Quattro Passi nell'etica del lavoro e delle organizzazioni
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Anteprima del libro
Quattro Passi nell'etica del lavoro e delle organizzazioni - Paola Premoli De Marchi
Indice
Frontespizio
Introduzione L’impresa di aprire un nuovo sentiero
0.1 Che cosa non è l’etica?
0.2 Dalla vita morale all’etica come disciplina
0.3 Perché dovremmo studiare l’etica della professione?
0.4 L’etica della professione come soft skill
0.5 I due mutamenti di rotta necessari all’etica della professione del terzo millennio
0.5.1 Dal metodo tradizionale ai Quattro Passi
0.5.2 La teoria della mela marcia non basta
Il primo passo
Premessa
Capitolo 1 L’uomo come animale etico
1.1 L’intelligenza come capacità di conoscere
1.1.1. La differenza tra pensiero intuitivo e pensiero razionale
1.1.2 Il problema dell’errore nella conoscenza
1.2 La volontà
1.2.1 Le due perfezioni della volontà
1.2.2 La libertà diretta, indiretta e cooperativa
1.3 La sfera delle emozioni
1.3.1 Chi governa nell’uomo, il soggetto razionale e libero o le passioni?
1.3.2 Le risposte affettive a ciò che è importante
1.4 Conclusione
Capitolo 2 L’azione come atto libero che cambia il mondo
2.1 Perché le azioni sono importanti per l’etica?
2.1.1 L’aspetto oggettivo e l’aspetto soggettivo delle azioni
2.1.2 Le azioni si inseriscono in catene di azioni
2.1.3 L’intenzione delle azioni è un aspetto essenziale perché rivela il loro autore e lo modifica
2.2. Gli elementi dell’azione
2.2.1 Il fine: fine e mezzi, fine relativo e in sé, fine dell’azione e fine dell’agente
2.2.2 La motivazione
2.2.3 L’intenzione
2.2.4 Le conseguenze
2.2.5 Le circostanze
2.3 La scelta deliberata come origine dell’azione pienamente intenzionale
Capitolo 3 L’etica si può insegnare?
3.1 L’etica come obiettivo dell’educazione
3.1.1 Kohlberg e le tappe dello sviluppo morale
3.1.2 Il rapporto tra sviluppo cognitivo e sviluppo morale
3.1.3 Le differenze di genere nello sviluppo morale
3.1.4 Lo sviluppo etico nella prima infanzia
3.2 Siamo solo degli egoisti?
3.3 La conoscenza di sé come premessa per diventare eticamente consapevoli
Capitolo 4 Prendere coscienza del problema etico: ostacoli e rimedi
4.1 Il processo ad Adolf Eichmann e l’esperimento di Milgram
4.2 L’etica sperimentale
4.3 il problema dell’etica limitata
4.3.1 Le tendenze devianti che provengono da noi stessi
4.3.2 Le tendenze devianti che derivano dai rapporti sociali
4.3.3 Le tendenze devianti che provengono dal mondo esterno
4.4 Il problema dell’ipocrisia morale
4.5 Conclusione: come contrastare l’incoscienza in ambito etico
Il Secondo Passo: stabilire i criteri per giudicare
Premessa
Capitolo 5 La lente
dei risultati: L’attenzione alle conseguenze delle azioni e al massimo bene possibile
