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Manuale facile per il concorso da Agenti ed Ufficiali di Polizia Municipale
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Manuale facile per il concorso da Agenti ed Ufficiali di Polizia Municipale

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E' il primo punto di riferimento per ogni cittadino, il rappresentante più visibile dell'Istituzione principale di ogni grande città e piccolo paese, il Comune. E' la divisa più capillarmente diffusa sul territorio nazionale; spesso denigrato, odiato, vilipeso, incompreso e sottovalutato, associato com'è, nell´ immaginario collettivo, solo alla spiacevole figura di quello "che fa le multe". Ma il moderno
agente (o Ufficiale) di Polizia Municipale, il vigile, come amo chiamarlo, è in realtà un poliziotto a 360 gradi, poliedrico, capace di gestire sempre al meglio ogni situazione in cui il bene pubblico, o l'interesse privato appaiano in pericolo o le norme di civile convivenza sono infrante da chi, evidentemente, non ha a cuore il rispetto della Legge.
STUDIOPIGI presenta la terza edizione (2018) del Manuale (Serie Corsi e Concorsi), uno dei più completi in commercio, oggi ancora più ricco in contenuti, e con, in appendice, alcuni tra i più ricorrenti verbali compilati dagli appartenenti ai corpi di Polizia Municipale, ad uso di chi vuole intraprendere una carriera in un settore dove competenza e professionalità fanno ancora la differenza.
Aprono il Manuale le nozioni di base del Diritto (Costituzionale, Amministrativo, Penale, Procedura Penale), le leggi di Pubblica Sicurezza, la storia dei Corpi di Polizia Locale, per arrivare al Codice della Strada con aggiornamento all'omicidio stradale di recente introduzione, fino alla normativa sull'immigrazione, la prostituzione, le sostanze stupefacenti, la contraffazione dei marchi, e la tutela del diritto d'autore, passando per una sintesi di medicina del Lavoro, in particolare sui danni da  stress lavoro-correlato; il tutto con la chiarezza e la sinteticità che connota tutta la Manualistica STUDIOPIGI. Un'opera completa ed esauriente, al prezzo più basso del mercato.
STUDIOPIGI, è sempre con te.
 
LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2016
ISBN9788822864345
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    Manuale facile per il concorso da Agenti ed Ufficiali di Polizia Municipale - Pino Lastrada

    30)

    DUE PAROLE DELL´ AUTORE

    E´ il primo punto di riferimento per ogni cittadino, il rappresentante piu´visibile dell´ Istituzione principale di ogni grande citta´ e piccolo paese, il Comune. E´ la divisa piu´ capillarmente diffusa sul territorio nazionale; spesso denigrato, odiato, vilipeso, incompreso e esottovalutato, associato com´ e´, nell´ immaginario collettivo, solo alla spiacevole figura di quello "che fa le multe". Ma il moderno agente (o Ufficiale) di Polizia Municipale, il vigile, come amo chiamarlo, e´ in realta´un poliziotto a 360 gradi, poliedrico, capace di gestire sempre al meglio ogni situazione in cui il bene pubblico, o l´ interesse privato appaiano in pericolo o le norme di civile convivenza sono infrante da chi, evidentemente non ha a cuore il rispetto della Legge. Un angelo custode insomma, sempre vicino a noi, con conoscenze che abbracciano non solo il codice della Strada, come si potrebbe credere, ma ogni altra materia regolamentata dalla legge, sia statale che comunale.

    Un mestiere complicato dunque? All´ apparenza si, come tutti quelli che riguardano l´ amministrazione della cosa pubblica, con annesso un rilevante potere discrezionale e decisionale, e con responsbilita´, soprattutto penali, eccezionalmente spropositate rispetto a chi non e´ al servizio di un´ istituzione; ma un mestiere che io ritengo essere il piu´ bello, il piu´ straordinariamente ricco di piccole e grandi esperienze quotidiane, e compensato, se fatto con passione, dalla crescente consapevolezza dell´ insostituibile ruolo che si va a svolgere e, qualche volta, dal semplice grazie di quei pochi che, riuscendo a volare oltre ai pregiudizi ed ai luoghi comuni, riescono a rendersi conto che, forse, senza i Vigili Urbani, le nostre citta´ sarebbero un posto meno sicuro.

    SEZIONE PRIMA

    FONDAMENTI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO

    CAPO PRIMO

    CENNI DI INTRODUZIONE AL DIRITTO

    1.PRINCIPI GENERALI

    E´ posibile amare il diitto? Indubbiamente si. Si, se solo si e´ individui appassionati all´ idea di ordine, non una idea astratta ma un concetto che a ben vedere regola ogni particolare dell´ intero universo. Il mondo intero e´ordine. Dove non c´ e´ ordine, regna l´anarchia, il caos. Ci voglio regole dunque, certe; e ogni tipo di società civile, ha bisogno di darsi una serie di regole di comportamento al fine di assicurare la pacifica convivenza dei propri associati o cittadini, e per reprimere i comportamenti ritenuti scorretti.

    L'insieme di queste regole forma l'Ordinamento Giuridico di cui l'esempio più alto è costituito dallo Stato, posto al vertice della vita sociale dei suoi cittadini.

    L'ordinamento statale non dipende nè deriva da alcun altro ordinamento, per cui è detto originario ed indipendente.

    L'Ordinamento dello Stato italiano è oggi formato dal cosiddetto "diritto positivo", quello cioè fondato su leggi o norme prodotte da organismi preposti alla loro produzione.

    In passato al diritto positivo, si è contrapposto il diritto naturale, cioè fondato su principi intrinsechi all'uomo stesso e quindi su leggi non emanate da alcun organo legislativo.

    Si pensi alla sfera della morale che vieta ad esempio di uccidere.

    Il periodo di massimo fulgore della teoria che venne detta giusnaturalistica si ebbe durante la rivoluzione francese mentre oggi molti di tali principi sono codificati nella "Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo".

    La legge è dunque oggi, la maggiore fonte di produzione della norma giuridica. Essa contiene un comando valevole per tutti che è definito "norma che per distinguersi da altre di diversa specie, si chiama norma giuridica".

    La norme giuridiche possono essere:

    Precettive quando esprimono un comando o impongono un comportamento (per esempio l’art. 433 c.c.).

    Proibitive se esprimono un divieto (per esempio l’art. 1471 c.c.).

    Permissive quando contengono delle facoltà, cioè la norma attribuisce delle facoltà al titolare del diritto. Un esempio è quello che avviene con l’art. 832 (della proprietà – contenuto del diritto – "Il proprietario ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo,entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico").

    La categoria delle norme permissive e derogabili sono all’opposto delle norme cogenti.

    Cogenti (o inderogabili) sono infatti le norme imperative o di ordine pubblico, perché l’applicazione di queste norme prescinde dalla volontà del soggetto, quindi impongo un determinato comportamento. Ad es. le norme penali.

    Derogabili (o relative) sono le norme la cui applicazione non è di ordine pubblico, quindi l’applicazione è rimessa alla volontà del soggetto. Ne fanno parte le norme dispositive e le suppletive:

    o DISPOSITIVE regolano un rapporto, ma lasciano libere le parti di disciplinare quel rapporto in modo diverso o anche disapplicare la norma e scegliere un regolamento diverso.

    o SUPPLETIVE invece suppliscono alla mancanza di volontà della parte. Quindi regolano un rapporto in mancanza della volontà delle parti.

    Ancora le norme possono essere:

    Eccezionali se il legislatore emana una norma per regolamentare fattispecie di carattere eccezionale, legate ad un evento straordinario. Queste norme hanno una particolare caratteristica che è quella di disciplinare l’eccezionale fattispecie per cui sono state create ed hanno una durata legata al tempo necessario ad affrontare o a risolvere l’evento eccezionale, pertanto cessata la situazione contingente vengono disattivate. Le norme eccezionali, a differenza di quelle ordinarie, sono quelle che derogano, in virtù di particolari esigenze, dai principi della materia o, in generale dall’ordinamento.

    Speciali sono norme particolari che si contrappongono alla norme comuni e possono riguardare determinati soggetti o determinate fattispecie. Nell’ipotesi di conflitto fra norma generale e norma speciale è quest’ultima quella che prevale. Sono quelle che, per soddisfare particolari esigenze, si applicano solo in alcune materie (es. pesca), in alcune circostanze (es. il tempo di guerra), o per alcune categorie di soggetti (es. gli imprenditori commerciali).

    Interpretative sono norme che hanno lo scopo di chiarire norme dal contenuto oscuro, quindi il legislatore interviene con una nuova legge al solo fine di chiarire la norma già esistente.

