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I Poemi di Ossian
I Poemi di Ossian
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E-book580 pagine7 ore

I Poemi di Ossian

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Info su questo ebook

La lettura de I Poemi di Ossian implica delle rinunce: per entrare nel mondo di Ossian è necessario scrollarsi di dosso ogni accademismo, liberarsi dagli orpelli della cultura convenzionale perché solo così, semplificati nella mente e nello spirito, si potranno comprendere i messaggi che l’opera comunica; messaggi di un’etica basilare che inducono a riflettere sullo scopo dell’esistenza terrena e sui valori umani più essenziali.
Questa nuova traduzione de I Poemi di Ossian di Macpherson nasce dal fascino esercitato da un’opera che, pur avendo giocato un ruolo importante nello scenario culturale europeo di fine ‘700, viene oggi sottovalutata e relegata alla letteratura minore, nonché dal desiderio di rendere il giusto tributo a un autore che dedicò la sua vita al culto e all’esaltazione della tradizione celtica nell’intento di resuscitare dalle ceneri del passato quelle tipicità del mondo anglosassone che stavano per essere sacrificate al progresso e al successo economico.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2018
ISBN9788893781282
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    Anteprima del libro

    I Poemi di Ossian - James Macpherson

    Introduzione

    Chiunque abbia affrontato, anche solo a livello scolastico, lo studio della letteratura europea della seconda metà del ‘700, si sarà imbattuto in tale James Macpherson, poeta scozzese che pubblicò a più riprese, dal 1760 al 1773, poemi in prosa lirica che asseriva di aver tradotto dal gaelico in lingua inglese e che attribuiva a Ossian, un bardo scozzese del 3° secolo. Dico ‘tale’ Macpherson perché i moderni manuali di letteratura in genere analizzano velocemente le opere del poeta e nessuna antologia ne riporta alcun brano.

    James Macpherson nacque nel nord della Scozia, nella contea di Inverness, nel 1736, in una famiglia di umili origini. Avviato agli studi ecclesiastici, non li portò a compimento e si dedicò all’insegnamento. Fu dunque un semplice maestro elementare che, ancora giovane, si guadagnò la notorietà quando, nel 1760, pubblicò Fragments of Ancient Poetry, poesie che disse di aver tradotto in inglese da un manoscritto in lingua gaelica trovato durante un suo viaggio nelle Highlands. Incoraggiato dallo scalpore che l’opera suscitò, nel 1761 annunciò di aver scoperto un poema epico del 3° secolo che pubblicò con il titolo di Fingal, an Epic Poem in six Books, together with several other Poems. A questo seguì, nel 1763, Temora, an ancient Epic Poem in eight Books, together with other Poems composed by Ossian, Son of Fingal. Tutti questi poemi vennero poi pubblicati nel 1773 nella versione definitiva composta da 22 poemi in prosa lirica dal titolo Poems of Ossian, the Son of Fingal, translated by James Macpherson.

    Dunque Macpherson sosteneva che nei suoi viaggi nelle Highlands aveva trovato dei manoscritti in lingua gaelica, la lingua dei Celti, scritti dal bardo scozzese Ossian, vissuto nel 3° secolo, e di averli quindi trasportati in lingua inglese. Le sue affermazioni suscitarono tante e tali controversie da rendere necessaria l’istituzione di un comitato che, attraverso ricerche e valutazioni, facesse luce su quanto affermato da Macpherson che venne così a trovarsi in mezzo a una vera e propria bufera letteraria. Si dubitava infatti che potessero esistere manoscritti in gaelico di così antica data; era più probabile che Macpherson, ispirandosi ad antiche leggende e ballate, avesse scritto i poemi rivestendoli di una patina di antichità. Alla fine l’intera opera fu definita un falso, soprattutto dopo che l’inglese Samuel Johnson, la voce più autorevole nel mondo letterario britannico, sancì che l’opera non era affatto una traduzione dal gaelico bensì pura invenzione di Macpherson che aveva tratto ispirazione da materiale presente nel folklore scozzese e irlandese per dar vita a opere di sua invenzione.

