Il Fanciullino
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Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta e accademico italiano, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento.
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Anteprima del libro
Il Fanciullino - Giovanni Pascoli
XX.
I.
È dentro noi un fanciullino 1 che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell'età giovanile forse così come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell'angolo d'anima d'onde esso risuona. E anche, egli, l'invisibile fanciullo, si perita vicino al giovane più che accanto all'uomo fatto e al vecchio, ché più dissimile a sé vede quello che questi. Il giovane in vero di rado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo; ché ne sdegna la conversazione, come chi si vergogni d'un passato ancor troppo recente. Ma l'uomo riposato ama parlare con lui e udirne il chiacchiericcio e rispondergli a tono e grave; e l'armonia di quelle voci è assai dolce ad ascoltare, come d'un usignuolo che gorgheggi presso un ruscello che mormora.
O presso il vecchio grigio mare. Il mare è affaticato dall'ansia della vita, e si copre di bianche spume, e rantola sulla spiaggia. Ma tra un'ondata e l'altra suonano le note dell'usignuolo ora singultite come un lamento, ora spicciolate come un giubilo, ora punteggiate come una domanda. L'usignuolo è piccolo, e il mare è grande; e l'uno è giovane, e l'altro è vecchio. Vecchio è l'aedo, e giovane la sua ode. Väinämöinen è antico, e nuovo il suo canto 2. Chi può imaginare, se non vecchio l'aedo e il bardo? Vyàsa è invecchiato nella penitenza e sa tutte le cose sacre e profane. Vecchio è Ossian, vecchi molti degli skaldi. L'aedo è l'uomo che ha veduto (oîde) e perciò sa, e anzi talvolta non vede più ; è il veggente (aoidós) che fa apparire il suo canto 3.
Non l'età grave impedisce di udire la vocina del bimbo interiore, anzi invita forse e aiuta, mancando l'altro chiasso intorno, ad ascoltarla nella penombra dell'anima 4. E se gli occhi con cui si mira fuor di noi, non vedono più , ebbene il vecchio vede allora soltanto con quelli occhioni che son dentro di lui, e non ha avanti sé altro che la visione che ebbe da fanciullo e che hanno per solito tutti i fanciulli. E se uno avesse a dipingere Omero, lo dovrebbe figurare vecchio e cieco, condotto per mano da un fanciullino, che parlasse sempre guardando torno torno. Da un fanciullino o da una fanciulla: dal dio o dall'iddia: dal dio che sementò nei precordi di Femio quelle tante canzoni, o dell'iddia cui si rivolge il cieco aedo di Achille e di Odisseo 5.
[1] PLATONE, Fedro, 77 E. E Cebes con un sorriso, Come fossimo spauriti
, disse, o Socrate, prova di persuaderci; o meglio non come spauriti noi, ma forse c'è dentro anche in noi un fanciullino che ha timore di siffatte cose: costui dunque proviamoci di persuadere a non aver paura della morte come di visacci d'orchi.
[2] Che Femio sia vecchio, non si dichiara da Omero con parola espressa, ma indirettamente con l'epiteto periclytós (Odissea, 1, 325) comune all'altro aedo Demodoco (ibidem 8, 521 e al.), e specialmente con ciò che Femio stesso afferma di sé (ibidem 22, 347): Sono maestro a me io, ché un dio piantommi nel cuore
Ogni ragione di canti...
Il che consuona con ciò che di lui dice Penelope (ibidem 1, 337 sg.):
Femio, poi che sai molt'altre malie de le genti,
Opere d'uomini e dei...
E il vecchio Femio con la canzone più nuova o più giovane (ibidem, 351 sg.):
Poi che gli uomini pregiano ed amano più quel canto
che il più nuovo all'intorno de li ascoltanti risuoni.
Quanto a Väinämöinen, ricordo da quel meraviglioso frammento di versione dovuto al mio P. E. Pavolini (Sul limitare, pp. 75 sg.):
L'antico e verace Väinämöinen
[...]
Quindi l'antico Väinämöinen
[...]
quando udirono il nuovo canto,
sentirono il dolce suono.
[3] OMERO, Odissea, 8, 499; phaîne d'aoidén.
Badiamo che io non intendo affermare l'etimo di aeidein da a privativo e vid-