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Quattro Passi nell'etica del lavoro e delle organizzazioni
Quattro Passi nell'etica del lavoro e delle organizzazioni
Quattro Passi nell'etica del lavoro e delle organizzazioni
E-book524 pagine6 ore

Quattro Passi nell'etica del lavoro e delle organizzazioni

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Info su questo ebook

"Quattro passi nell'etica" intende proporre un metodo per imparare che cos'è l'etica della professione, ma anche per applicarla nella propria attività lavorativa, così da poter fare la differenza.

Il titolo fa riferimento alle quattro tappe fondamentali di questo metodo, che hanno lo scopo di allenare a 1) prendere coscienza dei problemi etici, senza confonderli con i problemi di altra natura; 2) individuare quali standard etici devono essere seguiti; 3) valutare che cosa è giusto fare senza trascurare alcun aspetto eticamente rilevante della situazione e 4) trovare il coraggio di far seguire, alla decisione, l'azione.

Le discipline di riferimento sono, da una parte, la filosofia morale, che spiega i concetti fondamentali dell'etica generale (responsabilità, integrità, eccellenza, giustizia) e dell'etica professionale (bene comune, uso e abuso del potere, responsabilità sociale d'impresa), e dall'altra le scienze che studiano il comportamento umano nelle organizzazioni.

Queste offrono dei dati essenziali per comprendere perché il comportamento non etico di pochi può condurre fino all'erosione etica di un'azienda, o in che modo il livello etico dei leader influisce su quello degli altri dipendenti.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2018
ISBN9788827854341
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    Anteprima del libro

    Quattro Passi nell'etica del lavoro e delle organizzazioni - Paola Premoli De Marchi

    Indice

    Frontespizio

    Introduzione L’impresa di aprire un nuovo sentiero

    0.1 Che cosa non è l’etica?

    0.2 Dalla vita morale all’etica come disciplina

    0.3 Perché dovremmo studiare l’etica della professione?

    0.4 L’etica della professione come soft skill

    0.5 I due mutamenti di rotta necessari all’etica della professione del terzo millennio

    0.5.1 Dal metodo tradizionale ai Quattro Passi

    0.5.2 La teoria della mela marcia non basta

    Il primo passo

    Premessa

    Capitolo 1 L’uomo come animale etico

    1.1 L’intelligenza come capacità di conoscere

    1.1.1. La differenza tra pensiero intuitivo e pensiero razionale

    1.1.2 Il problema dell’errore nella conoscenza

    1.2 La volontà

    1.2.1 Le due perfezioni della volontà

    1.2.2 La libertà diretta, indiretta e cooperativa

    1.3 La sfera delle emozioni

    1.3.1 Chi governa nell’uomo, il soggetto razionale e libero o le passioni?

    1.3.2 Le risposte affettive a ciò che è importante

    1.4 Conclusione

    Capitolo 2 L’azione come atto libero che cambia il mondo

    2.1 Perché le azioni sono importanti per l’etica?

    2.1.1 L’aspetto oggettivo e l’aspetto soggettivo delle azioni

    2.1.2 Le azioni si inseriscono in catene di azioni

    2.1.3 L’intenzione delle azioni è un aspetto essenziale perché rivela il loro autore e lo modifica

    2.2. Gli elementi dell’azione

    2.2.1 Il fine: fine e mezzi, fine relativo e in sé, fine dell’azione e fine dell’agente

    2.2.2 La motivazione

    2.2.3 L’intenzione

    2.2.4 Le conseguenze

    2.2.5 Le circostanze

    2.3 La scelta deliberata come origine dell’azione pienamente intenzionale

    Capitolo 3 L’etica si può insegnare?

    3.1 L’etica come obiettivo dell’educazione

    3.1.1 Kohlberg e le tappe dello sviluppo morale

    3.1.2 Il rapporto tra sviluppo cognitivo e sviluppo morale

    3.1.3 Le differenze di genere nello sviluppo morale

    3.1.4 Lo sviluppo etico nella prima infanzia

    3.2 Siamo solo degli egoisti?

    3.3 La conoscenza di sé come premessa per diventare eticamente consapevoli

    Capitolo 4 Prendere coscienza del problema etico: ostacoli e rimedi

    4.1 Il processo ad Adolf Eichmann e l’esperimento di Milgram

    4.2 L’etica sperimentale

    4.3 il problema dell’etica limitata

    4.3.1 Le tendenze devianti che provengono da noi stessi

    4.3.2 Le tendenze devianti che derivano dai rapporti sociali

    4.3.3 Le tendenze devianti che provengono dal mondo esterno

    4.4 Il problema dell’ipocrisia morale

    4.5 Conclusione: come contrastare l’incoscienza in ambito etico

    Il Secondo Passo: stabilire i criteri per giudicare

    Premessa

    Capitolo 5 La lente dei risultati: L’attenzione alle conseguenze delle azioni e al massimo bene possibile

    5.1 Le origini storiche

    5.2 Luci e ombre delle teorie dei risultati

    5.3 Gli standard etici della lente dei risultati

    5.3.2 Tenere conto delle conseguenze a lungo termine e non solo di quelle a breve termine

    Capitolo 6 La lente dei principi: L’attenzione ai doveri e ai valori

    6.1 Le origini storiche

    6.2 Luci e ombre delle teorie dei principi e dei doveri

    6.3 Gli standard etici della lente dei principi

    6.3.1 I doveri e l’obbligazione morale

    6.3.2 Dai doveri ai diritti

    6.3.3 Gli scopi o beni della professione come fondamento degli standard etici particolari

    Capitolo 7 La lente della giustizia: L’attenzione alle relazioni

    7.1 Le origini storiche

    7.2 Luci e ombre delle teorie della giustizia

    7.3 Gli standard etici della lente della giustizia

    7.3.1 Il riconoscimento reciproco come presupposto della giustizia

    7.3.2 Mounier e la cura delle relazioni come criterio etico

    Capitolo 8 La lente dell’eccellenza personale: l’attenzione alle virtù e alla crescita individuale

