La fionda: La grande trasformazione. Attacco al lavoro
Di AA. VV.
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La fionda - AA. VV.
AA VV
La fionda (2021)
2: La grande trasformazione. Attacco al lavoro
Comitato scientifico
Paolo Borioni
Anna Cavaliere
Massimo D’Antoni
Alfredo D’Attorre
Paolo Desogus
Carlo Galli
Chantal Mouffe
Pier Paolo Portinaro
Onofrio Romano
Pasquale Serra
Marcello Spanò
Antonella Stirati
Wolfgang Streek
Davide Francesco Tarizzo
José Luis Villaca ñ as Berlanga
Umberto Vincenti
Andrea Zhok
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Direttore editoriale
Geminello Preterossi
Direttore responsabile
Alessandro Somma
Comitato di redazione
Andrea Muratore, Anna Cavaliere, Marco Baldassari , Alessandro Bonetti, Davide Ragnolini, Diego Melegari, Fabrizio Capoccetti, Francesca Faienza, Giulio Gisondi, Giulio Menegoni, Matteo Bortolon, Matteo Falcone, Sirio Zolea, Savino Balzano, Valeria Finocchiaro
Coordinamento e comunicazione
Alessandro Volpi, Paolo Cornetti, Matteo Masi
Segretario di redazione
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Editore
Rogas
Marcovaldo di Simone Luciani
viale Telese 35
00177 – Roma
P. Iva 11828221009
Iscr. ROC 35345
ISSN 2724-4946
ISBN: 9788845294778
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Indice
Perché «La fionda»?
La parabola del lavoro - Alessandro Somma
SCENARI
La Grande Tempesta - Andrea Muratore
La trasformazione liberista tra emergenza e accelerazione - Giulio Gisondi
Ue: dalla crisi di legittimità all'aggiustamento strategico - Matteo Bortolon
La lezione tradita di Federico Caffè (e di Keynes) - Thomas Fazi
La furia dell’attesa - Gabriele Guzzi
Il Principato Telematico - Francescomaria Tedesco
Il capitalismo di piattaforma - Marco Marrone
IL FUTURO DEL LAVORO
Lavoro e politica - Carlo Galli
La liberalizzazione dei rapporti con l’estero come ostacolo alle politiche di pieno impiego - Aldo Barba
La lunga notte: Costituzione e lavoro all’ombra del Covid-19 - Pietro Salemi
Job Guarantee, chiave per uscire dalla crisi - Laura Pennacchi
Stato sociale e femminismo - Anna Cavaliere
Il sindacato nella crisi: ripartire dalla Carta dei diritti universali del lavoro? - Maurizio Brotini, Mara D’Ercole, Fabrizio Denunzio e Iside Gjergji
Il reddito di cittadinanza e il reddito minimo garantito sono dispositivi neoliberali - Alessandro Somma
Contrattazione collettiva e salario minimo: l’abbattimento della contrattazione nazionale per favorire le imprese e la strumentalità del salario minimo legale - Lidia Undiemi
Il welfare aziendale - Alberto Avio
Riduzione dell’orario di lavoro: quali proposte in tempo di pandemia? - Claudia Candeloro
Verso la normalizzazione del lavoro a distanza - Umberto Romagnoli
Sulle insidie dello smart working e sul futuro del lavoro - Savino Balzano
Storia e sfide del lavoro nel socialismo di mercato cinese - Gianmatteo Sabatino
VOCI DAI CONFLITTI
Serve una rivolta generazionale - Paolo Cornetti e Chiara Patricolo
Se questo è un lavoratore - Sergio Bonetto
Il sindacato ai tempi del Covid in Unione Europea - Intervista a Luigi Marinelli di Matteo Masi
Perché «La fionda»?
Perché è lo strumento di chi si ribella all’oppressione. Di chi non può contare su grandi risorse materiali né gode di protettorati mainstream , ma mira dritto perché ha il coraggio delle idee. La forza dell’irriverenza, che fa analizzare in contropelo i luoghi comuni. La passione intellettuale e politica di chi non aderisce alle idee ricevute, ma sottopone tutte le tesi a una verifica attenta. L’ostinazione ragionata di chi non ha paura di smentire la propaganda, squarciando il velo della post-verità del sistema neoliberista. La lucida coerenza di non negare i fatti, o edulcorarli, per approfondire e cercare di capire di più, senza fermarsi di fronte alle convenienze, alle interpretazioni di comodo.