5.1 Le origini storiche
5.2 Luci e ombre delle teorie dei risultati
5.3 Gli standard etici della lente dei risultati
5.3.2 Tenere conto delle conseguenze a lungo termine e non solo di quelle a breve termine
Capitolo 6 La lente
dei principi: L’attenzione ai doveri e ai valori
6.1 Le origini storiche
6.2 Luci e ombre delle teorie dei principi e dei doveri
6.3 Gli standard etici della lente dei principi
6.3.1 I doveri e l’obbligazione morale
6.3.2 Dai doveri ai diritti
6.3.3 Gli scopi o beni della professione come fondamento degli standard etici particolari
Capitolo 7 La lente
della giustizia: L’attenzione alle relazioni
7.1 Le origini storiche
7.2 Luci e ombre delle teorie della giustizia
7.3 Gli standard etici della lente della giustizia
7.3.1 Il riconoscimento reciproco come presupposto della giustizia
7.3.2 Mounier e la cura delle relazioni come criterio etico
Capitolo 8 La lente
dell’eccellenza personale: l’attenzione alle virtù e alla crescita individuale
8.1 Le origini storiche
8.2 Luci e ombre delle teorie della virtù
8.3 Gli standard etici della lente dell’eccellenza personale
8.3.1 La virtù come via verso l’eccellenza personale
8.3.2 la virtù come obiettivo nella leadership e nelle organizzazioni
Il Terzo Passo: prendere una decisione
Premessa
Capitolo 9 La decisione etica e le sue tappe
9.1 Riconoscere il problema etico
9.2 Individuare i fatti rilevanti
9.3 Identificare le intenzioni e le responsabilità
9.4 Valutare le alternative possibili di azione
9.5 Prendere una decisione e agire
9.6 Riflettere sul risultato
Capitolo 10 La responsabilità morale individuale e collettiva
10. 1 I cinque aspetti della responsabilità
10.1.1 La responsabilità come imputabilità
10.1.2 La responsabilità delle conseguenze
10.1.3 La responsabilità rispetto agli impegni presi
10.1.4 La responsabilità come «rendere conto ad un altro»
10.1.5 L’assunzione di responsabilità
10.2 La responsabilità nei gruppi
10.2.1 Quando si può attribuire una responsabilità collettiva?
10.2.2 Esiste una responsabilità collettiva per i gruppi non strutturati?
10.2.3 Perché il singolo è responsabile di ciò che fa il gruppo?
Capitolo 11 La coscienza professionale e l’autonomia nell’esercizio della professione
11.1 La coscienza professionale come giudice delle azioni
11.1.1 Che cos’è la coscienza morale?
11.1.2 La coscienza come giudice autorevole
11.1.3 La coscienza come giudice retto
11.1.4 La coscienza morale nella vita professionale
11.2 L’autonomia nella professione
11.2.1 L’autonomia come autodeterminazione dell’individuo
11.2.2 L’autonomia come possesso di sé o sovranità su di sé
11.2.3 L’autonomia come indipendenza dagli altri
11.2.4 L’autonomia morale come autoregolamentazione
Capitolo 12 Dall’etica individuale all’etica dell’economia
12.1 Il bene comune
12.1.1. Il rapporto tra bene individuale e bene comune
12.1.2 Tre tipi di bene comune: politico, economico e domestico
12.2 La relazione tra economia ed etica: cenni storici
12.3 L’economia civile
12.4 L’etica delle virtù e il mercato
12.4.1 L’innovazione come virtù civile
12.4.2 La cooperazione come ricerca del mutuo vantaggio
12.4.3 La fraternità civile
Capitolo 13 Elementi di etica d’impresa
13.1 La responsabilità sociale d’impresa (RSI)
13.1.1 Gli ambiti di applicazione della responsabilità sociale d’impresa
13.1.2. I dieci Principi del Global Compact delle Nazioni Unite
13.1.3 Come accertare la responsabilità sociale di un’impresa
13.1.4 Il problema di motivare le organizzazioni ad agire in modo responsabile
13.2 La teoria del valore condiviso
Il Quarto Passo: agire con coraggio
Premessa
Capitolo 14 La discrepanza tra previsione e azione
14.1 La valutazione prima, durante e a posteriori dei nostri comportamenti non etici
14.2 Le quattro forme di cecità alle violazioni etiche nostre e altrui
14.3 I mezzi illusori utilizzati per migliorare il livello etico delle organizzazioni
14.4 Il ruolo delle norme formali e della cultura informale nel determinare il livello etico di un’organizzazione
14.5 La teoria della spinta gentile
come mezzo per migliorare il livello etico delle organizzazioni
Capitolo 15 L’etica del potere nelle organizzazioni
15.1 Il potere come atto umano libero
15.1.1. L’oggetto dell’azione di potere
15.1.2 L’intenzione dell’azione di potere
15.2 Il potere come relazione interpersonale
15.2.1 Il ruolo attribuito al destinatario della relazione: l’altro come mezzo o come fine in sé
15.2.2 I piani della relazione: relazioni paritarie (orizzontali) e relazioni asimmetriche (verticali)
15.2.3 L’intensità della forza della relazione: il potere che impone obbedienza e il potere che invita
15.2.4.La colorazione affettiva della relazione
15.3 Conclusione
Capitolo 16 La leadership etica: integrità, compromesso col male o corruzione di chi è al potere
16.1 Il basso livello etico e la corruzione morale
16.2 L’alto livello etico e l’integrità morale
16.3 La «zona grigia» tra integrità e corruzione morale
16.4 Se il fine giustifica i mezzi
16.5 Il principio del male minore
16.6 La questione delle «mani sporche»
16.7 Chi ha potere deve sporcarsi le mani?
Capitolo 17 Come trovare il coraggio di fare la cosa giusta
17.1 Individuare i facilitatori e gli impedimenti
17.2 Normalizzare: incontrare conflitti etici è normale
17.3 la pratica rende abili
17.4 Come diventare dei samurai della comunicazione
17.4.1 Le argomentazioni che possono aiutare a dar voce ai propri valori
17.4.2 Il Judo verbale, come arte gentile della persuasione
Conclusione
Bibliografia
Paola Premoli De Marchi
Quattro passi nell’etica
del lavoro e delle organizzazioni
Introduzione
L’impresa di aprire un nuovo sentiero
Non ci può essere gioia nella vita
senza gioia nel lavoro
Tommaso d’Aquino (1225-1274)
Filosofo e teologo
Questo libro si occupa di etica del lavoro. Si tratta di uno degli ambiti ai quali ho dedicato la maggior parte della mia attività didattica e di ricerca degli ultimi quattordici anni e col tempo si è radicata sempre più profondamente in me la convinzione che tutti dovrebbero diventare esperti in questa materia, per avere una vita soddisfacente. La semplice ragione è che, a parte quei pochi privilegiati che grazie a un patrimonio familiare abbastanza cospicuo possono permettersi di trascorrere le loro giornate in panciolle, dedichiamo buona parte del tempo che ci è dato a lavorare.
