Medea
Di Euripide
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L'autore
Euripide (in greco, Εὐριπίδης, in latino, Euripides; Atene, 485 a.C. – Pella, 407-406 a.C.) fu un drammaturgo greco antico. È considerato, insieme ad Eschilo e Sofocle, uno dei maggiori poeti tragici greci.
Traduzione a cura di Ettore Romagnoli
Ettore Romagnoli (1871-1938), accademico d'Italia, professore di Letteratura greca a Roma, fu uno dei protagonisti della cultura italiana nella prima metà del Novecento.
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Anteprima del libro
Medea - Euripide
italiano.
Personaggi
PERSONAGGI:
AIO (Pedagogo)
MEDEA (Moglie di Giasone)
CREONTE (Re di Corinto)
GIASONE (Marito di Medea)
EGEO (Re di Atene)
I FIGLI DI MEDEA (Mermero e Fere avuti da Giasone)
MESSO
NUTRICE
CORO DI DONNE CORINZIE
Medea
AMBIENTAZIONE:
L'azione si svolge a Corinto, dinanzi alla casa di Giasone.
NUTRICE:
Deh, mai varcate non avesse a volo
le Simplègadi azzurre il legno d'Argo,
verso il suolo dei Colchi, e mai non fosse
nei valloni del Pelio il pin caduto
sotto la scure, e al remo non si fossero
strette le mani degli eroi gagliardi,
che, per mercé di Pelia, a cercar vennero
il vello d'oro! Navigato allora
non avrebbe Medea, la mia signora,
alle torri di Iolco, in cuor percossa
dall'amor di Giasone; e mai, le vergini
Pelie convinte alla paterna strage,
col suo sposo in Corinto e coi suoi figli
dimora eletta non avrebbe, cara
ai cittadini alla cui terra giunse
esule, e in tutto ligia ella a Giasone:
grande saldezza d'una casa, quando
non fa contrasto la sposa allo sposo.
Ma tutto infesto è adesso, e affligge il morbo
ogni più cara cosa. In regio talamo
Giasone or dorme, ed ha traditi i figli
suoi, la consorte: ché sposò la figlia
di Creonte, signor di questa terra.
E Medea, l'infelice, abbandonata,
ad alta voce i giuramenti invoca,
e della destra la solenne fede;
e del ricambio che Giasone or le offre,
a testimoni gli Dei chiama. E giace,
sfatte le membra nel dolore, e cibo
non prende, e tutto il dì si strugge in lagrime,
poiché si sente dal consorte offesa,
né l'occhio leva, né distoglie il viso
mai dalla terra; e, come rupe, o flutto
marino, degli amici ode i conforti.
Salvo, se il bianco suo collo talora
volge, ed il padre suo, la casa sua,
la patria, seco stessa ella rimpiange,
ch'ella ha traditi, per seguir quest'uomo
ch'or la disprezza. Sotto i colpi, misera,
della sventura, appreso ha quanto giovi
il non lasciar la propria patria. E i figli
odia, e a vederli non s'allegra; e temo
che disegni novelli essa non volga;
perché l'animo ha fiero; e sopportare
sì mali tratti non saprà: pavento
che immerga in cuore un'affilata lama,
entrando in casa dov'è steso il talamo,
nascostamente, ed il suo sposo e re
uccida, e n'abbia danno anche maggiore:
ch'essa è tremenda; e contro lei chi mosse
a nimicizia, facil non sarà
che riporti trofeo. Ma questi pargoli
già qui, lasciati i loro giochi, muovono,
che nulla sanno dei materni mali:
fanciullesco pensier cruccio non cura.
AIO:
O vecchia ancella, dalla casa addotta
della signora, perché dunque sola
stai su la soglia, e teco stessa gemi?
Come senza di te Medea rimase?
NUTRICE:
Aio dei figli di Giasone antico,
la mala sorte dei signori affligge
i buoni servi, e al cuore lor s'appiglia.
A tal dolore io son giunta, che brama
di qui venir mi vinse, ed alla terra
narrare e al ciel della Signora i mali.
AIO:
Non desisté la trista, ancor, dai gemiti?
NUTRICE:
Semplice! Appena adesso il mal comincia.
AIO:
Stolta, se posso ciò della regina
dire, che nulla sa dei nuovi mali!
NUTRICE:
Vecchio, che c'è? Non rifiutarti, parla.
AIO:
Non vo': di quanto già dissi, mi