« La fionda » è uno spazio pluralista e libero di elaborazione culturale e politica, promosso da una comunità di persone che condivide alcune precise idee ‒ statualiste, autenticamente democratiche e antiliberiste ‒ , senza compromessi contraddittori né opacità furbesche. Ma che ha l’autentico desiderio di confrontarsi, di dare luogo a un dibattito vero, fecondo, senza tabù. Questo deve essere il tempo della nitidezza e dello spirito critico che non arretra di fronte a nulla. Solo così sarà possibile ripartire non gattopardescamente, ma cambiando paradigma.
La fionda di Davide contro Golia. Ma anche la fionda di Gian Burrasca.
Geminello Preterossi
Alessandro Somma
FROMBOLIERI
Andrea Bellucci, Marco Baldassari, Savino Balzano, Giacomo Bandini, Marco De Bartolomeo, Francesco Berni, Michele Berti, Lorenzo Biondi, Antonio Bonifati, Matteo Bortolon, Fabio Cabrini, Carlo Candi, Fabrizio Capoccetti, Anna Cavaliere, Francesca Cocomero, Paolo Cornetti, Leandro Cossu, Antonio Di Dio, Antonio Di Siena, Lorenzo Disogra, Giulio Di Donato, Francesca Faienza, Matteo Falcone, Thomas Fazi, Antonella Garzilli, Antonello Gianfreda, Roberto Michelangelo Giordi, Giulio Gisondi, Gabriele Guzzi, Simone Luciani, Mattia Maistri, Matteo Masi, Lucandrea Massaro, Diego Melegari, Giulio Menegoni, Alessandro Monchietto, Riccardo Muzzi, Matteo Nepi, Francesco Polverini, Giandomenico Potestio, Geminello Preterossi, David Proietti, Francesco Ricciardi, Pietro Salemi, Lorenza Serpagli, Alessandro Somma, Ludovico Vicino, Alessandro Volpi, Cristiano Volpi, Sirio Zolea, Piotr Zygulski.
La parabola del lavoro - Alessandro Somma
Alessandro Somma , direttore responsabile de «La fionda» , è professore ordinario di Diritto Comparato all’Università La Sapienza di Roma.
Un patto di cittadinanza fondato sul lavoro
Il diritto del lavoro nasce e si sviluppa per affermare la differenza fra la relazione che lo riguarda e una relazione di mercato qualsiasi, ovvero per disciplinare la prima sulla base di principi finalmente affermatisi nel corso dei cosiddetti Trenta gloriosi. È infatti tra la conclusione del secondo conflitto mondiale e la metà degli anni Settanta che si realizza il compromesso keynesiano, alla base di una spirale virtuosa: una buona crescita dei livelli salariali diretti e indiretti capace di alimentare i consumi, incentivando la piena occupazione e incrementando così il potere contrattuale dei lavoratori [1] .
In questo modo il lavoro è stato collocato al centro del patto di cittadinanza, il patto che regola la «partecipazione dei cittadini al patrimonio economico e sociale della società di cui essi fanno parte» [2] , secondo lo schema esemplificato al meglio dalla Costituzione italiana. Questa parla di diritto al lavoro, ma in un certo senso anche di un dovere di lavorare: tutti i cittadini sono tenuti a svolgere «una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società», da intendersi come contropartita per accedere al welfare: il «pacco standard di beni e servizi il cui possesso» rende ciascuno un «cittadino nella pienezza delle sue prerogative» [3] . È però un dovere assistito da molte misure destinate a tutelare la posizione di chi è chiamato ad adempierlo: occorre tenere conto delle sue «possibilità» e della sua «scelta» (art. 4), e assicurare una retribuzione sufficiente a consentire «un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36). Lo Stato deve inoltre promuovere la piena occupazione (art. 4) e soprattutto garantire il mantenimento «in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria» (art. 38).
Questo schema è stato ovunque completato da disposizioni volte a bilanciare la debolezza sociale del lavoratore nei rapporti con il datore, ovvero a predisporre un sistema di tutele individuali e collettive: in Italia con il celeberrimo Statuto dei lavoratori varato al principio degli anni Settanta. In tal modo si è assicurato un consenso maggioritario all’ordine economico e con ciò un accettabile equilibrio tra capitalismo e democrazia. Il tutto alimentato anche dalla contrapposizione tra blocchi capitalista e socialista, che ha se non altro indotto il primo a competere con il secondo mostrando un volto umano del quale poteva altrimenti fare a meno. Come si riconosce in modo trasversale, infatti, «il comunismo […] imponeva ai Paesi dell’Occidente non solo di assicurare un adeguato livello di reddito nazionale, ma di fare in modo che la sua distribuzione non fosse troppo squilibrata» [4] .
