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Furono solo margherite
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E-book72 pagine54 minuti

Furono solo margherite

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Info su questo ebook

All'età di settantatré anni, Edith, decide di ripercorrere, attraverso i ricordi, tutta la sua esistenza trascorsa in paese, la breve esperienza a santo domingo e infine il ritorno alla terra natale. Il suo è un viaggio avventuroso alla scoperta dei sentimenti e di un amore che matura la sua consapevolezza negli anni. Una storia di altri tempi, ricca di antiche tradizioni e forza: questa è la storia di Edith.
LinguaItaliano
Data di uscita23 dic 2019
ISBN9788827868461
Furono solo margherite

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    Anteprima del libro

    Furono solo margherite - Vincenza Riccio

    destino.

    Ogni mattina, da quando avevo diciannove anni, la prima cosa che faccio è guardare la mia mano destra: l'ho vista cambiare negli anni, ho visto cambiare la pelle, le dita e le unghie. Sono sempre stata un po' bizzarra e lo sono ancora. Ho un bel nome, ma per caso. Sono nata il 15 settembre del 1941, primogenita di una famiglia che tirava avanti con ciò che riusciva a produrre nei campi. Suppongo che mia madre volesse sentirsi fuori dagli schemi (effettivamente in confronto alla mentalità di quegli anni lo fu) e decise di non tramandare alla sua bambina il nome della nonna: comunicò a tutti che alla mia nascita, avrebbe dato uno sguardo al calendario e scelto il nome. Il calendario festeggiava la Madonna Addolorata. Fortuna volle che quel giorno, accanto a mia madre c'era mia zia e la convinse del fatto che Addolorata non fosse proprio il nome adatto ad una bimba.

    La zia lesse il nome riportato alla pagina seguente : Edith.

    Infatti, mi chiamo Edith, ho settantatré anni e una storia da raccontarvi. Una storia normale, la storia che potrebbe essere di tante o poche donne, una storia senza grandi colpi di scena e misteri, in questo caso, la mia.

    Dopo il mio primo anno di vita, mio padre partì per servire l'Italia nella Guerra Mondiale e a casa restammo io e mia madre che mi cresceva con autorevolezza e dolore nel cuore per non potermi dare giochi e leccornie e per non potermi dedicare tutto il suo tempo dato che lavorava tanto per potermi saziare. Ricordo l'odore della farina mescolata all'acqua calda, le mani di mia madre, delle mani importanti, rovinate dai lavori nei campi, ma dolci. Ricordo il sapore che aveva quella pasta sulle sue gambe che tremavano, anche vicino al camino. Era bella mia madre, ma non come le bellezze plastiche di oggi. Lei non aveva acqua di rosa sui vestiti, il suo era odore di madre, di donna, odore di sapone fatto in casa. Aveva i capelli ricci, sempre costretti in molteplici forcine, aveva gli occhi grandi pieni di ansia, aveva degli abbracci morbidi. Si chiamava Rosina, la mia mamma. Mio padre ebbe una licenza di tre giorni, quando io avevo quasi tre anni e di quell'avvenimento ricordo solo un'enorme busta piena di stoffe a fiori, con cui mia madre mi cucì dei deliziosi vestiti e con i pezzettini rimanenti creò un grembiule da cucina per sè stessa. Tre mesi dopo la visita di papà, mamma mi disse che spesso avrei dovuto aiutarla come una ragazza grande, dal momento che a mesi sarebbe arrivata una sorellina. La nascita di mia sorella Lucrezia mi rese piena di felicità, era il mio più grande regalo; una bambina da accudire, vestire, coccolare e far mangiare. Non avevo mai avuto una bambola e le bambine del paese si divertivano parecchio, finalmente sarebbe arrivato il mio turno. Ahimè, non andò esattamente così, forse perché avevo quasi quattro anni, forse perché mamma lavorava il doppio e papà le mancava il triplo: alla mia tenera età mi ritrovai a dovermi prendere cura di mia sorella.

    Quando avevo sei anni, il maestro della scuola popolare venne a bussare alla mia porta. Io ero accovacciata vicino al camino mentre cullavo Lucrezia che aveva fame e non voleva saperne di dormire e il maestro discuteva animatamente con mia madre; dopo un quarto d'ora andò via. Mia madre mi guardò con la fronte aggrottata, mi sembrò quasi arrabbiata e mi disse che dal giorno seguente sarei dovuta andare a scuola; a udire questa notizia mi sentii felice, libera, normale. Io a scuola volevo andarci, avevo voglia di giocare con i miei amici e di imparare a leggere. E così fu, frequentai la scuola popolare per due mesi.

    Il maestro era molto comprensivo, mi permetteva di portare con me Lucrezia e tra una cullata e una tabellina, imparai anche a leggere e a fare le operazioni. Ahimè, quattro anni di scuola mi resero più grande e resero più pesante il lavoro di mia madre e il tempo per lo studio non c'era più. Ho un ricordo dell'ultimo giorno di scuola però: frequentava la mia stessa classe Carolina, una ragazzina viziata che portava sempre due trecce ben fatte. Un pomeriggio suo padre arrivò a casa mia accusandomi davanti a mia madre di averle tirato le trecce; l'uomo andò via soddisfatto e mia madre non volle sentire ragioni, mi disse di mettermi sulle sue gambe e mi diede tre pacche sul sedere. Non mi fece male,

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