E-book328 pagine1 ora
Rime
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Oltre che come scultore, pittore ed architetto, Michelangelo Buonarroti è conosciuto anche come poeta. Scrisse le sue rime per lo più dal 1534 intensificandone la composizione in età avanzata.
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Anteprima del libro
Rime - Michelangelo Buonarroti
Informazioni
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Rime
AUTORE: Buonarroti, Michelangelo
TRADUTTORE:
CURATORE: Girardi, Enzo Noè
NOTE:
CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100508
DIRITTI D'AUTORE: si
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
COPERTINA: [elaborazione da] Michelangelo presenta a Paolo IV il modellino per San Pietro
di Domenico Cresti, detto il Passignano (1559-1638). - Galleria di Casa Buonarroti, Firenze. - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Passignano,_michelangelo_presenta_a_paolo_IV_il_modellino_per_san_pietro.jpg. - Pubblico Dominio.
TRATTO DA: Rime / Michelangiolo Buonarroti. - Roma ; Bari : Laterza, 1967. - XXXII, 247 p. ; 18 cm. - A cura e con un'introduzione di Enzo Noè Girardi (Universale Laterza ; 55)
CODICE ISBN FONTE: n. d.
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 2 aprile 1998
2a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 18 aprile 2017
INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità standard
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
SOGGETTO:
POE000000 POESIA / Generale
DIGITALIZZAZIONE:
Giuseppe D'Emilio, g.demilio@fastnet.it
REVISIONE:
Giuseppe D'Emilio, g.demilio@fastnet.it
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it
Ugo Santamaria
IMPAGINAZIONE:
Massimo Rosa, max.rosa@icloud.com (ODT, ePub)
Rosario Di Mauro (revisione ePub)
PUBBLICAZIONE:
Marco Calvo
Ugo Santamaria
Liber Liber
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Indice generale
Copertina
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RIME
MICHELANGELO BUONARROTI
1
Molti anni fassi qual felice, in una
brevissima ora si lamenta e dole;
o per famosa o per antica prole
altri s'inlustra, e 'n un momento imbruna.
Cosa mobil non è che sotto el sole
non vinca morte e cangi la fortuna.
2
Sol io ardendo all'ombra mi rimango,
quand'el sol de' suo razzi el mondo spoglia:
ogni altro per piacere, e io per doglia,
prostrato in terra, mi lamento e piango.
3
Grato e felice, a' tuo feroci mali
ostare e vincer mi fu già concesso;
or lasso, il petto vo bagnando spesso
contr'a mie voglia, e so quante tu vali.
E se i dannosi e preteriti strali
al segno del mie cor non fur ma' presso,
or puoi a colpi vendicar te stesso
di que' begli occhi, e fien tutti mortali.
Da quanti lacci ancor, da quante rete
vago uccelletto per maligna sorte
campa molt'anni per morir po' peggio,
tal di me, donne, Amor, come vedete,
per darmi in questa età più crudel morte,
campato m'ha gran tempo, come veggio.
4
Quanto si gode, lieta e ben contesta
di fior sopra ' crin d'or d'una, grillanda,
che l'altro inanzi l'uno all'altro manda,
come ch'il primo sia a baciar la testa!
Contenta è tutto il giorno quella vesta
che serra 'l petto e poi par che si spanda,
e quel c'oro filato si domanda
le guanci' e 'l collo di toccar non resta.
Ma più lieto quel nastro par che goda,
dorato in punta, con sì fatte tempre
che preme e tocca il petto ch'egli allaccia.
E la schietta cintura che s'annoda
mi par dir seco: qui vo' stringer sempre.
Or che farebbon dunche le mie braccia?
5
I' ho già fatto un gozzo in questo stento,
coma fa l'acqua a' gatti in Lombardia
o ver d'altro paese che si sia,
c'a forza 'l ventre appicca sotto 'l mento.
La barba al cielo, e la memoria sento
in sullo scrigno, e 'l petto fo d'arpia,
e 'l pennel sopra 'l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.
E' lombi entrati mi son nella peccia,
e fo del cul per contrapeso groppa,
e ' passi senza gli occhi muovo invano.