    8.1 Le origini storiche

    8.2 Luci e ombre delle teorie della virtù

    8.3 Gli standard etici della lente dell’eccellenza personale

    8.3.1 La virtù come via verso l’eccellenza personale

    8.3.2 la virtù come obiettivo nella leadership e nelle organizzazioni

    Il Terzo Passo: prendere una decisione

    Premessa

    Capitolo 9 La decisione etica e le sue tappe

    9.1 Riconoscere il problema etico

    9.2 Individuare i fatti rilevanti

    9.3 Identificare le intenzioni e le responsabilità

    9.4 Valutare le alternative possibili di azione

    9.5 Prendere una decisione e agire

    9.6 Riflettere sul risultato

    Capitolo 10 La responsabilità morale individuale e collettiva

    10. 1 I cinque aspetti della responsabilità

    10.1.1 La responsabilità come imputabilità

    10.1.2 La responsabilità delle conseguenze

    10.1.3 La responsabilità rispetto agli impegni presi

    10.1.4 La responsabilità come «rendere conto ad un altro»

    10.1.5 L’assunzione di responsabilità

    10.2 La responsabilità nei gruppi

    10.2.1 Quando si può attribuire una responsabilità collettiva?

    10.2.2 Esiste una responsabilità collettiva per i gruppi non strutturati?

    10.2.3 Perché il singolo è responsabile di ciò che fa il gruppo?

    Capitolo 11 La coscienza professionale e l’autonomia nell’esercizio della professione

    11.1 La coscienza professionale come giudice delle azioni

    11.1.1 Che cos’è la coscienza morale?

    11.1.2 La coscienza come giudice autorevole

    11.1.3 La coscienza come giudice retto

    11.1.4 La coscienza morale nella vita professionale

    11.2 L’autonomia nella professione

    11.2.1 L’autonomia come autodeterminazione dell’individuo

    11.2.2 L’autonomia come possesso di sé o sovranità su di sé

    11.2.3 L’autonomia come indipendenza dagli altri

    11.2.4 L’autonomia morale come autoregolamentazione

    Capitolo 12 Dall’etica individuale all’etica dell’economia

    12.1 Il bene comune

    12.1.1. Il rapporto tra bene individuale e bene comune

    12.1.2 Tre tipi di bene comune: politico, economico e domestico

    12.2 La relazione tra economia ed etica: cenni storici

    12.3 L’economia civile

    12.4 L’etica delle virtù e il mercato

    12.4.1 L’innovazione come virtù civile

    12.4.2 La cooperazione come ricerca del mutuo vantaggio

    12.4.3 La fraternità civile

    Capitolo 13 Elementi di etica d’impresa

    13.1 La responsabilità sociale d’impresa (RSI)

    13.1.1 Gli ambiti di applicazione della responsabilità sociale d’impresa

    13.1.2. I dieci Principi del Global Compact delle Nazioni Unite

    13.1.3 Come accertare la responsabilità sociale di un’impresa

    13.1.4 Il problema di motivare le organizzazioni ad agire in modo responsabile

    13.2 La teoria del valore condiviso

    Il Quarto Passo: agire con coraggio

    Premessa

    Capitolo 14 La discrepanza tra previsione e azione

    14.1 La valutazione prima, durante e a posteriori dei nostri comportamenti non etici

    14.2 Le quattro forme di cecità alle violazioni etiche nostre e altrui

    14.3 I mezzi illusori utilizzati per migliorare il livello etico delle organizzazioni

    14.4 Il ruolo delle norme formali e della cultura informale nel determinare il livello etico di un’organizzazione

    14.5 La teoria della spinta gentile come mezzo per migliorare il livello etico delle organizzazioni

    Capitolo 15 L’etica del potere nelle organizzazioni

    15.1 Il potere come atto umano libero

    15.1.1. L’oggetto dell’azione di potere

    15.1.2 L’intenzione dell’azione di potere

    15.2 Il potere come relazione interpersonale

    15.2.1 Il ruolo attribuito al destinatario della relazione: l’altro come mezzo o come fine in sé

    15.2.2 I piani della relazione: relazioni paritarie (orizzontali) e relazioni asimmetriche (verticali)

    15.2.3 L’intensità della forza della relazione: il potere che impone obbedienza e il potere che invita

    15.2.4.La colorazione affettiva della relazione

    15.3 Conclusione

    Capitolo 16 La leadership etica: integrità, compromesso col male o corruzione di chi è al potere

    16.1 Il basso livello etico e la corruzione morale

    16.2 L’alto livello etico e l’integrità morale

    16.3 La «zona grigia» tra integrità e corruzione morale

    16.4 Se il fine giustifica i mezzi

    16.5 Il principio del male minore

    16.6 La questione delle «mani sporche»

    16.7 Chi ha potere deve sporcarsi le mani?

    Capitolo 17 Come trovare il coraggio di fare la cosa giusta

    17.1 Individuare i facilitatori e gli impedimenti

    17.2 Normalizzare: incontrare conflitti etici è normale

    17.3 la pratica rende abili

    17.4 Come diventare dei samurai della comunicazione

    17.4.1 Le argomentazioni che possono aiutare a dar voce ai propri valori

    17.4.2 Il Judo verbale, come arte gentile della persuasione

    Conclusione

    Bibliografia

    Paola Premoli De Marchi

    Quattro passi nell’etica

    del lavoro e delle organizzazioni

    Introduzione

    L’impresa di aprire un nuovo sentiero

    Non ci può essere gioia nella vita

    senza gioia nel lavoro

    Tommaso d’Aquino (1225-1274)

