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I Fiori del Male e tutte le poesie
I Fiori del Male e tutte le poesie
I Fiori del Male e tutte le poesie
E-book1.032 pagine11 ore

I Fiori del Male e tutte le poesie

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Info su questo ebook

A cura di Massimo Colesanti
Traduzione di Claudio Rendina
Edizione integrale con testo francese a fronte

La poesia di Baudelaire non cessa di apparire di una sconcertante modernità. Questi versi, nei quali fino a qualche decennio fa si tendeva a scorgere, sulla scia della leggenda post-romantica, il cantore del peccato, del satanismo e delle sensazioni squisite, rivelano oggi uno scrittore che ci manifesta tutta la sua novità interiore, il suo percorso spirituale, molto al di là del realismo romantico, delle evanescenze esotiche, delle ironiche fantasie grottesche.

«La stoltezza, l’errore, il peccato, l’avarizia
occupano gli spiriti tormentando i corpi
e noi alimentiamo gli amabili rimorsi,
come i mendicanti nutrono i loro insetti.»


Charles Baudelaire

nato a Parigi nel 1821, a soli diciannove anni abbandonò la famiglia e iniziò una vita sregolata e bohémienne, segnata anche da difficoltà economiche e dall’uso dell’alcol e delle droghe. Partecipò alla rivoluzione del ’48, ma presto si allontanò dagli ideali socialisti. Tra il 1864 e il 1866 visse in Belgio. Morì a Parigi nel 1867. La Newton Compton ha pubblicato il volume Tutte le poesie e i capolavori in prosa e I Fiori del Male e tutte le poesie e Paradisi artificiali anche in volumi singoli.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854125919
I Fiori del Male e tutte le poesie
Autore

Charles Baudelaire

Charles Baudelaire, né le 9 avril 1821 à Paris et mort dans la même ville le 31 août 1867, est un poète français.

