Il Bancarietto
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Anteprima del libro
Il Bancarietto - Edoardo Torre
Marco
Premessa
Sono indeciso, fortemente, se continuare a scribacchiare su questi fogli con l’intenzione di rievocare le antiche vicissitudini della mia vita, non perché sia convinto che possano interessare a qualcuno anzi, sono certo del contrario, e cioè che non importino proprio a nessuno, ma farlo per dimostrare, soprattutto a me stesso (malgrado l’età che non oso neppure denunciare) e un devastante ictus di qualche anno fa, che nonostante tutto, ancora esisto.
La mia è un’assurda pretesa o una forsennata necessità? Decidete voi.
Comunque, sono persuaso che la memoria del passato è all’origine di ogni racconto e di tanti episodi della nostra esistenza, a capo di un tempo ormai lontano e che ora vengono inesorabilmente ingoiati da quella "scarabattola" che tutti hanno fra le mani.
Se capito in mezzo alla gente sento uscire, dalle tasche degli uomini o dalle borsette delle donne, dei suoni e iniziano a parlare, senza alcun ritegno delle loro stramberie, lasciandomi perplesso. Quindi penso di essere fuori tempo: sono stato sorpassato da quella stregoneria che tutti stringono fra le mani e fissano di continuo. Un astuccio minuscolo, quasi insignificante, ma dalle facoltà immense. Una magica "lampada" che, come quella di Aladino, basta strofinare delicatamente per veder comparire davanti ai tuoi occhi esterrefatti, non il vivace spiritello della favola, ma il mondo, il mondo intero.
In queste pagine parleremo di un altro "genio", anch’esso capace di soddisfare, da sempre, i desideri della gente e a condizionare la loro vita. Parleremo del denaro e di quelle strutture dove viene conservato, cioè le banche.
Parleremo di un giovane sempliciotto che, per sua natura, inseguiva bizzarre fantasie e aveva la testa fra le nuvole, cercando di imprimere i sui sogni sulle tele con l’ausilio dei colori.
Quel giovane che, per comodità, chiameremo Edo era la disperazione della mamma perché non chiudeva mai le porte e lasciava i cassetti semi aperti. Non sopportava gli ambienti chiusi e aveva il terrore per le chiavi, i lucchetti e, soprattutto, avversava i numeri e le operazioni ad essi riferibili, non perché avesse difficoltà a comprenderli ma per la ragione che lo costringevano ad imbrigliare e a frenare la sua mente agitata, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti.
Le parole crociate o i rebus poi, un vero tormento.
Le sue pene iniziarono con le scuole superiori: la mamma (il papà era ancora in India, prigioniero) chiese a chi le sembrava ben informato a quale liceo dovesse iscrivere il figlio.
«Ha qualche attitudine?» chiese il bene informato.
«Si, gli piace disegnare.»
«Allora il liceo scientifico fa per lui.» Omettendo di aggiungere, il bene informato, che nel programma settimanale della scuola erano previste quattro ore di matematica.
Cinque anni nei quali Edo, oppresso da algoritmi di ogni genere, si arrabattò soffrendo terribilmente ma, alla fine, riuscì a prendere il diploma della maturità.
Poi venne la visita di leva, presso il Distretto Militare di Genova, dove fu radunato insieme ai coetanei in una grande sala, davanti ad un banco con dei fogli sui quali erano riportate semplici operazioni di calcolo matematico che dovevano essere risolte e completate; esempio: 9+9=…, 7-4=…, 10:2=…, e via dicendo.
Ad un suono convenuto i futuri soldati, posti dietro ai banchi e con la matita fra le dita, dovevano risolvere i conteggi, mentre un megafono diffondeva nell’aria un’infinità di numeri: 72, 34, 18, ….
Un sistema per valutare la capacità di ognuno: era la visita attitudinale. Il suo scopo quello di orientare le future reclute secondo le diverse specialità dell’Esercito.
Orbene, Edo, frastornato, fu uno degli ultimi a consegnare il foglio compilato, per cui fu assegnato alla Cavalleria, ma temo che se nel nostro Esercito ci fosse stata una specialità che si avvaleva di asini, anziché cavalli, avrebbe avuto ben altra destinazione
Comunque, in qualche modo Edo riuscì a concludere gli studi liceali ma, subito dopo, lo attendeva il servizio militare che, i giovani di quel tempo, erano tenuti a fare.
