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Nascita ed evoluzione del modello sociale europeo: dai primi trattati comunitari allo European Social Pillar
Nascita ed evoluzione del modello sociale europeo: dai primi trattati comunitari allo European Social Pillar
Nascita ed evoluzione del modello sociale europeo: dai primi trattati comunitari allo European Social Pillar
E-book144 pagine1 ora

Nascita ed evoluzione del modello sociale europeo: dai primi trattati comunitari allo European Social Pillar

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Dopo aver percorso l’iter di riconoscimento e giustiziabilità dei Diritti Sociali nell’Unione Europea, l’autore ha inteso offrire una panoramica del Pilastro sociale europeo. Si tratta dell’ultimo strumento di soft law di cui si è dotata Bruxelles, per provare a realizzare un modello sociale funzionante e funzionale al raggiungimento dei livelli essenziali per il Benessere di ogni eurocittadino. L’autore ha approfondito, quindi, la parte del Pilastro relativa al reddito minimo (minimum income) e le relative opportunità che quest’ultimo può offrire. Infine, l’autore dimostra che l’introduzione del reddito minimo può essere sia la soluzione politica più efficace per affrontare la crisi del welfare sia il modo per placare le insicurezze sociali ed economiche dei nostri giorni.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2018
ISBN9788827856444
Nascita ed evoluzione del modello sociale europeo: dai primi trattati comunitari allo European Social Pillar

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    Nascita ed evoluzione del modello sociale europeo - Andrea Ferretti

    disagiati.

    1. I diritti sociali nell’Unione europea: un difficile percorso.

    1.1 Una definizione per i diritti sociali. 1.2 La dimensione sociale tra gli intenti dei costituenti dell’UE ed i primi Trattati. 1.3 L’Atto Unico Europeo ed il Trattato di Nizza. 1.4 L’Unione Europea è la problematica delle competenze in materia di diritti sociali. 1.5 Il rapporto con i sistemi nazionali di Welfare. 1.6 Cittadinanza Europea, convergenza degli Stati europei e sicurezza sociale.

    1.1 Una definizione per i diritti sociali.

    Prima di introdurre l’iter che ha portato al riconoscimento e alla tutela dei Diritti Sociali all’interno dell’Unione Europea, è necessario fornire una loro definizione. Inserendosi nel catalogo dei diritti fondamentali garantiti dalle moderne Costituzioni europee, insieme ai diritti civili e politici, i Diritti sociali trovano la loro giustificazione sui princìpi di solidarietà ed uguaglianza sostanziale, «vale a dire che si tratta di diritti a prestazioni pubbliche (solidarietà) finalizzate ad evitare che una qualche circostanza materiale o esistenziale (salute, indigenza, disoccupazione, ecc.) impedisca il pieno sviluppo della persona umana e la sua partecipazione alla vita sociale su un piede di libertà ed eguaglianza (eguaglianza sostanziale).»¹

    Pertanto, i diritti sociali non hanno caratteri universali, hanno invece caratteri relativi, ovvero destinati direttamente alla persona in un contesto e per la quale lo Stato decide di intervenire per ripianare le disuguaglianze rispetto a terzi o a gruppi di terzi. C’è da dire, inoltre, che molti studiosi, hanno catalogato la garanzia e l’effettività dei diritti sociali come fase ultima dello Stato costituzionale, nella sua forma di welfare state-Sozialstaadt-Etat providance: manifestazioni storiche di quella forma di Stato che coniuga libertà ed equità, pluralismo sociale e pluralismo dei poteri².

    Ad esempio, nel saggio Cittadinanza e classe sociale, il sociologo Thomas Marshall suddividendo in tre fasi i diritti di cittadinanza, ha collocato nell’ultimo step i diritti sociali in virtù del fatto che costituiscono la tappa conclusiva di un lungo processo avviato dalle grandi rivoluzioni settecentesche. Secondo Marshall, quindi, i diritti civili e politici dovevano essere completati da un minimo di benessere e sicurezza economici fino al diritto a partecipare pienamente al retaggio sociale e a vivere la vita di persona civile, secondo i canoni vigenti della società³. In questa ottica, l’autore intendeva ripianare le diseguaglianze generate dalle distorsioni del sistema capitalistico, reintroducendo nelle logiche contrattuali del mercato vincoli e obblighi comunitaristici propri dello status di cittadino.

