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Compito e relazione: Idee e metodi  per gestire efficacemente un team
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Compito e relazione: Idee e metodi  per gestire efficacemente un team
E-book235 pagine2 ore

Compito e relazione: Idee e metodi per gestire efficacemente un team

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Info su questo ebook

Gestire un team non è soltanto una questione tecnica. Richiede sensibilità, ispirazione, passione.
È anche vero, però, che non è possibile trasmettere questi ingredienti senza comprendere le scelte fondamentali che la relazione con un gruppo mette in gioco e le leve per influenzarne le dinamiche.
Compito e relazione si propone proprio di fornire ai team manager questi modelli di base.
I contenuti di questo libro sono un po’ come gli esercizi di diteggiatura per un musicista: semplici strumenti senza i quali, però, non è possibile produrre una propria, originale, interpretazione. Chi voglia guidare un team con efficacia non può, naturalmente, limitarsi a possedere le tecniche. Ma nessuno può mettersi ad un pianoforte e pensare di attaccare una sonata di Bach o un notturno di Chopin senza padroneggiare gli indispensabili rudimenti tecnici.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2018
ISBN9788828344179
Compito e relazione: Idee e metodi  per gestire efficacemente un team

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    Anteprima del libro

    Compito e relazione - Luca Baiguini

    Ringraziamenti

    PREFAZIONE | TOPI, CUCINE E TEAM AL LAVORO

    Pixar Animation Studios è una casa di produzione cinematografica famosa per i suoi film d’animazione. È stata fondata nel 1979 come LucasFilm Computer Graphics Project, nel 1986 ha assunto il suo nome attuale e dal 2006 è entrata a fare parte del gruppo The Walt Disney Company. Per gli appassionati di animazione digitale si tratta di un’azienda iconica: nel 1995 ha realizzato il primo lungometraggio interamente in computer grafica ( Toy Story – Il mondo dei giocattoli) e negli anni a seguire alcuni veri e propri capolavori. I suoi film hanno appassionato intere generazioni di cinefili, anche perché le sue storie sono leggibili a diversi livelli di profondità e riescono a tenere incollati allo schermo sia bambini che adulti.

    Nel 2007 Pixar ha presentato al pubblico il suo ottavo lungometraggio: Ratatouille, per la regia prima di Jan Pinkava, poi di Brad Bird. Il titolo è un riferimento al famoso piatto francese ed è anche un gioco di parole sulla specie del protagonista: Rémy, un topo (rat, in inglese) con un talento speciale ed una immensa passione per la cucina. All’inizio del film il topino vive con la sua colonia nei dintorni di Parigi, nella soffitta di una casa di campagna abitata da un’anziana signora.

    Rémy possiede doti non comuni per un topo: un olfatto ed un gusto sviluppati e raffinati. Questo lo porta a selezionare con grande cura i cibi che porta alla bocca e da qui derivano la sua passione per la gastronomia ed il fatto insolito che lui preferisca camminare sulle zampe posteriori, per non sporcare le anteriori e non contaminare così gusti e profumi. Il suo modello è lo chef Auguste Gusteau, scomparso recentemente, e la sua aspirazione è diventare egli stesso un cuoco. Durante una scorribanda nella cucina della casa, però, Rémy ed il fratello Émile vengono scoperti dall’arzilla padrona, che inizia a sparare colpi di fucile all’impazzata costringendo l’intera colonia alla fuga sotto la guida di Jango, il padre di Rémy, che ne è il capo. Nella confusione Rémy si perde e, alla fine della sua corsa rocambolesca, si ritrova nel sottosuolo di Parigi, solo, fradicio e affamato. Fattosi coraggio, risale le tubature fino ad un appartamento dove si sta consumando una cena e ruba del pane. Mentre sta per addentarlo, appare il fantasma di Gusteau, che lo ammonisce facendogli notare che chi possiede un talento come il suo il cibo non lo deve rubare, lo deve cucinare. Lo conduce così al suo ristorante, che peraltro è caduto in disgrazia ed ora conserva soltanto tre delle cinque stelle originarie (una era stata tolta per via di una recensione negativa del più noto critico gastronomico di Parigi, Anton Ego, l’altra per la morte dello stesso Gusteau, probabilmente causata proprio da quell’insuccesso).

    Il ristorante è ora di proprietà di Nino Skinner, uomo odioso e gretto, che era stato il vice del grande chef.

    Il topo sale fino alle finestre per dare un’occhiata alla cucina e proprio in quel momento uno sguattero appena assunto, Alfredo Linguini, figlio di una vecchia fidanzata di Gusteau, rovescia una pentola di zuppa e tenta di rimediare, rovinandola ulteriormente. Rémy entra in cucina e, di nascosto, ripara gli errori di Linguini inserendo nella zuppa gli ingredienti che ritiene ne possano migliorare profumo e sapore. Il guaio combinato dallo sguattero viene scoperto da Skinner, che sta per licenziarlo, ma la zuppa nel frattempo è stata servita a Solene Le Claire, una critica gastronomica ospite, quella sera, del ristorante, che ne è entusiasta, tanto che il giorno dopo scriverà una recensione molto positiva sul locale.

