Nero Caravaggio
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Geniale come Camilleri
Le indagini del libraio Ettore Misericordia
Ettore Misericordia è il proprietario di una storica libreria di Roma. Autodidatta coltissimo, conosce tutti i segreti della città eterna. È anche un grande appassionato di gialli e un detective dilettante dal formidabile intuito, tanto che l’ispettore Ceratti se ne avvale spesso per i casi sui quali indaga. Perciò non esita a informarlo quando nella basilica di Sant’Agostino, proprio accanto a Piazza Navona, viene ritrovato un cadavere davanti a uno dei capolavori del Caravaggio, la Madonna dei Pellegrini. Si tratta di Paolo Moretti, pugnalato alle spalle con uno strumento per incisioni. Misericordia non perde un attimo e si reca sul luogo del crimine insieme al suo amico-collaboratore “Fango”. Ma il caso non è di facile soluzione perché le prove per un’accusa non ci sono. Almeno fino a quando la moderna coppia Holmes-Watson non scoprirà inquietanti particolari che legano i protagonisti della vicenda al Caravaggio. Nella vita del tormentato genio del Seicento si nasconde forse la chiave per far luce sul delitto?
Un misterioso delitto si consuma davanti a un’opera del pittore maledetto
L’arte può diventare una passione pericolosa…
Finalmente anche Roma ha il suo Sherlock Holmes
«Un giallo con una serie di personaggi tratteggiati e caratterizzati molto bene, una trama che regge, un colpevole e anche alcuni intermezzi comici. E non è cosa da poco.»
Thriller Pages Magazine
«Ti viene voglia di andare subito a vedere i luoghi della storia, dagli splendori delle chiese barocche all’architettura metafisica dell’Eur, da Trastevere a San Lorenzo.»
«Appassionati, ironici e con uno stile diretto, sintetico e completo, mi ricordano i romanzi di Georges Simenon e le storie del suo burbero ispettore Maigret.»
Max e Francesco Morini
Fratelli, autori teatrali e televisivi, dirigono da dieci anni l’Accademia del Comico di Roma. Nero Caravaggio nasce dalla volontà di unire il gusto per la leggerezza e la scrittura brillante con due grandi passioni: quella per i romanzi polizieschi e quella per la loro città, Roma.
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Anteprima del libro
Nero Caravaggio - Francesco Morini
1. L’asso nella manica
Non potevo crederci, avevo vinto.
Oddio, magari non proprio vinto, ero arrivato terzo.
Ma sempre podio è.
Mentre salivo sul palco per ricevere il premio era scattato l’applauso della platea. Misericordia era seduto in fondo alla sala, si alzò in piedi.
Applaudiva e sorrideva, e questa per me era un’altra vittoria: non era facile vedere un sorriso su quel volto e se compariva era ironico, o peggio sarcastico, comunque sempre tagliente (voi non lo conoscete, non è cattivo, è solo un po’ misantropo, il suo problema è che prima ancora di vedere le persone, vede le loro debolezze).
Questa volta invece era diverso, quando scesi dal palco mi venne incontro e mi abbracciò. «Bravo Fango!».
Fango
è il mio soprannome, tutti mi chiamano così dai tempi del liceo.
Intendiamoci, niente a che vedere con il blues, Muddy Waters e il Mississippi; diciamo invece che è una metafora di un look settantasettino leggermente improvvisato e non proprio pulitissimo, per usare un eufemismo.
Che volete farci, per fare la Rivoluzione bisogna essere sporchi e trasandati, non si può farla in giacca e cravatta.
Quindi inutile che mi chiediate il mio vero nome, nessuno mi chiama più così, gli unici sarebbero i miei genitori se fossero ancora vivi. O forse i miei compagni di scuola… Misericordia continuò: «E ti dirò di più, avresti meritato il primo premio! Solo a quattro pagine dalla fine del racconto, ho capito chi è l’assassino… Devo ammettere che sei riuscito a depistare anche me!».
E così adesso sapete che avevo partecipato ad un concorso per giallisti.
Il Capo mentre parlava mi cingeva le spalle col suo braccio lungo e magro e questo mi faceva ancora più piacere perché eravamo passati dal possibile, cioè un sorriso benevolo, all’impossibile, addirittura un contatto fisico.
Il Capo, sì.
Lo chiamavo così.
Lavoravo da ormai più di dieci anni nella sua libreria a via di San Giovanni Decollato a Roma, una viuzza stretta e poco frequentata tra i rioni Campitelli e Ripa, nella zona del Velabro. E se non sapete cos’è il Velabro, allora non sapete proprio niente di Roma: è la zona, per intenderci, fra il Palatino, l’ Aventino e il Campidoglio, tre dei famosi sette colli, dove la città è nata e si è sviluppata adagiandosi sulla riva del Tevere e sfruttandolo come via commerciale.