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    Anteprima del libro

    I Fiori del Male e tutte le poesie - Charles Baudelaire

    Indice

    Introduzione di Massimo Colesanti

    Nota biobibliografica

    Elenco delle abbreviazioni

    Les Fleurs du Mal - Projets de préfaces et d'épilogue - Les Epaves

    I Fiori del Male - Progetti di prefazioni e di epilogo - I relitti

    Premessa

    Nota del traduttore

    LES FLEURS DU MAL / I FIORI DEL MALE

    Au lecteur

    Al lettore

    Spleen et Idéal / Spleen e ideale

    I. Bénédiction / Benedizione

    II. L'Albatros / L'albatro

    III. Élévation Elevazione

    IV. Correspondances / Corrispondenze

    V. [«J'aime le souvenir de ces époques nues»] / [«Amo il ricordo di quelle epoche nude»]

    VI. Les Phares / I fari

    VII. La Muse malade / La musa malata

    VIII. La Muse vénale / La musa venale

    IX. Le Mauvais Moine / Il monaco cattivo

    X. L'Ennemi / Il nemico

    XI. Le Guignon / La disdetta

    XII. La Vie antérieure / La vita anteriore

    XIII. Bohémiens en voyage / Zingari in viaggio

    XIV. L'Homme et la mer / L'uomo e il mare

    XV. Don Juan aux Enfers / Don Giovanni all'inferno

    XVI. Châtiment de l'orgueil / Castigo dell'orgoglio

    XVII. La Beauté / La bellezza

    XVIII. L'Idéal / L'ideale

    XIX. La Géante / La gigantessa

    XX. Le Masque / La maschera

    XXI. Hymne à la beauté / Inno alla bellezza

    XXII. Parfum exotique / Profumo esotico

    XXIII. La Chevelure / I capelli

    XXIV. [«Je t'adore à l'égal de la voûte nocturne»] / [«Come la volta notturna io t'adoro»]

    XXV. [«Tu mettrais l'univers entier dans ta ruelle»] / [«Ti porteresti a letto l'universo intero!»]

    XXVI. Sed non satiata / Sed non satiata

    XXVII. [«Avec ses vêtements ondoyants et nacrés»] / [«Con le vesti ondeggianti e iridescenti»]

    XXVIII. Le Serpent qui danse / Il serpente che danza

    XXIX. Une charogne / Una carogna

    XXX. De profundis clamavi / De profundis clamavi

    XXXI. Le Vampire / Il vampiro

    XXXII. [«Une nuit que j'étais près d'une affreuse Juive»] / [«Una notte stavo con una spaventosa Ebrea»]

    ΧΧΧΙΙΙ. Remords posthume / Rimorso postumo

    XXXIV. Le Chat / Il gatto

    XXXV. Duellum / Duellum

    XXXVI. Le Balcon / Il balcone

    XXXVII. Le Possédé / L'invasato

    XXXVIII. Un fantôme / Un fantasma

    XXXIX. [«Je te donne ces vers afin que si mon nom»] / [«Ti dono questi versi e se il mio nome»]

    XL. Semper eadem / Semper eadem

    XLI. Tout entière / Tutta intera

    XLII. [«Que diras-tu ce soir, pauvre âme solitaire»] / [«Stasera che dirai, povera anima solitaria»]

    XLIII. Le Flambeau vivant / La fiaccola vivente

    XLIV. Réversibilité / Reversibilità

    XLV. Confession / Confessione

    XLVI. L'Aube spirituelle / L'alba spirituale

    XLVII. Harmonie du soir / Armonia della sera

    XLVIII. Le Flacon / La fiala

    XLIX. Le Poison / Il veleno

    L. Ciel brouillé / Cielo torbido

    LI. Le Chat / Il gatto

    LII. Le Beau Navire / La bella nave

    LIII. L'Invitation au voyage / L'invito al viaggio

    LIV. L'irréparable / L'irreparabile

    LV. Causerie / Conversazione

    LVI. Chant d'automne / Canto d'autunno

    LVII. A une Madone / A una madonna

    LVIII. Chanson d'après-midi / Canzone di pomeriggio

    LIX. Sisina / Sisina

    LX. Franciscæ meæ laudes / Franciscæ meæ laudes

    LXI. A une dame créole / A una signora creola

    LXII. Mœsta et errabunda / Mœsta et errabunda

    LXIII. Le Revenant / Lo spettro

    LXIV. Sonnet d'automne / Sonetto d'autunno

    LXV. Tristesses de la lune / Tristezze della luna

    LXVI. Les Chats / I gatti

    LXVII. Les Hiboux / I gufi

    LXVIII. La Pipe / La pipa

    LXIX. La Musique / La musica

    LXX. Sépulture / Sepoltura

    LXXI. Une gravure fantastique / Un'incisione surreale

    LXXII. Le Mort joyeux / Il morto felice

    LXXIII. Le Tonneau de la haine / La botte dell'odio

    LXXIV. La Cloche fêlée / La campana incrinata

    LXXV. Spleen / Spleen

    LXXVI. Spleen / Spleen

    LXXVII. Spleen / Spleen

    LXXVIII. Spleen / Spleen

    LXXIX. Obsession / Ossessione

    LXXX. Le Goût du néant / Il gusto del nulla

    LXXXI. Alchìmie de la douleur / Alchimia del dolore

    LXXXII. Horreur sympathique / Orrore simpatico

    LXXXIII. L'Héautontimorouménos / L'Heautóntimorumenos

    LXXXIV. L'Irrémédiable / L'irrimediabile

    LXXXV. L'Horloge / L'orologio

    Tableaux parisiens / Quadri parigini

    LXXXVI. Paysage / Paesaggio

    LXXXVII. Le Soleil / Il sole

    LXXXVIII. A une mendiante rousse / A una mendicante dai capelli rossi

    LXXXIX. Le Cygne / Il cigno

    XC. Les Sept Vieillards / I sette vecchi

    XCI. Les Petites Vieilles / Le vecchiette

    XCII. Les Aveuglesa / I ciechi

    XCIII. À une passante / A una passante

    XCIV. Le Squelette laboureur / Lo scheletro contadino

    XCV. Le Crépuscule du soir / Il crepuscolo della sera

    XCVI. Le Jeu / Il gioco

    XCVII. Danse macabre / Danza macabra

    XCVIII. L'Amour du mensonge / L'amore della menzogna

    XCIX. [«Je n'ai pas oublié, voisine de la ville»] / [«Non ho dimenticato la nostra casa bianca»]

    C. [«La servante au grand cœur dont vous étiez jalouse] / [«La serva dal gran cuore di cui eri gelosa»]

    CI. Brumes et pluies / Nebbie e piogge

    CII Rêve parisien / Sogno parigino

    CIII. Le Crépuscule du matin / Il crepuscolo del mattino

    Le Vin / Il vino

    CIV. L'Âme du vin / L'anima del vino

    CV. Le Vin des chiffonniers / Il vino dei cenciaioli

    CVI. Le Vin de l'assassin / Il vino dell'assassino

    CVII. Le Vin du solitaire / Il vino del solitario

    CVIII. Le Vin des amants / Il vino degli amanti

    Fleurs du Mal / Fiori del Male

    CIX. La Destruction / La distruzione

    CX. Une martyre / Una martire

    CXI. Femmes damnées / Donne dannate

    CXII. Les Deux Bonnes Sœurs / Le due buone sorelle

    CXIII. La Fontaine de sang / La fontana di sangue

    CXIV. Allégorie / Allegoria

    CXV. La Béatrice / La Beatrice

    CXVI. Un voyage à Cythère / Un viaggio a Citera

    CXVII. L'Amour et le crâne / L'amore e il cranio

    Révolte / Rivolta

    CXVIII. Le Reniement de saint Pierre / Il rinnegamento di san Pietro

    CXIX. Abel et Caïn / Abele e Caino

    CXX. Les Litanies de Satan / Le litanie di Satana

    La Mort / La morte

    CXXI. La Mort des amants / La morte degli amanti

    CXXII. La Mort des pauvres / La morte dei poveri

    CXXIII. La Mort des artistes / La morte degli artisti

    CXXIV. La Fin de la journée / La fine del giorno

    CXXV. Le Rêve d'un curieux / Il sogno d'un curioso

    CXXVI. Le Voyage / Il viaggio

    PROJETS DE PRÉFACES ET D'ÉPILOGUE / PROGETTI DI PREFAZIONI E DI EPILOGO

    I. Préface des Fleurs / Prefazione dei «Fiori»

    II. Préface / Prefazione

    III.

    IV. Projet de préface pour «Les Fleurs du mal» / Progetto di prefazione per «I Fiori del male»

    Projets d'épilogue pour la séconde édition des «Fleurs du Mal» / Progetti di epilogo per la seconda edizione dei «Fiori del Male»

    LES ÉPAVES /I RELITTI

    I. Le Coucher du soleil romantique / Il tramonto del sole romantico

    Pièces condamnées tirées des «Fleurs du Mal» / Poesie condannate tratte dai «Fiori del Male»

    II. Lesbos / Lesbo

    III. Femmes damnées / Donne dannate

    IV. Le Léthé / Il Lete

    V. A celle qui est trop gaie / A colei che è troppo gaia

    VI. Les Bijoux / I gioielli

    VII. Les Métamorphoses du vampire / La metamorfosi del vampiro

    Galanteries / Galanterie

    VIII. Le Jet d'eau / Lo zampillo

    IX. Les Yeux de Berthe / Gli occhi di Berta

    X. Hymne / Inno

    XI. Les Promesses d'un visage / Le promesse d'un volto

    XII. Le Monstre ou Le Paranymphe d'une nymphe macabre / Il mostro ovvero II paraninfo d'una ninfa macabra

    XIII. Franciscæ meæ laudes / Franciscæ meæ laudes

    Épigraphes / Epigrafi

    XIV. Vers pour le portrait de M. Honoré Daumier / Versi per il ritratto di Honoré Daumier

    XV. Lola de Valence / Lola di Valenza

    XVI. Sur «Le Tasse en prison» d'Eugène Delacroix /Sul «Tasso in prigione» di Eugène Delacroix

    Pièces diverses / Varie

    XVII. La Voix / La voce

    XVIII. L'Imprévu / L'imprevisto

    XIX. La Rançon / Il riscatto

    XX. A une Malabaraise / A una donna del Malabar

    Bouffonneries / Scherzi

    XXI. Sur les débuts d'Amina Boschetti au Théâtre de la Monnaie à Bruxelles / Sul debutto di Amina Boschetti al Théâtre de la Monnaie a Bruxelles

    XXII. A M. Eugène Fromentin à propos d'un importun qui se disait son ami / A Eugène Fromentin a proposito di uno scocciatore che si diceva suo amico

    XXIII. Un cabaret folâtre sur la route de Bruxelles à Uccie / Una allegra osteria sulla strada da Bruxelles a Uccie

    Poésies diverses: Poèmes apportés par la troisième édition des «Fleurs du Mal» - Poésies de jeunesse - Amœnitates belgicœ - Bribes

    Poesie diverse: Poesie aggiunte alla terza edizione dei «Fiori del Male» - Poesie di giovinezza - Amœnitates belgiche - Frammenti

    Premessa

    POÈMES APPORTÉS PAR LA TROISIÈME ÉDITION DES «FLEURS DU MAL» / POESIE AGGIUNTE ALLA TERZA EDIZIONE DEI «FIORI DEL MALE»

    I. A Théodore de Banville / A Théodore de Banville

    II. La Prière d'un païen / La preghiera d'un pagano

    III. Le Couvercle / Il coperchio

    IV. L'Examen de minuit / L'esame di mezzanotte

    V. Madrigal triste / Madrigale triste

    VI. L'Avertisseur / L'ammonitore

    VII. Le Rebelle / Il ribelle

    VIII. Bien loin d'ici / Assai lontano di qui

    IX. Le Gouffre / L'abisso

    X. Les Plaintes d'un Icare / I lamenti di un Icaro

    XI. Recueillement / Raccoglimento

    XII. La Lune offensée / La luna offesa

    XIII. Épigraphe pour un livre condamné / Epigrafe per un libro condannato

    POÉSIES DE JEUNESSE / POESIE DI GIOVINEZZA

    I. [«Tout là-haut, tout là-hautm, loin de la route sûre»] / [«Lassù, lassù, lontano dalla retta via»]

    II. [«N'est ce pas qu 'il est doux, maintenant que nous sommes»] / [«Non è forse dolce ora che noi siamo»]

    III. [«Il aimait à la voir, avec ses jupes blanches»] / [«Gli piaceva vederla, con la sua gonna bianca»]

    IV. [«Tout à l'heure je viens d'entendre»] / [«Sento ad un tratto risuonare»]

    V. [«Hélas! qui 11 'a gémi sur autrui, sur soi-même ?»] / [«Ahimé, chi non ha pianto sugli altri e su se stesso?»]

    VI. Sonnet / Sonetto

    VII. [«Il est de chastes mots que nous profanons tous»] / [«Tutti noi profaniamo delle parole caste»]

    VIII. [«Je 11 'ai pas pour maîtresse une lionne illustre»] / [«Non ho per amante una leonessa illustre»]

    IX. [«Ci-gît qui, pour avoir trop aimé les gaupes»] / [«Qui giace chi, avendo amato troppo le puttane»]

    X. Cauchemar / Incubo

    XI. [«Tous imberbes alors, sur les vieux bancs de chêne»] / [«Ancora imberbi allora, sui vecchi banchi di quercia»]

    XII. [ «Noble femme au bras fort, qui durant les longs jours» ] / [«Nobil donna dalle forti braccia, che per lunghi giorni»]

    XIII. [Sur l'album de madame Emile Chevalet] /[Sull'album di madame Emile Chevalet]

    XIV. [«Je vis, et ton bouquet est de l 'architecture»] / [«Vidi il tuo mazzo di fiori, un capolavoro»]

    XV. [«D'un esprit biscornu le séduisant projet»] / [«Che progetto seducente da tipo strampalato»]

    XVI. Monselet paillard / Quel ganzo di Monselet

    AMŒNITATES BELGICA / AMŒNITATES BELGICA

    I. Venus belga / Venus belga

    II. La Propreté des demoiselles belges / La pulizia delle signorine belghe

    III. La Propreté belge / La pulizia belga

    IV. L'Amateur des beaux-arts en Belgique / L'amante delle belle arti in Belgio

    V. Une eau salutaire / Un'acqua salutare

    VI. Les Belges et la lune / I belgi e la luna

    VII. Épigraphe pour l'atelier de M. Rops, fabricant de cercueils, à Bruxelles / Epigrafe per il laboratorio del signor Rops, fabbricante di bare a Bruxelles

    VIII. La Nymphe de la Senne / La ninfa della Senna

    IX. Opinion de M. Hetzel sur le faro / Opinione del signor Hetzel sul faro

    X. Un nom de bon augure / Un nome di buon augurio

    XI. Le Rêve belge / Sogno belga

    XII. L'Inviolabilité de la Belgique / L'inviolabilità del Belgio

    XIII. Épitaphe pour Léopold Ier / Epitaffio per Leopoldo I

    XIV. Épitaphe pour la Belgique / Epitaffio per il Belgio

    XV. L'Esprit conforme / Lo spirito conforme

    XVI. L'Esprit conforme / Lo spirito conforme

    XVII. Les Panégyriques du roi / I panegirici del re

    XVIII. Le Mot de Cuvier / La parola di Cuvier

    XIX. Au concert, à Bruxelles / Al concerto, a Bruxelles

    XX. Une Béotie belge / Una Beozia belga

    XXI. La Civilisation belge / La civiltà belga

    XXII. La Mort de Léopold Ier / La morte di Leopoldo I

    XXIII. La Mort de Léopold Ier / La morte di Leopoldo I

    Appendice

    I. [Vers laissés chez un ami absent] / [Versi lasciati in casa d'un amico che era uscito]

    II. Sonnet pour s 'excuser de ne pas accompagner un ami à Namur / Sonetto per scusarsi di non accompagnare un amico a Namur

    III. Suscription rimée / Su una busta

    BRIBES / FRAMMENTI

    16

    Titoli originali: Les Fleurs du Mal, Les Épaves, Poésies diverses, Amoenitates belgicæ, Bribes

    Traduzione di Claudio Rendina

    Prima edizione ebook: gennaio 2011

    © 1998 Newton & Compton editori s.r.l.