Per lavoro possiamo intendere qualsiasi attività manuale o intellettuale che non sia svolta per puro svago, dunque non solo le attività retribuite: ogni operare umano che produce beni, materiali o spirituali, è un lavoro. Nella percezione comune, il lavoro è spesso vissuto come condanna, però a ben vedere lavorare è una necessità per l’uomo. Abbiamo bisogno di avere un lavoro non solo per procurare i mezzi di sussistenza a noi e ai nostri cari, ma anche perché abbiamo bisogno di impiegare le nostre capacità in qualcosa, di sviluppare i nostri talenti e di vedere i frutti delle nostre opere, per dare senso alla nostra esistenza. Non si tratta di un bisogno meramente psicologico, ma è un’esigenza che ha radici profonde, e precisamente nel fatto che l’essere umano è un compito da realizzare.
Questo è il senso del lavoro per l’uomo. Tuttavia il lavoro, ci dice il filosofo francese Emmanuel Mounier, che avremo modo di conoscere meglio in seguito, ha un valore anche per la realtà che ci circonda (1999, pp. 37ss). Attraverso il lavoro l’uomo realizza un’opera di umanizzazione della natura. Gli animali sono addomesticati, i campi incolti diventano orti e giardini, le forze della natura vengono regolate nella loro furia distruttiva. Certo, l’uomo può influire in modo maldestro o addirittura devastante sull’ambiente che lo circonda, però non è di per sé ogni intervento dell’uomo sulla natura ad essere nocivo e disastroso, lo sono gli interventi scriteriati o, come impareremo in quanto segue, quelli eticamente scorretti.
Partiamo allora da una visione positiva del lavoro: che consista in attività remunerate o di volontariato, nello studio per prepararsi a svolgere una professione o nelle diverse incombenze legate alla cura della casa e della famiglia, esso ci rende più umani e determina, insieme alle relazioni interpersonali profonde e arricchenti che sapremo coltivare, la traccia che lasceremo nel mondo. L’altro lato della medaglia, dobbiamo ammetterlo, è costituito dal fatto che le situazioni patologiche legate al lavoro, come la disoccupazione, lo sfruttamento, le discriminazioni, le molestie, la mancanza di sicurezza o l’iperattivismo, possono rovinarci l’esistenza e minare la nostra salute. Ebbene, l’etica svolge un ruolo essenziale sia riguardo ai lati esaltanti e fecondi della vita professionale, perché li nutre e li rende possibili, sia rispetto a quelli degradanti e perversi, perché questi proliferano quando quella manca. Per questo ritengo che l’obiettivo di diffondere l’etica del lavoro sia così importante per lo sviluppo individuale e sociale.
Negli ultimi anni mi sono resa conto del fatto che offrire agli studenti e ai professionisti degli strumenti per elevare il livello etico del proprio ambito lavorativo non solo riflette un mio interesse personale, come per altri possono essere eccitanti i circuiti elettrici o i libri antichi, ma è un bisogno sentito in tutti gli ambienti sociali. Nell’apprendere di che cosa mi occupo, ho udito in moltissime occasioni avvocati, infermieri, impiegati alle poste, medici, docenti universitari, educatori di scuola d’infanzia, esclamare con rammarico: «ah, l’etica, ce ne vorrebbe di più di etica!»
Le pagine che seguono sono un tentativo di rispondere a questo bisogno e si propongono di perseguire due obiettivi, uno a breve termine, rispondere a un’urgenza, e uno a lungo termine, realizzare un progetto. L’obiettivo a breve termine è quello di offrire ai miei studenti un testo più organico e aggiornato riguardo allo stato attuale dell’etica della professione e delle organizzazioni, rispetto alle dispense sulle quali hanno studiato coloro che li hanno preceduti. L’obiettivo più ampio e a lungo termine, invece, è quello di proporre un metodo nuovo per studiare l’etica del lavoro, che sia adatto anche a chi svolge già una professione e sente di avere questa lacuna nella propria preparazione.
