Canti
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Info su questo ebook
I temi sono la giovinezza e l’amore che sono l’unico bene della vita. E poi il disinganno, la fine delle illusioni, l’incanto della natura.
Non c’è forse poeta occidentale che ha amato più appassionatamente la natura nelle sue espressioni più ridenti. Eppure una mente lucida come poche vedeva, dietro le manifestazioni di bellezza, la fine, la decomposizione incombente, la morte di tutto. “L’infinita vanità del tutto” dice la sua più sconsolata poesia.
Leopardi è il poeta della giovinezza, della notte e del ritorno. Sempre in fuga da Recanati e sempre desideroso di tornarci. Sempre legato ai suoi sogni giovanili e sempre più consapevole che non erano altro che favole. Ma… le favole ci fanno vivere.
Giacomo Leopardi
Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi (June 29, 1798 – June 14, 1837) was an Italian poet, philosopher, essayist and philologist. He is widely acknowledged to be one of the most radical and challenging thinkers of the 19th century
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Anteprima del libro
Canti - Giacomo Leopardi
www.latorre-editore.it
INTRODUZIONE
L'INFINITO DI LEOPARDI
Vediamo se riusciamo, analizzando a fondo la poesia più famosa di Leopardi, a capire che cosa vuol dire testo altamente formalizzato e quindi ipersignificante.
(Se, caro lettore, ti infastidisce l’eccesso di analisi dell’opera d’arte e consideri una vivisezione andare a cercare le strutture materiali su cui l’opera si regge, salta pure questo capitolo. Se invece pensi, come me, che amore e conoscenza vanno insieme, prosegui.)
L’infinito di Leopardi è unanimemente considerato un capolavoro della letteratura italiana. Tutti ne apprezzano l’atmosfera sognante, il senso di quiete e di contemplazione, di infinito appunto. Tutto questo è il risultato delle cose dette da Leopardi in questa poesia? Voglio dire, sono i contenuti in sé che trasmettono queste sensazioni? O la forma che il poeta ha dato a questi contenuti fa la sua parte? Non è una domanda inutile. Chi vuole imparare a dire bene, deve porsi il problema se sia solo questione di significati al loro stato elementare o se la questione riguardi il modo, la forma che questi significati assumono. Chi ha ben compreso ciò che in questo libro si è detto fino a qui, non avrà dubbi. Ma confermiamo con una analisi precisa.
Consideriamo i primi versi:
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Proviamo ora a cambiare la disposizione delle parole:
Quest’ermo colle mi fu sempre caro,
e questa siepe, che esclude il guardo
da tanta parte dell'ultimo orizzonte.
I concetti sono gli stessi e anche le singole parole, una per una, sono le stesse, ma la poesia non più è la stessa. Perché?
Intanto prima avevamo tre endecasillabi, ora invece ci ritroviamo con un endecasillabo, un decasillabo (o un endecasillabo se si fa dialefe tra che e esclude) e un dodecasillabo. Si è persa l’armonia, questi versi sembrano adesso sghembi, disarmonici. Inoltre in Leopardi la disposizione degli accenti metrici è:
Sempre càro mi fù quest'érmo còlle,
_ _ 3 _ _ 6 _ 8 _ 10
e quésta sièpe, che da tànta pàrte
_ 2 _ 4 _ (6) _ 8 _ 10
dell'ùltimo orizzónte il guàrdo esclùde.
_ 2 _ (4) _ 6 _ 8 _ 10
nella parafrasi:
Quest’ermo colle mi fu sempre caro,
_ 2 _ 4 _ _ _ 8 _ 10
e questa siepe, che esclude il guardo
_ 2 _ 4 _ _ 7 _ 9
da tanta parte dell'ultimo orizzonte.
_ 2 _ 4 _ _ 7 _ _ _ 11
Le diversità sono importanti. Si è perso intanto l'attacco anapestico _ _ ' (debole-debole-forte) che dà al primo verso una cadenza ampia e ariosa. Si consideri poi che nell’originale il primo accento metrico cade proprio sulla a di caro, che ha suono aperto e chiaro:
Sempre càro mi fu quest'ermo colle
mentre nella parafrasi cade sulla é di ermo, che ha suono chiuso:
Quest'érmo colle mi fu sempre caro
Nella poesia la ricchezza di significato è anche funzione del ritmo e del suono: la parola caro, la cui tonica è in posizione privilegiata (primo verso, primo accento metrico) ha un valore semantico maggiore che se fosse in altra posizione. La parafrasi conserva il piano denotativo, ma stravolge quello connotativo, modificando nettamente il messaggio complessivo. Spostando quella parola, insomma, quel colle risulta meno caro, e lo stesso discorso vale per il resto. Inoltre, mettendo in ordine sintattico regolare le parole (soggetto-verbo-complementi) si ottiene un andamento conoscitivo ovvio. Il pensiero non è stimolato alla conoscenza, non c’è più il senso di attesa, di scoperta e di novità, generato dalla disposizione insolita, imprevedibile delle parole. Per usare i termini di Hjelmslev, il linguista già citato, non è cambiata la materia, ma è cambiato, insieme alla forma, il contenuto. Continuando nella parafrasi, otterremmo la perdita completa della bellezza della poesia e di conseguenza della sua ricchezza comunicativa. L’ascoltatore farebbe quasi fatica a riconoscerla.