Lavoro alla spina
Certo, la fine dei Trenta gloriosi non può addebitarsi unicamente o prevalentemente alla fine della Guerra fredda. Notoriamente un ruolo determinante è stato giocato dagli shock energetici degli anni Settanta, oltre che dalla decisione statunitense di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, e di provocare così il ritorno a un sistema di cambi flessibili. Peraltro, se il tutto ha prodotto un circolo vizioso fatto di stagnazione o recessione, di aumento dei prezzi al consumo e inflazione, di crescente disoccupazione e indebitamento pubblico, lo si deve anche a precise scelte politiche. Deriva cioè dalla volontà di rovesciare il compromesso keynesiano in quanto vantaggioso per il lavoro, e nel contempo ostacolo al capitale soprattutto in tempi di globalizzazione dei mercati. In un sistema di libera circolazione dei fattori della produzione gli Stati devono infatti attrarre investitori, e questo avviene soprattutto precarizzando e svalutando il lavoro, oltre che abbassando la pressione fiscale sulle imprese: sottraendo fondi da destinare al welfare.
Quest’ultima tendenza è ben esemplificata da quanto avviene con il cosiddetto capitalismo delle piattaforme, che è fortemente finanziarizzato e globalizzato, e in quanto tale punta allo sviluppo di una relazione di lavoro ridotta al mero scambio incondizionato di forza lavoro contro denaro. Una relazione da cui non scaturiscono particolari obbligazioni accessorie, motivo per cui si è parlato di «lavoro alla spina» [5] , ovvero di una relazione costituita e sciolta alla bisogna. E ben potrebbe parlarsi di relazione di lavoro voucherizzata, tendenzialmente relativa al mero scambio di denaro contro prestazione manuale o intellettuale: senza che questo scambio faccia sorgere obbligazioni accessorie di alcun tipo, o che sia comunque completata da previsioni concernenti il contenuto dell’accordo o il modo di instaurarlo e scioglierlo [6] .
Certo, un simile schema non è rappresentativo dello stato dell’arte, e tuttavia descrive al meglio una tendenza consolidata: il lavoro ridotto a merce risulta sempre più diffuso, e sempre meno contrastato dal legislatore. È possibile che in prospettiva il capitalismo delle piattaforme debba accettare interventi legislativi destinati a disciplinare alcuni aspetti particolarmente delicati. Presumibilmente, però, simili interventi saranno diretti a tutelare i consumatori e in parte l’erario, mentre trascureranno i profili di diritto del lavoro: lo vedremo fra breve.
Quanto alla riduzione della pressione fiscale sulle imprese, vero e proprio mantra neoliberale, è nota la crescente propensione ad assecondarla, mentre sono evidenti i riflessi di una simile attitudine sull’estensione dello Stato sociale. Del resto l’attacco a quanto resta del compromesso keynesiano è complessivo: non colpisce il solo perimetro delimitato dal mercato, ma anche il sistema della sicurezza sociale, la cui estensione viene sempre più fatta dipendere da valutazioni circa la sua compatibilità economica. Esemplari da questo punto di vista sono le proposte di modifica della Costituzione italiana nella parte in cui si occupa di diritto al trattamento pensionistico (art. 38), dove si vorrebbe codificare il principio di «non discriminazione tra le generazioni» e assicurare la «sostenibilità finanziaria» del sistema previdenziale [7] . Il tutto nel solco della nota mistificazione per cui solo i diritti sociali costano, giacché presuppongono un comportamento attivo dei pubblici poteri, mentre non comportano spesa i diritti della tradizione liberale, per la cui garanzia i pubblici poteri devono semplicemente astenersi dall’invadere la sfera individuale. Come se i privati non potessero comprimere i diritti del secondo tipo, proprietà in testa, che per essere tutelati necessitano infatti di un costoso apparato pubblico destinato a prevenire e reprimere le violazioni.