    Eccezionalmente, in questo caso la funzione interpretativa è svolta dallo stesso legislatore ed in questo caso la nuova legge diventa retroattiva, cioè si applica da quando è entrata in vigore la precedente. Il motivo della sua retroattività è appunto perché la norma che va ad interpretare è già in vigore. In questo caso l’interpretazione è detta autentica perché è fatta dallo stesso legislatore.

    Primarie sono le norme che pongono un precetto (ad esempio l’art. 1343 c.c.) e si distinguono dalle norme che pongono solo una sanzione. La norma che pone la sanzione si chiama secondaria. Quindi il comando è primario e la sanzione secondaria.

    Talvolta una norma può contenere sia il comando che la sanzione.

    Il precetto è il comando o l’ordine. La sanzione è la reazione che l’ordinamento prevede a carico del soggetto che non ha osservato il comando. Le sanzioni possono essere dirette o indirette:

    DIRETTE, sono quelle che realizzano il comando della norma in modo diretto come, ad esempio l’esecuzione forzata degli obblighi di non fare.

    INDIRETTE quando realizzano il comando della norma in modo indiretto (es l'obbligo al risarcimento danni auto da sinistro stradale), ossia con l'equivalente pecuniario del danno subito.

    Le norme che contengono sia il precetto che la sanzione sono dette perfette, quelle sprovviste di sanzione sono invece imperfette.

    Caratteristiche della norma giuridica sono l'ALTERITA', in quanto in ogni rapporto giuridico vi è sempre contrapposizione tra due o più parti (e chi è estraneo a tale rapporto viene definito terzo), la STATUALITA' in quanto ogni norma giuridica è emanazione della volontà dello Stato, e l'OBBLIGATORIETA' in quanto applicabile a chiunque anche coattivamente.

    Sono norme giuridiche ad esempio gli articoli del Codice Civile. Altri caratteri della norma sono la GENERALITÀ E l'ASTRATTEZZA: la norma deve essere concepita per fattispecie astratte che possono verificarsi in futuro e destinata a tutti i soggetti facenti parte della società.

    2. IL DIRITTO

    Prima fondamentale distinzione che si suole compiere è quella tra diritto oggettivo e soggettivo:

    Il primo indica l'insieme di regole e norme che lo Stato impone ad ogni suo cittadino in difesa dei suoi diritti e per la tutela dello stesso ordinamento statale e giuridico.

    Il diritto soggettivo invece è il riconoscimento che lo Stato fa ad ogni cittadino per agire in difesa dei propri interessi personali. Da qualche tempo di parla anche di interessi diffusi o collettivi cioè non riguardanti una singola persona ma intere collettività (es la tutela dell'ambiente).

    Ulteriore distinzione si fa tra diritto pubblico e privato.

    Il primo regola l'organizzazione dello Stato e degli altri Enti pubblici ed il rapporto tra questi ed il cittadino.

    Il secondo regola i rapporti tra singoli cittadini non portatori di interessi pubblici.

    3. LE FONTI DEL DIRITTO

    L'espressione fonte del diritto è usato in due accezioni, la prima per indicare le fonti di produzione cioè quelle che formano effettivamente l'ordinamento giuridico, la seconda per indicare le fonti di cognizione, cioè le raccolte ufficiali di legge che servono a portare queste ultime a conoscenza dei cittadini.

    Tradizionalmente sono considerate fonti del diritto italiano:

    La Costituzione

    Le leggi

    I regolamenti

    Gli usi.

    La nascita dell'Unione Europea ha però fatto entrare in questa gerarchia anche l'Ordinamento Comunitario che emana norme sovranazionali a cui l'Ordinamento Giuridico Italiano deve attenersi. La Corte Costituzionale ha stabilito perciò che le leggi ordinarie devono uniformarsi alle norme europee che quindi si pongono gerarchicamente prima di queste.

    Le norme europee possono essere di tre specie:

    I regolamenti comunitari, che valgono negli ordinamenti nazionali senza dover essere recepiti dai parlamenti;

    Le direttive comunitarie, valide solo se recepite dai parlamenti;

    Le raccomandazioni comunitarie, che non sono vincolanti.

    4. L'INTERPRETAZIONE DELLA NORMA

    L'interpretazione è quella tecnica che serve a stabilire, tra i diversi significati di una norma, quello applicabile alla fattispecie concreta.

    L'articolo 12 delle cosiddette preleggi stabilisce che nell'applicare una legge, ad essa non si può dare altro significato che quello espresso dalle parole; nel caso una controversia non si possa decidere con una precisa disposizione, si applicherà a questa le disposizioni che regolano casi simili; se neanche così si riuscisse, si deciderà secondo i principi generali dll'ordinamento giuridico.

    In virtù di tali disposizioni possiamo avere diversi tipi di interpretazione:

    Letterale: è la prima in assoluto. Bisogna interpretare la norma dalle parole con cui è scritta.

    Logica: è quella che considra non solo il senso strettamente letterale, ma anche le intenzioni del legislatore, la ratio iuris.

    Sistematica: è quella che interpreta la norma tenendo presente il contesto in cui è inserita, ossia il complesso di altre norme che compongono l'insieme a cui appartiene.

    Secondo i soggetti che la applicano poi, l'interpretazione può essere:

    - dottrinale, che è quella effettuata dai teorici del diritto, studiosi o ricercatori;

    - giudiziale, che è quella operata dai giudici nelle loro sentenze.

    - autentica, che è quella che viene effettuata dagli stessi organi legislativi, che con altre norme spiegano quelle da interpretare.

    5. I RAPPORTI GIURIDICI

    Il rapporto giuridico è la relazione tra due parti regolato dall'ordinamento giuridico.

    Una delle due parti è portatrice di un diritto da difendere (parte attiva), l'altra è destinataria di un dovere da adempiere (parte passiva).

    Il rapporto giuridico da luogo a situazioni giuridiche che possono essere attive o passive.

    Tra quelle attive ricordiamo:

    il diritto soggettivo, che è l'esplicazione più ampia del diritto del singolo individuo che può decidere se tutelare o meno i propri interessi. L'esercizio di un diritto soggettivo è distinto dalla sua realizzazione, infatti il creditore, quando esige il pagamento del dovuto esercita un suo diritto che però si realizzerà, ossia sarà soddisfatto, solo quando il creditore avrà adempiuto al suo obbligo.

    Se tale interesse è fatto valere nei confronti della Pubblica Amministrazione, assume il nome di interesse legittimo, e consiste nel diritto a che la stessa Pubblica Amministrazione agisca secondo legge.

    la potestà, che è il potere/dovere attribuito ad un singolo di agire nell'interesse altrui.

    la facoltà che è una manifestazione di volontà estrinsecabile o meno dal soggetto che ne è investito.

    Dalla definizione di rapporto giuridico nasce la principale classificazione dei vari diritti, distinti in:

    diritti patrimoniali, che sono quelli aventi ad oggetto interessi economici;

    diritti non patrimoniali che sono quelli aventi ad oggetto interessi di tipo morale o comunque non economico; tra questi i diritti detti personalissimi come il diritto alla vita e di famiglia;

    diritti assoluti, ossia quelli che possono essere difesi contro chiunque (erga omnes)

    diritti relativi che invece possono essere fatti valere solo contro singole o determinate persone (es le obbligazioni che appunto obbligano il solo debitore);

    diritti di obbligazione, che impongono a qualcuno di fare o non fare qualcosa suscettibile di valutazione economica;

    diritti reali che hanno per oggetto una cosa, valgono erga omnes e impongono a chiunque l'obbligo di rispettare l'esercizio della cosa stessa.

    I diritti possono essere poi trasmissibili o intrasmissibili, principali ed accessori.

    6. SVILUPPO DEL RAPPORTO GIURIDICO. L'ACQUISTO DEL DIRITTO E LA SUA TUTELA.

    Il rapporto giuridico si costituisce quando un soggetto acquista la titolarità di un diritto.

    Il diritto può essere acquisito a titolo originario o derivativo:

    è originario quando sorge senza che sia stato trasmesso da altri. E' invece derivativo quando è trasmesso da altro soggetto. La distinzione è molto imposrtante soprattutto in tema di validità degli atti.

    Rientrano nella prima fattispecie l'occupazione e l'invenzione, ossia il ritrovamento di cosa smarrita; fa parte della seconda la successione inter vivos o mortis causa.

    La successione può avvenire a titolo universale o particolare.

    E' universale quando un soggetto subentra nella titolarità di tutti i rapporti giuridici facenti capo all'altra persona. Nella successione mortis causa il soggetto che subentra in tutti i rapporti viene chiamato erede.