    © 2006 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-2591-9

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Charles Baudelaire

    I Fiori del Male

    e tutte le poesie

    I Fiori del Male, I relitti, Poesie diverse,

    Amœnitates belgicae, Frammenti

    A cura di Massimo Colesanti

    Traduzione di Claudio Rendina

    Edizione integrale con testo francese a fronte

    Newton Compton editori

    Introduzione

    1. Situazione di Baudelaire

    Per leggere, per comprendere Baudelaire, occorre anzitutto rendersi conto del posto ch'egli occupa nella storia della poesia, non solo francese. Non certo per ubbidire a più o meno validi metodi storicistici, ma perché la critica, da quella più lontana a quella più vicina, ha resistito sempre meno alla tentazione di definirlo in un confronto negativo con il Romanticismo, per accentuarne il distacco, e mostrarne tutta l'originalità. In realtà, la sua opera si è rivelata sempre più chiaramente, e in tempi non molto lontani, una pietra miliare nel cammino della poesia moderna, e si è come inverata nei poeti venuti dopo di lui, autorizzando una specie di processo contro l'epoca precedente. Già Sainte-Beuve, suggerendo fra mille timori e sospetti alcuni «petits moyens de défense» per ribattere la pubblica accusa contro le Fleurs du Mal, impostava il discorso in questo modo: «Tout était pris dans le domaine de la poésie. Lamartine avait pris les cieux, Victor Hugo avait pris la terre et plus que la terre. Laprade avait pris les forêts. Musset avait pris la passion et l'orgie éblouissante. D'autres avaient pris le foyer, la vie rurale etc. Théophile Gautier avait pris l'Espagne et ses hautes couleurs. Que restait-il? Ce que Baudelaire a pris. Il y a été comme forcé».¹ E qui sembra che Baudelaire sia arrivato buon ultimo dopo un lauto banchetto, e abbia dovuto accontentarsi di quello che gli hanno lasciato (quasi delle briciole), agendo in uno stato di necessità, e producendo dunque una poesia strana, diversa, insolita. Ed è ancora Sainte-Beuve a parlare altrove di «folie Baudelaire», di un chiosco singolare eretto all'estrema punta «du Kamtchatka romantique». Più sottile, ma in sostanza analoga, l'argomentazione di Valéry (ripresa, fra gli altri, anche da Benjamin), in un celebre saggio intitolato appunto Situation de Baudelaire: il problema che Baudelaire dovè porsi, coscientemente ο inconsciamente, fu quello di essere un grande poeta, ma dì non essere né Lamartine, né Hugo, né Musset. Tale proposito fu la sua stessa ragion d'essere, anzi la sua raison d'Etat, che lo costrinse a opporsi sempre più recisamente al sistema, ο all 'assenza di sistema, che si chiama Romanticismo. E Valéry si confortava nella sua convinzione citando le parole di Baudelaire, in uno dei progetti di prefazione alle Fleurs du Mal, e che riecheggiano in parte quelle di Sainte-Beuve:

    Des poètes illustres s'étaient partagé depuis longtemps les provinces les plus fleuries du domaine poétique. Il m'a paru plaisant, et d'autant plus agréable que la tâche était plus difficile, d'extraire la beauté du Mal.²

    La situazione di Baudelaire appare senz1altro, oggi, più complessa. Forse non basta nemmeno dire, come precisa più avanti Valéry, che egli è in una posizione di equilibrio, e che i suoi versi si distinguono da quelli romantici come da quelli parnassiani, per una combinazione di carne e di spirito, un mélange di solennità, di calore e di amarezza, di eternità e di intimità, un'alleanza rarissima della volontà e dell'armonia. Rispetto alle scuole del suo tempo, alle tendenze più vistose della poesia, egli si pone certo al centro, ma proprio perché tutte le riunisce e le comprende. E le trasforma. E già significativo che combatta l' «école païenne» in nome della tradizione più recente, e del Romanticismo, cioè di un 'arte moderna (e l'equazione «Romantisme-art moderne» è da lui posta e difesa fin dal Salon de 1846), sostenendo che rinnegare gli sforzi della società precedente, «chrétienne et philosopique», equivalga a un suicidio. Come è altrettanto importante che egli detesti gli sdilinquimenti del sentimento, il verbiage impastato di lacrime, sottratto a ogni rigore espressivo. In altri termini, è con il beneficio d'inventario parnassiano ch'egli accetta l'eredità romantica, che è però una accettazione totale, non limitata all'asse più evidente, quello effusivo e sentimentalistico, e tuttavia estremamente lirico - dove se mai egli opera le sue scelte più severe (pensiamo alla sua avversione per Musset, e anche per Lamartine, che tuttavia imitò qualche volta) - ma che comprende tutte le clausole e i codicilli testamentari, i legati in apparenza più trascurabili, risorse sotterranee, dimore misteriose ο allucinanti, gioielli, fantasmi e sortilegi. Non vogliamo dire, semplicisticamente, che Baudelaire non sarebbe stato senza il Romanticismo, ma nemmeno, con eguale se non con maggiore semplicismo, ridurre la sua situazione a un processo generazionale assai comune e scontato. E anzitutto quale Romanticismo? E nota la ricchezza del fenomeno, la molteplicità e la vastità dei suoi fermenti, delle sue proposte, delle sue soluzioni, anche contraddittorie. E d'altra parte non tutta la poesia, la grande poesia romantica francese, è oggi riducibile ai nomi più prestigiosi che citava Sainte-Beuve, e che confermava ancora Valéry. Sospetta per esempio è l'assenza di un Vigny, un poeta che Baudelaire ammirava per molti motivi (e per la stessa concezione aristocratica della poesia), come ammirava, per evidenti affinità, Nerval, lo stesso Sainte-Beuve, e alcuni fra i «petits romantiques», da Alphonse Rabbe a Pétrus Borei. E così, se si vuole allargare il discorso ad altri settori letterari, è indubbio che egli ha ricavato illuminanti indicazioni per il suo concetto di modernità, dell 'arte e della vita, da altri grandi scrittori romantici, e non solo francesi. Innegabili consonanze ha avvertito ο ritrovato nel dandysme di Chateaubriand, nel misticismo reazionario di Joseph de Maistre, nella critica appassionata, e parziale , di Stendhal, nella commedia visionaria di Balzac. Come, per altri versi, dalle traduzioni-rielaborazioni delle opere di Poe e delle Confessioni di un mangiatore d'oppio di De Quincey (raccolte, quest'ultime, nei suoi Paradis artificiels), ha tratto suggestioni, incentivi, conferme della sua poetica e perspicaci scandagli per il suo gouffre interiore.

    Se mai egli si oppone al Romanticismo (e può sembrare un paradosso) perché, in un 'opera di concentrazione e di riduzione, ne assume drammaticamente in sé tutta la portata dialettica, interiorizzata in contrasti laceranti, m sintesi densa e aggrovigliata di elementi contrapposti, di antinomie irriducibili, senza alcuna via d'uscita al di fuori di quello stesso mondo poetico in cui vengono proiettate e sofferte. Di «individualismo esasperato», di «sensibilità continuamente contratta», parlò già De Lollis nel suo bel saggio su Baudelaire. E sintomatica, nei suoi Scritti intimi, la nota iniziale di Mon cœur mis à nu:

    De la vaporisation et de la centralisation du Moi. Tout est là (I, 1).

    Direi che Baudelaire ha portato sino infondo questa centralisation dell'io, e tragicamente, spietatamente. In definitiva, il più grande poeta lirico, e lucido, cosciente, che il Romanticismo abbia prodotto, è proprio Baudelaire. Degli slanci, delle evasioni, delle rivolte che il vitalismo romantico aveva caoticamente agitato, egli ripercorre, saggia, alterna aspetti, proposte e soluzioni, ma nel taglio obliquo di un'inesorabile resa dei conti, che fra bilanci provvisori e pareggi precari non nasconde mai lo stato fallimentare in cui si ricade dopo ogni tentativo, la vana attesa di qualcosa che ci liberi e ci esalti prima e anche dopo la morte:

    J'étais comme l'enfant avide du spectacle,

    Haïssant le rideau comme on hait un obstacle...