Entrò quindi all’Accademia Militare di Modena che dopo due anni lo spedì alla Scuola di Applicazione di Torino, dalla quale uscì con tutte le carte in regola per intraprendere la vita militare con l’approvazione di Marte, dio della guerra, di cui era diventato un discepolo molto promettente.
Fu così che fu mandato a svolgere il servizio in quella città, sede di un poderoso apparato militare, ai piedi delle montagne e con una cattedrale il cui campanile appuntito sembra punzecchiare il sedere delle nuvole, se queste potessero averlo. E qui il nostro bellicoso guerriero ebbe la ventura di incontrare una splendida ragazza, e di innamorarsene. Infatti, il dio dell’amore Cupido, aveva impugnato il suo arco e scoccato la freccia ammaliatrice che trapassò il cuore di Edo.
Questi, colmo di ardore, diede l’avvio a tutte le pratiche necessarie per impalmare la sua fanciulla, ad iniziare dall’approvazione dei superiori ma soprattutto dell’autorizzazione, niente meno, del Presidente della Repubblica. Ma lassù, oltre l’azzurro del cielo, Marte non venne avvertito che un suo devoto suddito lo stava abbandonando, cedendo alle soavi lusinghe del suo piccolo e scaltro collega.
Quando lo venne a sapere decise di vendicarsi dando la sveglia ai suoi gallonati valletti, comodamente seduti sugli scranni di Roma, per opporsi ai palpiti bramosi del suo infedele servitore.
I gallonati si diedero subito da fare per bloccare gli sponsali del fedifrago, trasferendolo lontano. Idearono uno stratagemma: se il 15 Settembre è la data concordata per le nozze, ebbene Edo, quello stesso giorno, dovrà trovarsi in un altro luogo, pensando di aver risolto la situazione.
Ma Cupido, nella competizione, riuscì a spuntarla, mandando all’aria tutte le manovre del suo gagliardo collega. Infatti, suggerì al padre della futura sposa il proposito di far assumere nella banca, dove stava lavorando da oltre cinquant’anni, il futuro genero. E fu così che, il 15 Settembre di quell’anno, i due fidanzati si sposarono: Sandra nel suo abito bianco bellissima e, in divisa Edo pur essendo, di fatto, già assunto in banca, tra l’esultanza dei suoi soldati, fuori dalla chiesa, venuti a porgere l’ultimo saluto al loro comandante.
Marte, con fragorosi tuoni, la sulle montagne, si sentì brontolare.
Per concludere, Edo appese al chiodo la divisa e la sciarpa azzurra per indossare una nuova pelle e digerire, alla svelta, una parlata strana infarcita di frasi e sigle incomprensibili.
Assecondare, poi, il procedere dei giorni esattamente identici e di un grigiore senza pari che, con il proseguo del tempo, avrebbe fatto esclamare, certamente, ai nostri avveduti nipoti: «ma che palle!»
Edo ora si sentiva come imbottigliato in un mondo diverso, alieno, e guardandosi allo specchio, se è vero che gli occhi sono l’immagine dell’anima, la sua appariva seriamente compromessa.
Infine, concluse, che quella figura riflessa non aveva neanche l’aspetto di un impiegato di banca, ma di un esangue simulacro molto più modesto, come se avesse indosso la triste maschera di un bancario piccolo piccolo: un bancarietto, appunto.
Introduzione
In poche parole Edo, all’improvviso, si era dovuto togliere di dosso il vistoso piumaggio
della divisa e indossare comuni abiti civili, assumendo l’aspetto di quel gallo spennacchiato a cui, nel giorno precedente la festa, si tirava il collo. Il mondo che aveva frequentato per molti anni, all’istante, si era completamente capovolto.
Ora apparteneva alla grande schiera: quella dei normali nell’universo dei normali che si alzano tutti alla mattina, alla stessa ora e così, ogni sera, vanno a dormire, che fanno le medesime cose tutti i giorni, nello stesso momento, che si vestono in modo adeguato secondo le previsioni del meteo e, se il cielo volge al brutto, prendono subito l’ombrello, e usano esclusivamente prodotti pubblicizzati e guardano, alla sera, la televisione e, se appassionati di calcio, trepidano per la squadra del cuore.