    E' particolare quando invece si subentra nella titolarità di un solo diritto facente capo ad altra persona. Nella successione mortis causa tale soggetto viene definito legatario.

    Quando sorge un conflitto di interessi tra due parti, lo Stato avoca a sè il diritto a dirimere tale conflitto. Così le due parti addivengono alla lite, che deve essere portata in giudizio, cioè all'attenzione di un giudice, tramite quella che viene definita azione.

    L'azione ha natura pubblicistica, in quanto è da considerarsi un compenso che lo Stato da al cittadino nel momento in cui gli toglie la facoltà di farsi giustizia da sè.

    Colui che esercita l'azione si chiama attore (colui che agisce) mentre la parte avversa viene chiamato convenuto. Nel corso del giudizio, l'attore cercherà di difendere la legittimità delle proprie pretese, mentre il convenuto opporrà a questi tutte le eccezioni a sua disposizione per contestare la fondatezza dell'accusa.

    La vicenda finale del rapporto giuridico, come vedremo meglio più avanti, è la sua estinzione. Il rapporto si estingue quando il titolare perde il diritto senza che questo sia trasmesso ad altri. Ad esempio nel caso di derelictio (dal verbo latino "derelinquere che significa abbandonare, è l'atto con cui una persona abbandona una cosa mobile di sua proprietà, che, in tal modo, diventa res derelicta". Per l'art 827 c.c i beni immobili che non hanno proprietari, spettano allo Stato.) di cosa immobile.

    Altro esempio è se una persona acquista il diritto a titolo di occupazione, la conseguenza è che un altro soggetto estingue quel diritto.

    7. LE RACCOLTE DI NORME. I CODICI

    Fra tutte le raccolte di leggi dello Stato particolare importanza hanno i Codici (Codice Civile, Penale, di Procedura Civile, di Procedura Penale, Codice della Navigazione, Codice della Strada). I Codici sono dunque raccolte di norme che disciplinano, ciascuno, un aspetto particolare dell' ordinamento giuridico.

    Il Codice Civile in Italia nasce sulle ceneri del Codice del Commercio nel 1942, ed è frutto di una lenta e progressiva maturazione sull'esempio della codicistica francese, la più evoluta in campo europeo, in particolare nell'affermazione del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge; in esso sono racchiusi i principi cardine dell'ordinamento civilistico italiano con riferimenti alle disposizioni ed al pensiero della nostra carta costituzionale che sarebbe stata promulgata qualche anno dopo con l'avvento della Repubblica.

    In costante divenire e sottoposto a numerosissime modifiche nel corso degli anni, il Codice consta attualmente di 2969 articoli divisi in sei Libri ognuno trattante una specifica materia:

    1) Disciplina delle persone e della famiglia

    2) Successioni

    3)Proprietà

    4) Obbligazioni

    5) Lavoro

    6) Tutela dei diritti.

    A corollario del Codice Civile, i legislatori hanno fatto precedere un insieme di 31 articoli, dette "Disposizioni sulla Legge in generale (Pre-leggi"), che contengono l'enunciazione di importantissimi principi in materia interpretativa e legislativa.

    Tra questi l'articolo 1, che elenca le cd fonti del diritto; l'articolo 11 che disciplina l'efficacia della legge nel tempo; l'articolo 12 che disciplina i criteri da seguire nell'interpretazione delle leggi.

    CAPO SECONDO

    LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

    1. COSTITUZIONE E AMMINISTRAZIONE

    Uno degli elementi principali delle moderne forme di Stato è il principio di subordinazione alla legge non solo dei cittadini, ma anche della pubblica amministrazione. Ad un'amministrazione autoritativa (intesa cioè come potere), chiamata essenzialmente ad adottare atti di esecuzioni di leggi che impongono ordini e divieti o comunque a porre regole destinate in diverso modo a restringere o ad ampliare la sfera di autonomia dei privati, si va progressivamente affiancando un'amministrazione di prestazione (intesa cioè come funzione) chiamata a svolgere un'attività diretta alla realizzazione di finalità di interesse generale. Ad un'amministrazione che è chiamata a rispondere del formale rispetto della legge, si affianca un'amministrazione che deve sempre più rendere conto dell'effettiva soddisfazione per gli interessi coinvolti della sua attività e cioè dei risultati attraverso la medesima raggiunti. I principi costituzionali in tema di amministrazione riguardano quella statale, regionale e locale.

    Tra le disposizioni costituzionali relative alla pubblica amministrazione vanno menzionati gli articoli 97 e 98 della sezione II del titolo III intitolata la pubblica amministrazione, quelle contenute nell'articolo 5, 114 e successivi, in tema di amministrazione regionale e locale, quelle contenute negli articoli 103 e 113, in tema di tutela del privato.

    2. DEFINIZIONE E PRINCIPI COSTITUZIONALI

    Giuridicamente suole distinguersi in Pubblica Amministrazione in senso oggettivo e in senso soggettivo.

    Dal punto di vista oggettivo questa va ad identificarsi con lo scopo, il fine da raggiungere, predeterminato per legge.

    Gli organi, lo strumento formale di cui si srve per raggiungere questi obiettivi, vanno invece a formare la Pubblica Amministrazione in senso soggettivo.

    La costituzione dedica due soli articoli, il 97 e il 98, alla disciplina della Pubblica Amministrazione ma vi fanno riferimento anche le disposizioni che assegnano alla Repubblica fini che non possono essere perseguiti se non con apparati amministrativi (salute art.32, istruzione art.33 e 34, assistenza e previdenza art.38) o che distribuiscono il potere secondo criteri territoriali (art.114) o che ne disciplinano i rapporti con il Governo (art.95) o che ne stabiliscono i controlli (art.100) o che tutelano con riserve di legge il cittadino contro atti della Pubblica Amministrazione volti a incidere sulle sue libertà e il suo patrimonio o che assicurano tutela ai singoli dagli atti della Pubblica Amministrazione stessa.

    I richiami seppur sottointesi sono frequenti pertanto la disciplina primaria dell’amministrazione va tratta dalla Costituzione.

    3. IL PRINCIPIO DEMOCRATICO E LA SUPREMAZIA DELLA POLITICA

    Il primo principio enunciato dalla Costituzione lo si trova nell’articolo 1 che individua il principio democratico.

    Tale principio distingue le cariche elettive da quelle burocratiche assegnando alle prime prevalenza sulle seconde. Proprio per questo, ad esempio, il Presidente del Consiglio mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo ovvero l’indirizzo dell’attività dei pubblici uffici organizzati in ministeri ed enti e il ministro risponde dell’attività dei ministeri (art.95). Tale rapporto è verificabile, comunque, anche in altri contesti.

    La burocrazia, invece, è ricavata sulla base di un criterio diverso cioè quello meritocratico in base al quale è tenuta ad agire in conformità a regole quali imparzialità e buon andamento che non hanno nulla a che fare col principio democratico. Nel nostro ordinamento è sottoposta alla politica, ambito in cui il principio democratico invece trova piena applicazione.

    4. DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO E RISERVE DI GIURISDIZIONE. I LIMITI ALL´ ATTIVITA´ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

    La Costituzione all’articolo 2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sottoposti oltre che a riserva di legge anche a riserva di giurisdizione, e per quanto questo appaia un argomento estraneo, la sua menzione qui avviene per rimarcare che tali diritti possono essere ristretti solo nei casi e nei modi previsti dalla legge con atto motivato dell’autorità giudiziaria.

    Quindi alla Pubblica Amministrazione è sottratto il potere di intervento su tali libertà e i diritti inviolabili.

    Misure amministrative (della pubblica sicurezza, in questo caso) sono ammesse però solo in casi eccezionali e devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria per la convalida.

    Ciò fa si che la restrizione sia imputata a quest’ultima e solo provvisoriamente alla Pubblica Amministrazione

    Non tutti tali diritti sono oggetto di riserva di giurisdizione, come ad esempio la circolazione e la riunione (art.16 e 17). Ciò accade perché un eventuale azione in tali ambiti richiede immediatezza e l’intervento dell’autorità giudiziaria rallenterebbe di molto i tempi dell’azione stessa.

    La garanzia è data dalla riserva di legge che in questi casi risulta essere rinforzata dalla previsione, nella stessa Costituzione, dei motivi che autorizzano la limitazione (sanità e sicurezza per la circolazione, incolumità e sicurezza per la riunione).

    5. LA SEPARAZIONE DEI POTERI

    Principio comune agli ordinamenti liberali democratici è la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo, amministrativo, giudiziario.

    La nostra Costituzione non lo cita espressamente ma contiene una serie di disposizioni che lo attuano.