    Filosofo e teologo

    Questo libro si occupa di etica del lavoro. Si tratta di uno degli am­bi­ti ai quali ho dedicato la maggior parte della mia attività didattica e di ricerca degli ultimi quattordici anni e col tempo si è radicata sempre più profon­da­mente in me la convinzione che tutti dovrebbero diventare esperti in questa ma­teria, per avere una vita soddisfacente. La semplice ragione è che, a par­te quei pochi privilegiati che grazie a un patrimonio familiare abba­stan­za cospicuo possono per­met­tersi di trascorrere le loro giornate in pan­ciol­le, dedi­chia­mo buona parte del tempo che ci è dato a lavorare.

    Per lavoro pos­siamo intendere qualsiasi attività manuale o intellettuale che non sia svolta per puro svago, dunque non solo le attività retribuite: ogni o­pe­rare umano che produce beni, materiali o spirituali, è un lavoro. Nella percezione comune, il lavoro è spesso vissuto come con­dan­na, però a ben vedere lavorare è una necessità per l’uomo. Abbiamo bisogno di avere un lavoro non solo per pro­cu­rare i mez­zi di sussistenza a noi e ai nostri cari, ma anche perché abbiamo bisogno di impiegare le nostre capacità in qual­cosa, di sviluppare i nostri talenti e di vedere i frutti delle nostre opere, per dare senso alla nostra esistenza. Non si tratta di un bisogno me­ramen­te psi­co­lo­gico, ma è un’esi­gen­za che ha radici profonde, e pre­ci­samente nel fatto che l’essere umano è un com­pi­to da realiz­zare.

    Questo è il senso del lavoro per l’uomo. Tuttavia il lavoro, ci dice il fi­lo­so­fo francese Emmanuel Mou­nier, che avremo modo di conoscere me­glio in seguito, ha un valore anche per la realtà che ci cir­conda (1999, pp. 37ss). Att­ra­ver­so il lavoro l’uomo realizza un’opera di umanizzazione del­la natura. Gli ani­mali sono addomesticati, i campi incolti diventano orti e giardini, le forze della natura vengono regolate nella loro furia distruttiva. Certo, l’uomo può influire in modo maldestro o addirittura devastante sul­l’am­biente che lo circonda, però non è di per sé ogni intervento dell’uomo sulla na­tu­ra ad es­se­re nocivo e di­sa­stroso, lo sono gli interventi scriteriati o, come impareremo in quanto segue, quelli eticamente scorretti.

    Partiamo allora da una visione positiva del lavoro: che consista in at­ti­vità remunerate o di volontariato, nel­lo stu­dio per prepararsi a svolgere una pro­fessione o nelle diverse in­com­benze le­gate alla cura della casa e della fa­mi­glia, esso ci rende più umani e de­termina, insieme alle relazioni in­ter­per­sonali profonde e arricchenti che sapremo coltivare, la traccia che la­sce­remo nel mondo. L’altro lato della medaglia, dobbiamo ammetterlo, è costituito dal fatto che le situa­zioni patologiche legate al lavoro, come la disoc­cu­pa­zione, lo sfrut­ta­mento, le di­scri­minazioni, le mole­stie, la mancanza di si­cu­rez­za o l’iper­attivismo, pos­so­no rovinarci l’esistenza e minare la no­stra sa­lu­te. Ebbene, l’etica svolge un ruolo essenziale sia riguardo ai lati esal­tanti e fe­con­di della vita pro­fes­sio­nale, perché li nutre e li rende possibili, sia ri­spet­to a quelli de­gra­danti e perversi, perché questi proliferano quando quella man­ca. Per questo ritengo che l’obiettivo di diffondere l’etica del lavoro sia così importante per lo sviluppo individuale e sociale.

    Negli ultimi anni mi sono resa conto del fatto che offrire agli studenti e ai professionisti degli strumenti per elevare il livello etico del proprio am­bito lavorativo non solo riflette un mio interesse personale, come per al­tri pos­so­no es­se­re eccitanti i circuiti elettrici o i libri antichi, ma è un bisogno sen­tito in tutti gli am­bienti sociali. Nell’apprendere di che cosa mi occupo, ho udito in mol­tissime oc­ca­sio­ni avvocati, infermieri, impiegati alle poste, me­di­ci, do­centi uni­ver­sitari, educatori di scuola d’infanzia, esclamare con ram­ma­rico: «ah, l’eti­ca, ce ne vorrebbe di più di etica!»

    Le pagine che seguono sono un tentativo di rispondere a questo bisogno e si propongono di perseguire due obiettivi, uno a breve termine, ri­spon­dere a un’ur­gen­za, e uno a lungo termine, realizzare un progetto. L’obietti­vo a bre­ve termine è quello di offrire ai miei studenti un testo più organico e ag­gior­nato riguardo allo stato attuale dell’etica della professione e delle orga­niz­zazioni, rispetto alle dispense sulle quali hanno studiato coloro che li hanno preceduti. L’obiettivo più ampio e a lungo ter­mi­ne, invece, è quello di proporre un metodo nuovo per studiare l’etica del la­voro, che sia adatto anche a chi svolge già una professione e sente di av­ere questa lacuna nella propria prepa­ra­zione.