    Eppure non mancarono pareri discordanti. Molti intellettuali del tempo quali David Hume, fervente nazionalista scozzese, e John Home, che incoraggiò Macpherson a continuare nelle sue ricerche di testi in gaelico e a tradurli in inglese, erano convinti del contrario. Contro la critica negativa di Samuel Johnson, l’autore scozzese Hugh Blair nel saggio A Critical Dissertation on the Poems of Ossian sosteneva l’autenticità del lavoro e, dal 1775, il saggio fu incluso in ogni edizione dei Poemi di Ossian per dare credibilità all’opera.

    Molti tra gli scozzesi erano d’accordo con questi ultimi e la ragione fonda le sue radici in una importante situazione storico-culturale. Con l’Atto di Unione del 1707 il Regno di Inghilterra e il Regno di Scozia che all’epoca erano Stati Sovrani con Parlamenti separati ma con lo stesso monarca, furono, come cita il Trattato, uniti in un Regno con il nome di Gran Bretagna. Fu allora che la cultura scozzese cominciò a essere influenzata e talvolta schiacciata dalla cultura inglese, il che diede vita negli scozzesi a una sorta di reazione nel tentativo di riaffermare la propria identità. Il rinascimento letterario scozzese cercava nelle origini gaeliche del paese quelle tipicità letterarie identificative delle tradizioni culturali scozzesi da contrapporre a quelle inglesi. I Poemi di Ossian dunque si inseriscono in tale atmosfera di revival della più antica delle tradizioni scozzesi: la tradizione celtica.

    Il dibattito sull’originalità o meno dei Poemi di Ossian continuò per molto tempo anche dopo la morte di Macpherson, avvenuta nel 1796, mantenendo vivo l’interesse per l’opera.

    Ma non fu certo per la diatriba che sollevarono che i Poemi di Ossian fecero scalpore! La risonanza che suscitarono in tutta Europa è la dimostrazione dell’importanza che all’opera venne attribuita nel mondo letterario di fine ’700 che in essa trovava l’espressione di quelle pulsioni che stavano dando vita a una nuova sensibilità che vedrà la sua massima espressione nel Romanticismo passando per il movimento Pre-romantico.

    L’opera fu immediatamente tradotta in italiano e versificata in endecasillabi sciolti dallo scrittore padovano Melchiorre Cesarotti, il quale ne fu talmente attratto da dedicarsi alla sua traduzione pur non conoscendo bene la lingua inglese e avvalendosi pertanto dell’aiuto del giovane Charles Sackville che gliel’aveva fatta conoscere. La traduzione di Cesarotti rese noti in Italia i Poemi di Ossian che giocarono un ruolo importante nella letteratura pre-romantica e romantica influenzando scrittori e poeti quali Vittorio Alfieri, Ippolito Pindemonte, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi.

    Molti furono i poeti e artisti europei a sentire il fascino esercitato dall’opera: Goethe ne tradusse alcune parti in tedesco e Pierre Latourneur la tradusse in francese. Fu la traduzione di Latourneur che impressionò profondamente Napoleone Bonaparte che ne portava sempre una copia con sé nei campi di battaglia e commissionò al pittore francese Jean-Auguste-Dominique Ingres il dipinto Il sogno di Ossian. Musicisti quali Mendelssohn, Schubert e Brahms non sfuggirono al fascino dell’opera che fornì loro ispirazione per alcune delle loro creazioni musicali.

    Il sentimento che costituisce il basamento dei Poemi di Ossian è la nostalgia per un passato glorioso di cui il presente non reca più alcuna traccia. Il bardo Ossian, vecchio e cieco, sente arrivare la fine dei suoi giorni e richiama alla mente i tempi andati, i tempi del grande Fingal, suo padre, il cui valore e le cui gesta posero al di sopra di tutti i guerrieri; i tempi degli eroi la cui fama rese eterni. Ricorda se stesso quando da giovane partecipava valorosamente alle guerre di suo padre, i suoi amori, gli amici, i momenti di gloria e il paragone tra quel passato e il suo presente rende la sua esistenza triste e misera. Il rimpianto del passato è un sentimento caratterizzante della seconda metà del diciottesimo secolo in Europa e soprattutto in Inghilterra. Un passato spesso idealizzato, in cui i sentimenti e le emozioni non erano ancora irretiti dalla forza dominatrice della ragione, fa da contrasto a un presente regolato dal vivere civile fatto di orari, impegni quotidiani, lavori usuranti. Non dimentichiamo che la Gran Bretagna nella seconda metà del ‘700 è avviata verso quel processo di industrializzazione che avrebbe trasformato la nazione portandola a dei livelli di ricchezza e potenza per lungo tempo ineguagliati e ineguagliabili in Europa e che ne avrebbe fatto il paese guida, modello guardato con ammirazione e invidia da tutto il mondo.