    Enfin la vérité froide se révéla:

    J'étais mort sans surprise, et la terrible aurore

    M'enveloppait. - Eh quoi! n'est-ce donc que cela?

    La toile était levée et j'attendais encore.

    (Le Rêve d'un curieux)

    I poeti più illustri, ma anche i minori, che lo hanno immediatamente preceduto, ο che sono i suoi contemporanei, e amici, hanno risolto prima ο poi dissidi e inquietudini (anche se fra illusioni e compromessi): il progresso, la scienza, il filantropismo, la funzione della poesia, la pura forma del Bello, sono stati le loro consolazioni , anche al di là del conforto stesso della parola, della poesia. Essi hanno fatto le loro scelte, fra Dio e Satana, il trionfalismo e la bestemmia, il sogno e l 'azione. In Baudelaire il dilemma essenziale si ripropone di continuo, con caratteri più angosciosi e definitivi, per la coesistenza, la contemporaneità e la pari forza dei due termini, che egli avverte nello spazio veridico della sua coscienza, e per l'appercezione chiarissima ch'egli ha della condizione bloccata dell'uomo nella spirale stretta, inesorabile, e voluttuosa, del Male. Scrive ancora in Mon cœur mis à nu:

    Il y a dans tout homme, à toute heure, deux postulations simultanées, l'une vers Dieu, l'autre vers Satan. L'invocation à Dieu, ou spiritualité, est un désir de monter en grade; celle de Satan, ou animalité, est une joie de déscendre (XI, 19).

    E in questa alternativa onnipresente e ineliminabile, fra la voluttà animalesca e la disincarnazione, che Baudelaire s 'inebria e si disgusta, con il senso preciso della sua impossibilità di abolire l'una ο l'altra delle due postulazioni. Di qui le contraddizioni che lo minano fin dall'infanzia, l'orrore e l'estasi della vita, il sentimento di un destino d'irrimediabile solitudine, e l'amore vivissimo del piacere, con la certezza della vanità di ogni sforzo per sottrarvisi, e dell 'ennui che riprende presto il sopravvento. Una situazione senza divagazioni elegiache, valvole di sicurezza, ο àncore di salvezza da gettare in porti tranquilli: Baudelaire stringe il suo problema nella stessa misura in cui ne è continuamente avvinghiato, senza effusioni ο diluizioni descrittive, sfoghi autobiografici strepitosi ο lamentosi, anche se sono pochi i libri in cui, come nelle Fleurs du Mal, ogni verso, ogni parola, s 'immetta subito su linee di forza centripeta che riconducono a una vicenda umana perfettamente caratterizzata. E chiaro che non è possibile ridurre questo divario, questo dualismo, come pure si è fatto (e direi in modo contingente, e anche meschino), a una questione di tempi e di modi della società costituita in cui Baudelaire è vissuto. Il suo dramma, nella sua origine profonda, non è di carattere temporale, bensì esistenziale; è alla radice stessa dell'esistenza umana, della sua condizione, del ricatto continuo che l 'uomo subisce, contemporaneamente, dal piacere, reale, concreto, immediato, del Male, e dall'impulso spirituale verso il Bene, l'Assoluto, Dio. E poi, se questo è il suo dramma, con la morale, con la visione del mondo che ne derivano, non è certo esso l'aspetto più significativo e originale dell'arte di Baudelaire, che è invece il modo in cui egli ne ha fatto poesia. La morale di Baudelaire, a ben vedere, è comune a tanti altri scrittori, anche suoi contemporanei. Sono le forme, le pieghe formulari in cui egli l'ha calata e incarnata, soffrendola, che oggi ci possono interessare. In altri termini, è il modo in cui egli, nei suoi versi, nei suoi poemetti in prosa, in altri scritti, pubblici e intimi, ne ha fatto poesia, e in perfetta e lucida coscienza; che è coscienza anche di un rapporto nuovo, originale, drammatico, con la poesia stessa. E la morale costruita in date forme, immagini, allegorie, in emblemi di vita, di felicità, di illusione ο di disperazione, e sul piano universale di vari temi (la condizione, sofferta eppure gratificante, del poeta; la donna e l'amore; il paesaggio, la città; e l'evasione, la religione, la rivolta, la Morte), che oggi ancora possono avvincerci, non la morale naturale, direi, sociale ο filosofica, in esclusiva opposizione al proprio tempo, pur se disprezzato e odiato.

    2. Un verso drammatico

    Una prima verifica di questa situazione si può cercare nel verso, nella lingua, nella scrittura. Il verso di Baudelaire, così tradizionale e classico, nell'uso quasi costante dell'alessandrino, lontano dalle acrobazie e dalle spezzature di un Hugo e di un Banville, ma certo assai romanticamente articolato, è per questo più denso, più teso, anche più solenne, nella stretta misura, nella sintesi anche formale che spesso s'impone. Non meraviglia che delle centoventisette poesie raccolte nella seconda edizione (1861) delle Fleurs du Mal, i sonetti, regolari e più spesso irregolari, siano quasi la metà, e molte altre non superino i sedici ο i venti versi. In questa tensione, nei chiasmi, nelle antitesi, negli ossimori, che così spesso solcano la sua poesia come il bagliore intermittente di una corrente alternata, e che hanno tutt'altro che una funzione meramente retorica (si pensi allo stesso titolo, Les Fleurs du Mal), si esprime una realtà intermedia e tragica, fra la tentazione del gouffre e il riscatto ideale nell'Assoluto. Ci sono poesie, specie nella prima sezione delle Fleurs, e che del resto nel titolo Spleen et Idéal già annuncia un contrasto, in cui interamente si manifesta questo dualismo, e in un senso ο nell'altro: per esempio in Elévation, con la sua apertura spiritualistica, ο nella quarta delle poesie intitolate Spleen, che esprime così terrìbilmente Videa di stagnazione, di marasma, di angoscia paralizzante (e se ne veda la magistrale interpretazione di Auerbach). Ma più spesso è all'interno della stessa lirica, della stessa frase, dello stesso verso, musicalmente e significativamente bilanciato, che questa ambiguità tremenda si ripercuote. Anche nelle strofe, nei versi più cupi e più ampi, di quelli che Gautier definiva «immensi», c'è a volte come uno squarcio luminoso che sembra non chiudere in tutto la situazione disperante. Un aggettivo, un verbo, che rimanda rapidamente a un altro livello della realtà, ο che muta improvvisamente registro, passando dal quotidiano all'universale, dalla pienezza della gioia alla miseria, al nulla, ο viceversa emergendo dalla «volupté noire», e dallo spleen, alla luce dell'«inaccessible azur»:

    Ma jeunesse ne fut qu'un ténébreux orage, Traversé çà et là par de brillants soleils.

    (.L'Ennemi)

    Le tombeau, confident de mon rêve infini...

    (Remords posthume)

    Plaisirs, ne tentez plus un cœur sombre et boudeur!

    (Le Goût du néant)

    Laissez, laissez mon cœur s'enivrer d'un mensonge.

    (Semper eadem)

    Un cœur tendre qui hait le néant vaste et noir!

    (Harmonie du soir)

    L'immense majesté de vos douleurs de veuve.

    (Le Cygne)

    C'est la Mort qui console, hélas! et qui fait vivre.

    (La Mort des pauvres)

    Un'impressione di luce fosca, di colori netti ma lividi, di un fremito contenuto, quasi neutralizzato in una forma vigorosa e flessibile, come di chi coglie dentro di sé la verità più atroce, e al tempo stesso si sforza di contemplarla dal di fuori, e di esprimerla con obiettività e lucidità (e lo vide benissimo Proust). E la situazione delle due celebri quartine conclusive di L'Irrémédiable, quasi emblematiche di tutta la poesia di Baudelaire:

    Tête-à-tête sombre et limpide

    Qu'un cœur devenu son miroir!

    Puits de Vérité, clair et noir,

    Où tremble une étoile livide,

    Un phare ironique, infernal,

    Flambeau des grâces sataniques,

    Soulagement et gloire uniques,

    - La conscience dans le Mal !