    In questo senso, l’avvento dei diritti sociali hanno garantito al cittadino un insieme di garanzie che gli consentono di vivere una vita non più come semplice membro della società, ma come un soggetto protagonista in essa. Ciò attraverso la garanzia di alcuni diritti quali « il lavoro, condizioni di vita degne e protezione in caso di perdita del lavoro da parte dello Stato», approntando, quindi, «un welfare state che guarda ai suoi cittadini non più solo come sudditi, il cui unico valore poggia sulla capacità di produrre ricchezza, ma come persone il cui valore intrinseco è dato proprio dall’essere uomini, i quali, pertanto, appartengono ad una società che non solo pretende qualcosa da loro, ma che si fa carico di proteggerli e guidarli per tutto il corso della loro vita.»

    Sicuramente, ciò che rende particolarmente problematici i diritti sociali sono le spese che questi comportano per lo Stato. Difatti, se le altre categorie di diritti, politici e civili, hanno dei costi di attuazione che gravitano intorno all’1 e al 2 % del PIL, i diritti sociali, o per meglio dire il welfare state, assorbe circa il 27% del PIL nell’Unione Europea che verrà coperto attraverso imposte e tasse sui contribuenti. Ogni prestazione di cui beneficerà il cittadino, in quanto titolare di diritti, sarà ad egli stesso sottratta attraverso la contribuzione, ovvero con il pagamento delle tasse. Inoltre, un’ulteriore caratteristica o peculiarità di questo insieme di diritti è la loro continua variabilità nel corso del tempo. Infatti, con il susseguirsi delle epoche, sono cambiate le contingenze in cui lo Stato è operatore, cambiando così o, addirittura ampliando, la coscienza sociale della società. Un ulteriore elemento che ha giocato un ruolo di primaria importanza per il riconoscimento dei diritti sociali è sicuramente il mercato. Richiamando, anche qui, Marshall, «queste aspirazioni sono state soddisfatte [in parte] facendo entrare i diritti sociali nello status della cittadinanza e creando così un diritto universale a un reddito reale non misurato sul valore di mercato del soggetto»⁵: si evince che il cittadino deve essere sganciato e posto al di sopra di ogni regola del mercato e quindi considerato una mera forza produttrice, per ottenere il riconoscimento dei suoi diritti sociali.

    Si può affermare, quindi, che se negli Stati liberali originari le Costituzioni tutelavano essenzialmente situazioni giuridiche provenienti dalla tradizione classica quali le differenze di sesso, di religione, di razza, con l’avvento dello Stato sociale si afferma un nuovo concetto di libertà strettamente connesso al principio di uguaglianza: inaccettabili le differenze basate sul reddito e sui rapporti economici e sociali, ad esempio. Insieme ai diritti civili e politici, «i diritti sociali sono assunti come condizioni ‘costitutive’, indefettibili, del principio costituzionale di eguaglianza e, al contempo, del valore della persona.»

    Così come per gli Stati europei contemporanei, un processo simile ha interessato anche l’Unione europea nel corso del XX secolo che, nel corso degli anni, ha abbandonato l’idea primogenita di istituzione con scopi e finalità meramente economiche, per iniziare ad interessarsi ad una sua visione sociale improntata su «valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; un’Unione [che] si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto»⁷.