    Mentre il paesaggio inglese veniva sconvolto e deturpato per far posto alla creazione di grigie aree industriali e a quartieri squallidi e malsani che dovevano ospitare le centinaia di operai che avevano abbandonato la campagna attratti dal miraggio del salario, Macpherson riafferma il valore e il fascino di una natura selvaggia e incontaminata regolata dal susseguirsi del giorno e della notte in cui albe, tramonti, notti lunari o tempestose, mare calmo o in burrasca, cupe foreste e torrenti scroscianti suscitano sentimenti che l’uomo moderno aveva soffocato.

    Il mondo di Ossian è un mondo semplice, genuino, libero da quelle costrizioni che le civiltà più evolute impongono. La guerra e la caccia erano le principali attività degli uomini; i loro divertimenti la musica e la festa delle conche, grandi conchiglie usate per contenere bevande ai banchetti. I sentimenti che li animavano sono la lealtà, l’amicizia, l’amore, la pietà per i deboli. Lo scopo principale della loro esistenza era conquistare la fama che li avrebbe preservati dall’oblio dopo la morte. Morire senza il canto del bardo era la fine peggiore per un guerriero perché senza di quello non avrebbe potuto raggiungere gli antenati e continuare a godere con loro delle parole di lode dei viventi e a cacciare cinghiali e cervi di nebbia.

    Ossian non teme la morte, anzi, spesso la invoca, perché sa che grazie a essa si ricongiungerà a suo padre Fingal, suo figlio Oscar, i suoi fratelli e tutti i suoi antenati. Con loro, liberato dal corpo e trasformato in forma eterea trasportata dal vento, continuerà un’esistenza parallela a quella terrena.

    Gli eventi narrati da Ossian sono quasi tutti cupi se non addirittura drammatici. Il paesaggio selvaggio e romantico, fatto di montagne ammantate di nuvole, fiumi che scorrono tumultuosi nella valle, boschi di querce, tombe di eroi segnalate da pietre ricoperte di muschio, fornisce la perfetta ambientazione.

    Nell’opera A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and the Beautiful del 1757 Edmund Burke, sostenendo il primato del Sublime sul Bello, definisce il Sublime come l’orrendo che affascina (delightful horror) e pertanto la natura nei suoi aspetti più terrificanti come mare in burrasca, tempeste, eruzioni vulcaniche è fonte del Sublime perché produce la più forte emozione che l’uomo possa provare. La natura di Ossian quindi rientra, per quanto suddetto, in quella fonte del Sublime che Burke e dopo di lui i poeti pre-romantici e romantici tanto esaltarono.

    A sentimenti semplici come quelli che caratterizzano i Poemi di Ossian corrisponde un linguaggio altrettanto semplice. Macpherson usa sempre frasi brevi, spezzettate da una punteggiatura che può considerarsi addirittura eccessiva. Sembra quasi il linguaggio di un bambino che osserva con stupore quanto avviene attorno a lui e cerca di narrarlo con le sue parole esagerando nell’uso di aggettivi, iperboli, paragoni, ripetizioni. È il linguaggio di un popolo primitivo che per descrivere il mondo circostante e per rendere i propri sentimenti prende a prestito dalla natura le immagini più idonee. E così il seno di Colna-dona è bianco come il petto di un cigno che graziosamente si solleva dalle onde; la gioventù è come il sogno del cacciatore sulla collina. Egli dorme ai tiepidi raggi del sole; si sveglia nella tempesta: tutt’attorno guizzano rosse saette; gli alberi agitano al vento le loro chiome. Con dolcezza ricorda il sole e i piacevoli sogni del suo riposo. E le schiere del nemico si agitano scomposte sulla collina simili a una nube sulla montagna quando il vento, penetrato nel suo ventre, ne sparge ovunque i riccioli. Nella mente del lettore non può non prendere forma la bellezza di Colna-dona, la dolcezza onirica della gioventù, lo sgomento delle schiere che reagiscono con disordinato sbandamento all’attacco del nemico.