Nel nostro Paese praticamente nessuna delle attività lavorative contempla nel proprio iter formativo l’insegnamento dell’etica. Laddove c’è, esso generalmente si riduce a poche ore di studio delle norme legali e del codice deontologico della professione, che sono aspetti importanti ma molto parziali dell’etica del lavoro. Per questo, posso dire che il percorso che propongo con questo volume equivale all’impresa di aprire un nuovo sentiero in montagna. L’opera deve essere portata a termine col battere dei propri passi, liberando il passaggio dalle sterpaglie e dai sassi che possono far inciampare chi verrà dopo, ponendo i primi cartelli indicatori e dipingendo con la vernice rossa e bianca qualche masso lungo la via, così da invitare gli escursionisti a fare la stessa strada, allargandola col loro passaggio, ma anche ad aprire vie alternative, laddove ne trovassero di migliori. Il volume è stato perciò intitolato Quattro Passi nell’etica, e sarà diviso in altrettante parti, equivalenti alle tappe che penso siano imprescindibili per completare un percorso di formazione che copra tutti gli aspetti essenziali dell’etica della professione.
Gli strumenti che metterò a disposizione del lettore sono frutto della rielaborazione dei risultati più importanti che, a mio avviso, l’etica come disciplina filosofica ˗ da venticinque secoli ˗, e le scienze umane applicate al lavoro e alle organizzazioni ˗ nell’ultimo secolo ˗, hanno raggiunto riguardo al metodo e ai contenuti dell’etica professionale degli individui e dei gruppi organizzati. L’invito che rivolgo a chi avrà tra le mani questo testo è quello di confrontare, una pagina dopo l’altra, le scoperte fatte da altri con la propria esperienza personale e professionale. Non mi resta che ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questo volume, in primo luogo i miei studenti, e augurare al lettore un buon cammino.
0.1 Che cosa non è l’etica?
Un piccolo esperimento al quale vorrei che chi legge si sottoponesse, come avvio del nostro percorso è il seguente. Qual è la prima scelta etica – tra il bene e il male – che ricordate di aver fatto? Prendetevi pure tutto il tempo necessario per pensarci, prima di proseguire.
Nel corso degli anni ho rivolto questa domanda a centinaia di persone, soprattutto a studenti universitari, ma anche a liceali e professionisti. Alcuni restano disorientati, perché non sono sicuri di comprendere che cosa intendo con «etica», quindi non rispondono. La maggior parte però riesce a ripescare dal proprio passato qualche episodio che può identificare come «scelta etica». Se appartenete a questo secondo gruppo, per quanto ciascuno si ricorderà di fatti diversi, sono pronta a scommettere che quella che vi verrà alla memoria sarà l’esperienza di un dilemma etico: vi siete trovati di fronte al problema di decidere che cosa fosse giusto fare in una precisa situazione che vi poneva di fronte a un bivio, e avete cercato delle buone ragioni per scegliere che direzione prendere. Quando decidiamo in casi come questi possiamo ricorrere a criteri diversi, ad esempio guardare al nostro vantaggio o a quello degli altri; però, se ci siamo domandati che cosa fosse più giusto fare, abbiamo di certo dato per scontato che la risposta che stavamo cercando esigeva qualcosa di più della formulazione di una semplice opinione, di un giudizio su ciò che ci piace o non ci piace. Ad esempio, cogliamo intuitivamente che «non mangio barbabietole perché non le gradisco» non è una scelta che riguarda l’etica, mentre «non salgo in treno senza aver pagato il biglietto» o «mi sforzo di essere gentile con le persone che incontro» sono scelte eticamente rilevanti. (Mc Lean 2015)
Normalmente le persone hanno un’idea di che cosa significhi essere una persona eticamente integra, lavorare in un’impresa etica o avere un governo che agisce in modo etico. Eppure, anche se nella vita quotidiana utilizziamo il termine «etica» come se noi stessi e tutti coloro che conoscono la nostra lingua sapessero bene che cosa significa, definire che cosa sia l’etica non è affatto semplice. Possiamo cercare di avvicinarci a una definizione attraverso alcune tappe. La prima consiste nel riconoscere che all’etica si associa l’idea di un certo tipo di eccellenza. Proviamo a leggere la seguente affermazione:
Tutti abbiamo un’immagine del nostro migliore sé – di come siamo quando agiamo eticamente o siamo «al meglio».
Nella citazione appena riportata, tratta dalla pagina introduttiva della sezione «Ethical Decision Making» del sito del Markkula Center for Applied Ethics dell’Università di Santa Clara, in California, si pone l’attenzione proprio sul legame tra «agire in modo etico» ed essere «al nostro meglio». L’etica, dunque, avrebbe a che fare col comportamento umano, anzi, con quella forma particolare di comportamento umano che implica la possibilità di raggiungere un’eccellenza e, di conseguenza, un dover essere. Chi si propone di agire in modo etico desidera fare la cosa migliore, non solo per sé, ma anche per gli altri, anzi, la cosa migliore in sé stessa. Nello stesso tempo, desidera essere la persona migliore possibile, come amico, come genitore, come professionista, come cittadino, etc. L’etica, insomma, ha a che fare con l’eccellenza, con ciò che ci rende migliori.