Dinanzi mi s'allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com'arco sorïano.
Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra' per cerbottana torta.
La mia pittura morta
difendi orma', Giovanni, e 'l mio onore,
non sendo in loco bon, né io pittore.
6
Signor, se vero è alcun proverbio antico,
questo è ben quel, che chi può mai non vuole.
Tu hai creduto a favole e parole
e premiato chi è del ver nimico.
I' sono e fui già tuo buon servo antico,
a te son dato come e' raggi al sole,
e del mie tempo non ti incresce o dole,
e men ti piaccio se più m'affatico.
Già sperai ascender per la tua altezza,
e 'l giusto peso e la potente spada
fussi al bisogno, e non la voce d'ecco.
Ma 'l cielo è quel c'ogni virtù disprezza
locarla al mondo, se vuol c'altri vada
a prender frutto d'un arbor ch'è secco.
7
Chi è quel che per forza a te mi mena,
oilmè, oilmè, oilmè,
legato e stretto, e son libero e sciolto?
Se tu incateni altrui senza catena,
e senza mane o braccia m'hai raccolto,
chi mi difenderà dal tuo bel volto?
8
Come può esser ch'io non sia più mio?
O Dio, o Dio, o Dio,
chi m'ha tolto a me stesso,
c'a me fusse più presso
o più di me potessi che poss'io?
O Dio, o Dio, o Dio,
come mi passa el core
chi non par che mi tocchi?
Che cosa è questo, Amore,
c'al core entra per gli occhi,
per poco spazio dentro par che cresca?
E s'avvien che trabocchi?
9
Colui che 'l tutto fe', fece ogni parte
e poi del tutto la più bella scelse,
per mostrar quivi le suo cose eccelse,
com'ha fatto or colla sua divin'arte.
10
Qua si fa elmi di calici e spade
e 'l sangue di Cristo si vend'a giumelle,
e croce e spine son lance e rotelle,
e pur da Cristo pazïenzia cade.
Ma non ci arrivi più 'n queste contrade,
ché n'andre' 'l sangue suo 'nsin alle stelle,
poscia c'a Roma gli vendon la pelle,
e ècci d'ogni ben chiuso le strade.
S'i' ebbi ma' voglia a perder tesauro,
per ciò che qua opra da me è partita,
può quel nel manto che Medusa in Mauro;
ma se alto in cielo è povertà gradita,
qual fia di nostro stato il gran restauro,
s'un altro segno ammorza l'altra vita?
11
Quanto sare' men doglia il morir presto
che provar mille morte ad ora ad ora,
da ch'in cambio d'amarla, vuol ch'io mora!
Ahi, che doglia 'nfinita
sente 'l mio cor, quando li torna a mente
che quella ch'io tant'amo amor non sente!
Come resterò 'n vita?
Anzi mi dice, per più doglia darmi,
che se stessa non ama: e vero parmi.
Come posso sperar di me le dolga,
se se stessa non ama? Ahi trista sorte!
Che fia pur ver, ch'io ne trarrò la morte?
12
Com'arò dunche ardire
senza vo' ma', mio ben, tenermi 'n vita,
s'io non posso al partir chiedervi aita?
Que' singulti e que' pianti e que' sospiri
che 'l miser core voi accompagnorno,
madonna, duramente dimostrorno
la mia propinqua morte e ' miei martiri.
Ma se ver è che per assenzia mai
mia fedel servitù vadia in oblio,
il cor lasso con voi, che non è mio.
13
La fama tiene gli epitaffi a giacere; non va né inanzi né
indietro, perché son morti, e el loro operare è fermo.
14
El Dì e la Notte parlano, e dicono: — Noi abbiàno col nostro veloce corso condotto alla morte el duca Giuliano; è ben giusto che e' ne facci vendetta come fa. E la vendetta è questa: che avendo noi morto lui, lui così morto ha tolta la luce a noi e cogli occhi chiusi ha serrato e nostri, che non risplendon più sopra la terra. Che arrebbe di noi dunche fatto, mentre vivea?
15
Di te me
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