    I Poemi di Ossian non sono di facile lettura: le storie narrate sono spesso interrotte per far posto ad altre; vi sono numerose digressioni; spesso è difficile distinguere la voce del bardo da quella di altri personaggi. Ma dobbiamo sempre avere in mente che il narratore è un vecchio cieco che, giunto alla fine dei suoi giorni, ricorda gli anni passati e mentre passano ne afferra i racconti e li riversa nei canti anche se la visione, quando giunge, è nebbiosa e indefinita. Il ricordo, si sa, è spesso ingannevole: si mischia continuamente con la vita presente. E i ricordi di Ossian sono così vivi da creare nella mente del vecchio continue sovrapposizioni. E così la linearità del tempo è continuamente frantumata e scomposta dall’ambiguo uso dei tempi. Nella stessa frase è possibile trovare, in riferimento al medesimo evento, l’uso del passato remoto e quello del presente a dimostrazione che il passato è così vivido e reale in Ossian da confondersi con il presente.

    Eppure, incastonate qua e là, il lettore non può non cogliere quelle gemme di pura bellezza che impreziosiscono l’opera. Sono soprattutto le descrizioni della natura, l’esaltazione degli eroi, le invocazioni alla luna e al sole, tutte rese con un linguaggio estremamente immaginifico.

    Come restare impassibili di fronte alle superbe descrizioni delle battaglie?

    Come le tetre tempeste d’autunno che si riversano da due risonanti colline, gli eroi si avvicinano gli uni agli altri. Come due gonfi torrenti che scendono da due alte rupi e mischiandosi mugghiano nella pianura, così rumorosi, burrascosi e cupi si scontrano Lochlin e Inis-fail… Come il fragore dell’oceano in tempesta quando alte si accavallano le onde; come l’ultimo crepitio dei tuoni nel cielo, tale è il frastuono della guerra!

    E che dire della tristezza che avvelena gli ultimi giorni dei vecchi? Essi appassiscono gradatamente; la fama della loro gioventù viene dimenticata quando sono ancora in vita. Essi cadono in segreto. Non si udirà il sospiro del figlio. Non è dolore attorno alla loro tomba; la pietra della loro fama viene posta senza una lacrima. Felici coloro che muoiono giovani, ammantati dalla loro fama!

    O della fugacità dell’esistenza? Perché costruisci la sala, figlio dei giorni alati? Oggi tu guardi dalle tue torri eppure nel giro di alcuni anni viene il vento della landa: esso ulula nella tua corte vuota e fischia attorno allo scudo che hai per poco tempo indossato.

    I Poemi di Ossian di James Macpherson probabilmente non sono la traduzione di un manoscritto risalente a un tempo in cui poco veniva affidato alla penna e il fatto che Macpherson non abbia mai voluto produrre gli originali dell’opera ne potrebbe essere la dimostrazione. Il poeta scozzese, affascinato dalla tradizione e cultura gaelica di cui erano testimonianza le numerose leggende e ballate, ha voluto dar vita a un mondo passato per contrapporlo a una realtà del tutto insoddisfacente. L’opera di Macpherson è l’espressione dei gusti e della nuova sensibilità che caratterizzarono gli ultimi decenni del 18° secolo. Il sentimento di nostalgia a cui spesso Ossian si riferisce come the joy of grief, l’esaltazione di un popolo primitivo semplice ma retto da sani principi, il paesaggio nordico selvaggio e incontaminato sono il frutto della fine sensibilità di Macpherson che, aderendo alle tendenze letterarie del suo tempo, le fissa sulla carta per darne preziosa testimonianza.

    L’eco dei Poemi di Ossian è giunto fino ai nostri giorni. Ne è riprova la mostra apparsa nel 2002 alla Scottish National Gallery di Edimburgo con il titolo "Ossian: Fragments of Ancient Poetry". Le venticinque stampe su tela ivi presenti sono infatti ispirate alla mitologia celtica come viene presentata nei poemi di Machpherson. Combinando le tecniche fotografiche tradizionali con il digitale, la rassegna esplora le idee riguardanti la nascita della storia e dell’identità nazionale scozzese.