    Nel nostro Paese praticamente nessuna delle atti­vi­tà lavorative con­tem­pla nel proprio iter formativo l’inse­gna­men­to dell’etica. Laddove c’è, esso ge­ne­ralmente si ri­du­ce a poche ore di studio del­le norme legali e del codice deon­tologico della pro­fes­sione, che sono aspetti importanti ma molto par­zia­li dell’etica del lavoro. Per questo, posso dire che il percorso che pro­pongo con questo volume equivale al­l’im­presa di aprire un nuo­vo sentiero in montagna. L’opera deve essere por­tata a ter­mi­ne col battere dei propri passi, liberando il passaggio dalle ster­pa­glie e dai sassi che possono far in­ciampare chi verrà dopo, ponendo i primi car­tel­li indicatori e dipingendo con la ver­nice rossa e bianca qualche masso lun­go la via, così da invitare gli escur­sio­nisti a fare la stessa strada, allar­gan­dola col loro passaggio, ma an­che ad aprire vie alternative, laddove ne trovassero di migliori. Il volume è stato perciò intitolato Quattro Passi nell’etica, e sarà diviso in altrettante parti, equivalenti alle tappe che penso siano imprescindibili per completare un percorso di formazione che copra tutti gli aspetti essenziali dell’etica della professione.

    Gli strumenti che metterò a disposizione del lettore sono frutto della rie­la­borazione dei risultati più importanti che, a mio avviso, l’etica come di­sci­plina filosofica ˗ da venticinque secoli ˗, e le scienze umane applicate al la­voro e alle orga­niz­za­zioni ˗ nell’ultimo secolo ˗, hanno raggiunto ri­guardo al metodo e ai contenuti dell’etica professionale degli individui e dei grup­pi organizzati. L’invito che rivol­go a chi avrà tra le mani questo testo è quello di con­fron­tare, una pagina dopo l’altra, le scoperte fatte da altri con la pro­pria espe­rienza per­sonale e professionale. Non mi resta che rin­gra­ziare tutti coloro che hanno reso possibile questo volume, in primo luogo i miei stu­den­ti, e augu­ra­re al lettore un buon cammino.

    0.1 Che cosa non è l’etica?

    Un piccolo esperimento al quale vorrei che chi legge si sottoponesse, come avvio del nostro percorso è il seguente. Qual è la prima scelta etica – tra il bene e il male – che ricordate di aver fatto? Prendetevi pure tutto il tempo necessario per pensarci, prima di proseguire.

    Nel corso degli anni ho rivolto questa domanda a centinaia di persone, soprattutto a studenti universitari, ma anche a liceali e professionisti. Al­cu­ni restano disorientati, perché non sono sicuri di comprendere che cosa in­ten­do con «etica», quindi non rispondono. La maggior parte però riesce a ripescare dal proprio passato qualche episodio che può identificare come «scelta etica». Se appartenete a questo secondo gruppo, per quanto cia­scu­no si ricor­derà di fatti diversi, sono pronta a scom­met­tere che quella che vi verrà alla memoria sarà l’esperienza di un dilemma etico: vi siete trovati di fronte al problema di decidere che cosa fosse giusto fare in una precisa si­tua­zione che vi poneva di fronte a un bivio, e avete cercato delle buone ra­gio­ni per sce­gliere che direzione prendere. Quando de­cidiamo in casi come questi pos­sia­mo ricor­re­re a criteri diversi, ad esempio guardare al nostro vantaggio o a quello de­gli altri; però, se ci siamo doman­dati che cosa fosse più giusto fa­re, abbiamo di certo dato per scontato che la risposta che sta­va­mo cercando esigeva qualcosa di più della for­mu­la­zione di una sem­pli­ce opi­nione, di un giudizio su ciò che ci piace o non ci piace. Ad esempio, co­gliamo intuiti­va­mente che «non mangio barba­bie­tole perché non le gra­di­sco» non è una scel­ta che riguarda l’etica, mentre «non salgo in treno senza aver pagato il bi­gliet­to» o «mi sforzo di es­sere gentile con le persone che incontro» sono scelte eticamente rilevanti. (Mc Lean 2015)

    Normalmente le persone hanno un’idea di che cosa significhi essere una persona eticamente integra, lavorare in un’impresa etica o avere un go­ver­no che agi­sce in modo etico. Eppure, anche se nella vita quotidiana uti­liz­zia­mo il termine «etica» come se noi stessi e tutti coloro che conoscono la nostra lin­gua sa­pes­sero bene che cosa significa, definire che cosa sia l’etica non è affatto sem­plice. Possiamo cercare di avvicinarci a una definizione attra­ver­so alcune tap­pe. La prima consiste nel riconoscere che all’etica si associa l’i­dea di un certo tipo di eccellenza. Proviamo a leggere la seguente affermazione:

    Tutti abbiamo un’immagine del nostro migliore sé – di come siamo quando agiamo eticamente o siamo «al meglio».

    Nella citazione appena riportata, tratta dalla pagina introduttiva della sezio­ne «Ethical Decision Making» del sito del Markkula Center for Applied Ethics dell’Università di Santa Clara, in California, si pone l’attenzione pro­prio sul legame tra «agire in modo etico» ed essere «al nostro meglio». L’etica, dun­que, avrebbe a che fare col compor­ta­mento umano, anzi, con quel­la for­ma particolare di com­por­tamento uma­no che implica la possi­bi­li­tà di rag­giun­gere un’eccellenza e, di con­se­guen­za, un dover essere. Chi si pro­pone di a­gire in modo etico desidera fare la cosa migliore, non solo per sé, ma an­che per gli altri, anzi, la cosa mi­glio­re in sé stessa. Nello stesso tempo, desidera essere la persona migliore possibile, come amico, come genitore, come pro­fes­sionista, come cittadino, etc. L’etica, insomma, ha a che fare con l’ec­cel­len­za, con ciò che ci rende migliori.