Qui la leggenda vuole che dai Colli Albani arrivassero in una cesta due frugoletti di nome Romolo e Remo; lo zio Amulio infatti voleva dormire sonni tranquilli e aveva dato ordine di eliminare tutta la genia del fratello Numitore, a cui aveva usurpato il trono di Albalonga.
Ma non aveva fatto i conti con i suoi servitori che risparmiarono i gemelli dalla morte e li affidarono alla pietà del Tevere: il fiume a valle aveva straripato e la cesta si arenò proprio nel terreno paludoso del Velabro.
Dopodiché la famosa Lupa fece il resto, li trovò sotto un fico, li allattò e diede inizio a tutta la storia (e se non credete che una lupa possa allattare due bambini fate bene, probabilmente si trattava di una prostituta).
Tutto ciò per dirvi che è un’area antichissima, piena di tesori archeologici e artistici, ma nonostante questo neanche troppo battuta dai turisti, a parte l’assalto alla famosa, inevitabile, Bocca della Verità.
E qui mi viene da ridere, se solo sapessero che era un tombino della Cloaca Maxima sono sicuro che per la delusione non farebbero più la fila.
Io invece vi consiglio di andare a Santa Maria della Consolazione, sull’omonima piazza. Ricordate il film di Scola C’eravamo tanto amati? Il Re della Mezza Porzione, la trattoria dove Gassmann, Manfredi e Satta Flores vanno a mangiare era lì. La chiesa, nonostante la facciata imponente, dall’esterno vi sembrerà un po’ tristarella, così solitaria e abbandonata a se stessa, ma se entrate i dipinti manieristi di Taddeo Zuccari e Livio Agresti vi ripagheranno della visita.
Ettore Misericordia, conosciuto da tutti come Misericordia
, aveva ereditato l’attività dal padre Aldo, ovvero il Sor Aldo, romano doc da sette generazioni come vuole la tradizione, che aveva gestito il negozio dal dopoguerra finché era rimasto in vita.
Poi era toccato a Ettore.
La libreria ormai era diventata una specie di monumento cittadino, avvolta da un’aura quasi mitologica.
Perché, direte voi? Perché era l’unica libreria della capitale specializzata in tutto ciò che riguarda Roma: storia antica e moderna, miti, leggende e curiosità, rioni e quartieri, urbanistica e architettura, arte, fotografia, teatro, cinema, canzoni…
Insomma, tutto ma proprio tutto.
Era una pacchia per i turisti e anche per i romani, ovviamente, almeno quelli che non vogliono fermarsi al Cuppolone e al Colosseo, a Fontana di Trevi, Trinità dei Monti o piazza Navona.
Che sono sempre pochi: i romani, anche quelli da sette generazioni
, stravedono per la loro città ma poi provate a chiedergli chi è l’autore del colonnato di piazza San Pietro e non sapranno rispondervi (e voi lo sapete? Vi do un aiutino: è Be…).
Ma devo essere sincero, i bei tempi se ne erano andati e ormai sopravvivevamo, grazie anche alla nicchia, come si dice oggi, di pubblico interessato. E quel sentimento di sopravvivenza orgogliosa lo leggevo tutti i giorni sul viso del Capo, che mai e poi mai avrebbe accettato di chiudere la baracca.
Ettore aveva quarant’anni, era magro, con un naso prepotente a farla da protagonista su un viso perennemente pallido, quel classico pallore di chi sta sempre chino sui libri e preferisce la luce di una lampada per leggere o studiare a quella del sole.
Ma lui ci scherzava.
«Quel pallore da intellettuale tormentato piace alle donne, Fango… È al pallore che devo il mio successo!».
Era vero, le donne subivano il suo fascino e gli cadevano ai piedi, ma non solo per quell’aria vissuta.
Gli occhi scuri erano belli, acuti, penetranti, i capelli arruffati biondo cenere e a completare il quadro i basettoni lunghi e altrettanto arruffati; alto e dinoccolato, Misericordia somigliava a uno chansonnier francese un po’ maudit.
E poi era un pozzo di scienza: anche se non si era mai laureato, la sua cultura da autodidatta irrequieto ed enciclopedico era sconfinata, con una passione smisurata per la letteratura.
Dalla quale era arrivato a una passione ancora più grande: i libri cosiddetti gialli.
Proprio così, i romanzi polizieschi.