    1.2 La dimensione sociale tra gli intenti dei costituenti dell’UE ed i primi Trattati.

    L’attenzione che ha rivolto l’Unione Europea ai diritti sociali è stata, inizialmente, nulla. Difatti, da ciò che si evince dai primi Trattati istitutivi (CEE-CECA-EURATOM), sottoscritti nel 1957, non si fa riferimento ad alcuna garanzia riguardo questa categoria di diritti. Le motivazioni per le quali vi è questa iniziale negligenza da parte degli Stati redattori e sottoscrittori di tali Trattati sono molteplici. La prima motivazione, sicuramente è riconducibile all’intento primogenito della CEE principalmente di integrazione economica tra gli Stati membri e di sostegno alla creazione di un mercato comune europeo: i primi Stati membri, quindi, «non si prefiggevano un più elevato tasso di socialità all’interno dell’Europa, limitandosi a perseguire l’obiettivo della eliminazione di quelle disparità di trattamento che fossero suscettibili di ostacolare il buon funzionamento del mercato»⁸. I primi costituenti europei erano fortemente convinti del fatto che, mediante le logiche liberiste ed autopropulsive del mercato, si potessero «sostenere e diffondere diritti, ivi compresi quelli sociali».⁹ Chiaramente, l’impianto liberista fondato sul archetipo che il libero gioco delle forze del mercato porti in modo naturale all’eguaglianza, non ha prodotto i risultati aspettati, poiché stando alle condizioni attuali degli Stati membri, vi è una prevalenza di disparità di condizioni di vita e di lavoro, professionali e di settore. Ovviamente, i primi costituenti non avevano la benché minima idea delle future distorsioni delle logiche liberiste alla base delle prime Comunità Economiche. La loro preoccupazione era essenzialmente ascrivibile all’idea, secondo cui una cooperazione economica fra gli Stati europei, di recente usciti dalla seconda guerra mondiale, avrebbe evitato ulteriori conflitti. In quest’ottica, quindi, si sarebbe sviluppata una protezione dei Diritti, compresi quelli sociali, che «importando rilevanti risorse pubbliche per la loro implementazione, avrebbero imposto di ripensare a una architettura istituzionale, a competenze nonché a politiche di bilancio europee più forti (e comunque adeguate a farsi carico della garanzia di tali diritti qualora assunti effettivamente come diritti pretensivi, giustiziabili)»¹⁰.

    La seconda motivazione, è riconducibile al fatto che una garanzia effettiva dei Diritti sociali veniva assicurata dalle Corti Costituzionali degli Stati a livello nazionale, mentre a livello internazionale, dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata a Roma nel 1950.

    L’ultima motivazione, invece, è ascrivibile alla reticenza degli Stati membri nei confronti delle nuove istituzioni emergenti, quali la Corte di Giustizia di Lussemburgo per la paura che queste potessero prevaricare per poteri e competenze le istituzioni nazionali.

    A seguito di tali motivazioni, gli Stati membri hanno continuato ad occuparsi degli ambiti sociali che si sviluppavano in maniera totalmente differente in ciascuna realtà nazionale, rispetto agli ambiti economici, per la gran parte integrati e armonizzati, intesi a garantire un mercato unico. I costituenti europei, provenienti da Stati prevalentemente liberal democratici e convinti che una integrazione economica avrebbe comportato proporzionalmente anche una integrazione sociale, non pensarono alle conseguenze che eventuali crisi di mercato avrebbero comportato sugli Stati e sui loro modelli sociali, da qui l’esigenza di un intervento sussidiario del potere pubblico in economia. Sotto questo aspetto, non solo gli Stati membri hanno ritenuto fondamentale una creazione dello stato sociale, ma anche l’Unione Europea si è vista costretta a porre in discussione il suo modello originario per affrontare il problema dell’integrazione sociale.

    1.3 L’Atto Unico Europeo ed il Trattato di Nizza.

    La costruzione dell’Europa sociale, si può suddividere in due periodi: la prima compresa tra il Trattato di Roma e l’Atto Unico Europeo (AUE) in cui non vi sono state tendenze di interesse nei confronti dei diritti sociali; la seconda, dall’AUE a seguire, in cui si è notato un interesse particolare per una

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