delle forme» e condotte criticamente sulla forma letteraria del testo dei Vangeli, cercarono di estrapolare dal contesto, con maggiore chiarezza, quelle parti e sezioni che costituivano le fonti primarie della vita del Cristo storico.

    E mentre, da un lato – grazie a queste analisi – furono sconfessate alcune ingenue opinioni, recepite tradizionalmente, che consideravano gli Evangeli solo come biografie di Gesù, ineccepibili dal punto di vista contenutistico e cronologico, venne anche – d’altro canto – offerta agli studiosi la possibilità di enucleare dai testi neotestamentari un fondo comune di fatti storicamente provati e resistenti a ogni possibile critica.

    Detto ciò non v’è dubbio alcuno che Gesù di Nazareth incarni in sé i princìpi e le prerogative che ne fanno la figura più affascinante e discussa di questi ultimi duemila anni: egli si distingue come un uomo superiore, un maestro religioso ebreo, un guaritore di grande carisma, un esorcista. Se tale affermazione si presenta scarna, bisognerà ricordare che le informazioni affidabili su di lui sono pochissime e purtroppo da sole devono bastare per riuscirci a fare un’idea concreta del suo mondo e del suo operare, se lo si considera esclusivamente come essere umano. Nell’opinione di molte persone assennate, per i più fervidi cristiani Gesù di Nazareth ha moltissimo, forse tutto, da dirci sulla salvezza eterna dell’umanità; tuttavia si tratta di un argomento che con i libri di storia ha pochissimo a che fare e non ha forse molto a che fare neppure con i manuali di teologia.

    L’origine di Gesù di Nazareth è oscura. Un mistero impenetrabile che la poesia dei racconti della Natività maschera a malapena, avvolge il luogo e le circostanze della sua nascita che si collocano sicuramente tra gli ebrei di Palestina. Le testimonianze sulla vita e sull’attività di Cristo sono molto frammentarie, il che non sorprende quando si pensa al fatto che, durante la sua esistenza, l’importanza politica di quest’uomo come capo religioso fu del tutto trascurabile e che, qualora non avessimo le notizie contenute negli scritti dei suoi primi discepoli, non si saprebbe quasi niente di lui.

    A. Dürer, Madonna al muro, incisione (1514).

    Tuttavia, come sostiene qualcuno, affermare che il movimento cristiano è nato in Palestina, dovrebbe indurre ad accettare implicitamente l’esistenza storica di Gesù Cristo, contestata da alcuni di coloro che collocano il cristianesimo al di fuori di questa provincia e dello stesso giudaismo. Infatti, la tradizione orale cui si rifanno san Paolo e soprattutto gli evangelisti, comporta perlomeno un nucleo importante di racconti, e più ancora di detti che intorno al 40-50 venivano attribuiti a un personaggio storico vissuto meno di una generazione prima. L’invenzione di un tale personaggio in così pochi anni potrebbe sembrare del tutto inverosimile, anche se si deve ammettere che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero potuto essere profondamente reinterpretati in questo intervallo di tempo.

    Tra coloro che accettano la tesi dell’esistenza storica di Gesù di Nazareth, ve ne sono alcuni che considerano che sia praticamente impossibile ricostruire la sua vita, almeno allo stato attuale, al di là di alcuni episodi, come la crocifissione a opera delle autorità romane. Altri, invece, ritengono che una biografia di Gesù si possa scrivere e danno largo credito ai documenti disponibili, cioè soprattutto ai quattro Vangeli canonici. In verità nessuno di essi ha voluto essere – ed è di fatto – una biografia storica di Gesù: essi rispecchiano invece unicamente l’immagine di Cristo così come si è formata sulla base della predicazione apostolica nei cuori dei suoi fedeli e amati discepoli.