Taylorismo digitale
Si diceva che il legislatore mostra un sostanziale disinteresse per i diritti dei lavoratori alla spina. Inizialmente non era così: in un articolato poi approvato e battezzato «decreto dignità» [8] aveva previsto alcune importanti disposizioni dedicate ai lavoratori delle piattaforme digitali. In particolare si era riconosciuto il requisito della subordinazione in capo a «chiunque si obblighi, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e secondo le direttive, almeno di massima e anche se fornite a mezzo di applicazioni informatiche, dell’imprenditore, pure nei casi nei quali non vi sia la predeterminazione di un orario di lavoro e il prestatore sia libero di accettare la singola prestazione richiesta, se vi sia la destinazione al datore di lavoro del risultato della prestazione e se l’organizzazione alla quale viene destinata la prestazione non sia la propria ma del datore di lavoro». Con la precisazione che «è subordinata anche la prestazione di attività chiesta e remunerata direttamente da un terzo e resa personalmente nei suoi confronti qualora il datore di lavoro, anche per il tramite di programmi informatici o applicazioni digitali e a scopo di lucro, realizzi un’intermediazione tra lavoratore e terzo, altresì stabilendo o influenzando in modo determinante le condizioni e la remunerazione dello scambio» [9] .
La versione approvata del decreto dignità è stata però privata di questa parte: la volontà di tutelare i lavoratori ha ben presto lasciato il posto a una sostanziale inerzia, quella che traspare dalla decisione di affidarsi al raggiungimento di accordi tra organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro. Decisione particolarmente infausta per i lavoratori, dal momento che manca una disciplina volta a valorizzare il peso delle organizzazioni, e che pertanto anche quelle meno rappresentative possono sottoscrivere intese volte a evitare il riconoscimento della subordinazione [10] .
In questo modo finisce per prevalere la qualificazione del rapporto di lavoro alla spina pretesa dalle piattaforme, che evidentemente rifiutano di riconoscere il requisito della subordinazione. Impedendo così di attivare le tutele previste per il lavoratore in ordine alla costituzione del rapporto, alla sua durata, alla sua cessazione e al suo contenuto. E ostacolando inoltre il riconoscimento delle prerogative concernenti la dimensione collettiva delle relazioni di lavoro, in particolare con riferimento alle libertà sindacali e allo sciopero.
Se qualche risultato lo si è ottenuto, è stato per la sensibilità delle corti, che in alcuni Paesi hanno riconosciuto il carattere subordinato del rapporto di lavoro alla spina: nel caso italiano facendo leva su una timida disposizione recentemente adottata per favorire l’estensione dello status di lavoratore subordinato alla fattispecie della collaborazione eterorganizzata [11] .
Esemplare da questo punto di vista una decisione della Corte di Cassazione italiana, che ha innanzi tutto stigmatizzato gli abusi di chi punta a impedire il riconoscimento della subordinazione ricorrendo a espedienti: ad esempio far apparire autonomo il lavoratore comunque qualificato che subisce «l’ingerenza funzionale dell’organizzazione predisposta unilateralmente da chi commissiona la prestazione». Più precisamente i giudici hanno distinto tra «autonomia del lavoratore nella fase genetica del rapporto» e autonomia nella «fase funzionale di esecuzione del rapporto», ovvero tra la libertà di rispondere o meno alle chiamate e la libertà relativa al momento successivo all’accettazione della chiamata. E proprio di questa seconda autonomia non si trova traccia nell’attività dei rider , che sono tenuti a pagare una penale se non consegnano il cibo entro un termine definito, e che sono inoltre obbligati ad assolvere a compiti specifici: come sostare in punti prestabiliti per attendere gli ordini, controllare la corrispondenza tra l’ordine ricevuto e il cibo ritirato dal ristorante e notificare l’avvenuta consegna. E a queste condizioni al rapporto di lavoro non può che applicarsi la «disciplina integrale del lavoro subordinato» [12] : come ha da ultimo stabilito anche una corte penale, in seguito a un’indagine in cui si sono messe in luce le dinamiche di un vero e proprio caporalato digitale [13] .
Va detto a questo punto che il riconoscimento della subordinazione può far leva su una caratteristica non limitata al settore della food delivery, bensì condivisa entro l’ambito del capitalismo delle piattaforme: il ricorso a modalità di controllo e direzione del lavoratore particolarmente penetranti. Si sa infatti che le piattaforme sono funzionali ad alimentare una sorta di taylorismo digitale [14] : a separare le mansioni creative da quelle esecutive per trasformarle in un insieme di attività elementari e ripetitive, ma anche e soprattutto a consentire livelli di controllo e direzione della forza lavoro impensabili per l’economia tradizionale. Tanto che la scelta di chi far lavorare, in quale momento della giornata e con quale frequenza, dipende in massima parte da una valutazione circa le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, e in tal senso delle qualità del lavoratore: premiato con ripetute chiamate se corrisponde alle aspettative della piattaforma, in caso contrario punito invece con uno scarso coinvolgimento. E al limite con la definitiva disconnessione, il corrispettivo del licenziamento, se la sua velocità di esecuzione, la disponibilità e il comportamento con i clienti non sono ritenute all’altezza degli standard definiti dalla piattaforma.