Aveva letto tutti i grandi classici, da Conan Doyle, Chesterton e Agatha Christie a Ellery Queen, Rex Stout e Simenon, passando per Woolrich e Van Dine, fino agli italiani, Camilleri e Scerbanenco, che adorava. E poi l’hard-boiled, Hammett, Chandler, Spillane e le sue declinazioni noir-thriller più recenti.
Lo so che sembra incredibile, ma si ricordava tutto, tutte le trame, tutti gli intrighi, tutti i colpevoli. Poi seguiva il mercato e i nuovi autori (ma non chiedetegli dei noir scandinavi o dei thriller storici, non li sopporta) per questo l’avevo conosciuto molti anni prima a un concorso per esordienti, lui era tra il pubblico: nonostante il mio Delitto tra le righe si fosse classificato ultimo su dieci finalisti lo apprezzò molto, incoraggiandomi a continuare.
Così io e Misericordia legammo subito, grazie alla passione per la giallistica e a un’altra grande passione: Roma.
Per tutti e due il legame con la città era forte, ma per lui era viscerale, profondo.
Figlio di un romano de Roma, era nato nel centro storico e ne aveva assaporato fin da bambino l’atmosfera magica e la grande bellezza
, crescendo praticamente nella libreria del padre. Ettore respirava Roma da sempre, ci viveva in simbiosi e la conosceva come nessun altro.
Era un’autorità assoluta in materia.
Quando lo conobbi, pensavo di sapere molto sulla Città Eterna, ma mi sbagliavo: Misericordia era la chiave per accedere a files riservati a pochi eletti.
Considerato il grande guru dai Romanisti (cioè gli appassionati e gli studiosi di Roma, non confondeteli con i tifosi della Maggica, per carità), spesso corteggiato da giornalisti e media, Ettore però non amava dispensare le sue verità a tutti.
In questo non era Narciso per niente.
Per lui Roma era come un’amante di cui conosceva ogni pensiero, ogni segreto, ogni piega del corpo; se proprio doveva condividerla con qualcuno lo faceva solo con chi, secondo lui, lo meritava.
Ed io a quanto pare ero tra questi pochi fortunati.
Ricapitolando: eravamo coetanei, entrambi romani innamorati della Città Eterna e appassionati di romanzi polizieschi. Nacque subito un’amicizia fraterna, tanto che mi propose di andare a lavorare con lui in libreria.
Figuriamoci, per me andava non bene, ma benissimo, spesso ero impegnato con le mie velleità letterarie ma non avevo mai avuto un lavoro fisso vero e proprio, cominciavo ad essere un ometto ormai, forse era arrivato il momento di darsi una mossa.
Avevo navigato a vista per tanti anni, la Libreria Misericordia era un porto sicuro dove attraccare, finalmente.
E che porto: lì dentro, ogni giorno, avevo a disposizione Roma.
Vi sembra poco? A me no.
Uscimmo dalla sala di via Nazionale dove si era svolta la premiazione che si era fatto scuro, erano all’incirca le 18.30 di un pomeriggio di fine novembre, domenica 29 novembre per la precisione. Per strada ci trovammo immersi nel caos: aveva piovuto abbondantemente e a causa dell’allagamento e della chiusura di alcune stazioni della metro gli autobus (o meglio gli auti, come dicono i romani, come se fossero un antico popolo italico: i Volsci, i Sanniti, gli Equi, i Marsi, gli Auti…) erano strapieni, una folla di persone inferocite si ammassava alle fermate.
Metteteci in più il traffico esagerato dalla pioggia e capirete perché se amate Roma spesso arrivate altrettanto facilmente ad odiarla. D’altra parte «Odi et amo» diceva Catullo, che di Roma, romani e romane, vedi Lesbia, se ne intendeva.
Squillò il cellulare di Misericordia.
«Ispettore, come va?».
Rispose sulla scia del buonumore, innescato dal mio terzo posto, ma sapevo che l’espressione del suo viso sarebbe immediatamente cambiata.
E, infatti, cambiò.
«Ah… Dove? Noi siamo a via Nazionale; va bene, veniamo subito…».
Dall’altra parte del cellulare c’era l’ispettore Ceratti della Squadra Omicidi: sessant’anni, un cristone di un metro e novanta e passa, occhi azzurro ghiaccio, temperamento collerico, toni e modi secchi e sbrigativi, se voleva poteva farti veramente paura. Ma non a noi perché sapevamo che sotto la scorza dura c’era un animo sensibile, romantico, quasi ottocentesco. Come i suoi baffi vagamente asburgici. E poi ci piaceva l’ispettore perché era