    Una seconda tappa per riuscire a chiarirci le idee su che cosa sia l’etica, può essere quella di domandarci che cosa non è. Ci sono infatti molti fe­no­meni che spesso vengono confusi con l’etica, ma non coincidono con essa.

    In primo luogo, l’etica non coincide con il sentimento. Molti, alla do­man­da di come decidono che cosa sia eticamente corretto fare, rispondono: «è qualcosa che sento». Alcuni pensano ad­di­rit­tura che non è necessario che nessuno insegni loro che cosa devono fare, perché le loro emozioni e i loro desideri indicano chiaramente la strada, un po’ come invita il titolo del ro­manzo della Tamaro Va’ dove ti porta il cuore. La convinzione, piut­tosto co­mune, che l’etica dipende dalle emozioni contiene una parte di verità, ma anche una parte di errore. È vero che i valori morali toccano la nostra sfera emotiva: ad esempio, subire un’ingiustizia ci fa arrabbiare, essere trattati con genti­lez­za ci rallegra; oppure, i sentimenti di benevolenza e simpatia ci pos­so­no in­dur­re ad essere affabili e servizievoli verso gli altri, che sono a­zio­ni eti­ca­mente positive. Addirittura, gli studi fisiologici sembrano sugge­ri­re che alla base dei nostri comportamenti empatici e delle nostre incli­na­zio­ni mo­rali si trova uno stesso ormone, l’ossitocina. Non possiamo ne­ga­re, dunque, che ci sia un legame tra la nostra sfera emotiva e l’etica.

    Tuttavia, l’esperienza stessa ci mo­stra che non tutto quello che ci sugge­risce il sentimento è buono: anche in ambito professionale, il cuore ci può portare ad essere comprensivi di fronte all’errore di un dipendente, ge­ne­ro­si nell’aiutare un collega, pazienti con un capo irascibile. In altri casi, tut­ta­via, il sentimento ci può portare nella direzione opposta: ad essere spietati nel ri­levare un difetto al­trui, invidiosi per la promozione di un collega, pre­po­ten­ti verso chi dipende da noi. Se il sentimento e ciò che è giusto fare non ne­cessariamente vanno nella stessa direzione, significa che non pos­sia­mo far coincidere l’etica con ciò verso cui ci spingono le nostre emozioni.

    L’etica non è nemmeno equivalente alla religione. È vero che quasi tutte le religioni im­pli­cano una visione etica e spesso chi ha una fede religiosa è motivato anche a com­por­tarsi in modo eticamente corretto dal suo rapporto con il divino. Però non tutti sono religiosi e non tutti appartengono allo stesso credo, mentre i doveri etici implicano un appello che si rivolge a tut­ti. Questo è evidente in ambito professionale: indipen­den­te­mente dalla pro­pria appartenenza religiosa, ogni medico come medico deve intervenire sui pazienti solo dopo aver chiesto il loro consenso, ogni giudice come tale de­ve pronunciarsi in modo imparziale e applicare la legge, ogni impresario edi­le deve costruire edifici solidi con materiali di qualità e non può mettere a rischio la vita dei suoi clienti per il suo profitto.

    Un’altra confusione comune è quella di pensare che l’etica consista nel se­guire la legge. Anche questa convinzione ha una parte di verità. È in­ne­gabile che esiste un rapporto tra le norme di uno stato e i nostri doveri mo­ra­li, sia perché, da una parte, le leggi spesso riguardano ambiti che hanno una ri­levanza morale (pensiamo alla giustizia nel trattamento dei dipen­den­ti, alla sicurezza nei luoghi di lavoro, all’impatto ambientale delle im­pre­se), sia per­ché, dall’altra parte, seguire le leggi è un ob­bli­go morale, oltre che giuridico. Tuttavia, è altrettanto innegabile, e la storia ce lo dimostra, che le leggi dello stato possono deviare da ciò che è eticamente giusto (pen­siamo ai regimi totalitari) e spesso il sistema legislativo è lento nel­l’af­fron­tare i problemi eti­ci che emergono grazie al progresso scientifico e al­l’e­volversi della so­cie­tà. Oggi siamo chiamati a risolvere questioni etiche del tutto nuove, im­pen­sabili fino a pochi anni fa, ad esempio, se è lecito mo­dificare il codice ge­ne­tico delle generazioni future, o se è giusto re­gi­stra­re e uti­liz­za­re dati, foto e video che le persone diffondono su Internet per prevedere i loro com­por­ta­menti a fini politici o commerciali. Ebbene, in casi come que­sti vediamo che le leggi ven­gono promulgate ben dopo il sorgere dei pro­blemi, e sono sti­mo­late pro­prio dalla presenza di dilemmi etici. Dunque, tra sfera etica e sfera giu­ridica esistono delle intersezioni, ma non è corretto ridurre l’una all’altra.

    L’etica non coincide neppure col seguire le norme accettate da una cul­tura o considerate normali in certi ambienti sociali. La storia ci mostra in­numerevoli casi di culture cieche a certi valori etici (pensiamo alla schia­vi­tù e ai genocidi di gruppi razziali) e tuttora ci sono molti ambienti nei quali azioni gravemente ingiuste, come lo sfruttamento di determinate categorie di per­sone, siano le donne, i bambini, o specifici gruppi etnici ma anche l’ade­sione ad associazioni a scopo criminale, sono fenomeni socialmente ac­cet­tati. Cia­scu­na società ha delle norme e delle consuetudini etiche, eppure non è suf­fi­ciente basarsi su queste per spiegare che cos’è l’etica.