    La brigata di cucina è ovviamente convinta che la zuppa sia stata cucinata da Linguini, e Skinner ordina che il ragazzo, il giorno dopo, la prepari di nuovo sotto il suo controllo. Nel frattempo, Rémy viene scoperto (un topo in una cucina non è mai un ospite gradito), chiuso in un barattolo ed affidato allo stesso Linguini per essere annegato nella Senna. Proprio nel momento di eseguire l’ordine, lo sguattero si rende conto che il topo è in grado di comprendere le sue parole, che era stato lui a cucinare quella zuppa sensazionale e che, quindi, potrà essergli d’aiuto nel ricrearla.

    Dopo una notte passata a risolvere gli ovvi problemi di comunicazione (nel film i topi possono parlare tra loro così come, naturalmente, gli umani, ma non può esserci comunicazione verbale tra animali e uomini), i due trovano un codice efficace: il ragazzo muove le braccia a comando quando il topo gli tira certi ciuffi di capelli, come una marionetta. Rémy si nasconde nel cappello da cucina di Linguini e così lo istruisce su come cucinare la zuppa che, ancora una volta, è un tale successo da suscitare in Skinner invidia per il suo talento (apparente). Per questo lo sfida, nei giorni successivi, a cucinare piatti sempre più complessi. Niente, però, sembra essere troppo difficile per lui.

    A questo punto, un colpo di scena: Skinner, leggendo la lettera di raccomandazione scritta dalla madre per Linguini e dopo aver indagato sul suo conto, scopre che quello che lui considera solo uno sguattero un po’ ingombrante è, in realtà, il figlio nato dalla relazione tra Gusteau e la donna, e quindi anche il legittimo erede del ristorante. Cerca, allora, di correre ai ripari nascondendo il testamento di Gusteau, ma Rémy, che assiste di nascosto alle sue macchinazioni, capisce tutto, si impadronisce del testamento e lo consegna a Linguini, che prende possesso del locale, diventa chef e licenzia Skinner.

    Da lì in avanti per il ristorante inizia una marcia trionfale che lo porta in poco tempo a riconquistare una stella e l’attenzione del critico Anton Ego, che decide di tornare a recensirlo.

    Nei giorni che precedono la visita, però, succede che Rémy (sempre meno considerato da Linguini, a cui il successo sta dando alla testa) ritrova casualmente la sua colonia. I suoi amici e parenti lo costringono a rubare del cibo dalla dispensa del ristorante. Linguini lo scopre e, sentitosi tradito, lo caccia.

    Il giorno della visita di Ego, Linguini è nel panico: senza l’aiuto fondamentale di Rémy non sarà senz’altro in grado di ottenere un giudizio positivo. Confessa, così, a tutta la sua brigata di cucina come stanno le cose: il talento gastronomico non è suo, ma di un anonimo topolino. I suoi collaboratori, inorriditi, se ne vanno, inclusa Colette, la fidanzata di Linguini.

    Rémy, nel frattempo, si pente di aver litigato con l’amico, torna al ristorante, ma lo trova vuoto.

    A questo punto si presenta al pubblico una delle scene più importanti e più belle di tutto il film. Il padre di Rémy, capito il talento del figlio e l’amicizia che lo lega ad Alfredo Linguini, si presenta nel ristorante e, con tutta la colonia, si mette a disposizione del figlio: Noi non siamo dei cuochi, ma siamo una famiglia: tu dicci quel che noi dovremo fare e noi lo faremo, sono le sue parole ad un incredulo Rémy.

    Il piccolo chef organizza l’intera colonia in gruppi, assegnando a ciascuno (dopo un accurato lavaggio) un compito: chi ai primi, chi alle salse, chi alla disposizione del cibo nei piatti.

    Una squadra viene anche incaricata di fermare un ispettore sanitario che, proprio quella sera, fa visita al locale (trovando una cucina interamente gestita da ratti). Questi ultimi catturano l’uomo, lo legano e lo depositano in una delle celle di conservazione dei cibi.

    Rémy, intanto, ha deciso di servire ad Ego una sua rielaborazione di un piatto povero della tradizione gastronomica francese: una ratatouille, naturalmente. Ne affida la preparazione a Colette, che ha deciso di dare un’altra possibilità al suo fidanzato ed è tornata in cucina, conducendola però passo-passo e spiegandole, a gesti, come preparare la pietanza.

    La ratatouille viene portata sulla tavola di Ego da un Linguini timoroso e intimidito. Il critico assaggia il primo boccone e, con un chiaro riferimento da parte degli autori alla madeleine di Proust [1] , il gusto gli evoca un ricordo della sua infanzia, quando, dopo una caduta in bicicletta, mangiò la ratatouille che la madre gli aveva preparato, ritrovando il buonumore.

    La cucina di Rémy ha, così, conquistato il critico, che esprime il desiderio di parlare con lo chef. Linguini e Colette decidono di raccontare tutta la verità: chiedono ad Anton Ego di fermarsi fino a che tutti i clienti se ne saranno andati e, a quel punto, gli presentano il topo.