    Questa mia traduzione dei Poemi di Ossian, a differenza di quella prodotta da Melchiorre Cesarotti, che volendo dare una colorazione omerica all’opera la traspose in endecasillabi sciolti, è in prosa lirica e nel massimo rispetto dell’originale. Essa vuole essere un invito a riconsiderare l’importanza di un testo che si impose con prepotenza nello scenario artistico letterario europeo di fine ‘700 e le cui immagini trasportano il lettore lontano dal vivere quotidiano, in un tempo e in uno spazio che hanno bisogno di essere immaginati e perciò ricreati, dove la vita così estranea alle pieghe delle consuetudini moderne è inondata da una luce particolare che ancora oggi può far sognare.

    Cath – Loda – Poema – Canto I¹

    Argomento

    Il giovane Fingal, in viaggio verso le isole Orcadi, viene sospinto dalla violenza della tempesta in una baia della Scandinavia, vicino alla residenza di Starno, re di Lochlin, il quale lo invita a un banchetto. Fingal, dubitando della lealtà del re e memore di una precedente violazione di ospitalità, rifiuta l’invito. Starno raduna i suoi uomini; Fingal decide di difendersi. Col sopraggiungere della notte, Duthmaruno suggerisce a Fingal di spiare le mosse del nemico. Il re stesso intraprende la veglia. Avanzando verso il nemico, egli per caso giunge alla grotta di Turthor dove Starno aveva confinato Combon-cârgla, figlia di un signore vicino, tenendola prigioniera. La sua storia è imperfetta essendo andata persa una parte dell’originale. Fingal giunge a un luogo sacro dove Starno insieme al figlio Swaran consultano lo spirito di Loda circa il risultato della guerra. Incontro di Fingal e Swaran. Il primo canto si conclude con una descrizione dell’aerea sala di Cruth-loda che si suppone essere l’Odino della Scandinavia.

    Una storia dei tempi che furono!

    Perché tu, invisibile pellegrina, tu che pieghi il cardo di Lora, perché tu, brezza della valle, hai abbandonato il mio orecchio? Più non odo il lontano mugghiare dei torrenti, né suono d’arpa dalla montagna! Vieni Malvina, cacciatrice di Lutha, risveglia l’anima del bardo. Io vedo Lochlin coi suoi laghi; vedo l’oscuro, ondoso golfo di Uthorno dove Fingal giunge dall’oceano nell’infuriare dei venti. Pochi sono gli eroi di Morven in terra straniera!

    Starno mandò un abitante di Loda a invitare Fingal al banchetto ma al re sovvenne il passato e la sua ira avvampò.

    "Né le muscose torri di Gormal, né Starno vedranno Fingal. Immagini di morte vagano come ombre sulla sua anima perversa. Come posso dimenticare quel raggio di luce, la fanciulla dalle bianche mani, figlia di re?² Vai, figlio di Loda; le sue parole sono per Fingal come il vento che in autunno nella cupa valle agita il cardo selvatico.

    Duth-maruno, braccio di morte! Cromma-glas, dallo scudo di ferro! Struthmor, la cui dimora è l’ala della battaglia! Cormar, le cui navi solcano veloci i mari, incuranti come la meteora che attraversa le minacciose nubi! Sorgete intorno a me, figli di eroi in terra straniera! Ciascuno di voi si affidi al proprio scudo come Trenmor, condottiero di guerre!"

    ‘Scendi – così parlò Trenmor – tu che stai lassù tra le arpe! Tu farai indietreggiare quest’onda o con me nella terra marcirai!’

    Intorno al re sorgono irati: senza pronunciare parola afferrano le lance, ognuno avvolto nei propri pensieri. Infine dagli scudi echeggianti si leva un fragore. Ciascuno va, nel cuore della notte, alla sua collina; a intervalli, cupamente si levano.

    A tratti si ode un canto nell’infuriare del vento! Immensa su di loro sorge la luna!