    La Pubblica Amministrazione trae da queste disposizioni delle determinazioni negative: non può svolgere attività legislativa, perché riservata alle Camere e ai consigli regionali, o giurisdizionale in quanto riservata alla magistratura e agli altri organi di giustizia amministrativa quali Consiglio di Stato o Corte dei Conti, al cui sindacato è però soggetta poiché contro i suoi atti è ammessa la tutela giurisdizionale, di giudici ordinari e amministrativi, dei diritti e degli interessi legittimi (art.113).

    Il terzo potere è, visto l’esplicito riferimento della Costituzione stessa alla pubblica amministrazione, caratterizzato come esecutivo-amministrativo; Ciò risulta anche dall’organizzazione dei poteri poiché affidati al presidente del consiglio che si occupa dell’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri (art.95). I due indirizzi sono così, evidentemente collegati riflettendo quello stesso vincolo già menzionato in precedenza tra attività politica e attività amministrativa, con evidente strumentalità della seconda alla prima.

    Tale polarità disegnata all’interno dello Stato dall’art. 95 è riproposta anche a livello territoriale dall’art.121 commi 2 e 3 che riproducono i rapporti a livello di presidente della regione, giunta regionale e amministrazione.

    6. IL PRINCIPIO DI LEGALITA’

    Principio in posizione eminente e´ sicuramente quello espresso dall’art.97: il cd. principio di legalità.

    a) I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge (art.97), e di questi ne sono determinate le competenze, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari. Poiché sono menzionate solo attribuzioni (spettanti all’ente) e competenze (spettanti all’organo), sono esclusi dalla preesistenza della legge gli uffici; il principio di legalità non si riferisce, quindi, all’intero impianto amministrativo ma solo a quella parte costituita da enti e organi.

    La funzione garantistica è evidente in quanto non potendo esistere un apparato amministrativo che non sia previsto dalla legge non può esservi esercizio del relativo potere che, visto le conseguenze che può sortire, deve essere istituito dall’ organo diretta espressione della sovranità popolare (il parlamento) che autorizzerà l’istituzione di un apparato volto a limitare gli stessi diritti dei cittadini.

    b) La legge non può limitarsi a creare o autorizzare l’istituzione di un apparato amministrativo ma deve anche conferire ad esso le relative attribuzioni e competenze. Nessun apparato amministrativo può esercitare pieni poteri amministrativi né competenze e attribuzioni non dettate espressamente dalla legge.

    c) La legge che crea o autorizza l’istituzione di apparati conferendone attribuzioni e competenze deve anche indicare i fini delle stesse. Intervenendo sui mezzi e sui fini, la legge assolve all’importante funzione garantistica di protezione del privato, nel senso che limita la sfera dei diritti del cittadino ma in modo meno arbitrario di quanto farebbe l’amministrazione stessa se fosse libera di scegliere i fini e i mezzi per raggiungere i suoi scopi.

    d) l’ultima accezione del principio fa riferimento sì alla necessità di una previsione di legge per l’esercizio del potere ma tale previsione di legge deve essere preesistente all’esercizio del potere che prevede e destinata a governare singoli casi concreti, indipendentemente dalla provenienza ovvero dalla fonte giuridica o dal suo rango nel sistema delle fonti. Rileva quindi la

    norma, interpretazione della disposizione, che prevedendo l’esercizio del suddetto potere fa sì che esso rientri nelle aspettative del cittadino, tutelando il valore della certezza giuridica.

    7. LA STRUMENTALITA’ DELL’AMMINISTRAZIONE

    L’articolo 95, come abbiamo anche già visto, esprime un’altro principio di organizzazione: quello della strumentalità dell’amministrazione rispetto alla politica generale del governo, L’amministrazione, infatti, è sottordinata alla politica perché è gestita da apparati non rappresentativi mentre la seconda è espressa da organi a legittimazione elettorale.

    Tale principio è strettamente collegato con il principio di democraticità che, come già visto, distingue le cariche elettive da quelle burocratiche assegnando alle prime prevalenza sulle seconde.

    8. IL DOVERE DI IMPARZIALITA’

    Ulteriore importante principio espresso dalla Costituzione all’ art.97 è quello dell’imparzialità dell’amministrazione.

    I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione recita l’articolo equivocando sull’ultimo termine che può essere riferito all’apparato o all’attività da esso svolta. L’interpretazione ha stabilito che il concetto valga per entrambi.

    L’imparzialità dell’organizzazione ha una pluralità di significati; analizziamoli:

    a) L’organizzazione è imparziale quando è strutturata in modo che chi amministra non sia personalmente interessato alla materia della decisione (ovvero che non si realizzi il cd. conflitto d’interessi).

    A tal fine, ad esempio, la sentenza della corte Cost. 453/1990 ha dichiarato illegittime leggi regionali che, nel disciplinare la composizione delle commissioni esaminatrici nei concorsi presso enti locali, prevedevano che la maggioranza dei componenti della commissione fossero espressione del consiglio comunale anziché esperti in materia.

    b) L’organizzazione è imparziale se il suo personale è reclutato in modo imparziale ovvero agli impieghi si acceda tramite concorso per selezionare i più capaci e sottrarre il reclutamento stesso al patronato politico.

    c) L’organizzazione è imparziale se esulano da essa tutti quei componenti che potrebbero essere parziali anche solo per determinate materie. E’ il caso dei rappresentanti sindacali che per lungo tempo hanno composto i consigli di amministrazione degli enti pubblici, poi progressivamente esulati dagli stessi.

    d) L’imparzialità va a valorizzare il procedimento amministrativo poiché richiede che la sequenza di atti che precedono la decisione siano separati dalla sequenza di atti decisori, ovvero che gli uffici con compiti istruttori siano separati da quelli con competenze decisorie.

    9. BUON ANDAMENTO, EFFICIENZA ED EFFICACIA

    L’art. 97 oltre all’imparzialità fa riferimento anche al buon andamento della Pubblica Amministrazione

    Per buon andamento si intende l’efficienza dell’azione amministrativa, ossia la sua rispondenza all’interesse pubblico affidato alle cure dell’amministrazione stessa; l’espressione comprende sia la relazione fra risorse impiegate e risultati ottenuti (efficienza) e la relazione tra risultati ottenuti e obbiettivi prestabiliti (efficacia) Tali relazioni non nascono originariamente dalla Costituzione ma ne son divenute poi parametri giuridici a cui attenersi.

    Il principio del buon andamento esplica determinati effetti nell’organizzazione:

    a) il riparto delle funzioni amministrative deve tener conto delle capacità degli apparati di volgerle in modo adeguato. E’ questa la ragione per cui se un complesso di attribuzioni viene trasferito, ad esempio, dallo Stato alla Regione, anche le relative risorse, umane e finanziarie, vanno trasferite. Tale problema è affrontato in termini di principio dall’art.118 le funzioni amministrative sono affidate a Comuni, città Metropolitane, province, regioni e stato a cui si ricollega anche l’art. 119 che lo esprime in termini finanziari. le risorse finanziarie degli enti territoriali devono consentire di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite

    b) Il principio di buon andamento esclude l’istituzione di apparati amministrativi senza compiti o competenze ben precise col solo scopo di sistemare personale; Anzi prevede che il reclutamento dello stesso sia effettuato sulla base di piante organiche che indichino la distribuzione relativa a qualifiche e mansioni in termini numerici. Tale materia rientra tra quelle in cui principio di legalità e di buon andamento potrebbero contrastare

    c) il principio del buon andamento opera come una sorta di deterrente al principio di legalità.

    Il principio di legalità, come abbiamo visto, non pone limiti al legislatore nell’ambito dell’ordinamento dei pubblici uffici. Il principio di buon andamento invece riserva una parte della disciplina al Governo e all’ amministrazione. Infatti un apparato che fosse integralmente regolato dalla legge sarebbe estremamente rigido e quindi inadeguato ad affrontare i cambiamenti. Necessità di flessibilità, quindi; Flessibilità che le valutazioni della stessa amministrazione può fornire. Conseguenza di ciò la tendenza alla delegificazione il più possibile in materia, rimettendo ai regolamenti e alla contrattazione collettiva la disciplina della materia stessa.

    d) il principio del buon andamento ha determinato una radicale revisione del sistema dei controlli.

    La costituzione prevedeva inizialmente i soli controlli sugli atti dello stato (art. 100), delle regioni (art.125), degli enti locali (art.130). Tali controlli erano articolati in due forme: controllo di legittimità e controllo di merito.

