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Kalevala
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E-book353 pagine2 ore

Kalevala

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Info su questo ebook

Il Kalevala e un poema epico composto sulla base di poemi e canti popolari della Finlandia.
"Kalevala" significa letteralmente "Terra di Kaleva", ossia la Finlandia: Kaleva e infatti il nome del mitico progenitore e patriarca della stirpe finnica, ricordato sia in questo testo che nella saga estone del Kalevipoeg. Il Kalevala e dunque l'epopea nazionale finlandese.

LinguaItaliano
EditoreBooklassic
Data di uscita29 giu 2015
ISBN9789635268511
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  • Valutazione: 5 su 5 stelle
    5/5
    This is a more modern translation than the other one I have , not necessarily great poetry in its translated form, but with very helpful and compared top y other copies up-to-date information on the background in the traditional Finnish folk poetry. The translator is a disciple of Francis Magoun's oral-formulaic school, but even he admits the Finnish epics were being largely transmitted by memory by the time they were compiled by Lonnrot. He has some very interesting comments on the impact of writing down an oral bard's performance line by line by hand versus recording it electronically and transcribing it -- what Lonnrot did was very much what the transcribers of Beowulf and Homer must have done. HIs comments on "stitching" together poetic sequences reminded me of the comments on "bad stitching" in Homer in Renault's The Praise Singer.
  • Valutazione: 5 su 5 stelle
    5/5
    KALEVALA is the name given to the Finnish Language epic verse saga, preceding other Norse sagas plus Beowulf: Chanted from prodigious memory by Norse peoples for at least 2,500 years. Collected and written down for the first time by Elias Lonnrot during mid to late 19th Century. Extensive pre and post-Christian tales of the origins of Mother Earth, magical talismanic emblem called the Sampo, legendary heroic talesman, Vanamoinen, beautiful, innocent maidens and wicked crones of sorcery drawn together in the ancient beliefs, rites and customs of an unrecorded era amid nature's bounty and barbarous wilderness of the Pohjola region (almost certainly the flourishing mountains, valleys, forest, rivers, lakes and inland seas of what we call Scandinavia). Largely regarded as essential foundation to the rise of Finnish cultural and political independence from Sweden and Russia the musically rhythmic Kalevala was also part of the inspiration for Hiawatha, Lord of the Rings and many others. A fair portion of modern day Western Prose and Verse can be traced back to literary roots in this immensely adventurous and evocative Scandinavian tale as the Ice Age retreated and the dawn of European civilisation.
  • Valutazione: 1 su 5 stelle
    1/5
    Incredibly boring epic poetry. This book was supposedly written by collecting old Finnish myths of their heroes. Vikings they ain't! Fishermen and farmers, fish bones and wood...good Lord! This is the material from which an epic is made? Don't waster your time on this one.
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    Beautiful oral culture and story, and very well translated. Introduced to this via Tolkien.
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    I think this is one of those books that needs a few reads with a few years between them. It reminds me of the Odyssey quite a bit, and there are some obvious parallels in the story. It's wrong to think of this as a derivative work, though. It may share some style and elements with it, but the Kalevala is uniquely Finnish. If you are the type of person who enjoys this type of work then don't miss out. There's more than enough unique material to keep your attention.

    I can't say much with confidence after this first reading, but I will make note of the really interesting spirituality of the book. While there are many vaguely Christian notions (and a few overt ones), there is still an incredibly strong sense of the earlier pagan animism that is beautifully tied up in it. For that aspect alone I think this book is worthy of a lot of attention from those of you who are interested in comparative religion.
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    Although I clearly lack the language and culture to fully appreciate this collection of legend (or what have you), I found much of The Kalevala very intriguing. I liked best the exploits of Väinaöinen, as he set about doing...whatever it was he set about doing...but the craftsmanship and courtship of Ilmarinen also held some interest for me. I liked least the beginning (though, that may simply have been because I was coming upon something completely unknown and didn't yet know how to approach it) and the ending (a very bizarre tale that reeked of Christian allegory and which I think suffers from the melding of allusions).