Una seconda tappa per riuscire a chiarirci le idee su che cosa sia l’etica, può essere quella di domandarci che cosa non è. Ci sono infatti molti fenomeni che spesso vengono confusi con l’etica, ma non coincidono con essa.
In primo luogo, l’etica non coincide con il sentimento. Molti, alla domanda di come decidono che cosa sia eticamente corretto fare, rispondono: «è qualcosa che sento». Alcuni pensano addirittura che non è necessario che nessuno insegni loro che cosa devono fare, perché le loro emozioni e i loro desideri indicano chiaramente la strada, un po’ come invita il titolo del romanzo della Tamaro Va’ dove ti porta il cuore. La convinzione, piuttosto comune, che l’etica dipende dalle emozioni contiene una parte di verità, ma anche una parte di errore. È vero che i valori morali toccano la nostra sfera emotiva: ad esempio, subire un’ingiustizia ci fa arrabbiare, essere trattati con gentilezza ci rallegra; oppure, i sentimenti di benevolenza e simpatia ci possono indurre ad essere affabili e servizievoli verso gli altri, che sono azioni eticamente positive. Addirittura, gli studi fisiologici sembrano suggerire che alla base dei nostri comportamenti empatici e delle nostre inclinazioni morali si trova uno stesso ormone, l’ossitocina. Non possiamo negare, dunque, che ci sia un legame tra la nostra sfera emotiva e l’etica.
Tuttavia, l’esperienza stessa ci mostra che non tutto quello che ci suggerisce il sentimento è buono: anche in ambito professionale, il cuore ci può portare ad essere comprensivi di fronte all’errore di un dipendente, generosi nell’aiutare un collega, pazienti con un capo irascibile. In altri casi, tuttavia, il sentimento ci può portare nella direzione opposta: ad essere spietati nel rilevare un difetto altrui, invidiosi per la promozione di un collega, prepotenti verso chi dipende da noi. Se il sentimento e ciò che è giusto fare non necessariamente vanno nella stessa direzione, significa che non possiamo far coincidere l’etica con ciò verso cui ci spingono le nostre emozioni.
L’etica non è nemmeno equivalente alla religione. È vero che quasi tutte le religioni implicano una visione etica e spesso chi ha una fede religiosa è motivato anche a comportarsi in modo eticamente corretto dal suo rapporto con il divino. Però non tutti sono religiosi e non tutti appartengono allo stesso credo, mentre i doveri etici implicano un appello che si rivolge a tutti. Questo è evidente in ambito professionale: indipendentemente dalla propria appartenenza religiosa, ogni medico come medico deve intervenire sui pazienti solo dopo aver chiesto il loro consenso, ogni giudice come tale deve pronunciarsi in modo imparziale e applicare la legge, ogni impresario edile deve costruire edifici solidi con materiali di qualità e non può mettere a rischio la vita dei suoi clienti per il suo profitto.
Un’altra confusione comune è quella di pensare che l’etica consista nel seguire la legge. Anche questa convinzione ha una parte di verità. È innegabile che esiste un rapporto tra le norme di uno stato e i nostri doveri morali, sia perché, da una parte, le leggi spesso riguardano ambiti che hanno una rilevanza morale (pensiamo alla giustizia nel trattamento dei dipendenti, alla sicurezza nei luoghi di lavoro, all’impatto ambientale delle imprese), sia perché, dall’altra parte, seguire le leggi è un obbligo morale, oltre che giuridico. Tuttavia, è altrettanto innegabile, e la storia ce lo dimostra, che le leggi dello stato possono deviare da ciò che è eticamente giusto (pensiamo ai regimi totalitari) e spesso il sistema legislativo è lento nell’affrontare i problemi etici che emergono grazie al progresso scientifico e all’evolversi della società. Oggi siamo chiamati a risolvere questioni etiche del tutto nuove, impensabili fino a pochi anni fa, ad esempio, se è lecito modificare il codice genetico delle generazioni future, o se è giusto registrare e utilizzare dati, foto e video che le persone diffondono su Internet per prevedere i loro comportamenti a fini politici o commerciali. Ebbene, in casi come questi vediamo che le leggi vengono promulgate ben dopo il sorgere dei problemi, e sono stimolate proprio dalla presenza di dilemmi etici. Dunque, tra sfera etica e sfera giuridica esistono delle intersezioni, ma non è corretto ridurre l’una all’altra.
L’etica non coincide neppure col seguire le norme accettate da una cultura o considerate normali in certi ambienti sociali. La storia ci mostra innumerevoli casi di culture cieche a certi valori etici (pensiamo alla schiavitù e ai genocidi di gruppi razziali) e tuttora ci sono molti ambienti nei quali azioni gravemente ingiuste, come lo sfruttamento di determinate categorie di persone, siano le donne, i bambini, o specifici gruppi etnici ma anche l’adesione ad associazioni a scopo criminale, sono fenomeni socialmente accettati. Ciascuna società ha delle norme e delle consuetudini etiche, eppure non è sufficiente basarsi su queste per spiegare che cos’è l’etica.