    Ed è una situazione dì compiacimento negativo dell' orribile, della depravazione, che porta Baudelaire a descrizioni, obiettive e allegoriche, di tanti spettacoli macabri, turpi, osceni. Osservava ancora Gautier che, per la stessa novità delle cose descritte, occorreva che Baudelaire si creasse una lingua, un ritmo, una tavolozza; e aggiungeva egli stesso pennellate magistrali su questo «style de décadence»: «Pourpeindre ces corruptions qui lui font horreur, il a su trouver ces nuances morbidement riches de la pourriture plus ou moins avancée, ces tons de nacre et de burgau qui glacent les eaux stagnantes, ces roses de phthisie, ces blancs de chlorose, ces jaunes fielleux de bile extravasée, ces gris plombés de brouillard pestilentiel, ces verts empoisonnés et métalliques puant l 'arséniate de cuivre, ces noirs de fumée délayés par la pluie le long des murs plâtreux, ces bitumes recuits et roussis dans toutes les fritures de l'enfer si excellents pour servir de fond à quelque tête livide et spectrale, et toute cette gamme de couleurs exaspérées poussées au degré le plus intense, qui correspondent à l'automne, au coucher du soleil, à la maturité extrême des fruits, et à la dernière heure des civilisations».³

    3. La donna, mito ambiguo

    Nell'amore, nella donna, Baudelaire ha cercato ossessivamente quell'alterità complementare in cui realizzarsi nel possesso completo. Ma è proprio qui che egli ha fatto le verifiche più amare, e non certo imputabili soltanto ad accidentali delusioni ο fiaschi. E su un piano più generale che egli decompone questo mito, che tale rimane anche per lui, fino alle elevazioni più sublimi, ma che al tempo stesso viene smascherato, rovesciato, portato al livello più infimo. Specialmente nelle sue note intime, dei suoi ultimi anni di vita, egli avverte con lucida amarezza che l'amore, «besoin de sortir de soi», «d'oublier son moi dans la chair extérieure»⁴, non è che prostituzione, mentre I 'artista non esce mai da se stesso, resta se stesso, nella sua solitudine, ma anche nella sua grandezza e gloria.

    Tuttavia, nella sua poesia, e in altri suoi scritti, egli riesce a concentrare sulla donna il massimo possibile di carnale voluttà e di gioia spirituale. All'idea di femminilità associa una vasta gamma di sensazioni che moltiplicano il godimento, e tendono a fermarlo, a bloccarlo in uno spazio chiuso e saturo. Profumi, gioielli, vestiti, arredi, immergono la donna in un clima di artificialità, perché debbono sottrarla alla sua natura istintiva, e alla sua precipua funzione, per farne un essere «étrange et symbolique». Per Baudelaire la «froide majesté de la femme stérile» risplende come un astro inutile, come la stessa Bellezza, stupenda e superflua, dalle forme ampie, statuarie, magnifiche, armonica e simmetrica, spesso di una simmetria in movimento (Le Beau Navire). E si leggano i capitoli sulla donna, e l'elogio del maquillage, nel Peintre de la vie moderne. Questa idealizzazione, che è anche idoleggiamento, giunge in Baudelaire alle posizioni più estreme, di angelicazione e di santificazione («Je suis l'Ange gardien, la Muse et la Madone»), fino a vedere negli occhi della donna amata più della stendhaliana «promesse de bonheur», ma anzi la certezza di un riscatto:

    Charmants Yeux, vous brillez de la clarté mystique

    Qu'ont les cierges brûlant en plein jour; le soleil

    Rougit, mais n'éteint pas leur flamme fantastique;

    Ils célèbrent la Mort, vous chantez le Réveil.

    (Le Flambeau vivant)

    E che questi versi siano stati scritti, come altre poesie dello stesso ciclo, per Mme Sabatier, cioè per una donna in particolare, non sposta il problema: Baudelaire ha visto la donna anche sotto tale aspetto, e in questa sua volontà di spiritualizzazione dell'amore, cioè nel volerne cogliere «l'essence divine», egli ha potuto trovare ed esprimere, in alcuni momenti, il modo e l'illusione di vincere /'ennui, il Tempo, la Morte. Pensiamo alla dolce malinconia di La Mort des amants ο alla forza spiritualistica che si sprigiona alla fine del percorso pur così realistico e macabro di Une charogne, così come a tanti altri momenti di serenità, di armonia che non è poi così raro incontrare fra le poesie, e non solo d'amore (Parfum exotique, Le Balcon, Harmonie du Soir ecc.).

    Ma tali concetti e immagini ricevono altrove le più recise smentite, e specie nelle sezioni conclusive delle Fleurs du Mal. Non pensiamo alle molte poesie in cui l'attrazione si muta in disprezzo, l'amore in odio, la lode in invettiva, secondo le alterne vicende di ogni passione (e secondo tradizioni letterarie assai note, vicine e lontane); e nemmeno all'«amour du mensonge», altro effetto possente del femminino. Ma ai caratteri torbidi, ambigui, malefici della donna, e della voluttà, dello stesso atto erotico, che Baudelaire avverte in maniera sempre più inequivocabile e definitiva (e che oggi troverebbero poche attenuanti in un tribunale femminista). Egli concentra anche qui alcuni precisi filoni più ο meno occulti della letteratura romantica, dal satanismo al sadismo, che anzi esplicita in equazioni evidenti, e polarizza intorno al concetto che la Voluttà non è tanto il Male, il peccato (cioè la voluttà del peccato, della cosa proibita); ma consiste nel piacere e nella certezza di fare il Male. Di qui l'amore considerato come una tortura, ο un 'operazione chirurgica - evidente la suggestione di Sade - sempre con uno che agisce e l 'altro che subisce, un carnefice e una vittima, e non solo nell 'incidentale connubio (si pensi a Une martyre). Di qui anche il suo disprezzo per la donna come istituzione naturale, come un avversario di cui godere seviziandolo, come un essere che si può tanto più amare quanto più ci è estraneo. Dice in una Fusée che amare le donne intelligenti è «un plaisir de pédéraste». E d'altra parte il suo dandysme, quale culto di una distinzione assoluta, sublime, controllata nel suo orgoglio, nella sua rivolta di casta provocatoria che esclude ogni forma di trivialità, doveva fargli considerare la donna come l'esatto contrapposto di se stesso. In Mon cœur mis à nu il mito è così freddamente e spietatamente stroncato:

    La femme est le contraire du Dandy. Donc elle doit faire horreur. La femme a faim et elle veut manger. Soif, et elle veut boire. Elle est en rut et elle veut être foutue. Le beau mérite! La femme est naturelle, c'est-à-dire abominable. Àussi est-elle toujours vulgaire, c'est-à-dire le contraire du Dandy (III, 5).

    E altrove si meravigliava che si lasciassero entrare le donne in chiesa: di che cosa potevano parlare con Dio, dato che «l'éternelle Vénus (caprice, hystérie, fantaisie) est une des formes séduisantes du Diable»? (XXVII, 48).

    Nelle Fleurs du Mal, ma anche in alcuni poemetti dello Spleen de Paris, questo antimito si traveste in numerose allegorie, riprese anche sulla tematica del macabro e del fantastique (già abbastanza sfruttata dai «petits romantiques», e da Gautier), e in un linguaggio ora blandamente ironico, ora più violentemente derisorio e sarcastico: la donna-vampiro (Le Vampire e Les Métamorphoses du Vampire, una delle pièces condannate dal tribunale), la prostituta (Allégorie), la donna-Satana (La Béatrice, riproposta antifrastica e grottesca della donna angelicata, che intercede). La stessa simbologia mitologica viene svuotata e rovesciata: Un voyage à Cythère propone, in un quadro tradizionalmente erotico, immagini di morte, di decomposizione, di castrazione, il dissolvimento di ogni illusione d'amore: il famoso embarquement di Watteau trova qui - mediatore anche Nerval - il suo turpe e tragico risvolto:

    Dans ton île, ô Vénus! je n'ai trouvé debout

    Qu'un gibet symbolique où pendait mon image...

    - Ah! Seigneur! donnez-moi la force et le courage

    De contempler mon cœur et mon corps sans dégoût!

    4. Il paesaggio e la città

    Criteri riduttivi, quasi di eliminazione totale, Baudelaire usa verso il paesaggio, che è tanta parte della più celebrata poesia romantica, non solo francese, ma è come del tutto assente nella sua poesia: boschi, vallate, fiumi, laghi, colline, alberi, paradigmi di dolore, di pianto, di disperazione ο di languore (il salice, la trèmula), niente di tutto questo armamentario naturale, che usurpi e ingombri lo spazio riservato più legittimamente ali 'espressione rigorosa della situazione del poeta, anche rispetto alla Natura. Per Videa stessa dell'arte che ha Baudelaire, nella sua «profonda retorica dell'artificiale», come ha detto Macchia (e si veda tutto il primo capìtolo, Artificio e Natura, nel suo libro fondamentale, Baudelaire e la poetica della malinconia), il mito del ritorno alla Natura, e del "buon selvaggio non poteva in alcun modo attecchire. E nota la sua avversione per Rousseau, definito scrittore «sentimental et infâme». In Rêve parisien, per esempio, che traduce simbolicamente gusti e aspirazioni, la vegetazione è preliminarmente abolita, per la sua stessa qualità spontanea, bruta, incontrollata:

    Le sommeil est plein de miracles !