    Esiste tuttavia un terzo movimento di studio, che giudica estreme entrambe le posizioni suddette, ritenendo che, pur non essendo possibile ricostruire la vita e l’insegnamento di Gesù, si possano tuttavia rintracciarne alcuni elementi essenziali e coglierne l’orientamento generale. Non ci si può infatti esimere dal constatare che non pochi particolari dei Vangeli concernenti Gesù sono storicamente accertabili e che, sotto il «Cristo della fede», quale ci viene raffigurato nel Nuovo Testamento, è pur sempre possibile ravvisare con sicurezza il «Cristo storico». Dunque la maggior parte degli studiosi ritiene incontestabile l’esistenza storica di Gesù.

    La documentazione sulla vita del Messia è certamente unilaterale e di difficile utilizzazione. Le fonti non cristiane, infatti, già molto scarse, si riducono ad alcuni accenni che provano solamente come nel ii secolo nessuno mettesse in dubbio l’esistenza storica di Gesù: Plinio il Giovane intorno al 112-113¹⁵, Tacito verso il 117¹⁶ e Svetonio verso il 120 circa¹⁷.

    Tranne alcuni accenni antichi del Talmud, le fonti giudaiche si limitano a un piccolo numero di passi delle opere dello storico ebreo Giuseppe Flavio (verso il 93-94), il quale possedeva alcune notizie da cui si può dedurre che egli fosse venuto a conoscenza della personalità storica di Gesù¹⁸; tuttavia queste notizie non aggiungono granché a quello che si sa dai Vangeli e oltretutto si nutrono non pochi dubbi sulla loro autenticità. Quanto alle fonti cristiane del i secolo, esse sono meno ricche e meno sicure di quanto sarebbe auspicabile: se si escludono i soliti canonici Vangeli, esse ci fanno conoscere soltanto poche parole e qualche sporadico episodio della vita di Gesù.

    Uno dei primi a indagare su Gesù come personaggio storico fu l’imperatore Domiziano (51-96 d.C.), del quale si narra che a circa un cinquantennio dalla morte del Messia avesse inviato alcuni agenti investigativi in Galilea a interrogare i congiunti superstiti, che si rivelarono contadini abbrutiti dalla fatica di campare su un piccolo podere e vennero rilasciati senza imputazioni. Il fatto che Domiziano ordinasse una missione del genere, preoccupato per il rifiuto opposto dalla setta di Gesù a riconoscere la natura divina sua e degli stessi dèi, sembra confermare che la setta non fosse poi così ininfluente al punto da indurre il governo imperiale a concedersi il disturbo di fermare per accertamenti i pronipoti di Gesù, a così breve distanza dalla sua morte. Se non altro ciò potrebbe dimostrare con quale rapidità fosse cambiato il giudizio sulla sua rilevanza politica in quel regno del realismo che era l’impero romano.

    Le fonti relative alla Natività di Gesù – o perlomeno, la narrazione – è contenuta nei Vangeli secondo Matteo e secondo Luca oltre che nel Protovangelo di Giacomo (scritto circa nel 140-170 d.C.). La valutazione sulla valenza storica dei testi evangelici è tuttavia oggetto di controversie. I testi di Matteo e Luca concordano su due eventi centrali che verificano, secondo l’interpretazione cristiana, due profezie dell’Antico Testamento: la nascita di Gesù a Betlemme¹⁹, da una vergine²⁰. Anche se differiscono riguardo diversi particolari, entrambi i Vangeli raccontano inoltre della nascita al tempo di re Erode, riferiscono il nome dei genitori (Maria, promessa sposa di Giuseppe) e attribuiscono il concepimento verginale all’opera dello Spirito Santo.

    Secondo l’interpretazione tradizionale, gli elementi contenuti nelle narrazioni evangeliche sono storicamente fondati. Le differenti versioni della Natività tramandate in Luca e Matteo rispecchiano infatti due diverse esigenze catechistiche dei redattori. Le prime comunità cristiane cui era rivolto il testo di Matteo erano infatti composte da ebrei e per tale motivo l’autore non avrebbe citato alcuni dettagli (come il censimento) che per gli ebrei non erano importanti. I diversi passi dell’Antico Testamento citati nel Vangelo secondo Matteo che sono esplicitamente collegati alla nascita di Gesù, sono stati ispirati dallo Spirito Santo secoli prima in vista proprio della sua nascita, e per questo motivo non possono essere utilizzati per dedurne la non storicità del racconto evangelico.

