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C'era una volta: La mia lotta contro l'anoressia
C'era una volta: La mia lotta contro l'anoressia
C'era una volta: La mia lotta contro l'anoressia
E-book136 pagine1 ora

C'era una volta: La mia lotta contro l'anoressia

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Info su questo ebook

Silvia si è messa in gioco: in questo libro ci parla di come ha vissuto la malattia, e come l'ha superata. Questo è un libro forte, intenso, di alta emotività, perché l'anoressia mette a rischio la propria stessa vita. In queste pagine troverete la forza e la speranza di combattere per il diritto a vivere, a essere amati, ad affermare la propria volontà ed esistenza, con l'amore e la determinazione. Ci sono pagine buie, c'è la sofferenza, ma c'è anche la bellezza di tornare a respirare, di vedere il sole dentro il proprio cuore.
Un libro per tutti, ma in particolar modo per chi si vuole avvicinare alla questione anoressia con interesse reale, e non con frasi e pensieri precostituiti. Avvicinandosi con curiosità e cuore disponibile, Silvia vi accompagnerà al centro. Sarà un viaggio che non dimenticherete.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2020
ISBN9788893782005
C'era una volta: La mia lotta contro l'anoressia

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    Anteprima del libro

    C'era una volta - Silvia Varisco

    scontato.

    1.

    Ho sempre adorato le favole.

    Ho sempre adorato, sin da bambina, sentire quella voce, all’inizio di ogni fiaba, narrare C’era una volta…

    Ho sempre adorato le belle principesse salvate da affascinanti principi azzurri su maestosi cavalli bianchi.

    Ma erano e sono solo favole.

    La realtà è ben diversa. Questa non è una favola e io non sono una principessa. Soprattutto non c’è nessun principe con la spada e il cavallo bianco che sta correndo a salvarmi da qualcosa o qualcuno. Nella realtà solo tu puoi salvarti.

    L'unica cosa in bianco che ho visto sono stati i medici. Quegli stessi medici che più di una volta, guardandomi, avranno pensato: C’era una volta una ragazza che adesso non c’è più, o meglio, è qui fisicamente, è presente ma vuole solo sparire.

    C’era una volta… Perché sì, le cose improvvisamente possono cambiare. Senza che tu abbia il tempo di rendertene conto, semplicemente cambiano. Come i bruchi, che da piccoli e insignificanti si trasformano in bellissime farfalle.

    ***

    Un po’ farfalla io mi ci sento: piccola e fragile.

    Non dovrebbe essere così. Le persone non si aspettano questo da una ragazza di ventitré anni. Chissà perché, ma è come se ci fosse una legge scritta secondo la quale i giovani dovrebbero spaccare il mondo.

    Gli anziani o i bambini dovrebbero essere fragili e impotenti.

    Non noi.

    Non io.

    Eppure c’è stato un periodo nella mia vita in cui mi sono sentita più fragile dei miei stessi bambini. Ho amato alla follia il mio lavoro, perché i bambini ti amano incondizionatamente. L’educatore è quel tipo di lavoro che, umanamente e paradossalmente, ti aiuta a crescere.

    Dovresti insegnare a un piccolo esserino come vivere, o almeno come stare al mondo, e alla fine ti ritrovi che le lezioni di vita te le insegnano proprio loro. I bambini hanno il potere di farti sentire la persona più importante della terra riponendo la loro fiducia solo ed esclusivamente in te.

    Diventi il loro eroe, perché quando li togli dalla loro quotidianità e si ritrovano catapultati in un altro mondo, tu magicamente risolvi tutto.

    In cambio non ti chiedono nulla, solo di dargli amore.

    A loro basta così poco per essere felici: un abbraccio, una carezza su un ginocchio sbucciato, una semplice canzone nel mezzo di un pianto disperato e torna il sorriso.

    Ti chiedono aiuto per risolvere un piccolo ma per loro grande problema, ti tendono la mano perché vogliono che sia tu ad accompagnarli durante il loro cammino, con la speranza e la certezza che tu non li abbandonerai mai.

    Con la sicurezza che solo un bimbo ha: che se cadrà, tu lo aiuterai a rialzarsi.

    ***

    C’era una volta un bambino che non sapeva camminare, né mangiare da solo, né parlare.

    Poi un giorno ti svegli e ti rendi conto che un altro anno se ne è andato, che i tuoi piccoli bruchi si sono trasformati in meravigliose farfalle e sono pronti a spiccare il volo.

    Capita anche che un giorno ti svegli e tu quel lavoro non lo reggi più; non sopporti più di sentirli piangere e urlare, perché adesso sei tu quella che vorrebbe piangere, gridare aiuto al mondo intero, urlare per essere ascoltata, guardata.

    Solo che ancora nessuno si accorge di te, ancora nessuno si rende conto del dolore che stai soffocando, nessuno ancora si rende conto che dentro tu stai morendo, perché qualcosa si è rotto.

    ***

    Il problema di quando sei etichettata come la ragazza troppo emotiva e che prende le cose sempre troppo seriamente è che appena dici di stare male sono gli altri a non prenderla troppo sul serio.

    Ti senti dire che sei sempre la solita drammatica, che devi rilassarti, che devi farti scivolare le cose addosso, che devi stare un po’ più serena.

    Devi, devi, devi.

    Mi hanno sempre detto, forse addirittura rimproverato, di avere la cattiva abitudine di farmi troppi castelli in aria, di essere sempre troppo esagerata, con la tendenza ad amplificare ogni cosa.

    È vero, forse perché ho sempre sognato le cose in grande.

    Io, quella ragazzina che, mentre la maggior parte dei compagni di classe già cominciava a uscire, a divertirsi, ad avere le prime storielle, stava quasi sempre a casa. Da sola.

    Da ragazzina non avevo troppi amici, non sapevo cosa volesse dire far parte di una compagnia.

    Già ai tempi delle medie, il periodo in cui normalmente iniziano a formarsi i gruppi, guardavo i miei coetanei da fuori, con invidia, proprio come si guarda un film di cui vorresti esserne la protagonista, o per lo meno farne parte.

    Invece vivi la vita da spettatrice.

    E la cosa ancora più triste è che continui a farlo, anche negli anni a venire.

    Alla fine, sei sempre la solita ragazza che guarda la vita degli altri scorrere.

    Mentre la tua è sempre ferma, statica, piatta.

    ***

    Col tempo ho cominciato a detestare perfino il giorno del mio compleanno.

    Già da bambina mi sembrava così triste. Non veniva quasi mai nessuno, erano quasi sempre tutti in vacanza.

    Quando andavo ai compleanni dei miei coetanei, le loro feste erano sempre più belle delle mie: sfarzose, chiassose, piene di gente.

    E io li invidiavo.

    Col tempo ho smesso di festeggiare.

    Col tempo, per il giorno del mio compleanno, ho imparato a non farmi vedere, a restare

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