Il welfare aziendale
La tendenziale equiparazione della relazione di lavoro a una relazione di mercato qualsiasi si accompagna a misure tese a neutralizzare il conflitto redistributivo che ne deriva. Questo effetto, che pure discende dalla precarizzazione e dalla sottoccupazione in quanto vicende da cui deriva un forte indebolimento del potere contrattuale del lavoro, discende dalle misure volte a indebolire la posizione del sindacato.
Spiccano tra queste le misure incentivate dal livello europeo, come in particolare il potenziamento della contrattazione di secondo livello, territoriale o aziendale: il livello al quale il sindacato è più debole. Da notare poi il favore per la partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa, misura capace di indurre pacificazione sociale e collaborazione tra capitale e lavoro: come osservato da un padre dell’ortodossia neoliberale, chi «risponde con il proprio patrimonio, che partecipa alle perdite e agli utili, ha legami psicologici con il mercato, con le sue necessità e le sue indicazioni» [15] .
A ben vedere, la creazione di un ambiente pacificato e collaborativo ben può essere annoverata tra le finalità delle riforme che da qualche tempo caratterizzano il sistema della sicurezza sociale. Intendiamo le riforme che hanno promosso lo sviluppo del cosiddetto welfare aziendale o occupazionale, e in particolare di quello negoziato: l’insieme dei beni, dei servizi e delle prestazioni la cui erogazione viene decisa in sede di contrattazione collettiva di primo o più spesso di secondo livello, sovente in sostituzione di un incremento salariale.
La tipologia di questi beni, servizi e prestazioni è la più varia, e riguarda sia ambiti interessati dal sistema dei diritti sociali come la sanità e la previdenza, sia ambiti meno implicanti dal punto di vista della valenza costituzionale delle porzioni di welfare di volta in volta considerate: come nel caso dei buoni pasto, del trasporto casa-lavoro, delle attività ricreative o delle agevolazioni creditizie, per citare solo alcuni esempi tratti da una casistica davvero ampia e variegata. Il tutto incentivato attraverso un sistema di agevolazioni fiscali e contributive che ha ampliato le deroghe al principio della totale tassabilità dei redditi da lavoro, ovvero di «tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro» [16] . A partire dalla legge di stabilità per il 2016, infatti, si sono estesi al welfare aziendale negoziato i benefici fiscali previsti per quello su base volontaria, e si è inoltre stabilito che i premi di risultato sono convertibili in misure di welfare: con ciò ulteriormente incentivando la contrattazione di secondo livello e dunque l’indebolimento del sindacato.
Il welfare aziendale rappresenta un problema anche perché incentiva il moto verso lo smantellamento del welfare universale, se non altro in quanto si alimenta necessariamente di servizi e prestazioni forniti da soggetti privati. Finisce inoltre per assicurare livelli accettabili di sicurezza sociale ai soli cittadini che rivestono lo status di lavoratori. Che dunque sono indotti a comportarsi in modo collaborativo per non perdere, con il lavoro, anche i beni e i servizi la cui erogazione il welfare universale delega sempre più al welfare aziendale: anche in tal senso quest’ultimo genera «benefici in termini di fidelizzazione e condivisione dell’apparato valoriale dell’imprenditore da parte dei propri dipendenti» [17] .
Tutto ciò prefigura un futuro che ha il sapore di un passato lontano, e che in questo senso qualifica la parabola del lavoro come un ritorno all’epoca in cui il diritto del lavoro non era tale, o comunque non aveva valenza emancipatoria [18] . Riporta cioè agli anni in cui si sviluppa un primo embrione di welfare come risposta al fallimento delle misure adottate in area tedesca per reprimere con la forza il movimento dei lavoratori. In particolare le misure previste da una legge degli anni Settanta dell’Ottocento significativamente intitolata «contro le aspirazioni socialmente pericolose della Socialdemocrazia» [19] , che non sortirono l’effetto sperato: finirono anzi per incrementare i sentimenti di solidarietà verso i suoi esponenti e dunque il loro successo politico.