    In armi venne l’alto Duth-maruno, della rocciosa Croma, fiero cacciatore di cinghiali! Apparve tra le onde nella sua cupa barca, mentre Crumthorno³ risvegliava i suoi boschi. Sempre primo tra gli avversari nella caccia: non conoscesti mai la paura, Duth-maruno!

    Figlio dell’audace Comhal, nella notte avanzerò e nascosto dal mio scudo osserverò i nemici, rilucenti nei loro acciai. Vedo di fronte a me Starno, re dei laghi e Swaran, nemico degli stranieri. Le loro parole non sono pronunciate invano accanto alla pietra dei poteri di Loda. Se Duth-maruno non dovesse tornare, la sua sposa resterebbe sola, nella casa deserta, laddove due torrenti scroscianti confluiscono nella piana di Crathmo-craulo. Tutt’intorno sono le colline coi loro boschi echeggianti; vicino infuria l’oceano burrascoso. Il mio giovane figlio, vagando per il campo, fisserebbe il suo sguardo di bimbo sulla stridula folaga. Donate a Can-dona la testa di un cinghiale e ditegli della gioia di suo padre quando il mostruoso animale roteava con tutta la sua potenza sulla sua lancia. Parlategli delle gesta di suo padre in guerra e indicategli il luogo in cui cadde!

    Memore dei miei padri – disse Fingal – ho vagato per i mari. Quelli erano i giorni del pericolo, i giorni dei tempi andati. Eppure mai scese su di me la cupa paura del nemico, benché giovani fossero allora le mie chiome. Signore di Crathmo-craulo, il campo della notte è mio!

    Fingal si precipitò armato oltre il torrente di Turthor il cui tetro scrosciare nella notte risuonava nella brumosa valle di Gormal. Un raggio di luna indugiava su una roccia; nella nebbia si erse una forma maestosa con riccioli fluttuanti, simile alle vergini dal bianco seno di Lochlin. Avanzando con passo incerto, levò nel vento un canto rotto dal pianto, poiché il dolore dimorava nel suo animo.

    Torcul-torno, dai bianchi capelli – ella diceva – dove volgi ora i tuoi passi? Forse nei pressi di Lulan? Tu che cadesti presso i tuoi cupi torrenti, padre di Conban-cârgla! Eppure io ti vedo, signore di Lulan, trastullarti nella sala di Loda quando la notte vestita di nero si adagia nel cielo! Tu accendi di meteore la tua chioma veleggiando nella notte. Perché, re degli ispidi cinghiali, debbo stare qui sola nella grotta, dimenticata da tutti? Dalla sala di Loda, volgi lo sguardo sulla tua figlia solitaria!

    Chi sei tu – disse Fingal – voce nella notte?

    Ella indietreggiò tremando.

    Chi sei tu che ti nascondi nelle tenebre?

    Ella si ritrasse nella grotta.

    Il re sciolse la cinghia che le annodava le mani e le chiese dei suoi padri.

    "Torcul-torno – ella disse – viveva un tempo presso le rive dello schiumoso torrente; ora invece va, nella sala di Loda, con la conca risonante. Egli incontrò in guerra Starno di Lochlin; a lungo lottarono i due re dai neri occhi. Mio padre cadde; cadde Torcul-torno dallo scudo ceruleo.

    Su una rupe vicino al fiume di Lulan io avevo colpito il veloce capriolo. Con la mia bianca mano stavo ricomponendo i capelli scomposti dalla furia del vento quando udii un rumore. Alzai lo sguardo ansimando. Mi avviai per incontrare Torcul-torno! Era invece Starno, il terribile re! Egli volse su di me i suoi occhi iniettati di sangue, colto da amoroso desiderio e sorridendo corrugò la fronte. Dov’è mio padre? – dissi – dov’è colui che tanto valoroso era in battaglia?

    Tu sei rimasta sola tra i nemici, figlia di Torcul-torno! Mi prese per mano. Issò le vele e mi portò in questa grotta tenebrosa. A volte viene levando di fronte a me lo scudo di mio padre, ed è come se scendesse una fitta nebbia. Ma sovente, lontano dalla mia grotta, passa un raggio di gioventù: il figlio di Starno. Egli solo dimora nell’anima mia!"