    I would like to read other translations. I really would like to read it in the original, but Finnish is somewhat far down on the list of languages I likely will never learn.

Anteprima del libro

Kalevala - Elias Lonnrot

(1864-1935)

Prefazione

Sin da quando fu pubblicata (1910) la mia traduzione metrica completa del Kalevala, cui la Casa Editrice Remo Sandron volle dare decorosissima veste (un volume in-4°, a due colonne, di pagine XXIV-367, con 23 illustrazioni fototipiche), tanto l’editore quanto il traduttore avevano in mente di farne poi una editio minor – accessibile ad un maggior numero di lettori – di luoghi scelti e fra loro connessi col racconto dell’intero poema. Per varie circostanze avverse solo oggi l’intenzione diviene realtà ed il nuovo volume, che per gentile concessione dei F.lli Sandron, succeduti al benemerito fondatore della Casa di Palermo, viene accolto nella «Biblioteca Sansoniana Straniera» da me diretta, si pubblica proprio nel giorno della solenne celebrazione che la Finlandia appresta al primo centenario del suo poema nazionale. Poichè fu il 28 febbraio del 1835 che Elias Lönnrot consegnò alla «Società di letteratura finnica» (alla cui attività è in massima parte dovuto il sorgere e l’affermarsi della lingua e della letteratura nazionale) il manoscritto del primo Kalevala (in 32 canti, con 12078 versi), detto poi Vanha K. (il vecchio K.) per distinguerlo dalla edizione definitiva del 1849, con 50 canti e circa 23000 versi. Ma sebbene di mole minore e di composizione alquanto diversa, già nella vecchia redazione era contenuto il tesoro essenziale degli antichi (non tutti antichi) canti popolari finnici, magici, epici e lirici; che Elias Lönnrot era andato raccogliendo da lunghi anni, e che aveva cercato, già in vari tentativi precedenti[1], di ridurre ad unità se non organica (la diversa età e provenienza ed indole dei runot non lo consentivano), almeno poetica. Simpatica e curiosa figura quella del Lönnrot (1802-1884): figlio di un sarto di villaggio, impedito dalla povertà di frequentare il liceo, si ridusse a servire come apprendista nella farmacia di Hämeenlinna, finchè per l’interessamento e l’aiuto di quel medico provinciale potè attendere agli studi e laurearsi in medicina (1832) nell’Università di Turku (Åbo). Assegnato, come medico-condotto, a Kajaani, nell’estremo nord, ebbe modo di conoscere da vicino gli usi e costumi dei contadini, di studiarne a fondo i dialetti e attraverso lunghe e faticose peregrinazioni, per lo più a piedi, in altre regioni, dalla Dvina al Caspio careliano, da occidente a oriente della Finlandia, di raccogliere centinaia e centinaia, non solo di canti, ma e di proverbi, indovinelli e scongiuri, che poi pubblicò in vari volumi. Dal 1853 al 1862 fu professore di lingua finnica nell’Università di Helsinki (Helsingfors) nella cattedra da prima tenuta dall’insigne etnologo e glottologo A. M. Castrén; in questo periodo si occupò egli pure di studi affini, compilando il grande «Dizionario finno-svedese» (compiuto nel 1880) e pubblicando due saggi sulle lingue vepsa e lappone. Per l’insieme della sua attività il Lönnrot può considerarsi come il fondatore della lingua letteraria finnica e, attraverso il suo – e non suo – Kalevala, come il primo grande suscitatore dell’idea nazionale. Non suo, in quanto non gli appartengono i canti raccolti, tutti genuini e prodotti di una lunga trasmissione orale; suo, in quanto egli li raggruppò in cicli (sull’esempio di alcuni dei laulajat o cantori del popolo) e i cicli in una specie di poema, con sì felice raccostamento di episodi e «motivi», da darci quasi l’impressione (che solo una rigorosa analisi può attenuare e magari in parte distruggere) di una composizione unitaria e consequente. Se aggiunse qualche verso per unire ciò che era disgiunto, se introdusse qualche allusione all’opera propria di raccoglitore e di pioniere (la chiusa!), tale era la sua «immedesimazione» nell’indole e nello stile dei runi tradizionali, che sarebbe difficile sceverare il pochissimo suo dal non suo, senza il sussidio dei manoscritti e delle innumerevoli «varianti», con scrupolosa cura raccolte e depositate nell’Archivio della «Società di letteratura finnica», il più ricco in documenti folkloristici che esista al mondo.