Infine, l’etica non coincide con la scienza: né le con le scienze umane, come la psicologia e la sociologia, né con quelle della natura, come la fisica e la chimica. I dati scientifici possono essere d’aiuto per descrivere i comportamenti umani, e talvolta sono addirittura imprescindibili per comprendere alcuni tipi di situazioni nelle quali dobbiamo compiere delle scelte etiche. Un caso emblematico è rappresentato dall’etica medica, che deve fondarsi nella conoscenza approfondita e aggiornata delle scienze della salute, un altro esempio è dato dal contributo che gli studi sociologici e psicologici possono offrire allo studio dell’etica dei gruppi e delle organizzazioni. Eppure, di per sé l’etica non è una scienza, né nel senso delle scienze della natura, né nel senso delle scienze sociali, perché le scienze descrivono e cercano di spiegare i fenomeni che sono di loro competenza; l’etica, invece, ci offre le ragioni per cui dovremmo comportarci in un certo modo e non in un altro. È una disciplina normativa e non meramente descrittiva o esplicativa.
0.2 Dalla vita morale all’etica come disciplina
Per individuare l’ambito al quale appartiene l’etica, allora, dobbiamo rivolgerci alla filosofia. Fin dall’antichità, infatti, i filosofi si sono occupati di ciò che riguarda la sfera morale. Socrate, ad esempio, affermava di voler insegnare agli uomini a prendersi cura di sé stessi per essere felici e questo è possibile solo a chi impara a prendersi cura non del proprio corpo, ma della propria anima. Tra i principi che trasmetteva ai suoi discepoli c’era la celebre affermazione secondo la quale «è meglio subire ingiustizia che compiere ingiustizia». Questa può essere considerata come un pilastro dell’etica filosofica occidentale, perché esprime l’idea che chi compie il male diventa ingiusto, e questa è la cosa peggiore che possa capitare all’uomo.
La filosofia ha come punto di partenza l’esperienza. A prima vista, quella che riguarda la nostra vita morale non offre dei dati molto affidabili. Non solo definire che cosa è l’etica non è semplice; ancora meno lo è stabilire se un certo particolare comportamento sia legittimo o sia migliore di un altro sotto il profilo etico: le situazioni sono spesso complesse e le persone coinvolte possono avere opinioni diverse su ciò che è giusto fare. Questo potrebbe sollevare il dubbio che non sia possibile pensare all’etica come ad una conoscenza rigorosa. Di fatto questo dubbio ha tormentato i filosofi fin dall’antichità. Tuttavia, anche se è evidente che nel corso dei secoli e nelle diverse culture ci sono differenze sul modo di valutare i comportamenti morali, nella sua vita quotidiana l’uomo mostra di essere generalmente in grado di discriminare tra bene e male, e tra ciò che è dotato di rilevanza morale, e ciò che non lo è. Che esistano azioni e atteggiamenti eticamente buoni o cattivi, dunque che ci sia un confine tra bene e male, è dunque oggetto di esperienza diretta. Anzi, gli uomini rivelano di possedere diverse capacità che li mettono in contatto con la sfera morale e sono universali.
Ciascuno di noi ha un senso morale, che ci permette di cogliere la connotazione etica di un’azione e, ad esempio, conduce a reagire con ribrezzo di fronte ad una scena di violenza ingiustificata, anche se è solo l’episodio di un romanzo, o fa apprezzare un’azione eroica di un pompiere che ha salvato dei bambini intrappolati in una scuola in fiamme, anche se non conosciamo il pompiere, l’azione è accaduta a migliaia di chilometri da noi e ne veniamo a conoscenza attraverso i mezzi di comunicazione. È vero, però, che così come accade per il senso estetico o per il senso dell’orientamento, ci sono persone più o meno sensibili alla sfera etica. Ci sono perfino persone, benché assai rare, che sono completamente sorde ad essa. Eppure, noi percepiamo questa insensibilità come qualcosa di disumano, di patologico, e comprendiamo che questa carenza ha gravi conseguenze sulla vita individuale e relazionale delle persone coinvolte. Inoltre, l’uomo sperimenta in sé la presenza della coscienza morale, una voce interiore che giudica le azioni di cui si è autori, e quindi accusa, rimprovera, incoraggia, approva ciò ha fatto o intende fare. Infine, ciascuno ha la consapevolezza più o meno nitida di avere dentro di sé alcuni principi morali, che operano come criteri in base ai quali agiamo e valutiamo il comportamento proprio o altrui.
A partire da tutti questi «strumenti» che ci permettono di percepire la connotazione morale dei fatti che ci capitano e delle azioni che realizziamo, si può dire che ogni uomo ha un’esperienza morale, la quale si presenta con le seguenti caratteristiche.