    Tuttavia i criteri di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, mutuate come si è detto dalla scienza dell’amministrazione e divenute poi parametri giuridici, richiedono che la valutazione e quindi i controlli si effettuino più che sui singoli atti, sull’attività nel suo complesso.

    Ciò ha generato una svolta nei sistemi di controllo volti ad accertare l’efficacia, l’efficienza, l’economicità dell’azione amministrativa al fine di:

    - Controlli di gestione, ovvero di ottimizzare anche tramite correttivi, il rapporto tra costi e risultati.

    - Controllo strategico, ovvero di verificare la congruenza tra risultati ottenuti e obbiettivi predefiniti.

    Tale svolta, attuata con il decreto legislativo 286/1999 è stata pioniera della riforma costituzionale 3/2001 che ha soppresso i controlli sugli atti delle regioni e degli enti locali con relativa abrogazione delle disposizioni della versione originaria della Costituzione (art.125 comma 1 e art.130).

    e) Infine, il principio del buon andamento è criterio per la valutazione dell’operato del personale dirigente in base ai risultati del controllo di gestione.

    10. AUTONOMIA

    Il principio di autonomia, differentemente da quelli fin qui esaminati, riguarda solo ed esclusivamente gli enti locali e non si riferisce allo Stato.

    L’autonomia è riconosciuta e promossa dall’art. 5 della Costituzione e confermata dall’art.114 che specifica che la repubblica è costituita da comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato.

    L’art.114, anch’esso riformato dalla legge costituzionale 3/2001, chiarisce due concetti: il primo è che gli enti in esso citati non sono mere ripartizioni della Repubblica ma suoi elementi costitutivi, il secondo è che la conta parte dai comuni per giungere allo Stato che nella precedente forma dell’articolo era assente e veniva considerato quale sinonimo di Repubblica.

    Essenzialmente l’autonomia implica che gli enti territoriali minori abbiano propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione (art.114 comma 2); la legge statale si limita a disciplinare legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali: la determinazione di altri organi non di governo è rimessa alla potestà statutaria e le altre funzioni diverse da quelle

    fondamentali sono conferite anche con legge regionale nell’ambito delle competenze legislative regionali (art.118)

    Proprio l’art.118 prevede che gli enti minori siano dotati di funzioni amministrative proprie. Tuttavia ciò non vuol dire che possano attribuirsi funzioni amministrative in aggiunta a quelle previste dalla legge statale o regionale: non sono arbitri dell’estensione dei loro poteri. Questo infortunio lessicale della

    riforma del titolo V della Costituzione è reso innocuo dalla sopravvivenza nel contesto dell’art.97 e dalla regola in esso contenuta per cui i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge.

    Di conseguenza, poiché non vi sono funzioni senza pubblici uffici e questi ultimi sono disposti dalla legge non vi possono essere funzioni che non siano previste dalla legge;

    Il principio di autonomia non sottrae gli enti locali all’applicazione del principio di legalità ma ne restringe solo la portata.

    Alcuni organi dell’ente, diversi da quelli di governo (art.117 p) possono essere istituiti tramite previsioni di statuto, anziché con legge.

    Il nuovo testo dell’art.118 che attribuisce funzioni amministrative ai comuni salvo il conferimento a province, città metropolitane, regioni e Stato sulla base di principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza va letto considerando che, tuttavia, la presunzione generale di competenza in fatto di attività amministrativa apparentemente spettante ai comuni deve tener conto del principio di legalità campeggiante nel quadro costituzionale: è comunque la legge a distribuire le competenze amministrative ai vari livelli territoriali tenendo conto dei suddetti criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, senza però esserne troppo vincolata.

    Sono criteri presi in prestito dalla prima Legge Bassanini (59/1997) ma sono perlopiù generici, senza alcuna particolare direttiva a favore del decentramento o dell’accentramento.

    Il criterio di sussidiarietà privilegia per lo più il criterio dimensionale attribuendo compiti e funzioni secondo le rispettive dimensioni territoriali;

    Analoghe conseguenze per il criterio di adeguatezza: rapporta le funzioni da allocare all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente per garantire l’esercizio delle stesse.

    Lo stesso si può dire per il criterio di differenziazione, che impone nell’allocazione di tener conto delle diverse caratteristiche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi le funzioni.

    Tali criteri, presi alla lettera, comporterebbero soluzioni organizzative differenziate che vedrebbero solo comuni di un certo calibro ricevere funzioni; così non sarebbe per gli altri che, a meno che non si associno, vedrebbero le funzioni mantenute dalla provincia o dalla regione. In realtà, per razionalizzare il sistema in tal modo si dovrebbero adottare dei mezzi neppure ipotizzati in Italia.

    Il riconoscimento dell’autonomia locale si fonda non su tali considerazioni di efficienza ma sull’applicazione del principio democratico: l’elettività degli organi di base giustifica i poteri di autonomia che si affiancano ai poteri attribuiti dalla legge.

    Le assemblee elettive riproducono, a livello locale, la dialettica maggioranza-opposizione del modello parlamentare: è il loro carattere rappresentativo a spiegare il temperamento del principio di legalità.

    I contenuti essenziali del principio di autonomia possono essere così riassunti:

    a) L’autonomia, ossia il potere di dare norme a se stessi (in questo caso tramite statuti e regolamenti), è legata al carattere elettivo delle amministrazioni locali che non hanno, quindi, natura burocratica (la natura elettiva è affermata, senza lasciar dubbi, nell’art.117 lettera p, con la riforma del titolo V). Ciò giustifica la deroga parziale al principio di legalità.

    b) La previsione l’art.118 che gli enti minori siano dotati di funzioni amministrative proprie va letta nel senso che tali funzioni, inerenti a materie quali l’urbanistica, strettamente legate al territorio, prima disciplinate con regolamenti e oggi con legge, non possono essere sottratte ai comuni stessi perché rappresentano la storia e il profilo istituzionale degli stessi. La Corte Costituzionale ha sempre difeso i comuni ogni qualvolta le Regioni hanno cercato di esautorarli in tali ambiti.

    c) L’ente territoriale diversamente da quello non territoriale si occupa di una molteplicità di materie. La stessa legge sull’ordinamento locale 267/2000 chiarisce che il comune è l’ente

    locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo (formula equivalente per le province); Tuttavia ciò non vuol dire che gli interessi della comunità racchiusa nei confini comunali sono curati solo e tutti dal comune poiché sullo stesso territorio gravitano come cerchi concentrici più enti. Inoltre, tali interessi, seppur da curare, non sono arbitrariamente individuabili: sono indicati dalla legge analogamente agli strumenti da usare per farlo.

    11. I CONTROLLI

    La Costituzione nella versione originaria conteneva disposizioni sui controlli:

    - della Corte dei Conti sull’amministrazione dello Stato (art.100);

    - dello Stato sugli atti amministrativi delle regioni (art.125 comma 1);

    - delle regioni sugli atti amministrativi degli enti locali (art.130);

    I tratti comuni di tali controlli fanno riferimento all’organo di controllo che si colloca all’esterno dell’amministrazione controllata: o fa parte di un ente diverso o è collocato in una posizione di interdipendenza rispetto all’amministrazione;

    in secondo luogo, tali controlli, investono singoli atti ed, infine, si esercitano alla stregua del parametro della legittimità.

    Con la riforma del titolo V della Costituzione 3/2001 vengono meno le disposizioni sui controlli dello stato sulle Regioni (art.125) e delle regioni sugli enti locali (art.130). Non vengono completamente soppressi ma vengono, in alternativa, internalizzati.

    12. CONSULENZA E CONTROLLI. GLI ORGANI

    Quanto all’attività consultiva, la Costituzione non contiene norme generali. Ne contiene sugli organi ausiliari, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e il Consiglio di Stato. Assicura, in primo luogo, l’indipendenza di quest’ultimo e della Corte dei conti e dei rispettivi componenti di fronte al Governo, perché possano svolgere le relative funzioni di controllo e consultive autonomamente rispetto all’autore dell’atto controllato o al destinatario del consiglio.

    Autonomia ribadita soprattutto per le funzioni giurisdizionali dei due organi: il primo per la tutela degli interessi legittimi e, i particolari materi, dei diritti soggettivi; la seconda per materie di contabilità pubblica e altre materie indicate dalla legge.

    I due organi fanno parte sì, dell’amministrazione ma, in un certo senso, ne sono estranei, relativamente alle funzioni svolte, non comportando infatti una valutazione di interessi ma confronto tra proposta (nel caso dell’organo consultivo) o decisione (nel caso dell’organo di controllo), da un lato, e criterio di valutazione, dall’altro.