Nel ridurre le dimensioni del poema a circa un terzo dell’originale, si son dovuti sacrificare non pochi brani di notevole interesse; ma poichè la critica estetica ha spesso rilevato la sovrabbondanza di canti magici, la eccessiva lunghezza di alcuni episodi epici e le assai frequenti ripetizioni, ne abbiamo tenuto conto nella eliminazione; e crediamo che anche nel «nostro» Kalevala le qualità essenziali e caratteristiche dell’originale non siano andate perdute e neppure menomate. Intanto la presente traduzione conserva, meglio di altre pur ottime per altri riguardi (aiutata in ciò dalle peculiarità linguistiche e prosodiche dell’italiano), e il metro (l’ottonario trocaico) e l’allitterazione e il parallelismo e la frequente (sebbene leggermente diversa) rima finale. Più importava che nella scelta, insieme alle vive descrizioni del paesaggio di foreste, di laghi e di cascate, fossero mantenuti i tratti dei tre personaggi più espressivi dell’anima e dell’indole del popolo finno: il vecchio Väinämöinen, «il cantore sempiterno», con la glorificazione della musica quale poche genti possono vantare altrettanto alta ed umana (nel runo della Kantele, XLI); Ilmarinen, il fabbro eterno, l’artefice operoso ed ingegnoso, tardo nella decisione ma poi tenace nell’azione; Lemminkäinen, scapestrato e aggressivo, avventuroso e sempre in cerca di risse e di amores, il Don Giovanni iperboreo, «la creazione più originale e multiforme della Musa finnica»; accanto ai quali spicca la dolce e mesta figura di Aino, la cupa e tragica di Kullervo; e risuonano quegli inimitabili «canti nuziali» (XXII-XXIV) che abbiamo riportati quasi per intero come saggio della ricchissima lirica amorosa e familiare, dal Lönnrot stesso raccolta nell’altro «corpus poeticum» Kanteletar (L’arpa finnica). Ma alla riproduzione delle immagini ispirate dal poema all’arte potente di Axel Gallén-Kallela e che adornano la editio major, abbiamo dovuto rinunziare. Tutti sanno come i quadri di lui, insieme alla musica «kalevaliana» di Jean Sibelius abbiano già da soli reso noto e celebre il Kalevala fuori dei confini della patria nordica.

P. E. Pavolini.

P. S. – Mentre questo volumetto si finiva di stampare, mi è giunta la dolorosa notizia della improvvisa fine di Emilio Setälä, nobilissima figura di patriota, di scienziato-principe della glottologia ugrofinnica, di letterato. A Lui vivente, anche come ad acuto e profondo indagatore di questioni kalevaliane, dovevano essere dedicate queste pagine, segno modesto di gratitudine da parte di chi Lo ebbe a fraterno amico per più di sette lustri; ora che il destino avverso ce Lo ha tolto mentre le prossime celebrazioni ci offrivano una nuova occasione di onorare in Lui uno dei più benemeriti e illustri figli di Suomi, sieno esse consacrate alla Sua memoria.    P. E. P.

IL PRIMO RUNO. Proemio (vv. 1-102).

Nella mente il desiderio

mi si sveglia, e nel cervello

l’intenzione di cantare,

di parole pronunziare,

co’ miei versi celebrare

la mia patria, la mia gente:

mi si struggon nella bocca,

mi si fondon le parole:

mi si affollan sulla lingua,

si sminuzzano fra i denti.

Caro mio fratello d’oro,

mio compagno dai prim’anni!

ora vieni a cantar meco,

a dir meco le parole!

da diverso luogo, insieme

ora qui ci siam trovati.