    Infine, l’etica non coincide con la scienza: né le con le scienze umane, co­me la psi­cologia e la sociologia, né con quelle della natura, come la fisica e la chimica. I dati scien­tifici possono essere d’aiuto per descrivere i com­por­ta­menti umani, e talvolta sono ad­di­rit­tura imprescindibili per com­pren­de­re al­cu­ni tipi di situazioni nelle quali dobbiamo com­piere delle scelte etiche. Un caso emblematico è rappresentato dall’etica medica, che deve fondarsi nella co­no­scenza approfondita e aggiornata delle scienze della sa­lute, un al­tro e­sem­pio è dato dal contributo che gli studi sociologici e psi­co­logici pos­sono offrire allo studio dell’etica dei gruppi e delle organiz­za­zio­ni. Eppure, di per sé l’etica non è una scienza, né nel senso delle scienze della natura, né nel senso delle scienze sociali, perché le scienze de­scri­vono e cercano di spiegare i fenomeni che sono di loro com­petenza; l’etica, in­vece, ci offre le ragioni per cui dovremmo comportarci in un certo modo e non in un altro. È una disci­pli­na normativa e non meramente descrittiva o esplicativa.

    0.2 Dalla vita morale all’etica come disciplina

    Per individuare l’ambito al quale appartiene l’etica, allora, dobbiamo ri­vol­ger­ci alla filosofia. Fin dall’antichità, infatti, i filosofi si sono occupati di ciò che riguarda la sfera morale. Socrate, ad esempio, affermava di voler in­se­gnare agli uomini a prendersi cura di sé stessi per essere felici e questo è possibile solo a chi impara a prendersi cu­ra non del proprio corpo, ma della propria anima. Tra i principi che tra­smet­te­va ai suoi discepoli c’era la cele­bre affer­ma­zione secondo la quale «è meglio subire ingiustizia che com­piere in­giu­sti­zia». Questa può essere considerata come un pilastro dell’etica filo­so­fi­ca occidentale, perché esprime l’idea che chi com­pie il ma­le diventa in­giu­sto, e questa è la cosa peggiore che possa capitare all’uomo.

    La filosofia ha come punto di partenza l’esperienza. A prima vista, quel­la che riguarda la nostra vita morale non offre dei dati molto affidabili. Non solo definire che cosa è l’etica non è semplice; ancora meno lo è sta­bi­lire se un certo parti­co­la­re comportamento sia legittimo o sia migliore di un altro sotto il profilo etico: le situazioni sono spesso complesse e le persone coin­vol­te possono a­ve­re opinioni diverse su ciò che è giusto fare. Questo po­treb­be sollevare il dubbio che non sia possibile pensare all’etica come ad una conoscenza rigorosa. Di fatto questo dubbio ha tormentato i filosofi fin dal­l’antichità. Tuttavia, anche se è evidente che nel corso dei secoli e nelle di­verse culture ci sono differenze sul modo di valutare i com­portamenti mo­ra­li, nella sua vita quo­ti­dia­na l’uo­mo mostra di es­sere ge­ne­ral­mente in grado di discriminare tra bene e male, e tra ciò che è do­ta­to di rilevanza mora­le, e ciò che non lo è. Che esistano azioni e atteggiamenti eti­ca­mente buoni o cat­tivi, dunque che ci sia un confine tra bene e male, è dun­que og­getto di esperienza diretta. Anzi, gli uomini rivelano di possedere diverse capa­ci­tà che li met­to­no in contatto con la sfera morale e sono universali.

    Ciascuno di noi ha un senso morale, che ci permette di cogliere la con­notazione etica di un’azione e, ad esempio, conduce a reagire con ri­brez­zo di fronte ad una sce­na di vio­lenza ingiu­sti­fi­cata, anche se è solo l’episodio di un romanzo, o fa ap­prez­zare un’a­zio­ne eroica di un pompiere che ha sal­va­to dei bambini intrap­po­la­ti in una scuola in fiamme, anche se non cono­scia­mo il pom­piere, l’azione è ac­caduta a migliaia di chi­lo­metri da noi e ne ve­niamo a conoscenza attraverso i mez­zi di comunicazione. È vero, però, che così come accade per il senso estetico o per il senso dell’orien­ta­men­to, ci sono per­so­ne più o meno sen­si­bili al­la sfera etica. Ci sono perfino per­so­ne, ben­ché as­sai ra­re, che sono com­ple­ta­mente sor­de ad essa. Ep­pu­re, noi perce­pia­mo questa in­sen­sibilità come qual­cosa di di­su­mano, di pa­tologico, e compren­dia­mo che que­sta carenza ha gravi con­se­guenze sulla vita indi­vi­dua­le e re­la­zio­nale delle persone coin­volte. Inol­tre, l’uo­mo sperimenta in sé la pre­sen­za della co­scien­za morale, una voce interiore che giudica le a­zio­ni di cui si è au­tori, e quindi accusa, rim­pro­vera, in­co­rag­gia, approva ciò ha fatto o in­ten­de fare. Infine, ciascuno ha la con­sa­pe­volezza più o meno ni­ti­da di avere den­tro di sé al­cu­ni prin­cipi morali, che operano come criteri in base ai quali agiamo e va­lu­tia­mo il com­por­ta­mento pro­prio o altrui.

    A partire da tutti questi «strumenti» che ci permettono di percepire la con­no­ta­zione morale dei fatti che ci capitano e delle azioni che rea­liz­zia­mo, si può dire che ogni uo­mo ha un’esperienza morale, la quale si presenta con le seguenti ca­rat­teristiche.