In primo luogo, ciò che è morale riguarda la vita della persona, e concretamente i suoi comportamenti liberi. Starnutire o urlare se ci pestiamo un dito in un cassetto, può risultare fastidioso per chi ascolta, ma non sono atti dotati di rilevanza morale. Aiutare un amico in difficoltà, evadere le tasse, rapire qualcuno a scopo di estorsione, invece, lo sono.
In secondo luogo, questi comportamenti si riferiscono a ciò che nell’uomo è centrale ed essenziale. Tagliarsi i capelli non ha rilevanza morale, l’amputazione di una gamba ne ha (può essere un’azione giusta, se salva una vita, oppure ingiusta, se è conseguenza di una violenza, ma in ogni caso è moralmente rilevante).
Dato che sono realizzati grazie alla libertà, inoltre, la persona è ritenuta responsabile di questi comportamenti. La responsabilità ha un aspetto sociale, implica il dover rispondere ad altri di ciò che facciamo, ad esempio di un danno inflitto a qualcuno. Presuppone però che l’atto sia davvero mio, quindi ancora prima dell’aspetto sociale rivela che io devo rispondere a me stesso di come uso la mia libertà, perché i comportamenti positivi implicano un merito, quelli negativi una colpa. Ciò va di pari passo con la consapevolezza del fatto che ogni colpa morale «richiede» oggettivamente una punizione e ogni merito morale un premio.
In quarto luogo, i comportamenti che hanno rilevanza morale fanno diventare chi si comporta in quel modo, o buono o cattivo. Nel caso dell’amputazione di una mano, diventa buono o cattivo chi compie quest’azione (a seconda se sia un medico che vuole salvare la vita di una persona o un criminale che vuole torturarla), non chi la subisce. Se starnutisco, non divento né più buono, né più cattivo, se incoraggio un dipendente con un elogio meritato o calunnio un collega con accuse false, le cose cambiano.
Una quinta caratteristica dei comportamenti dotati di rilevanza morale è che essi provocano la coscienza, suscitando rimorso, senso di colpa, oppure soddisfazione e pace verso ciò che si è compiuto, oppure stimolando a fare o ad omettere un’azione realizzabile, ma non ancora realizzata.
Un’altra caratteristica dei comportamenti con rilevanza morale è che essi vengono anche percepiti in rapporto con la felicità. Anche se ci sono stati alcuni filosofi che hanno criticato o negato questo legame (ad esempio Kant e Schopenhauer), fin dall’antichità l’uomo ha manifestato la convinzione che chi è virtuoso dovrebbe essere felice, così come chi è vizioso dovrebbe essere infelice. Che questo non sempre si realizzi, e anzi spesso gli uomini buoni soffrono molte sventure, mentre i malvagi sembrano pienamente soddisfatti, è percepito come qualcosa di ingiusto, che non dovrebbe essere così. Già Socrate affermava che il bene morale è l’unico ad essere in grado di rendere davvero felice l’uomo, mentre gli altri beni, se sono posseduti senza la bontà morale, sono in grado di dare una felicità solo apparente.
I comportamenti con rilevanza morale, infine, si presentano con uno statuto di ineluttabilità e definitività, hanno conseguenze sulla persona e sulla realtà tali da presentare una relazione con l’eternità, che può essere percepita anche da chi non crede in un destino dopo la morte.
Se volessimo dar conto di tutte queste caratteristiche in una definizione dell’etica, potremmo dire che essa è quella «disciplina filosofica che ha come oggetto la vita morale dell’uomo, ossia i comportamenti umani, in quanto sono giusti o ingiusti, buoni o cattivi e rendono tale (buono o cattivo) colui che li compie».
Dato che l’etica non intende solo descrivere il comportamento morale, ma anche valutarlo, appunto per stabilire se è giusto e buono e quindi per orientare le azioni, essa ha un fine pratico. In questo è differente da altre discipline filosofiche, che sono meramente teoriche, speculative, cercano di conoscere per conoscere e non per fare. Inoltre, nel momento in cui l’etica si presenta come riflessione filosofica sul comportamento morale, essa avanza la pretesa di essere una conoscenza razionale, coerente, giustificata, in altri termini una conoscenza dotata di scientificità, seppure sui generis rispetto a quella delle scienze empiriche.