    13. IL DECENTRAMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE STATALE

    Il rilevante numero di uffici ministeriali periferici ha accentuato la necessità di un coordinamento a livello locale fra tutti gli uffici statali decentrati. Questa funzione, storicamente affidata al prefetto, organo rappresentativo del governo nella sua interezza, spesso si è scontrato con la tendenza ministeriale a una gestione autonoma. Il decreto legislativo 300/1999 ha previsto la trasformazione delle prefetture in uffici territoriali del governo (con a capo sempre il prefetto). Una forma diversa di decentramento è quella che si realizza attraverso l'affidamento ai comuni della gestione di una serie di servizi statali con la specifica responsabilizzazione del sindaco, che, in questo ambito, opera come ufficiale del governo.

    14. LE AZIENDE, LE AGENZIE, GLI ENTI PUBBLICI

    La necessità della pubblica amministrazione di svolgere attività prevalentemente di produzione di beni o di erogazione di servizi, mediante organizzazioni di tipo aziendale, ha, nel passato, più volte indotto il legislatore a istituire all'interno dei ministeri apposite aziende o amministrazioni autonome, dotate di un'apposita disciplina speciale, tale da permettere la produzione di quei beni e servizi, sfuggendo alle rigide normative dell'organizzazione ministeriale.

    L'azienda resta dunque un organo ministeriale, ma dotato di una speciale organizzazione: ha organi sul modello societario e dispone di un proprio bilancio e di un proprio patrimonio, ma non è dotato in genere di personalità giuridica. Le agenzie appaiono come speciali strutture amministrative dotate di personalità giuridica e di propri statuti, istituita per svolgere in regime di autonomia attività prevalentemente tecniche già di competenza ministeriale, spesso per soddisfare una pluralità di interessi pubblici. Gli organi dell'agenzia sono rappresentati da un direttore generale e da un comitato direttivo, formato da non più di tre dirigenti dell'agenzia. Distinti dalle aziende dalle agenzie sono gli enti pubblici. L'amplissima categoria degli enti pubblici è inevitabilmente molto eterogenea, perché molto diversi sono i fini che lo Stato intende conseguire tramite la loro azione. Gli enti pubblici economici sono stati appositamente creati per svolgere attività di produzione di beni e servizi e pertanto devono poter disporre di una duttilità organizzativa analoga a quella dei soggetti privati.

    15. IL PERSONALE E LA DIRIGENZA STATALE

    Il decreto legislativo 165/2001 determina le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. I contratti collettivi vengono stipulati a livello nazionale (il contratto nazionale può anche prevedere casi di contrattazione collettiva decentrata) tra l'apposita agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale e nei singoli comparti contrattuali. Il comitato direttivo dell'ARAN è nominato dal presidente del consiglio. L'articolo 4 del suddetto decreto legislativo, mentre riserva agli organi di governo la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, stabilisce che ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono dunque responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

    16. I BENI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

    L'amministrazione statale necessita di beni allo scopo di conseguire le finalità individuate dal sistema normativo. Anzitutto è necessario del denaro per far fronte alle spese pubbliche.

    La costituzione ha stabilito che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e il sistema tributario nel suo complesso è informato a criteri di progressività. Nell'ambito del complesso sistema tributario possono distinguersi anzitutto le imposte (in quanto dotati di capacità contributiva, e si distinguono in dirette o indirette), le tasse e contributi speciali. Per ciò che riguarda in generale i beni, lo Stato, le regioni, le province e i comuni possono disporre di beni demaniali, di beni patrimoniali indisponibili e di beni patrimoniali disponibili. I beni demaniali sono inalienabili, non possono sorgere diritti reali su di essi, non possono essere espropriati.

    17. LE PARTECIPAZIONI STATALI E L’UTILIZZAZIONE DI ALTRI STRUMENTI PRIVATISTICI.

    Numerose vicende hanno condotto lo Stato ad acquisire, in parte o per intero, imprese private, perlopiù aventi forma giuridica di società per azioni, soprattutto al fine di evitare imponenti crisi settoriali. Fino ad epoca recente il sistema delle partecipazioni statali presentava le seguenti fondamentali caratteristiche: le società operative erano veri e propri soggetti di diritto privato, ma la proprietà delle loro azioni o del cosiddetto pacchetto di controllo faceva capo a un ente pubblico di gestione, che svolgeva nei loro riguardi le funzioni tipiche delle società finanziarie che controllano un gruppo di società. Questo sistema voleva rispondere alla necessità di vigilare e indirizzare questo complesso sistema delle imprese a partecipazione statale senza peraltro negare l'opportunità di conservare loro un regime privatistico.

    Nel 1991 si è prima prevista la possibilità di trasformare in S.p.A. gli enti di gestione delle partecipazioni statali e gli altri enti pubblici economici, nonché le aziende pubbliche statali. Al tempo stesso, tutte le attività e i diritti di natura pubblicistica, attribuiti o riservati a questi enti, che hanno già assunto la veste di società per azioni, sono stati fatti oggetto di concessioni di durata non inferiore a vent'anni.

    Un'eccezione a questo sistema di dipendenze dell'amministrazione statale dai ministri è costituita da quei casi nei quali il legislatore ha affidato determinate funzioni amministrative di particolare delicatezza ad autorità amministrative indipendenti, sulla base delle esperienze straniere. Si tratta dell'espletamento di funzioni per le quali sono ritenute essenziali non solo l'imparzialità, ma anche la terzietà dell'autorità amministrativa rispetto agli stessi interessi che si esprimono nel governo. La nomina dei loro vertici avviene nell'ambito di categorie professionali particolarmente qualificate e estranee a soggetti istituzionalmente collegati con gli organi di governo.

    18. I CD. ORGANI AUSILIARI. IL CONSIGLIO DI STATO

    Si tratta di un organo sia di "consulenza giuridico-amministrativa, sia di tutela della giustizia nell'amministrazione".

    Con riferimento ad essa ed alla Corte dei conti, l'articolo 100.3 della costituzione afferma che la legge assicura l'indipendenza dei due istituti e dei loro componenti di fronte al governo.

    Il Consiglio di Stato è composto da un numero limitato di magistrati (poco più di 120), si articola in sette sezioni, le prime quattro con competenze consultive, le altre con competenze giurisdizionali. In sede consultiva opera anche l'adunanza generale, formata da tutti consiglieri di Stato; a livello giurisdizionale, opera invece l'adunanza plenaria, composta da dodici consiglieri delle tre sezioni giurisdizionali. Il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa è formato dal presidente del consiglio di Stato (che lo presiede), da quattro magistrati del Consiglio di Stato e da sei magistrati dei Tar eletti dalle rispettive magistrature, nonché da quattro cittadini nominati da camera e senato (professori universitari in materie giuridiche o avvocati con vent'anni di esserci solo professionale).

    Quest'organo è chiamato a deliberare su tutti i provvedimenti attinenti lo status dei magistrati, le sanzioni disciplinari, l'esercizio dell'autonomia finanziaria del Consiglio di Stato. L'influenza del governo passa attraverso la nomina del presidente del Consiglio di Stato da parte del Consiglio dei Ministri. Il Consiglio di Stato può essere incaricato dal governo a esprimere il suo parere su proposte di legge e addirittura redigere progetti di legge e di regolamento (pareri facoltativi); i pareri obbligatori riguardano il caso in cui la pubblica amministrazione richiede il parere al Consiglio di Stato; rari sono i casi di pareri vincolanti.

    19. LA CORTE DEI CONTI

    La corte dei conti per l'articolo 100.2 "esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle camere sul risultato del riscontro avvenuto; per l'articolo 103.2, invece, essa ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge".

    A livello centrale, esistono tre sezioni di controllo, rispettivamente sugli atti del governo e delle amministrazioni statali, sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce di ordinaria, sui conti consuntivi delle province e dei comuni; le tre sezioni giurisdizionali centrali invece sono giudice di appello rispetto alle sentenze delle sezioni giurisdizionali e regionali. Sono da ricordare le importanti figure del presidente della corte dei conti e del procuratore generale presso la corte stessa (che svolge le funzioni del pubblico ministero). Per le aziende pubbliche e la vigilanza e riscontro dei loro atti è esercitato secondo le disposizioni delle leggi specifiche che le disciplinano e che, in genere, prevedono solo forme di controllo a posteriori. Per quanto riguarda il controllo sulla gestione delle amministrazioni pubbliche è un controllo non solo di legittimità, ma di regolarità delle gestioni e, più in generale, di rispondenza dei risultati dell'azione amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa. Il ministro del Tesoro, prima di trasmettere il rendiconto annuale alle camere, lo invia alla corte dei conti che, a sezioni riunite, valuta la legittimità delle spese rispetto alle previsioni di bilancio, ma anche come le varie amministrazioni si sono conformate alle discipline di ordine amministrativo e finanziario.