    I destinatari del Vangelo secondo Luca erano invece i gentili – ossia coloro i quali non erano ebrei –, ragion per cui in questo Vangelo, e in particolare nel racconto della Natività, vi sono alcuni riferimenti all’attualità dell’epoca (il censimento decretato da Augusto), ben comprensibili da parte di una comunità alla quale, al contrario, sarebbero risultate totalmente oscure le citazioni dell’Antico Testamento che caratterizzano il testo di Matteo. Esiste anche l’ipotesi che certi eventi siano stati narrati solo da uno dei due evangelisti perché l’altro non li conosceva; ad esempio, Luca non sarebbe stato a conoscenza della fuga in Egitto, mentre Matteo non avrebbe saputo che Giuseppe e Maria vivevano già a Nazareth prima della nascita di Gesù ed è questo il motivo per cui non avrebbe parlato del censimento e del viaggio da Nazareth a Betlemme.

    Molti fra gli studiosi contemporanei, sia di formazione laica sia cristiana, considerano i racconti evangelici della Natività non fondati storicamente. Secondo questa interpretazione, i principali eventi delle narrazioni sarebbero elaborazioni tardive, a carattere simbolico o leggendario, redatte sulla base delle profezie messianiche contenute nell’Antico Testamento che vengono espressamente o implicitamente citate in particolare in Matteo. Seguendo queste premesse il luogo di nascita a Betlemme, patria del Messia atteso, dovrebbe quindi essere rifiutato anche se è citato da entrambi i racconti. Pertanto sono state proposte altre località, in primis Nazareth dove – come si è detto – risiedevano i genitori di Gesù prima che venisse al mondo e dove lo stesso Messia viveva da adulto. Un discorso analogo si può fare per il concepimento verginale: Matteo lo riporta per dimostrare che si è avverata la profezia di Isaia, Luca per dimostrare che Gesù è il Figlio di Dio; tali motivazioni sarebbero pertanto interessate e renderebbero improbabile la storicità di quanto raccontato.

    A questo punto bisogna dire che la data di nascita di Gesù non è certa, ma è comunque improbabile che egli fosse nato nell’anno comunemente detto «primo di Nostro Signore» (1 d.C.); potrebbe infatti trattarsi di un errore compiuto dal monaco Dionigi il Piccolo, vissuto a Roma tra la fine del v e l’inizio del vi secolo d.C., che la fissò nell’anno 753 dalla fondazione dell’Urbe. Un calcolo piuttosto approssimativo dell’anno da considerarsi il «primo dell’Incarnazione di Nostro Signore» venne fatto circa cinque secoli dopo Gesù, e per ragioni di comodità è questa la data che ancora oggi comunemente si usa per indicare l’inizio dell’era cristiana (0 volgare), benché Gesù fosse nato con ogni probabilità alcuni anni prima.

    Spesso, senza fornire prove concrete, è stata suggerita la data del 4 a.C., certamente sulla base del Vangelo secondo Luca, per cui la nascita di Gesù sarebbe da collocare durante il regno di Erode il Grande (morto probabilmente proprio in quell’anno); così la maggior parte degli studiosi è orientata a propendere per una data più alta e colloca la nascita di Gesù tra il 7 e il 5 a.C. Resta da considerare quanto viene raccontato in Matteo in merito alla strage degli innocenti, episodio non confermato da nessun’altra fonte, neppure evangelica.