Ora, tale pretesa di rigore e scientificità le fa imboccare un cammino che la conduce verso la teoria e l’astrattezza. Questo però pone di fronte ad un dilemma. Tra riflessione razionale e vita morale c’è una discrepanza, perché quella è teorica, mentre questa è pratica, quella cerca di essere oggettiva e intersoggettivamente condivisibile, mentre la prassi è per definizione soggettiva, relativa a chi agisce, quella cerca l’universale, questa è individuale, particolare e contingente. La vita morale, come ogni ambito della vita umana, insomma, non è completamente «incasellabile» dalla teoria. Ecco perché non è una conoscenza pura, ma ha anche un legame inscindibile con la vita vissuta, per cui l’etica è anche un’arte. Così come il musicista esperto, oltre a conoscere la musica in teoria, solo con l’ascolto affinato negli anni acquista anche una sensibilità che gli permette di cogliere la differenza di sfumature tra gli strumenti e tra le esecuzioni dello stesso pezzo, anche in ambito morale, l’esperienza permette di acquisire una sensibilità che la teoria non è in grado di dare.
Non è possibile, allora, ricostruire una tavola degli elementi, come la chimica, in base alla quale ogni atto umano può essere definito e valutato in modo fisso e indiscutibile. Tuttavia, la riflessione razionale può offrire dei punti di riferimento, degli assi cartesiani in base ai quali è possibile collocare con una certa precisione le diverse azioni, distinguendole dal punto di vista morale tra lecite o illecite, buone o cattive.
Per dare conto della coesistenza di teoria e pratica, gli studiosi di etica hanno allora individuato tre aree di indagine che in epoca contemporanea sono state classificate come segue: la metaetica riguarda lo studio del significato e delle forme del linguaggio morale, ossia dei termini e dei concetti utilizzati dalla riflessione sul comportamento morale; l’etica normativa riguarda lo studio di come si debba vivere, ossia di quale sia la vita moralmente buona e/o di che cosa si debba fare e generalmente elabora delle teorie morali, ossia dei sistemi giustificate e coerenti di principi che possano guidare nelle decisioni; la casistica, infine consiste nell’analisi dei casi controversi e dei problemi specifici, e cerca dei criteri per risolverli.
0.3 Perché dovremmo studiare l’etica della professione?
Come abbiamo chiarito fin dall’inizio, l’oggetto di quanto segue non sarà l’etica generale, bensì quella parte dell’etica che si applica alla vita lavorativa, dunque l’etica della professione, con particolare riferimento alle organizzazioni. Perché dovremmo preoccuparci di studiare l’etica, accanto alle altre discipline che affrontiamo nel corso di laurea o, in seguito, tra gli argomenti che affrontiamo per rimanere dei professionisti aggiornati?
Catharyn Baird, un avvocato americano che da alcuni decenni si occupa di educazione etica negli affari, afferma che le ragioni principali per cui ci si dovrebbe occupare di etica sono due (Baird, video 2015). La prima è che, qualsiasi ruolo abbiamo, e qualsiasi lavoro facciamo, esso prevede delle regole di comportamento e la società si aspetta che rispettiamo tali regole. Gli altri si aspettano che il medico sappia ascoltare il paziente e mantenga il segreto professionale, che l’insegnante tratti con giustizia gli alunni e prepari bene le lezioni, che il parrucchiere utilizzi dei prodotti che non contengano sostanze che nuocciono alla salute, che il taxista sia sobrio e non scriva sullo smartphone mentre guida. Studiare l’etica della professione allora ha come prima ragione quella di capire quali norme di comportamento sono considerate corrette in una professione o in un ambito sociale. Potremmo dire che è una condizione necessaria per ricoprire il ruolo sociale rappresentato dal fatto di svolgere un certo lavoro.
La seconda ragione addotta dalla Baird per giustificare lo studio dell’etica è che ciò ci aiuta a conoscere noi stessi, ci rivela chi siamo, quali sono i nostri valori e i nostri obiettivi, che cosa è davvero importante per noi, che cosa ci fa essere delle persone migliori, «al nostro meglio». Questa ragione implica tacitamente un presupposto che abbiamo già accennato nelle prime righe di questa introduzione: l’essere umano ha in sé il bisogno e il desiderio di migliorare, di raggiungere degli obiettivi che diano significato alla sua esistenza. Ci sono delle persone che vivono in modo apatico o indifferente, senza uno scopo nella vita. Ma non sono felici e spesso il loro disinteresse è sintomo di patologie psichiche. Per essere soddisfatti, abbiamo bisogno di avere degli scopi significativi, che riempiano di valore ciò che facciamo. E questo vale anche per il nostro lavoro. Per chi desidera fare della propria vita professionale un cammino di crescita personale e di miglioramento del mondo che ci circonda, l’etica si pone come risposta, perché dovrebbe indicare il cammino verso l’eccellenza. Per percorrere questo cammino, però, è necessario conoscere sé stessi e la propria gerarchia di valori. In particolare, la Baird ha colto che questa conoscenza di sé deve includere sia i nostri lati positivi, la nostra intenzione di scegliere la cosa migliore e i principi che intendiamo seguire, sia i nostri lati «oscuri», cioè quegli aspetti in cui siamo più tentati a comportarci in modo non etico. Una persona può essere più sensibile al denaro, un’altra all’ambizione, un’altra ancora ad