    Fanciulla di Lulan dalle bianche mani – disse Fingal – figlia del dolore! Una nube striata di fuoco sovrasta il tuo animo. Non guardare più la fosca luna, né quelle meteore di luce; la mia spada, terrore dei nemici, è qui con te. Non è la spada del debole né del malvagio. Da noi non si rinchiudono le fanciulle nelle grotte. Esse non tendono solitarie le loro braccia, ma gioiose, adorne di ricci capelli, si chinano sulle arpe di Selma. La loro voce non si disperde nella landa selvaggia poiché noi ne dividiamo il piacevole suono!

    Fingal riprese il cammino dirigendosi, nel cuore della notte, nel luogo in cui gli alberi di Loda agitavano le loro chiome all’infuriare dei venti. Là vi sono tre pietre coperte di muschio presso un torrente spumeggiante; terribile, tutt’attorno, s’aggira la fosca nube di Loda.

    Da quella venne un fantasma di nero fumo dalla forma incompleta emettendo, a intervalli, una voce che si confondeva con lo scrosciare del torrente. Lì accanto, curvi sotto un albero inaridito, due eroi ascoltavano le sue parole: Swaran dei laghi e Starno, nemico degli stranieri. Cupi, si appoggiavano ai loro scudi mentre con le lance puntate ascoltavano la voce delle tenebre.

    Udirono i passi di Fingal e si alzarono armati. Swaran, abbatti quel viandante! Disse il Superbo Starno. Prendi lo scudo di tuo padre che è come roccia in guerra! Swaran lanciò la sua lancia scintillante che si conficcò nell’albero di Loda. Quindi si scontrarono i due nemici incrociando le spade risonanti. La lama di Luno⁴ si spinse tra le cinghie dello scudo di Swaran. Lo scudo rotolò a terra e l’elmo cadde infrangendosi. Fingal arrestò il braccio levato. Adirato stette Swaran, inerme. Silenzioso roteò gli occhi, gettò a terra la spada, poi se ne andò lentamente lungo la riva del fiume.

    Starno osserva Swaran poi se ne va incollerito, aggrottando le cupe, folte sopracciglia. Essi raggiungono le schiere di Lochlin, ognuno per il proprio sentiero, come due impetuosi torrenti da due piovose vallate!

    Fingal ritornò alla pianura di Turthor. Maestoso si levò a oriente un raggio di luce e risplendette su Lochlin che era ora nelle mani del re.

    Dalla grotta uscì radiante di bellezza la figlia di Torcul-torno. Raccolse i capelli scompigliati e a voce spiegata levò un canto: il canto di Lulan delle arpe dove una volta viveva suo padre. Vide lo scudo insanguinato di Starno e la felicità le infiammò il volto. Vide l’elmo spezzato di Swaran e si ritrasse da Fingal, incupita. Sei tu dunque caduto vicino ai tuoi ruscelli, amore di questa fanciulla addolorata?

    U-thorno, che ti ergi sulle acque, circondato dalle meteore della notte! Vedo la luna discendere dietro i tuoi boschi risonanti. Sulla tua sommità è Loda brumoso, dimora degli spiriti degli uomini. All’estremità della sua tenebrosa sala, si sporge Cruth-loda delle spade. La sua figura è sfocata nell’ondeggiare della nebbia. Egli tiene la mano destra sullo scudo e con la sinistra stringe la conca quasi invisibile. Il soffitto della tetra sala è costellato di fuochi. Avanza la stirpe di Cruth-loda: una schiera di ombre informi. Egli porge la conca a chi più risplendette in battaglia mentre tra lui e il vile sta il suo scudo come sfera tenebrosa. Egli è per i deboli in battaglia come una meteora al tramonto.

    Splendente, come un arcobaleno riflesso sull’acqua del fiume, venne la fanciulla di Lulan dal bianco seno.

    Cath – Loda – Canto II

    Argomento

    Fingal, tornato sul far del giorno, affida il comando a Duth-maruno che attacca il nemico e lo respinge oltre il fiume Turthor.

    Quindi, richiamati i suoi uomini, si congratula con Duth-maruno per il successo ma scopre che l’eroe è stato ferito mortalmente in battaglia. Duth-maruno muore. Ullin, il bardo, in onore del defunto, narra la storia di Colgorm e Strinadona che conclude il canto.