    20. IL CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO

    L'articolo 99 della costituzione determina non solo la composizione di quest'organo, ma anche le funzioni e le modalità con le quali esso può "contribuire all'elaborazione della legislazione economica e sociale". Il CNEL non è finora riuscito a svolgere un ruolo particolarmente significativo: è composto da 122 componenti, che restano in carica cinque anni; il presidente, nominato dal governo, 12 esperti (ovvero qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica) di cui 8 nominati dal presidente della Repubblica e quattro nominati dal governo, 99 rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato (dei quali 44 rappresentanti dei lavoratori dipendenti, 18 rappresentanti dei lavoratori autonomi, 37 rappresentanti delle imprese, 10 rappresentanti del volontariato e dell'associazionismo sociale). Al CNEL viene riconosciuto un autonomo potere di iniziativa legislativa a livello nazionale. Ente praticamente inutile e costoso, se ne auspica da più parti la completa abolizione ( in teoria già prevista nella adottanda riforma costituzionale dell´ attuale Governo).

    CAPO TERZO

    L'ATTIVITA' AMMINISTRATIVA

    1. L’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA E IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ

    Come abbiamo appena detto, ogni forma di Stato persegue alcuni obiettivi che ritiene indispensabili per l´ interesse della collettivita che rappresenta. Fra i fini che lo Stato sociale si pone troviamo il buon andamento e l’efficienza degli apparati pubblici, intesa come rapporto fra risultati conseguiti e risorse impiegate, diversa dalla efficacia intesa come il rapporto fra risultati conseguiti e obiettivi prestabiliti.

    Nel nostro sistema costituzionale, l'attività degli organi amministrativi appare sottoposta sotto molteplici aspetti alla legge e può essere descritta come l'attività volta a conseguire i fini determinati dalle prescrizioni costituzionali e legislative, tant'è che la pubblica amministrazione può fare solo ciò che la legge le prescrive o le permette di fare. Risulta diverso affermare che la legge debba limitarsi a prevedere che l'amministrazione provveda in un determinato ambito (legalità in senso formale) o che, invece, essa debba anche determinare quanto meno le linee fondamentali entro cui l'amministrazione pubblica deve operare (legalità in senso sostanziale). La nostra costituzione prevede l'ipotesi di riserve di legge, che equivale alla prescrizione che la disciplina di quelle determinate materie possa essere posta solo dal legislatore o integralmente o, almeno, nelle sue linee generali. Gli atti amministrativi sono attribuiti alla competenza degli organi politici di vertice dei diversi sistemi amministrativi, a conferma della rilevanza della natura largamente discrezionale delle scelte che vengono in tal modo operate in attuazione, ma spesso anche a integrazione, più o meno accentuata, delle scelte operate dal legislatore.

    2. GLI ATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

    L'attuazione della legge in via amministrativa consiste in attività o in atti fisici, i quali o costituiscono atti materiali della pubblica amministrazione o, più comunemente, atti formali posti in essere dalla pubblica amministrazione. Fra le tante distinzioni possibili degli atti amministrativi troviamo gli atti unilaterali di tipo autoritativo (posti in essere solo da gli organi della pubblica amministrazione), quelli privi di una particolare efficacia giuridica e quelli di diritto comune. Nell'ambito dei servizi pubblici, buona parte delle attività poste in essere dalla pubblica amministrazione consistono in attività di servizio verso gli utenti e in comportamenti del tutto omogenei a quelli prestati da un qualsiasi soggetto che svolga attività analoga e quindi non sono certo disciplinati legislativamente mediante una rigorosa tipizzazione dei singoli atti.

    3. LA DISCREZIONALITÀ AMMINISTRATIVA

    L'autorità amministrativa deve concretizzare la volontà legislativa, che rappresenta la sua fonte di legittimazione, e deve quindi attuare il fine indicato dalla legge (quindi per definizione fine pubblico), nel contesto reale nel quale è chiamata operare e nella considerazione di tutti gli interessi, in quel contesto, giuridicamente rilevanti. Di norma, all'amministrazione spetta determinare se e quando adottare l'atto, attraverso quali modalità, con quali eventuali contenuti più specifici. La discrezionalità amministrativa è pressoché inesistente nei cosiddetti atti vincolati ma può essere massima negli atti della cosiddetta alta amministrazione.

    L'organo amministrativo deve quindi operare per il perseguimento del fine legislativo (il cosiddetto interesse pubblico primario), ma nel contesto reale in cui occorre operare e rispetto al quale deve ricercare, e correttamente valutare, anche nei cosiddetti interessi pubblici secondari, nonché gli stessi interessi privati legittimamente considerabili.

    4. I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI

    Lo studio dei procedimenti amministrativi mira a evidenziare i rapporti intercorrenti fra i diversi atti degli organi degli uffici pubblici al fine di svolgere l'attività amministrativa necessaria per produrre gli effetti giuridici voluti. L'atto della pubblica amministrazione è il prodotto di un'organizzazione e pertanto, in genere, rappresenta una fase intermedia o finale di un procedimento, in parte originato dalla competenza specifica dei diversi uffici e organi che vi intervengono e dovrà essere il prodotto di un giusto procedimento. In ogni procedimento si usano distinguere tre fasi principali, ovvero la preparatoria (per fornire gli elementi necessari per la decisione a partire dall'atto di iniziativa), la costitutiva (così importante fase deliberativa che può essere semplice o complessa in base all'organo che si occupa di compierla) e l'integrativa dell'efficacia dell'atto deliberato (il modo in cui gli atti producono effetti giuridici). Al termine delle varie fasi del procedimento, si ha quindi un atto non solo perfetto, ma anche efficace. La validità dell'atto dipende dalla sua conformità alle diverse prescrizioni normative.

    5. GLI ATTI E I PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI

    Fra gli atti amministrativi si opera una distinzione fra i meri atti amministrativi o atti amministrativi in senso stretto e i provvedimenti amministrativi: solo questi ultimi rappresentano infatti la manifestazione di volontà di una pubblica amministrazione diretta a soddisfare un interesse pubblico primario e pertanto sono assistiti dalla capacità di incidere, in modo unilaterale, sulle posizioni giuridiche coinvolte. Nel linguaggio giuridico corrente, si usa l'espressione atti amministrativi in un'accezione generica, riferendosi quindi anche ai provvedimenti amministrativi.

    6. EFFICACIA DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI

    I provvedimenti godono di esecutività e cioè dell'idoneità di poter immediatamente giungere alla fase della loro esecuzione, ove necessaria, consistente nella capacità di produrre i loro effetti sui destinatari, senza necessità di alcun intervento dell'autorità giudiziaria che ne confermi la legittimità. L’esecutorietà riguarda la fase dell'esecuzione forzata della pretesa dell'amministrazione, contro la volontà del soggetto coinvolto, senza che ciò dipenda dall'intervento, come del diritto privato, di un apposito giudice preposto all'esecuzione. Con l'inoppugnabilità ci si riferisce al fatto che numerose disposizioni di legge restringono i termini entro i quali provvedimenti amministrativi possono essere impugnati dinanzi agli organi della giustizia amministrativa.

    7. ELEMENTI DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI

    Il soggetto del provvedimento corrisponde all'organo titolare del potere amministrativo che viene esercitato ed è individuato dalla legge; le competenze fra i vari organi dell'apparato amministrativo vengono individuate per materia, per territorio o per grado. Per oggetto del provvedimento può intendersi la persona, la cosa o la situazione giuridica su cui si producono gli effetti dell'atto: è necessario che l'oggetto sia determinabile e idoneo a subire gli effetti del provvedimento. Con causa giuridica del provvedimento ci si riferisce all'interesse pubblico primario che la legge ha voluto tutelare ed è accompagnata da un'apposita motivazione, nella quale si indicano le ragioni che hanno portato all'adozione del provvedimento.

    8. LA LEGGE 241/1990 SULL' ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

    L'articolo 2 della suddetta legge stabilisce che, ove il procedimento debba essere iniziato d'ufficio o su istanza di parte, esso deve essere concluso entro i termini fissati per legge, per regolamento o per un apposito atto dell'amministrazione interessata, altrimenti la legge fissa il breve termine di trenta giorni. Nella stessa direzione vanno tutte quelle numerose disposizioni che impongono larghe forme di pubblicità riguardo il termine entro il quale il procedimento deve terminare e la persona fisica responsabile.