    Par un caprice singulier,

    J'avais banni de ces spectacles

    Le végétal irrégulier.

    Se mai il paesaggio, anche quello vegetale, è come ricreato artificialmente, e quasi sottratto alla sua naturalezza , e per le virtù associative dell'amore, del profumo, e allora si colloca spesso nell'irrealtà di un vago esotismo (Parfum exotique, La Chevelure), in una zona mista d'immaginazione e di ricordi (come ad esempio in A une dame créole, ο in À une Malabaraise, che però non a caso sono fra le poesie più giovanili di Baudelaire; ma si pensi anche al più tardo poemetto in prosa La Belle Dorothée). Oppure ha una funzione allegorica, ed entra nel reticolo di segni, di simboli, di corrispondenze , che il poeta percepisce sotto gli aspetti più abusati della Natura (pensiamo al celebre sonetto appunto delle Correspondances). Ed è anche per questi motivi, legati a ricordi e affetti (il viaggio giovanile all'Ile Bourbon, la sua prediletta casa a Honfleur) che l'elemento naturale più amato da Baudelaire è il mare, per il suo spettacolo sempre infinitamente e instancabilmente bello, e con l'idea che suggerisce d'immensità e di movimento insieme, mutamento continuo in una dimensione infinita, incommensurabile:

    la plus haute idée de beauté qui soit offerte à l'homme sur son habitacle transitoire,

    scrive del mare in Mon cœur mis à nu (XXX, 55, e si vedano anche, per altri simboli e rapporti, L'Homme et la Mer, Mœsta et Errabunda, La Musique e Obsession).

    Ma per questa radicale riduzione nel tessuto paesaggistico di tanta parte della poesia, francese e non francese, nella prima metà del secolo, le rare indicazioni descrittive di Baudelaire si caricano d'una forte tensione evocativa, e strettamente, direi realisticamente lirica. In una delle poche poesie senza titolo delle Fleurs du Mal, «Je 'ai pas oublié, voisine de la ville...», il cui dato autobiografico è scopertamente enunciato, e svolto in un unico periodo di dieci versi, quei rapidi tratti, gli scarsi elementi ambientali, quel giardino appena accennato, col sole al tramonto, sembrano esprimere e contenere tutto l 'irripetibile fascino del passato, della fanciullezza, l'amore morboso per la madre, nel suo anno di vedovanza, alcuni dettagli impressi per sempre nell'animo col sigillo della malinconia. Non vogliamo parere iconoclasti, ma confessiamo che daremmo, per questi dieci versi, buona parte delle poesie del ricordo , da Lamartine a Verlaine, e tutti i «soleils couchants» di Hugo.

    Ma questo distacco, questo rifiuto anche solo di descrivere, e poi di lodare, di santificare l'innocenza e la purezza della Natura, tanto esaltate da altri (ma anche discusse: penso a Vigny, e anche, per altri versi, a Leopardi), e per luì al contrario così sospette, gravide anzi di atrocità, di istinti orribili e malefìci, ha in Baudelaire anche altre motivazioni, che si collegano direttamente alla sua idea del Romanticismo, come espressione di attualità, di modernità. La Bellezza, e quindi l'Arte, non è soltanto ricerca dell'eterno nell'effimero, cioè di una categoria astratta e immutabile, ma è anche, essenzialmente, espressione di tutto ciò che di transitorio, di fuggitivo, un'epoca presenta, e che l'uomo realizza secondo i suoi gusti attuali. E anche la moda , il costume, il marchio che il tempo imprime nei nostri sentimenti, nelle nostre idee, nella maniera di cercare la felicità (ed è questo un concetto di derivazione stendhaliana). Trascurare ο sopprimere tale elemento significa cadere nel vuoto di una Bellezza indefinibile, «indigestible, inappréciable», scrive Baudelaire nel I capitolo del Peintre de la vie moderne.

    La poesia di Baudelaire s 'iscrive in questa dimensione immanente del Tempo e dello Spazio urbano in cui si forma e che riflette, anche se non scade mai nella insignificante futilità di un realismo che abbia scopi estranei alla poesia stessa (il progresso, la politica ecc.). La Parigi del Secondo Impero è la condizione morale e la riserva allegorica della sua arte. Egli ha anche qui immediati punti di riferimento: Sainte-Beuve di Joseph Delorme, per esempio, e, fuori della poesia in senso stretto, per la città come categoria dello spirito ormai connaturata nell'artista che vi vive, e fonte essa stessa di motivi poetici, non si può non pensare almeno a Balzac. Nella potenza intuitiva che Baudelaire esercita sulle persone che il caso gli porta incontro, ο che egli deliberatamente insegue, cedendo alle sue «humeurs fatales», nella osmosi che si attua fra il poeta e la gente della strada (soprattutto nei Tableaux parisiens delle Fleurs du Mal, ο in molti poemetti in prosa, Les Foules, Les Veuves, Les Yeux des pauvres, Le Vieux Saltimbanque), è da riconoscere una specie della «seconde vue» balzacchiana. Per esempio nella celebre evocazione di Parigi, nel Crépuscule du soir, così circostanziata («l'ouvrier courbé», «la cité de fange», teatri, orchestre, cucine, ladri, prostitute), con elementi precisi, ma tutti trasposti a livelli simbolici («démons malsains», «occulte chemin» ecc.). S'impongono soprattutto i contenuti satanici della grande città. Non meraviglia che uno dei progetti di épilogue delle Fleurs du Mal sia tutto incentrato su questo tema:

    Tu sais bien, ô Satan, patron de ma détresse,

    Que je n'allais pas là pour répandre un vain pleur;

    Mais, comme un vieux paillard d'une vieille maîtresse,

    Je voulais m'enivrer de l'énorme catin,

    Dont le charme infernal me rajeunit sans cesse.

    (...)

    Je t'aime, ô capitale infâme! Courtisanes

    Et bandits, tels souvent vous offrez des plaisirs

    Que ne comprennent pas les vulgaires profanes.

    In questo quadro Baudelaire instaura con la città rapporti anche diversi, con intersezioni e scambi di una sua più personale originalità. In un saggio oggi assai noto, Benjamin ha osservato che nella sua poesia si avverte quasi sempre la presenza segreta di una massa, della folla che lo attira e lo respinge, di cui egli si fa complice, e da cui quasi nello stesso istante si distacca. Un rapporto ambiguo, di cui non può sfuggire la modernità - e che può essere ancora una verifica della situazione di Baudelaire rispetto a tutta la realtà dell 'esistenza -, ma che egli in certo senso risolve non rinunciando ai suoi privilegi di flâneur, di dandy, che seleziona e fa emergere dalla folla ancora V individuo,v con il suo dramma particolare, le sue stigmate di dolore morale ο fisico ( A une mendiante rousse, Les Aveugles, e ancora molti poemetti in prosa), che fermano il suo interesse morboso. Egli vi riconosce, dopo l'angoscia della vischiosità ο della dissociazione, la sua identità, sia pure nell'attimo di un incontro fuggevole (A une passante), di una simpatia precaria che svanisce presto nell'assenza:

    Ruines! ma famille! ô cerveaux congénères!

    Je vous fais chaque soir un solennel adieu!

    Où serez-vous demain, Èves octogénaires,

    Sur qui pèse la griffe effroyable de Dieu?

    (Les Petites Vieilles)

    Il paesaggio cittadino di Baudelaire non si limita però a questo solo aspetto. Insieme ο in alternativa alla folla che la anima, la città - e non solo nei Tableaux parisiens - è presente anche come struttura artificiale, da cui il poeta si sente oppresso e protetto al tempo stesso, e nel cui interno sempre si percepisce e si controlla, e vi iscrive sogni, visioni, allucinazioni. Nemmeno qui descrizioni minute. Rare le precisazioni toponomastiche (il Carrousel, il Louvre, nel Cygne; Tivoli e Frascati, nomi di ritrovi già scomparsi a quell'epoca, nelle Petites Vieilles). Ma non sono molte le poesie in cui anche in un dettaglio, in un termine realistico non si senta il respiro della città nei suoi oggetti, nei suoi muri e lastricati, essi stessi come trasudanti di umanità, lievitanti d'incantesimi e di simboli, dai «quais froids de la Seine» in Danse macabre, al rosso chiarore di un lampione, all' «odeur de futailles» nel Vin des chiffonniers, alla grondaia in cui erra l'anima d'un vecchio poeta (Spleen,1), alle persiane, riparo di segrete lussurie, che pendono dai tuguri dei sobborghi (Le Soleil), ai gatti che pas sano furtivamente «le long des maisons, sous les portes cochères», nella Parigi notturna di Confession. E dalla fusione, ma anche dall 'impiego alterno di queste due serie di elementi e di immagini - della cité e della ville, direi della città morale e di quella strutturale, umana e pietrificata - che Baudelaire realizza i suoi «quadri», nelle poesie e nei poemetti in prosa, che raggiungono tutti, come si è spesso notato, una loro dimensione allegorica. E il paesaggio cittadino di Baudelaire dà per questo alcune volte il senso di vuoto, di freddo, di silenzio rotto da rumori sordi e misteriosi (non è sempre lo sguardo a creare il tableau), come in Brumes et Pluies ο in Chant d'automne; altre volte di un pieno caotico, formicolante, frastornante, dove le stesse strutture oggettive si dilatano in un clima allucinatorio: pensiamo soprattutto alle strofe iniziali dei Sept Vieillards:

    Fourmillante cité, cité pleine de rêves,

    Où le spectre en plein jour raccroche le passant!