    Dove sei, figlio di re? Disse Duth-maruno dalle nere chiome. "Dove sei caduto, giovane raggio di Selma? Egli non ritorna più dal cuore della notte! Il mattino si distende su U-thorno. Il sole, avvolto nella nebbia, splende sulla collina. Guerrieri, levate lo scudo al mio cospetto! Egli non deve cadere come un fuoco che scende dal cielo e a terra non lascia traccia.

    No, eccolo che viene come un’aquila dalle raffiche del vento! Nelle sue mani sono le spoglie dei nemici. Re di Selma, le nostre anime erano tristi!"

    I nemici ci sono vicini, Duth-maruno. Avanzano come onde nella nebbia quando a tratti, tra il vapore, si vedono le loro creste schiumose. Il viandante arresta impaurito il suo cammino non sapendo dove scappare. Noi non siamo tremanti pellegrini. Figli di eroi, sguainate gli acciai! Sarà Fingal a levare la sua spada o vi guiderà un altro guerriero?

    Le gesta antiche – disse Duth-maruno – sono come sentieri ai nostri occhi, Fingal! Benché avvolto nella foschia degli anni, è pur sempre visibile Trenmor dal grande scudo. E non era debole l’animo del re! Allora nessuna azione restava segreta. Dai loro cento rivi vennero le tribù a Colglan-crona con i loro condottieri. Ognuno di essi voleva comandare in battaglia. E per questo spesso furono sul punto di sguainare le spade. Ruotando gli occhi adirati, se ne stavano in disparte mormorando arcigne parole. Perché mai l’uno avrebbe dovuto cedere all’altro? I loro padri furono ugualmente valorosi in guerra. Trenmor era là coi suoi uomini, maestosamente adornato dalle giovani chiome. Vide il nemico avanzare e il dolore inondò il suo animo. Comandò ai condottieri di guidare la battaglia a turno: così essi fecero ma furono sconfitti. Dalla collina ricoperta di muschio scese allora Trenmor dall’azzurro scudo a condurre l’impetuosa battaglia e gli stranieri caddero. Attorno a lui s’adunarono i guerrieri percuotendo gli scudi in segno di gioia. Come piacevole brezza corsero le parole della gloriosa vittoria fuori da Selma dei re. E fu così che d’allora i condottieri guidarono a turno in guerra finché il pericolo non fosse troppo grande: questo era il momento per il re di conquistare sul campo.

    Non ci sono sconosciute – disse Cromma-glas degli scudi – le gesta dei nostri padri. Ma chi guiderà in battaglia la stirpe dei re? La nebbia scende su queste quattro cupe colline. Ciascun guerriero percuota il suo scudo. Forse allora gli spiriti scenderanno a indicare gli idonei al comando.

    Ciascuno andò sulla sua brumosa collina. I bardi ascoltarono il suono degli scudi. Più forte di tutti risuonò il tuo, Duth-maruno! Tu sarai il condottiero!

    Come il mormorio delle onde scese la schiera di U-thorno. Starno guidava la battaglia e Swaran delle tempestose isole. Essi guardavano da dietro i loro scudi di ferro come Cruth-loda dal truce occhio guarda da dietro la fosca luna e, nella notte, invia i suoi segnali. I nemici si scontrarono presso il fiume Turthor. Levandosi come flutti burrascosi, incrociarono i loro acciai echeggianti. La tenebrosa morte vola tra le schiere. Erano come nembi gonfi di grandine al cui frastuono si unisce quello della pioggia che cade scrosciante mentre l’oceano si gonfia minaccioso.

    Battaglia della tetra U-thorno, perché dovrei narrare dei tuoi feriti? Tu appartieni agli anni passati: impallidisci nel mio animo!

    Starno lottò in battaglia e altrettanto fece Swaran. Ma la spada di Duth-maruno non è come fuoco innocuo e Lochlin ne è travolta. Sono sconvolti i re adirati e in silenzio osservano la battaglia. Si udì il corno di Fingal; ritornarono i figli della boscosa Albion; ma molti giacevano muti, riversi sul loro sangue.

    "Signore di Crathmo – disse il re – Duth-maruno, cacciatore di cinghiali! La mia aquila non torna inoffensiva dal campo nemico! Si rallegrerà di questo Lanul

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