    In primo luogo, ciò che è morale riguarda la vita della persona, e con­cre­tamente i suoi com­por­ta­menti liberi. Starnutire o urlare se ci pe­stia­mo un dito in un cassetto, può ri­sul­tare fa­stidioso per chi ascolta, ma non sono atti dotati di rilevanza morale. Aiutare un amico in dif­fi­coltà, evadere le tas­se, rapire qualcuno a scopo di estor­sione, invece, lo sono.

    In secondo luogo, questi comportamenti si riferiscono a ciò che nell’uo­mo è cen­tra­le ed es­sen­ziale. Ta­gliar­si i capelli non ha rilevanza morale, l’amputazione di una gamba ne ha (può essere un’azione giusta, se salva una vita, oppure in­giu­sta, se è con­se­guenza di una violenza, ma in ogni ca­so è mo­ral­mente ri­le­van­te).

    Dato che sono realizzati grazie alla libertà, inoltre, la persona è ritenuta respon­sa­bi­le di questi comportamenti. La responsabilità ha un aspetto so­cia­le, im­pli­ca il dover ri­spon­dere ad altri di ciò che facciamo, ad esempio di un danno in­flit­to a qualcuno. Pre­suppone però che l’atto sia davvero mio, quindi ancora pri­ma dell’aspetto so­ciale rivela che io devo rispondere a me stesso di come uso la mia li­ber­tà, perché i com­por­ta­menti positivi im­pli­ca­no un me­rito, quel­li negativi una col­pa. Ciò va di pari passo con la consa­pe­vo­lezza del fatto che ogni colpa morale «ri­chie­de» oggetti­va­men­te una pu­ni­zione e ogni me­rito morale un premio.

    In quarto luogo, i comportamenti che hanno rilevanza morale fanno di­ven­tare chi si com­porta in quel modo, o buono o cattivo. Nel caso dell’am­pu­ta­zione di una mano, diventa buo­no o cat­ti­vo chi compie quest’azione (a seconda se sia un medico che vuole salvare la vita di una persona o un cri­minale che vuole torturarla), non chi la subisce. Se starnutisco, non di­ven­to né più buono, né più cattivo, se incoraggio un dipendente con un elogio me­ri­tato o calunnio un collega con accuse false, le cose cambiano.

    Una quinta caratteristica dei comportamenti dotati di rilevanza morale è che essi provocano la co­scien­za, susci­tando rimorso, senso di colpa, op­pu­re soddi­sfa­zio­ne e pace verso ciò che si è com­piu­to, oppure sti­molando a fare o ad omettere un’azione realizzabile, ma non ancora realizzata.

    Un’altra caratteristica dei comportamenti con rilevanza morale è che essi vengono anche percepiti in rap­por­to con la felicità. Anche se ci sono stati alcuni filosofi che hanno criticato o negato questo legame (ad esempio Kant e Schopenhauer), fin dal­l’an­ti­chità l’uomo ha manifestato la convinzione che chi è virtuoso do­vreb­be essere felice, così come chi è vizioso dovrebbe essere in­fe­lice. Che questo non sem­pre si realizzi, e anzi spesso gli uomini buoni soffrono molte sventure, men­tre i malvagi sembrano pie­na­mente sod­di­sfatti, è per­ce­pito come qualcosa di ingiusto, che non dovreb­be essere così. Già Socrate affermava che il bene morale è l’unico ad es­se­re in grado di rendere dav­ve­ro felice l’uomo, mentre gli altri beni, se so­no posseduti senza la bontà morale, sono in grado di dare una felicità solo apparente.

    I comportamenti con rilevanza morale, infine, si presentano con uno sta­tuto di inelut­ta­bi­li­tà e definitività, hanno conseguenze sulla persona e sulla realtà tali da presentare una relazione con l’eter­ni­tà, che può essere per­ce­pi­ta an­che da chi non crede in un destino dopo la morte.

    Se volessimo dar conto di tutte queste caratteristiche in una definizione dell’etica, potremmo dire che essa è quella «disciplina filo­so­fica che ha co­me oggetto la vita morale dell’uo­mo, ossia i comportamenti uma­ni, in quan­to sono giu­sti o ingiusti, buoni o cat­tivi e rendono tale (buono o cat­ti­vo) colui che li compie».

    Dato che l’etica non intende solo de­scrivere il comportamento morale, ma anche va­lu­tarlo, appunto per stabilire se è giusto e buono e quindi per o­rien­tare le azioni, essa ha un fine pratico. In questo è differente da altre di­sci­pline filosofiche, che sono me­ra­mente teoriche, speculative, cercano di conoscere per conoscere e non per fare. Inoltre, nel momento in cui l’etica si presenta come riflessione filosofica sul com­por­tamento morale, essa a­vanza la pre­te­sa di essere una conoscenza ra­zio­nale, coerente, giustificata, in altri ter­mi­ni una conoscenza dotata di scientificità, seppure sui generis rispetto a quella delle scienze empiriche.