Raro avvien che c’incontriamo,

che possiamo stare insieme

quassù in queste terre tristi,

nelle povere contrade.

Or prendiamoci le mani,

intrecciam dito con dito,

sì che ben possiam cantare,

e del nostro meglio fare:

perchè sentan questi amici

ed ascoltino i benigni

nella stirpe che su viene

e nel popolo che cresce

questi canti tramandati,

questi versi messi in luce

di Väinö dalla cintura,

d’Ilmari dalla fucina,

di Kauko tolti alla spada

ed all’arco d’Joukahainen,

dai confini di Pohjola,

di Kaleva dalle lande.*[2]

Li cantava prima il babbo

affilando la sua scure:

li insegnava a me la mamma

mentre il fuso ritorceva:

quando bimbo, sul piancito

ruzzolavo sui ginocchi,

sbarazzino, con la bocca

piena di latte accagliato.

Non mancavan canti al Sampo*,

non a Louhi gli scongiuri:

invecchiò coi canti il Sampo,

sparver Louhi e gli scongiuri,

morì Vipunen coi versi

e coi giuochi Lemminkäinen.*

Ma vi sono altre parole,

altri magici segreti,

afferrate per la strada

e strappate alle prunaie,

via divelte dai sarmenti

e raccolte dai germogli,

spigolate in mezzo all’erbe,

raccattate nei sentieri

allorquando, pastorello,

io la gregge conducevo

fra le zolle inzuccherate,

sopra le colline d’oro,

dietro la Muurikki nera

e con Kimmo la screziata.

Mi diceva versi il freddo

e la pioggia lunghi canti:

mi portava strofe il vento,

me ne dava il mar con l’onde

vi aggiungean voci gli uccelli

e canzoni gli alberelli.

Un gomitolo ne feci,

in matassa le raccolsi:

il gomitol nella slitta,

nel carretto la matassa:

le portò la slitta a casa,

il carretto nel granaio:

sul palchetto le riposi,

dentro il bussolo di rame.

Stetter lungo tempo i versi

in quel freddo nascondiglio:

ch’io dal freddo ora li tolga,

ch’io dal gelo i canti levi,

porti il bussol nella stanza,

la cassetta sulla panca,

sotto la trave maestra,

sotto il tetto rinomato?

aprirò dei versi l’arca

ed il bussolo dei canti?

il gomitol ch’io sdipani

e disfaccia la matassa?*

Dunque or canto buoni versi

con sonora bella voce,

se di segale focaccia

mi darete, e birra d’orzo:

e se birra non mi dànno,

non mi portan birra bianca,

canto pure a bocca asciutta,

versi fo per l’acqua cara,

per la gioia della sera,

per l’onor di questo giorno,

pel conforto del domani,

per l’augurio del mattino.

La Vergine dell’aria discende nel mare dove, fecondata dal vento e dall’onda, diventa la Madre delle acque (103-176). Una folaga fa il nido e depone le uova sul ginocchio della Madre delle acque (177-212). Le uova scivolano fuori dal nido, si rompono, e dai frantumi si formano la terra, il cielo, il sole, la luna e le nubi (213-224). La Madre delle acque crea promontori, golfi e spiagge, le profondità e le secche del mare (245-280), Väinämöinen nasce dalla Madre delle acque e vaga lungamente sulle onde, finchè giunge a fermarsi sulla riva (281-314).

Il secondo runo.

Sorse allora Väinämöinen

coi due piedi sulla landa,

sopra l’isola marina,

sulla terra senza arbusti,

E molt’anni là rimase,

lungamente colà visse

sulla terra senza nome,

sopra l’isola deserta.

E pensava, rifletteva,

nella mente rivolgeva

da chi farla seminare,

con qual seme prosperare.

Pellervo, del campo figlio,

Sampsa, bimbo piccolino,

ei la terra seminare,

ei può farla prosperare.

Seminò, col dorso curvo;

gettò i semi sulla terra,

dentro i boschi dissodati,

sui terreni più sassosi.