    Secondo l’interpretazione tradizionale, anche gli elementi storicamente più discussi, come «il suo astro» e la nascita durante il censimento di Quirinio, potrebbero essere fondati. Circa l’astro – ciò che tradizionalmente e impropriamente viene chiamato stella di Betlemme (o cometa) di cui parla il Vangelo secondo Matteo – visto dai Magi e interpretato come annuncio della nascita del «re dei Giudei», un’interpretazione che risale a Keplero lo identifica come una triplice congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci avvenuta nel 7 a.C., in maggio, ottobre e dicembre. Confrontando la descrizione del Vangelo con il fenomeno astronomico, alcuni studiosi hanno ritenuto probabile che i Magi si siano messi in viaggio in maggio (vale a dire all’inizio del fenomeno) e siano arrivati in ottobre; quindi Gesù sarebbe nato in settembre, periodo compatibile con il pernottamento all’aperto dei pastori. L’alternativa sarebbe la celebrazione del Natale in concomitanza con la festa ebrea delle capanne.

    Padova, Cappella degli Scrovegni: Giotto, Natività di Gesù, affresco (1303-1305 ca.).

    Anche la nascita durante il primo censimento di Quirinio non sarebbe in contrasto con la storicità della nascita «al tempo di Erode», in quanto non si tratterebbe del secondo censimento organizzato da Quirinio mentre era governatore della Siria nel 6 d.C., ossia quando Erode il Grande era morto da dieci anni (4 a.C.). I tradizionali tentativi di armonizzazione hanno ipotizzato un precedente mandato di governatore durante il regno di Erode, al quale seguì un secondo mandato con un secondo censimento nel 6 d.C. Una diversa armonizzazione possibile vede Quirinio non come il governatore vero e proprio della Siria ma come il funzionario che gestì il suo primo censimento durante il governatorato di Gaio Senzio Saturnino, al tempo di re Erode, in occasione del censimento universale («su tutta la terra») indetto da Augusto nell’8 a.C.

    Esistono poi altre notizie che risalgono circa all’anno 200, anche se piuttosto rare, contraddittorie o di difficile interpretazione. Solo Ippolito assegnava sin da allora la nascita al 25 dicembre del calendario solare romano (giuliano). La festa liturgica del Natale è piuttosto tarda e perciò la sua collocazione al 25 dicembre sarebbe dovuta, secondo la maggioranza degli storici, a considerazioni pratiche, ovvero per soppiantare le vecchie feste pagane, come quella del Sole. L’innesto delle nuove credenze cristiane nel corpus del calendario e delle tradizioni popolari romane avrebbe fissato la commemorazione della Natività di Cristo nelle antiche feste invernali dedicate a Saturno, i Saturnali, forse perché erano feste che segnavano la fine di un tempo e anche perché caratteristica dei Saturnalia era la temporanea abolizione delle differenze sociali e l’inversione dei ruoli tra schiavi e padroni.

    Secondo alcuni studiosi la data del 25 dicembre potrebbe comunque almeno avvicinarsi a quella vera, calcolata grazie al Calendario di Qumràn e al ritrovamento del Libro dei Giubilei (ii secolo a.C.) a Qumràn. La data del 25 dicembre sarebbe però in contrasto con l’episodio dell’adorazione dei pastori del Vangelo secondo Luca, in cui si racconta che i pastori pernottavano nei campi vegliando di notte sul loro gregge; secondo alcuni autori, ciò avveniva nel periodo compreso tra la festa della Pasqua ebraica e la festa delle capanne, cioè tra marzo e ottobre, ma non in inverno, perché avrebbe fatto troppo freddo (a ciò si aggiunga il fatto che Betlemme si trova a un’altitudine di circa ottocento metri sul livello del mare).

    Queste incertezze sull’epoca della nascita non permettono pertanto di esaurire il problema della Natività di Gesù Cristo e, oltretutto, non risulta meno problematico il discorso sulla sua infanzia e la sua giovinezza che pare egli avesse trascorso a Nazareth, un modesto borgo della Galilea dove esercitò fin verso la trentina il mestiere di carpentiere edile. Fu in questa città che Gesù dovette conoscere i Farisei e forse simpatizzato per alcune delle loro idee in quel periodo.