    L'articolo 7, in tema di potere di intervento del procedimento, equipara ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinata a produrre effetti diretti e a quelli che per legge posso intervenirvi anche i soggetti individuabili a cui possa derivare un pregiudizio da provvedimenti in formazione. In ogni amministrazione viene individuato un'unità organizzativa responsabile del procedimento.

    9. ALCUNI TIPI DI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI

    Una delle distinzioni più comuni operate tra le diverse categorie di provvedimenti attiene al loro contenuto, vi possono essere provvedimenti ampliativi o provvedimenti restrittivi. Fra i primi abbiamo, le autorizzazioni (o abilitazioni, licenze, permessi) corrispondono alla rimozione di un ostacolo da parte della pubblica amministrazione all'esercizio di un diritto o di un potere di cui sono titolari un soggetto privato o un ente o un organo tecnico; le concessioni consistono in provvedimenti mediante i quali la pubblica amministrazione attribuisce ad altri l'esercizio di un suo diritto o potere (concessione traslativa) o una situazione giuridica positiva appositamente creata (concessione costitutiva). Simili alle concessioni sono le sovvenzioni consistenti nell'attribuzione di contributi in denaro o in beni; le rinunce (dette anche esenzioni, esoneri, deroghe) consistono in provvedimenti mediante i quali la pubblica amministrazione rinuncia ad una sua precedente pretesa. Le ammissioni consistono in provvedimenti amministrativi che permettono a soggetti in possesso di determinati requisiti, di accedere ad un certo status, di utilizzare un servizio pubblico, di esercitare determinate attività lavorative. Fra i provvedimenti restrittivi abbiamo, le revoche consistono semplicemente in provvedimenti che fanno venir meno i provvedimenti precedentemente adottati; gli ordini e i divieti valgono a specificare prescrizioni genericamente contenute nella legge e comportano, a carico dei trasgressori, possibili conseguenze di ordine disciplinare, amministrativo o penale; le requisizioni riguardano beni mobili o immobili che possono essere prese in uso dalla pubblica amministrazione; l'espropriazione per pubblica utilità riguarda il trasferimento coattivo alla pubblica amministrazione della proprietà di beni immobili in cambio del pagamento a colui che era il proprietario di un indennizzo. Le occupazioni di beni immobili si distinguono in quelle finalizzate ad un uso temporaneo e quelle finalizzate all'esecuzione di opere pubbliche in situazioni di assoluta distanza.

    10. ATTI NORMATIVI, DI DIREZIONE, DI INDIRIZZO, DI COORDINAMENTO, DI PROGRAMMAZIONE

    È antica prerogativa dei vertici delle diverse amministrazioni quella di essere titolari di un potere normativo di tipo secondario. Il potere direttivo tende sempre più ad esprimersi attraverso atti dotati di relativa generalità, che dovranno essere rispettati dagli uffici e dagli organi pubblici, proprio sulla base del tipo di rapporto gerarchico esistente e dello stesso contenuto di questi atti.

    Fra le direttive (o atti di indirizzo) occorre distinguere quelle interorganiche da quelle intersoggettive, a seconda che si riferiscono o meno solo ad organi appartenenti all'amministrazione dal cui vertice viene adottata la direttiva. Per le direttive intersoggettive, occorre distinguere fra quella relativa gli enti pubblici strumentali, che tendono ad essere assimilato a quelle interorganiche e quelle relative ai rapporti fra enti dotati di reciproca autonomia, poiché in questo settore appare decisivo il rapporto deducibile dal sistema costituzionale per legittimare il tipo di vincolo che questi atti possono avere.

    I programmi o i piani corrispondono ad un'esigenza molto avvertita dall'amministrazione pubblica contemporanea di ricercare momenti di prederminazione delle linee generali dell'azione amministrativa in interi settori.

    Le istruzioni, o circolari, o normali, corrispondono alla trasmissione di istruzioni e/o direttive agli uffici ed agli organi, al fine di assicurare l'omogenea applicazione delle diverse disposizioni.

    11. CAUSE DI INVALIDITÀ DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI.

    Le particolari caratteristiche di provvedimenti amministrativi sono alla base anche delle loro possibili cause di invalidità. La nullità o inesistenza del provvedimento amministrativo deriva dalla carenza delle condizioni minime necessarie per poterlo ritenere esistente, si parla di mancanza assoluta di uno di elementi essenziali.

    I casi di mera irregolarità attengono alla presenza di quelle anomalie del provvedimento che vengono ritenute sanabili. Per ciò che riguarda i vizi di legittimità ci si continua a risalire alla tripartizione della incompetenza, dell'eccesso di potere e della violazione di legge, con l'avvertenza che attraverso il sindacato su questi vizi, devono essere sanzionate tutte le cause di possibile di legittimità dei provvedimenti amministrativi. Con il vizio dell'incompetenza, ci si riferisce alla classica carenza del provvedimento sotto il profilo soggettivo. L'incompetenza assoluta porta alla nullità dell'atto, si ha non solo quando l'organo amministrativo esercita un potere appartenente ad un'autorità non amministrativa, ma anche quando esercita un potere di un organo appartenente ad un altro apparato amministrativo, mentre la incompetenza relativa si verifica quando il potere esercitato appartiene ad altro organo del medesimo apparato amministrativo.

    Per eccesso di potere si intende un vizio di sviamento di potere, che mira a colpire l'abuso sostanziale del potere di cui dispone l'organo che adotta all'atto. Il vizio di violazione di legge svolge una funzione di tipo residuale rispetto agli altri vizi di legittimità.

    12. L’AUTOTUTELA

    L'autotutela costituisce un potere amministrativo della pubblica amministrazione, e mediante il quale essa può eliminare o ridurre i conflitti, reali o potenziali, che possono sorgere in relazione ai suoi atti illegittimi od inopportuni, provvedendo direttamente ad annullarli, sanarli o modificarli. La titolarità del potere è riconosciuta oltre che all'organo che ha adottato l'atto, a quelli gerarchicamente superiori. L'istituto che mira a salvare, con efficacia ex tunc, una deliberazione affetta da un vizio sanabile è la sanatoria: si parla di ratifica nel caso in cui l'organo competente faccia propria una delibera affetta da incompetenza relativa; di convalida, nel caso in cui si completi un elemento parzialmente mancante nella delibera; di conversione allorché si possa sostituire ad un provvedimento illegittimo un altro, di cui sussistano tutti gli elementi necessari.

    L'annullamento d'ufficio consiste nell'eliminazione di un provvedimento illegittimo; di questo potere di annullamento non è titolare solo l'organo che ha adottato l'atto e l'autorità gerarchicamente superiore ma anche il Governo. La revoca, è invece, un istituto mediante il quale l'amministrazione pubblica produce la cessazione del futuro degli effetti di un provvedimento amministrativo ad efficacia continuativa, il quale, opportuno e legittimo al momento della sua adozione, sia successivamente divenuto inopportuno o illegittimo a causa dei mutamenti intervenuti.

    13. LE FORME DI TUTELA CONTRO L’ATTIVITA’ AMIMNISTRATIVA ILLEGITTIMA. I RICORSI AMMINISTRATIVI.

    Con i ricorsi amministrativi, i soggetti che si ritengono danneggiati da una deliberazione amministrativa chiedono che l'amministrazione inizi un apposito procedimento per riesaminare la legittimità o l'opportunità di quella di liberazione. Sulla base della disciplina attuale occorre distinguere i due ricorsi ordinari, consistenti nel ricorso gerarchico e nel ricorso in

    opposizione, dal ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

    Il ricorso gerarchico ha carattere generale mentre il ricorso in opposizione ha carattere speciale, essendo ammesso solo nei casi previsti dalla legge. Comune ai due tipi di ricorso è il fatto di poter riguardare profili sia di legittimità che di merito, di essere facoltativi e non preclusivi dei ricorsi

    giurisdizionali, di essere esperibili in termini brevi (di regola trenta giorni) dalla data della notificazione.

    Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un rimedio amministrativo di carattere generale, ma di sola legittimità esperibile solo nei riguardi dei provvedimenti definitivi; esso può essere proposto entro centoventi giorni.

    14. COMPETENZE DEL GIUDICE ORDINARIO E GIUDICE AMMINISTRATIVO IN MATERIA AMMINISTRATIVA

    In ogni ordinamento giuridico nel quale esista un diritto speciale per l'amministrazione pubblica, sorge il problema di come garantire un'efficace ed idoneo controllo di legittimità sugli atti amministrativi. Nel nostro sistema la cognizione delle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione è suddivisa fra la magistratura ordinaria, competente nei casi in cui si lamenti la lesione dei diritti soggettivi, e la magistratura amministrativa, competente nei casi in cui

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