    Les mystères partout coulent comme des sèves

    Dans les canaux étroits du colosse puissant.

    Un matin, cependant que dans la triste rue

    Les maisons, dont la brume allongeait la hauteur,

    Simulaient les deux quais d'une rivière accrue...

    5. La morale, il potere, la religione

    «Multitude, solitude: termes égaux et convertibles pour le poète actif et fécond», scrive Baudelaire nel poemetto in prosa Les Foules. E nelle Fleurs du Mal, per quello che abbiamo detto finora, c'è più di un momento in cui la poesia si unisce alla carità, in una «sainte prostitution de l'âme», in un 'orgia di amore ineffabile per gli altri. Baudelaire ha épousé le illusioni dei cenciaioli ubriachi, le condizioni miserabili e la rivolta della «race de Caïn», ha esaltato la morte quale unica ragione di sopravvivenza e di consolazione per i poveri, ha provato pietà, simpatia per i malati, gli emarginati: zingari, pazzi, prostitute, banditi, saltimbanchi, vedove, persone sole ο maniache hanno come eccitato la sua fraterna comprensione. Eppure, anche in quegli stessi momenti, specie se considerati nell'ambito della struttura generale delle Fleurs, e di tutta la sua opera, si avverte più netta la sua solitudine, per una curiosità di conoscenza, e un 'avidità di partecipazione segnate però dal più radicale pessimismo. Dopo la fiammata quarantottesca, dopo una breve infatuazione per la funzione sociale dell'arte, egli ha abbandonato ogni facile idealismo umanitario. Ha creduto sempre meno al progresso, al filantropismo. Si è opposto violentemente all'invasione (già allora!) dell'americanismo. Ha creduto sempre di più, invece, e fermamente, al progresso vero, cioè morale, di ogni individuo in se stesso, e per proprio merito, dato che ogni esperienza umana riparte, in certo senso, da zero, essendo l'uomo sempre uguale all'uomo, nel suo stato selvaggio (ed ecco già un indice della sua condizione cristiana ); si è sempre più convinto che il solo potere ragionevole e sicuro fosse quello aristocratico, perché legato a una concezione mistica del potere stesso. E non c'è da meravigliarsi se per quella via - sulla scorta sempre di Joseph de Maistre - egli trovasse una giustificazione e uno scopo spirituale anche alla pena di morte. Arrivò a dire in Mon cœur mis à nu, che esistono soltanto tre esseri rispettabili: il prete, il guerriero e il poeta, cioè:

    Savoir, tuer et créer. Les autres hommes sont taillables et corvéables, faits pour l'écurie, c'est-à-dire pour exercer ce qu'on appelle des professions (XIII, 22).

    Le leggi sociali, fatte ο da fare, hanno perciò scarsa presa su di lui; sono le leggi morali che condizionano l'uomo, e che debbono spingere il poeta a concentrare tutti i suoi interessi, e quindi tutti i suoi sforzi per superare quei limiti, per entrare in contatto diretto con le cose, con la Natura, con lo sterminato groviglio di segni e di analogie che si cela in ogni vicenda umana, in ogni aspetto della realtà sensibile. Lo spiritualismo, la cabala, la droga, la potenza occulta della parola, l'operazione magica della preghiera, intesa come una delle grandi forze della «dynamique intellectuelle», il satanismo stesso, hanno orientato sempre più in senso esoterico, e quindi metafisico, le sue vertiginose déscentes nel suo baratro interiore, come d'altra parte la sua concezione del mondo. E non appare molto arrischiata - ma non è certo in tutto convincente - l'ipotesi avanzata da un critico (Arnold), che il sistema di Baudelaire si fondi anche sulla lettura di una traduzione francese cinquecentesca del Poi- mandro di Ermete Trismegisto. Sul misticismo, sulla religiosità di Baudelaire, si è a lungo discusso. E non è mancata nemmeno un 'interpretazione in tutto cristiana della sua opera, con molte giustificazioni, ma senza alcun argomento determinante. E certo che egli non ha avuto scopi edificanti (avrebbe tradito la sua stessa concezione della poesia). Se mai le Fleurs, e altri suoi scritti, rivelano una ineliminabile premessa cristiana (la sua opera non si concepirebbe nemmeno fuori di quella tradizione ), quasi in uno stato disperato di pre-conversione , di drammatico scontro fra le tentazioni opposte di Satana e di Dio. Non era in vena di persuasione catechistica Barbey d'Aurevilly quando scrisse, alla fine del suo famoso articolo sulle Fleurs du Mal (24 luglio 1857), che al poeta non restavano che due partiti da prendere: bruciarsi le cervella ο farsi cristiano. Ma indiscutibile è la qualità appunto mistica, e romantica, della poesia baudelairiana. Il suo senso angoscioso di caduta, la sua coscienza del peccato originale, la sua ossessione del finito, del Tempo, nemico vigilante e funesto, invocano e rinviano sempre ad altre dimensioni e categorie, dall'esistenza all'essenza. Edi questo soprattutto la sua poesia porta testimonianza.

    Il n'y a d'intéressant sur la terre que les religions,

    scrive ancora in Mon cœur mis à nu (XXXI, 56); e ricorda altrove la sua tendenza, dall'infanzia, alla mysticité, e le sue «conversations avec Dieu». Analogamente ad altre situazioni, di alcuni «petits romantiques», ο di un Vigny (ο come poi di un Rimbaud), anche per Baudelaire i capi di accusa contro Dio - «Dieu est un scandale», scrive una volta - sono una forma di venerazione negativa, di protesta, che non sfocia mai in un totale nichilismo. Dio può essere un tiranno, un correo (Le Reniement de saint Pierre), ma rimane il punto fermo essenziale, per la stessa dialettica del Male in cui Baudelaire si trova coinvolto, in cui crede, e di cui a Dio chiede talvolta ragione (e il Male non sarebbe se Dio non fosse). Se è esplicita l'implorazione a Satana, nelle antifrastiche litanies:

    Ο Satan, prends pitié de ma longue misère!

    non siamo sicuri che non sia rivolta ambiguamente anche ο solo a Dio, piuttosto che solo a Jeanne Duval, ο a un'altra donna, l'invocazione iniziale di De profundis clamavi (come del resto tante altre nelle Fleurs):

    J'implore ta pitié, Toi, l'unique que j'aime,

    Du fond du gouffre obscur où mon cœur est tombé.

    Del resto, ricavare da tutta l'opera di Baudelaire, dalle sue prime poesie e da altri suoi scritti giovanili, fino ai suoi ultimi appunti di Mon cœur mis à nu, ο ai suoi ultimi poemetti in prosa, ο alle sue note sarcastiche sulla Pauvre Belgique, una visione e una soluzione unitaria di questi problemi, è impossibile, tanto egli veramente oscilla fra la protesta e la preghiera, fra la rivolta e la fiducia. E in questa oscillazione continua si dilacera, senza trovare mai appagamento definitivo in una delle due posizioni. Più facile è coglierlo, nelle sue poesie, nelle sue riflessioni, in alcuni momenti di accettazione ο di ripiegamento, sull 'una ο sull 'altra. Il suo satanismo , come la sua fiducia in Dio, non sfociano mai in cieco fideismo; non hanno mai nulla di dogmatico, di esclusivo. Il poeta della Révolte non è un révolté permanente, ed arriva anche a chiedersi: «Se livrer à Satan, qu'est-ce que c'est?» (Fusées, XIV, 21).