    La predicazione del Messia

    Gesù lasciò Nazareth, la sua famiglia, il suo ambiente per raggiungere Giovanni Battista, che trascorse tutta la sua vita di predicatore nel deserto giudaico e di «battezzatore» nel Giordano. Questa affascinante quanto ambigua figura, che per i contatti con l’essenismo e per le origini sacerdotali avrebbe potuto divenire uno dei più rigorosi sostenitori dell’esclusivismo, conobbe per alcuni anni (tra il 26 e il 29) un notevole successo predicando a tutti gli ebrei senza eccezione alcuna un pentimento seguito da un bagno purificatore che avrebbe assicurato loro il perdono divino nel momento dell’imminente Giudizio Universale.

    L’incontro col predicatore causò in Gesù una definitiva rottura con tutte le consuetudini e un cambiamento di pensiero che escludevano la massa dal «popolo di Dio» e riducevano quest’ultimo alle dimensioni di una setta. Questa scelta decisiva, che in pratica lo fece definitivamente separare dai Farisei, dagli Esseni e dal resto delle sette, potrebbe essergli stata suggerita dalla predicazione del Battista sull’imminenza del Giudizio Finale e sulla grazia speciale concessa da Dio al penitente – chiunque egli fosse –, dal momento che nessuno poteva essere escluso dalla salvezza in un momento così cruciale. Tale scelta fu ben presto rafforzata da un’esperienza mistica che convinse Gesù, nel momento del suo battesimo, a ritenere fondati e affidabili gli insegnamenti di Giovanni e dell’importanza del suo ruolo personale nel dramma escatologico imminente, tanto da farne il suo punto di riferimento.

    L’arresto di Giovanni Battista, verso l’anno 28, impresse una svolta alla predicazione di Gesù, che da allora cessò di battezzare. Se si intendono bene i Vangeli, che ci danno di questa svolta decisiva una versione piuttosto deformata a causa di preoccupazioni successive, il profeta di Nazareth cominciò da allora a proclamare la presenza del Regno di Dio che, da realtà attesa, diventava nella sua predicazione una realtà attuale che sconvolgeva l’ordine normale delle cose. Invece di far accorrere nel deserto le folle dei penitenti, Gesù recava loro a domicilio la predicazione liberatrice che, riducendo le esigenze della legge all’amore di Dio e del prossimo, offriva a tutti immediatamente la grazia divina e la possibilità di vivere in pace con Dio.

    Questo ardito messaggio, proclamato davanti a numerosissimi auditori popolari, era accompagnato da spettacolari guarigioni, che fecero una profonda impressione su quella gente semplice per la quale la malattia rappresentava una maledizione senza speranza. È impossibile dire con un minimo di certezza come andassero le cose quando si presentava un malato. È evidente però come le Sacre Scritture insistano sul fatto che Gesù possedeva eccezionali doti di guaritore, facendone un uso disinteressato. In ciò si vide la conferma del suo messaggio e, in particolare, delle sue affermazioni sulla presenza del Regno di Dio. Alcuni ne trassero addirittura la conclusione che fosse lui il Re messianico atteso dal popolo.

    Padova, Cappella degli Scrovegni: Giotto, Battesimo del Cristo, affresco (1303-1305 ca.).

    La missione di radunare le folle all’insegna della grazia divina che Gesù poneva in tal modo al centro della sua attività risulta in verità incompatibile con la carriera di fondatore di una nuova setta che spesso gli viene attribuita. Bisogna dunque, di fronte alle inevitabili deformazioni prodotte dal susseguirsi degli avvenimenti, ricordare con chiarezza che Gesù non fu il fondatore di una Chiesa, sebbene la sua opera faccia trasparire questo intento. Egli tentò di raccogliere Israele in orizzonti diversi, il che è tutt’altra cosa. La sua celebre invettiva a Pietro²¹ non voleva originariamente significare

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