    Ora, tale pretesa di rigore e scientificità le fa imboccare un cam­mino che la conduce verso la teoria e l’astrattezza. Questo però pone di fronte ad un dilemma. Tra riflessione razionale e vita mo­rale c’è una discre­pan­za, per­ché quella è teorica, mentre questa è pra­ti­ca, quella cerca di essere og­get­ti­va e inter­soggettivamente condivisibile, mentre la prassi è per defi­ni­zione sog­get­tiva, relativa a chi agisce, quella cerca l’uni­ver­sale, questa è in­di­vi­dua­le, parti­co­lare e contingente. La vita morale, come ogni am­bito della vi­ta u­ma­na, insomma, non è completamente «in­ca­sel­la­bi­le» dalla teo­ria. Ecco perché non è una conoscenza pura, ma ha anche un legame in­scin­dibile con la vita vissuta, per cui l’etica è anche un’arte. Così come il mu­sicista esper­to, oltre a co­no­scere la musica in teoria, solo con l’ascolto affinato negli anni acqui­sta anche una sensibilità che gli permette di co­glie­re la differenza di sfu­ma­tu­re tra gli stru­menti e tra le esecu­zio­ni dello stes­so pezzo, anche in ambito mo­rale, l’esperienza permette di acqui­sire una sensibilità che la teoria non è in grado di dare.

    Non è possibile, allora, ricostruire una ta­vola degli elementi, come la chi­mi­ca, in base alla quale ogni atto u­mano può essere definito e valutato in mo­do fisso e in­di­scu­tibile. Tuttavia, la ri­fles­sione ra­zio­nale può of­fri­re dei punti di ri­fe­ri­men­to, degli assi car­te­siani in base ai quali è possibile col­lo­ca­re con una certa pre­ci­sione le diverse a­zio­ni, di­stin­guen­dole dal punto di vista morale tra lecite o illecite, buone o cattive.

    Per dare conto della coesistenza di teoria e pratica, gli studiosi di etica hanno allora individuato tre aree di indagine che in epoca contemporanea sono state clas­si­fi­ca­te come segue: la metaetica riguarda lo studio del si­gni­ficato e delle forme del linguaggio morale, ossia dei ter­mini e dei con­cetti uti­lizzati dalla riflessione sul comportamento mo­rale; l’etica norma­tiva ri­guarda lo studio di come si debba vivere, ossia di quale sia la vita moral­mente buona e/o di che cosa si debba fare e generalmente elabora delle teorie morali, ossia dei sistemi giustificate e coerenti di prin­cipi che pos­sa­no gui­da­re nelle decisioni; la casistica, infine consiste nell’analisi dei casi con­tro­ver­si e dei problemi specifici, e cerca dei criteri per risolverli.

    0.3 Perché dovremmo studiare l’etica della professione?

    Come abbiamo chiarito fin dall’inizio, l’oggetto di quanto segue non sarà l’e­tica generale, bensì quella parte del­l’etica che si applica alla vita la­vo­ra­ti­va, dunque l’etica della profes­sione, con particolare riferimento alle orga­niz­zazioni. Perché dovremmo preoccu­par­ci di studiare l’etica, accanto alle altre discipline che af­fron­tiamo nel cor­so di laurea o, in seguito, tra gli argomenti che affrontiamo per rimanere dei professionisti aggiornati?

    Catharyn Baird, un avvocato americano che da alcuni decenni si occupa di educa­zio­ne etica negli affari, afferma che le ragioni principali per cui ci si dovrebbe occupare di etica sono due (Baird, video 2015). La prima è che, qualsiasi ruolo abbiamo, e qualsiasi lavoro facciamo, esso prevede del­le regole di com­por­tamento e la società si aspetta che rispettiamo tali regole. Gli altri si aspettano che il medico sappia ascoltare il paziente e man­tenga il segreto pro­fessionale, che l’insegnante tratti con giustizia gli alunni e pre­pari bene le lezioni, che il parrucchiere utilizzi dei prodotti che non con­ten­gano so­stan­ze che nuocciono alla salute, che il taxista sia sobrio e non scri­va sullo smartphone mentre guida. Studiare l’etica della pro­fessione allora ha come prima ragione quella di capire quali norme di com­por­tamento sono consi­de­rate corrette in una professione o in un ambito so­ciale. Potremmo dire che è una condizione necessaria per ricoprire il ruo­lo sociale rappre­sen­tato dal fatto di svolgere un certo lavoro.

    La seconda ragione addotta dalla Baird per giustificare lo studio del­l’eti­ca è che ciò ci aiuta a conoscere noi stessi, ci rivela chi siamo, quali sono i nostri valori e i nostri obiettivi, che cosa è davvero importante per noi, che cosa ci fa essere delle persone migliori, «al nostro meglio». Questa ragione implica tacitamente un presupposto che abbiamo già accennato nelle prime righe di questa introduzione: l’es­sere umano ha in sé il bisogno e il desi­derio di migliorare, di raggiungere degli obiettivi che diano signi­fi­ca­to alla sua e­sistenza. Ci sono delle persone che vivono in modo apatico o indiffe­ren­te, senza uno scopo nella vita. Ma non sono felici e spesso il loro disin­teres­se è sintomo di patologie psichiche. Per essere soddisfatti, ab­bia­mo bi­sogno di avere degli scopi significativi, che riempiano di valore ciò che fac­ciamo. E questo vale anche per il nostro lavoro. Per chi desidera fare della propria vita professionale un cammino di crescita personale e di mi­glio­ramento del mon­do che ci circonda, l’etica si pone come risposta, per­ché dovrebbe indicare il cammino verso l’eccellenza. Per percorrere que­sto cammino, però, è ne­ces­sario conoscere sé stessi e la propria gerarchia di va­lori. In par­ti­colare, la Baird ha colto che questa conoscenza di sé d­eve includere sia i nostri lati po­sitivi, la nostra intenzione di scegliere la cosa migliore e i principi che intendiamo seguire, sia i nostri lati «oscuri», cioè quegli aspetti in cui siamo più tentati a com­por­tar­ci in modo non etico. Una persona può essere più sensibile al denaro, un’altra all’am­bizione, un’altra ancora ad

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