    Il giorno dopo, il critico scrive una recensione che permette al locale di riconquistare le cinque stelle, e che riporto (in realtà, non ha una particolare attinenza con il tema di questo libro, ma è davvero molto bella):

    Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere, ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che, nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero... ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori! Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cena sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull'alta cucina è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere! In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau: Chiunque può cucinare!, ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire: non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque. È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau's e che, secondo l'opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia! Tornerò presto al ristorante Gusteau's, di cui non sarò mai sazio!

    Rémy, dunque, grazie al suo talento, alla sua conoscenza, ma anche alla capacità di coordinare il lavoro, le energie e lo sforzo collettivo, è riuscito a trasformare una colonia di topi senza esperienza in un team di lavoro straordinariamente efficace [2] .

    Compito e relazione vuole parlare di momenti come questo, nei quali la realizzazione di un progetto, la soluzione di un problema, l’assunzione di una decisione passano attraverso il lavoro di un team e non soltanto di una singola persona. Naturalmente, non sempre succede di lavorare con gruppi così particolari. È vero, però, che ogni gruppo ha le sue peculiarità, i suoi talenti, le sue criticità. E che indirizzare queste differenze verso un obiettivo comune non è sempre cosa semplice né scontata.

    Conta, non c’è dubbio, il talento del team manager.

    Ma, specie da quando nel lavoro di moltissimi team sono fondamentali conoscenze e capacità tecniche anche molto verticali, potrebbe non bastare. Ecco perché in questo libro cerco di porre sul tavolo alcune questioni fondamentali che chi gestisce un team non può eludere:

    la conoscenza delle principali leve comunicative a disposizione: la leva del compito e la leva della relazione (a cui si deve il titolo);

    la scelta tra direttività e partecipazione: quanto e quando, cioè, imporre le proprie scelte e controllare che vengano eseguite così come comunicate e quando, invece, favorire il confronto all’interno del gruppo e la costruzione di soluzioni comuni;

    la capacità di progettare lo sviluppo verso l’autonomia dei singoli collaboratori e dell’intero gruppo;

    la consapevolezza che il conflitto è un ingrediente imprescindibile nelle relazioni umane, ma che è necessario sapere come affrontarlo per renderlo produttivo;

    la relazione tra un ingrediente positivo per la coesione di un team, il consenso, ed il suo lato oscuro, il conformismo, che rischia di soffocare l’emergere dei necessari pareri critici;

    il rapporto tra gestione del tempo e dinamiche di gruppo;

    la capacità, quando necessario, di togliere il team dalla sua zona di comfort e di orientarlo verso il cambiamento;

    la visione che consente di alimentare creatività e innovazione nella ricerca di soluzioni e idee.

    Compito e relazione si occupa di questi temi, cercando, come il mio precedente lavoro Designing presentations, di mantenere un approccio ibrido tra il rigore di un saggio ed il pragmatismo di un manuale, nella convinzione che, quando si trattano temi di questo tipo, sia più importante offrire una cornice, una sensibilità, piuttosto che ricette buone per tutte le occasioni (a proposito del protagonista di questa introduzione). Meglio un confronto con i modelli che una serie di istruzioni, insomma.

    Il processo di apprendimento

    A proposito di metodo, poi, è utile una breve premessa, che parte da una mappa dei processi di apprendimento sintetizzata nella figura P.1

    Figura P.1. - Il processo di apprendimento

    Secondo questo modello, il processo di apprendimento di un’abilità avviene in quattro fasi: Incompetenza inconsapevole: non si sa fare, e non ci si pone nemmeno il problema di acquisire un’abilità perché non se ne conoscono l’esistenza e/o l’utilità.Per esempio, un abitante di un villaggio sperduto e senza contatti con il resto del mondo con tutta probabilità non sa guidare un’automobile, e nemmeno si pone il problema di imparare, visto che non sa che cosa sia un’automobile. Incompetenza consapevole: non si sa fare, ma si riconosce la necessità, o l’utilità, di imparare un’abilità.Non si è in grado di guidare un’automobile, ma si sa che l’automobile esiste e si ritiene utile o necessario imparare. Questa è normalmente la condizione con cui si inizia un processo formativo. Competenza consapevole: si sa fare, ma il processo richiede di essere affrontato in maniera consapevole, prestando attenzione ai passaggi che il processo stesso richiede. È la condizione del principiante, che deve pensare a ciò che sta facendo per riuscire a guidare un’automobile, ed è completamente assorbito dalla guida, tanto che difficilmente riesce a svolgere altre attività contemporaneamente. Competenza inconsapevole: si sa fare, ed il saper fare è ormai un automatismo che non richiede particolare attenzione. L’automobilista esperto riesce a guidare e contemporaneamente può fare altre cose (ascoltare musica, per esempio), visto che il processo di guida avviene seguendo una serie di automatismi. La conclusione del quarto step del processo di apprendimento è quella di possedere un’abilità talmente interiorizzata da essere in grado di metterla in campo senza la necessità, in ogni momento, di decisioni consapevoli, il che rappresenta

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