Mise i pini sulle alture

e gli abeti alle colline:

piantò l’eriche alle lande,

i germogli nelle valli:

le betulle nei pantani,

nel terren mobile, ontani:

nelle terre acquitrinose

seminò viscioli e salci,

sorbi nelle benedette,

vetrici nelle fiorenti

e ginepri in mezzo ai sassi,

lungo i fiumi mise querci.

S’innalzavan già gli arbusti

e spuntavano i germogli:

degli abeti la corona

già s’ergeva, e chioma ai pini:

le betulle nei pantani,

nel terren mobile, ontani:

viscioli negli acquitrini

e ginepri in mezzo ai sassi:

belle bacche sul ginepro

e sul visciol dolci frutti.

Il verace Väinämöinen

venne allora per vedere

quella terra seminata

da Pellervo piccolino:

vide gli alberi cresciuti

ed i giovani germogli:

non ancor però la quercia,

non avea messo radici.

La cattiva alla sua sorte

lasciò stare, al suo destino:

aspettò tre notti intere,

altrettanti giorni ancora:

per vedere venne allora,

alla fin dei sette giorni:

nè cresciuta era la quercia,

nè radici aveva messo.

Vide allor quattro fanciulle

e dell’onda cinque spose

sopra il prato già falciato,

sopra il fieno già tagliato,

sulla punta tenebrosa

di quell’isola nebbiosa:

ammucchiavan col rastrello

e coll’erpice il falciato.

Venne su Tursas dal mare,*

sorse il forte su dall’onde:

pigiò il fieno che bruciasse,

con gran fiamma consumasse:

lo ridusse tutto in scorie

ed in cenere minuta.

Fe’ di cenere un mucchietto,

fe’ di scorie un monticello:

una ghianda egli vi mise,

una cara fogliolina,

dalla qual la pianta crebbe

coi germogli verdeggianti:

si levò ricca di bacche

dal terreno rastrellato.

Ed in alto stese i rami,

i fronzuti ramoscelli:

con la cima sorse al cielo,

dispiegò le fronde in aria:

alle nubi vietò il corso,

alle nuvole il vagare,

vietò al sol di riscaldare,

alla luna di brillare.

Ed il vecchio Väinämöinen

a pensar si mise allora:

«Se ci fosse chi abbattesse

questa quercia così altera!

fastidiosa è all’uom la vita,

il nuotare triste ai pesci,

senza che risplenda il sole,

senza che la luna brilli».

Ma non v’era nè un eroe,

nè alcun uomo vigoroso

che potesse far cadere

quella quercia a cento rami.

Ed il vecchio Väinämöinen

pronunziò queste parole:

«Tu che in seno m’hai portato,

Luonnotar, mia genitrice!

A me presta i forti flutti

(chè nell’acqua è grande forza)

per abbatter questa quercia,

perch’io tolga la malvagia

che impedisce al sole i raggi,

alla luna il dolce chiaro».

Sorse un uomo su dal mare,

un eroe salì dall’onda:

grande grande egli non era

e nemmen proprio piccino:

alto, un pollice d’un uomo,

una spanna d’una donna.

Un cappuccio avea di rame

e di rame scarpe ai piedi,

rame, i guanti nelle mani

e di rame ricamati:

rame, il cinto intorno ai fianchi,

dietro, l’ascia pur di rame:

quanto un pollice il bastone,

quanto un’unghia alta la lama.

Il verace Väinämöinen

a pensar si mise allora:

«A vederlo, pare un uomo

ha l’aspetto d’un eroe:

quanto un pollice è pur alto

e d’un bove quanto l’unghia».

Disse allor queste parole,

in al modo si fe’ udire:

«Chi sei tu della tua gente,

quale tristo fra gli eroi?

poco più tu sei d’un morto,

poco meglio d’un estinto!»

Disse l’uomo piccolino,

quell’eroe del mar rispose:

«Sono un uomo cosiffatto,

eroe piccolo dell’acqua:

venni a abbattere la quercia,

a ridurla in scheggettine».

Il verace Väinämöinen

pronunziò queste parole:

«Non mi sembri tu creato,

nè creato, nè adattato

per abbatter la gran quercia,

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