La poesia è il luogo in cui la parola incontra la musica, ne assume i criteri compositivi, si fa essa stessa musica. In questo adattarsi alle esigenze musicali dei versi la parola non diminuisce il proprio potere significante ma lo amplia. Quando si dice che il testo poetico è ipersignificante si intende proprio questo: la bellezza che viene al linguaggio dalla armonia musicale con cui sono disposte le parole, ne magnifica il potere comunicativo, aggiungendo quel qualcosa in più che non è facile da definire e che siamo abituati a chiamare appunto poesia. Facciamo ora una analisi completa di questa mirabile lirica, che ci spieghi il perché della sua musicalità, celebrata da tutti i lettori. Lo schema metrico è:
V1 Sempre càro mi fù quest'érmo còlle,
_ _ 3 _ _ 6 _ 8 _ 10
V2 e quésta sièpe, che da tànta pàrte
_ 2 _ 4 _ (6) _ 8 _ 10
V3 dell'ùltimo orizzónte il guàrdo esclùde.
_ 2 _ (4) _ 6 _ 8 _ 10
V4 Ma sedèndo e miràndo, interminàti
_ _ 3 _ _ 6 _ _ _ 10
V5 spàzi di là da quélla, e sovrumàni
1 _ _ 4 _ 6 _ _ _ 10
V6 silènzi, e profondìssima quiète
_ 2 _ _ _ 6 _ _ _10
V7 ìo nel pensièr mi fìngo; óve per pòco
1 _ _ 4 _ 6 7 _ _ 10
V8 il còr non si spaùra. E cóme il vènto
_ 2 _ (4) _ 6 _ 8 _ 10
V9 òdo stormìr tra quéste piànte, io quéllo
1 _ _ 4 _ 6 _ 8 _ 10
V10 infinìto s ilènzio a quésta vóce
_ _ 3 _ _ 6 _ 8 _ 10
V11 vò comparàndo: e mi sovvièn l'etèrno,
1 _ _ 4 _ (6) _ 8 _ 10
V12 e le mòrte stagióni, e la presènte
_ _ 3 _ _ 6 _ _ _ 10
V13 e vìva, e il suòn di lèi. Così tra quésta
_ 2 _ 4 _ 6 _ 8 _ 10
V14 immensità s'annéga il pensier mìo:
(1) _ _ 4 _ 6 _ (8) _ 10
V15 e il naufragàr m'è dólce in quésto màre.
(1) _ _ 4 _ 6 _ 8 _ 10
Costanzo Di Girolamo, il metricista che ha studiato a fondo la struttura metrica dell'Infinito (Gli endecasillabi dell’Infinito, Yearbook of Italian Studies 2, 1972), rileva che si tratta di endecasillabi classici, che rispettano, tredici volte su quindici, la combinazione di settenario + quinario (endecasillabo a maiore) o viceversa (quinario + settenario, endecasillabo a minore), con primo emistichio (mezzo verso) tronco o sinalefe. Ma in almeno sei casi si dà una doppia possibilità di lettura metrica: nei versi 5, 7, 9, 13, 14 e 15 la compresenza di accento metrico in 4a e 6a posizione renderebbe teoricamente possibile la dizione del primo emistichio sia come settenario che come quinario, se non ci fosse il senso a guidarci nel collocare la cesura. V5, per esempio, metricamente potrebbe essere letto con cesura dopo la 4a posizione:
V 5 spazi di là | da quella, e sovrumani
avremmo così un endecasillabo a minore (quinario + settenario), ma la sintassi ci dice che la cesura va dopo la 7a posizione:
V 5 spazi di là da quella, | e sovrumani
In un caso però la doppia lettura è possibile anche dal punto di vista del senso:
V 15 E il naufragar | m'è dolce in questo mare.
oppure:
V 15 E il naufragar m'è dolce | in questo mare.
Ponendo la cesura dopo la 4a posizione si dà più rilievo alla parola naufragar; ponendo la cesura dopo la 7a , è la parola dolce che viene sottolineata. In pratica è poi possibile una terza soluzione, con due cesure:
V 15 E il naufragar | m'è dolce | in questo mare.
Considerando che si tratta dell’ultimo verso e che quindi è bene allargare per far sentire che siamo alla fine, e considerando inoltre che si tratta di uno dei versi più belli che siano mai stati scritti, nel quale ogni parola ha un suo peso emotivo, la lettura con due cesure risulta la migliore. Si può addirittura mettere una ulteriore quasi-cesura, un rallentamento nel pronunciare la s di questo in modo che la parola mare arrivi come dopo una estenuazione, in un desiderio finale di nirvana.
Consideriamo ora le prime parti dei versi, quelle più importanti nell'impostazione del ritmo, riprendendo ancora le osservazioni preziose del Di Girolamo, che individua quattro tipi di attacco:
1. Anapestico, con accento metrico in 3a e 6a posizione, che ha ritmo ampio e cadenzato:
V10 infiníto silènzio a questa voce
_ _ 3 _ _6
2. Giambico, con accento metrico su 2a, 4a e 6a posizione, che, alternando posizioni forti con posizioni deboli, ha ritmo vivace:
V13 e víva, e il suòn di lèi. Così tra questa
_ 2 _ 4 _ 6
3. Attacco con accento metrico in 2a e 6a posizione, dal ritmo più pacato:
V3 dell'último orizzónte il guardo esclude.
_ 2 _ _ _ 6
4. Dattilico, con accento metrico su 1a e 4a posizione, dall'andamento narrativo:
V11 vò comparàndo: e mi sovvien l'eterno,
1 _ _ 4
La distribuzione di questi