    6. L'arte

    L'opera di Baudelaire non sarebbe veramente quel nodo obbligato di tutte le fila della poesia, dal primo Romanticismo ai giorni nostri, se questa sua sintesi di elementi, con le necessarie riduzioni e scorie, e questa sua dilacerata situazione, non si fosse realizzata in un'arte originale, e soprattutto composta, almeno nelle Fleurs du Mal, in un disegno preciso. C'è anzitutto in lui la chiara coscienza dell'arte come impegno tecnico- basilare, come mestiere di espressione, di linguaggio, con trucchi, puntelli, rattoppi, anche: l' arte come una faticosa marcia di avvicinamento al culmine della creazione perfetta, che rimane un miraggio, un Assoluto irraggiungibile (La Beauté, La Mort des artistes, Le «Confiteor» de l'artiste), quale magica misura di volontà e di frenesia, di interventi razionali su un 'essenza misteriosa. Egli parlò della poesia come di una «sorcellerie évocatoire», in cui il poeta, con tutti i mezzi, anche artigianali , che ha a disposizione, mette in movimento una specie di sortilegio. In questa opera di mistificazione, rigorosa e tragica, in cui il poeta deve far come le parti di un altro - parlò del poeta come di un farceur, di un jongleur, ο anche di un magicien, di uno chimiste (e si pensi al suo interesse per i saltimbanchi, i buffoni, e si rilegga La Muse vénale) -, la materia, anche incandescente, viene plasmata, fissata, senza perdere la sua forza originaria. L'alchimia, il gioco di prestigio che Baudelaire vuole realizzare, è spesso una «alchimie de la douleur», cioè un 'alchimia alla rovescia, in cui si muta l'oro inferro, il paradiso in inferno; ed è una reazione scientifica, chimica, su una materia morale, che ha perciò i suoi residui, le sue impurità (la poesia di Baudelaire non è una poesia pura, come volle vederla Valéry, e pour cause). Sono celebri le sue parole al notaio Ancelle, in una delle sue ultime lettere (18 febbraio 1866):

    Faut-il vous dire, à vous qui ne l'avez pas plus deviné que les autres, que dans ce livre atroce, j'ai mis tout mon cœur, toute ma tendresse, toute ma religion (travestie), toute ma haine? Il est vrai que j'écrirai le contraire, que je jurerai mes grands Dieux que c'est un livre d'art pur, de singerie, de jonglerie; et je mentirai comme un arracheur de dents.

    Ma è soprattutto nell'ordine strutturale di questo unico, «atroce» libro di poesie che Baudelaire raggiunge il colmo della sua arte. Escludere che le Fleurs du Mal abbiano una loro architettura interiore, che poggia saldamente sulle sei sezioni in cui sono ripartite, è negare lo spirito stesso della poetica baudelairiana. È certo un'architettura costruita in fieri, cioè che si è venuta realizzando man mano e negli stessi modi in cui si attuava la sua poesia, per una combinazione della volontà e del mistero, e che ha avuto le sue fasi di assestamento, le sue incertezze, i suoi progetti, i suoi titoli provvisori (si veda qui appresso la Premessa). E non è una struttura rigida, in cui nulla possa essere spostato, tolto, aggiunto (fu modificata e definita meglio dalla prima alla seconda edizione, e non soffrì molto della soppressione delle sei poesie condannate). Ma è l'impianto fondamentale, è l'ordine in progressione che il libro intende creare in uno spazio estetico-morale, che è indispensabile alla sua validità, alla sua stessa esistenza. Non è una suddivisione tanto per dare respiro al lettore, ma la ricomposizione di una linea sinuosa di svolgimento, un grafico fìtto di sussulti, di cadute, d'impennate, dalla nascita maledetta del poeta (Bénédiction) alla Morte come epilogo poetico-morale. Si abbia presente la dichiarazione di Baudelaire, in una lettera a Vigny (del dicembre 1861, quindi da riferirsi alla seconda edizione):

    Le seul éloge que je sollicite pour ce livre est qu'on reconnaisse qu'il n'est pas un pur album et qu'il a un commencement et une fin. Tous les poèmes nouveaux ont été faits pour être adaptés au cadre singulier que j'avais choisi.

    Baudelaire ha scritto altri libri, notevolissimi e importanti, che basterebbero da soli a fare un grande scrittore. Abbiamo citato più volte lo Spleen de Paris, cinquanta poemetti in prosa, dalla qualitàdents e dalla resa poetica peraltro assai disuguali, e in cui tuttavia tenta e instaura una nuova maniera di prosa lirica, che ha una sua grande ricchezza di immagi ni, e una sua musicalità, «sans rythme et sans rime», com 'egli spiega, e in cui traduce e traveste, in visioni, in apologhi, in quadri realistici ο simbolici, moti di bontà (Le Vieux Saltimbanque) e impulsi perversi (Le Mauvais Vitrier), sogni e allucinazioni, improvvise illuminazioni della coscienza, sullo sfondo non sempre chiaramente indicato dell' «enorme città». E abbiamo ben presenti, naturalmente, i Paradis artificiels, che, al di là dell'esperienza della droga (oggi così terribilmente attuale), sono soprattutto un 'altra testimonianza poetica della sua volontà di sottrarsi alla condizione umana, di perdersi nel suo «goût de l 'Infini», ma anche qui con la ferma, amara consapevolezza della vanità del tentativo compiuto, se non nel senso di fare, anche di questo, poesia. Né dimentichiamo altre sue opere minori, come la giovanile novella La Fanfarlo, per esempio, ο le sue note intime, le Fusées e Mon cœur mis à nu, di un estremo interesse per chiarire molte sue posizioni, come abbiamo visto. Non dimentichiamo soprattutto che Baudelaire non è soltanto uno dei più grandi poeti dell 'èra moderna -forse il più grande -, ma anche una delle coscienze critiche più vigili del fatto poetico, anche in rapporto alle altre arti, alla pittura, alla musica: i suoi Salons, i suoi saggi su Delacroix, sul Peintre de la vie moderne (Constantin Guys), su Wagner, come quelli su Hugo, su Gautier, su Banville, i suoi studi su Poe, hanno indubbiamente ancora oggi un loro grande valore, storico e critico, non solo in rapporto alla personalità stessa di Baudelaire.

    Ma è innegabile che tutti questi altri suoi scritti prendono luce dalle Fleurs, si reggono a raggiera su quel centro. È proprio dei poeti lirici ed essenziali come Baudelaire realizzarsi pienamente in un solo libro (altro che la stérilité che gli rimproverava Leconte de Lisle!), e svilupparne se mai altrove qualche motivo. Non può non colpire, e specie dopo la prima edizione delle Fleurs, la grande quantità di «progetti» che accumulò Baudelaire (come del resto un altro poeta essenziale: Vigny) senza terminarne che assai pochi. Per lui era impossibile una ripetizione quasi gestuale della poesia, sia pure in altre direzioni (come per Hugo, per esempio); tutto era pensato e scritto in funzione di quel libro, e quando tentava di staccarsene, era come se volesse sottrarsi alla legge eh 'egli stesso aveva istituito, e finiva per forza per circondarsi di «relitti». E in realtà, cosa poteva dire ancora Baudelaire dopo la mirabile chiusa del Voyage? L'ultimo ciclo non solo, ma tutta la sua opera, si saldava su quella spettrale visione d'un vascello fantasma che salpa verso i lidi dell'ignoto per

    Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu'importe? Au fond de l'Inconnu pour trouver du nouveau!

    In questo échec, in questo marasma, sul piano umano-psicologico, perfettamente controbilanciato da una réussite nell'ordine della realizzazione artistica, la parabola poetica terminava, come stava per compiersi di lì a qualche anno, nella terribile afasia, il destino umano di Baudelaire.

    Massimo Colesanti

    Roma, 10 ottobre 1998

    ¹ Tutto era stato già preso nel campo della poesia. Lamartine aveva preso i cieli, Victor Hugo aveva preso la terra, e più della terra. Laprade aveva preso le foreste. Musset aveva preso la passione e l'orgia splendente. Altri avevano preso ìl focolare, la vita rustica ecc. Gautier aveva preso la Spagna e i suoi forti colori. Cosa restava? Quello che Baudelaire ha preso. Vi è stato come costretto.

    ²Poeti illustri si erano spartite da un pezzo le province più floride della poesia. Mi è parso piacevole, e ancora più gradevole per la difficoltà dell'impresa, di estrarre la bellezza dal Male.

    ³ Per dipingere queste decomposizioni che gli fanno orrore, egli ha saputo trovare quelle sfumature morbidamente ricche della putredine più o meno avanzata, quei toni di madreperla e di turbine che ghiacciano le acque stagnanti, quelle rose tisiche, quei bianchi doratici, quei gialli di fiele e di travaso di bile, quei grigi plumbei di brume pestilenziali, quei verdi velenosi e metallici che puzzano di arseniato di rame, quei neri fumosi slavati dalla pioggia lungo muri gessosi, quei bitumi ricotti e bruciacchiati in tutte le fritture dell'inferno, così eccellenti per servire da sfondo a qualche testa livida e spettrale, e tutta quella gamma di colori esasperati spinti al massimo grado, che corrispondono all'autunno, al tramonto del sole, alla estrema

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