Di qui una comunicazione imperiale di poco successiva, in cui si riconosceva che «la riparazione dei danni sociali non si dovrà perseguire esclusivamente attraverso la repressione dei tumulti socialdemocratici, bensì anche attraverso il sostegno attivo al benessere dei lavoratori» [20] . Sostegno che si concretizzò nella nascita dello Stato sociale prussiano, e in particolare nel varo di un’assicurazione obbligatoria per le malattie, gli infortuni, l’invalidità e la vecchiaia finanziata con soldi pubblici e con i contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori. Il tutto nel solco di quanto si era sperimentato presso le acciaierie Krupp, che avevano istituito una cassa malattie, significativamente finanziata dalle sanzioni pecuniarie inflitte ai lavoratori infedeli, concepita come contropartita per la rinuncia alla lotta politica [21] .
22 Per tutti R. Ciccarelli, Forza lavoro, Roma, 2018, p. 23 ss.
[1] A. Barba, M. Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Reggio Emilia, 2016, p. 51 ss.
[2] P. Costa, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, in G. Balandi, G. Cazzetta (a cura di), Diritto e lavoro nell’Italia repubblicana, Milano, 2009, p. 24.
[3] U. Romagnoli, Autonomia e subordinazione del diritto del lavoro, in Lavoro e Diritto, 2016, p. 568.
[4] G. La Malfa, John Maynard Keynes, Milano, 2015, p. 101.
[5] Worker on tap è l’efficace espressione utilizzata per l’inchiesta che ha fornito il titolo di copertina dell’«Economist» del 3 gennaio 2015.
[6] Il riferimento è al lavoro occasionale di cui all’art. 54bis Legge 21 giugno 2017 n. 96, provvedimento che ha sostituito, senza però innovazioni di rilievo, il lavoro tramite voucher prima disciplinato dagli artt. 48-50 Decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 (abrogati con il Decreto legge 17 marzo 2017 n. 25, convertito nella Legge 20 aprile 2017 n. 49, per evitare un referendum promosso dalla Cgil).
[7] Proposte di legge costituzionale n. 3478 del 4 dicembre 2015, e n. 3858 del 25 maggio 2016.
[8] Decreto legge 12 luglio 2018 n. 87, convertito con modificazioni nella Legge 9 agosto 2018 n. 96.
[9] La versione del decreto dignità contenente queste disposizioni, poi cancellate, si trova ad es. qui: www.rivistalabor.it/wp-content/uploads/2018/06/Norme-in-materia-di-lavoro-subordinato-anche-tramite-piattaforme-digitali-applicazioni-e-algoritmi.pdf.
[10] Esemplare il Contratto collettivo nazionale concluso da Assodelivery e Ugl del 15 settembre 2020, dove si dice fra l’altro che «nell’ambito del rapporto è escluso l’assoggettamento del rider al potere gerarchico e disciplinare dalla Piattaforma, in quanto risulta assente qualsivoglia vincolo di subordinazione»: www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2020/09/CCNL-Rider-09_09_2020-def.docx.pdf.
[11] Art. 2 Decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 così come modificato dal Decreto legge 3 settembre 2019 n. 101, convertito con modificazioni dalla Legge 2 novembre 2019 n. 128.
[12] Corte di Cassazione 24 gennaio 2020 n. 1663. Anche Tribunale di Palermo 24 novembre 2020 n. 3570.
[13] Cfr. il comunicato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano del 24 febbraio 2021, www.lavorodirittieuropa.it/images/Il_comunicato_della_Procura_della_Repubblica_di_Milano.pdf.
[14] S. Bellucci, E-Work. Lavoro, rete, innovazione, Roma, 2005.
[15] F. Böhm, Das wirtschaftliche Mitbestimmungsrecht der Arbeiter im Betrieb, in Ordo, 1951, p. 242.
[16] Art. 51 Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi).
[17] W. Chiaromonte, M.L. Vallauri, Trasformazione dello Stato sociale, in Id. (a cura di), Modelli ed esperienze di welfare aziendale, Torino, 2018, p. 34.
[18] U. Romagnoli, Quel diritto che dal lavoro prende il nome, in A. Somma (a cura di), Lavoro alla spina welfare à la carte. Lavoro e Stato sociale ai tempi della