Ah, dimenticavo, fare all’amore il sabato o alla vigilia della festa perché il giorno dopo si ha tutto il tempo per riposare e recuperare le energie.
Era diventato un ordinato nella brigata di ardenti ordinati, passato da una struttura (quella militare) dove l’approssimazione era frequente, a quella della banca dove vigeva l’ermetismo più assoluto.
In pochissimo tempo aveva dovuto assumere l’apparenza dell’attore, costretto dal copione, ad interpretare una parte a lui non congeniale. E infine transitare dalla guida spericolata di un carro armato, alla composta regola di una macchina da scrivere.
Ora, prima di iniziare la narrazione, permettetemi di confidarvi le debolezze
di Edo (di altre conviene sorvolare). La prima riguarda la sconfinata invidia verso coloro che nati in un paese (bello o brutto che sia) hanno trascorso la vita all’ombra dell’identico campanile (per inciso, quello di Edo si trova nel bel mezzo del Golfo del Tigullio). Sono stati vicino ai loro genitori, si sono fatti una famiglia, hanno avuto figli, ecc., ecc., sempre nello stesso luogo o nelle immediate vicinanze.
La seconda riguarda quelli che sono riusciti a realizzare con profitto le proprie aspirazioni: medici, ingegneri, avvocati, ecc., ecc., comprendendo anche le occupazioni più umili ma fortemente indispensabili. E poi, lasciatemelo dire, una particolare nostalgia per quelli che hanno scelto l’arduo percorso dell’arte trovandosi nelle condizioni, favorevoli o meno, per dar libero sfogo alla loro passione: pittori, scultori, musicisti e via dicendo.
In conclusione per Edo, i suddetti struggimenti
, nell’arco dell’intera vita, sono andati tutti disattesi, assumendo l’immagine di un vago miraggio.
3 - La banca
Dopo oltre tre mesi, alla fine, arrivò dal Ministero della Difesa il definitivo foglio di congedo, in base al quale Edo poteva considerarsi un cittadino qualsiasi.
Ben si sa che quando c’è di mezzo la burocrazia, quella romana in particolare, le cose soprattutto semplici diventano enormemente complesse, come quella che per ottenere il rimborso dei contributi versati per girarli sul sito previdenziale, dovette inoltrare una successiva richiesta al Ministero. Poi del T.F.R. (ovvero trattamento di fine rapporto), dopo dieci anni al servizio del Paese, nemmeno una lira, una pura fantasia.
Comunque quel giorno Edo, ormai libero, varcò la soglia dell’austero palazzo, sede della prestigiosa Banca Padana. Lo accolse il sobrio portinaio che uscì dalla sua guardiola per esaminare con attenzione il nuovo venuto e, dopo averlo guardato per bene, gli diede tutte le informazioni per accedere al cospetto dell’eminente capo del personale: «Prenda lo scalone, quello di fronte, che la porterà al primo piano. Li troverà un commesso che la condurrà da lui.»
Edo salì, a dire il vero con una certa soggezione, nel fastoso ambiente adornato da splendidi quadri in cui riconobbe l’arte di celebri pittori del primo novecento. Al piano fu accolto da un giovane prestante che, con evidente supponenza domandò: «Cosa desidera?» e subito dopo, «attenda qui, vedo se il Signor P la può ricevere».
Edo rimase in paziente attesa e si guardò attorno. Notò che c’era un frettoloso via vai di ragazze che uscivano, bussavano, entravano disinvolte nei locali dalle grandi porte e che avevano in comune un particolare: indossavano tutte un verecondo grembiulone azzurro scuro che annullava qualsiasi forma: peccato
, pensò Edo, alcune sono davvero belle
.
Sembrava che dovessero inseguire chissà quali occulte incombenze, a giudicare dal loro viso eretto e rigorosamente compunto.
Dopo quel curioso andirivieni, Edo venne ammesso al cospetto di un tizio corpulento che, però, ostentava il piglio delle persone importanti: era il capo del personale. Alto e massiccio, con un paio di orecchie dal padiglione molto sviluppato, in breve a sventola, che facevano da cornice a una faccia tonda e, a dir poco, ordinaria che gli ricordò quella del salumiere del negozio di fronte a casa.
In qualità di nuovo arrivato, Edo si presentò rispettoso, al che l’autorevole salumiere
, dopo un rapido esame, bofonchiò: «Lei, dunque, sarebbe il