Il sorriso è dei forti
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Quanto ci piace coccolarci con le nostre sconfitte, ricordare le delusioni, focalizzarci sui problemi e farci cullare dai dolori.
È dura da ammettere, ma sembra che solo il negativo possa definire la nostra vita. Invece non è così, per niente. Basta con i “non sono capace”, “sono sfortunato”, “per me è impossibile”, è ora di cambiare le regole del gioco!
L’atteso seguito de “Il peggio è passato e gli ho sorriso” in cui la Cardinaletti, con la forza della sua sincerità, racconta cosa ha imparato dagli ostacoli incontrati nella sua vita. Un libro che ci spinge a svegliarci dal confortevole torpore delle nostre scuse.
«Ho vinto perché ho finalmente trovato l’approvazione più importante, la mia»
Leggi altro di Ginevra Roberta Cardinaletti
Come ho perso 25 chili senza perdere il sorriso: Il libro che avrei voluto leggere ogni volta che mi mettevo a dieta e fallivo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCi vediamo fuori luogo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl peggio è passato e gli ho sorriso Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniChe bella questa brutta giornata Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUndici Donne nelle Pagine di un Diario Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
Il sorriso è dei forti - Ginevra Roberta Cardinaletti
Ginevra
Riemergo con voi
Dov’ero rimasta? Da nessuna parte, non sono rimasta da nessuna parte, sono sempre andata avanti ed è per questo che avrò sempre qualcosa da raccontare.
Mi piace condividere le mie rinascite perché infondono coraggio ed entusiasmo, sia a chi mi legge sia a me, che scrivendole le leggo per la prima volta.
Nel mio primo libro, Il peggio è passato e gli ho sorriso
, ho raccontato la mia storia personale e rileggerlo adesso mi fa vedere me stessa da fuori. Per la prima volta mi addentro nella narrazione di quando ho iniziato a lottare contro la mia emicrania cronica, di quando nessuno sapeva fornirmi una diagnosi né tanto meno una cura per quel mio incessante mal di testa, di quando il dentista mi consigliò di mettere il bite, l’ortopedico di indossare il collare per la cervicale, l’osteopata di sottopormi alle sue terapie, l’agopunturista di affidarmi alle sue cure, l’omeopata di seguire le sue prescrizioni, l’otorino di sottopormi ad esami più approfonditi, l’oculista di mettere gli occhiali. Oltre agli analgesici di ogni tipo che mi avevano sempre dato sollievo e che improvvisamente non sortivano più alcun effetto, i massaggi, il reiki, il balsamo di tigre, l’artiglio del diavolo, i chiodi di garofano, «Togli gli orecchini perché è colpa del nichel!», la meditazione, l’auricoloterapia magnetica, la coppettazione e tanto altro fino a ritrovarmi a farmi togliere il malocchio dalla portinaia. Adesso mi fanno ancora arrabbiare l’incompetenza, lo sciacallaggio e l’opportunismo in cui mi sono imbattuta: ognuno aveva la soluzione, ovviamente pagando. Allo stesso tempo, però, mi fa sorridere tutto ciò che ho sperimentato e infine mi fa riflettere su quanto io sia stata risoluta e inarrestabile, nonostante la sofferenza fisica e psicologica, e nonostante non si scorgesse il barlume di una via d’uscita.
Sfoglio le pagine di quel mio primo libro e mi imbatto anche nella narrazione di un pomeriggio che sembrava normale, in cui mia madre aveva subìto un banale intervento di routine in laparoscopia per un insignificante calcolo nella colecisti, e che invece si rivelò devastante quando improvvisamente mi comunicarono: «Sua madre non si è risvegliata dall’anestesia». Rileggo quelle parole e penso che ho perso mia madre in un modo atroce e, nonostante ciò, ho immediatamente continuato ad affrontare le mie giornate e la vita senza fermarmi, anzi, trovando la forza per nuovi slanci. Nonostante tutto.
Aprirsi agli altri è come guardarsi allo specchio, ma non come siamo abituati a fare ogni giorno, no, è un meccanismo diverso. La mattina probabilmente ci specchiamo mentre ci laviamo i denti, mentre ci trucchiamo, poi magari, dopo esserci vestiti, diamo un’occhiata veloce allo specchio prima di uscire: ci guardiamo quasi sempre per controllare qualcosa. Controlliamo se abbiamo i capelli in ordine, il trucco a posto, il nodo della cravatta dritto, che l’abbinamento degli abiti sia corretto, che i collant non siano rotti, che i capelli bianchi non facciano capolino. Controlliamo tutto. Non ci guardiamo, ci controlliamo.
Poi a volte capita qualcosa di buffo, succede di scorgere la nostra immagine riflessa in una vetrina o passando davanti a uno specchio di un negozio e ci vediamo da fuori. A quel punto, se abbiamo tempo e un po’ di curiosità, ci fermiamo a osservare noi stessi e ci rendiamo conto che quell’individuo che abbiamo di fronte ci sembra diverso da quello che abbiamo controllato a casa. Magari ci capita di sorprenderci a dire: «Ma quella sono io?», «Però, non sono tanto bassa!» o «Certo che faccio la mia figura!», ma spesso purtroppo siamo meno clementi e pensiamo che con quel cappello e quegli scarponcini sembriamo un nano da giardino e che dovremmo rinnovare il nostro look. Quello che conta è che ci stiamo guardando proprio nel modo in cui lo facciamo con gli altri, verso cui spesso siamo più attenti e analitici di quanto siamo con noi stessi. Scorgiamo per la prima volta qualcosa che dal solito specchio non avevamo mai colto e questo perché cambiamo prospettiva.
Narrare le proprie vicende è proprio così. Ci si ferma a osservare ciò che si è appena scritto e si pensa: «Certo che ho avuto un gran coraggio!» e per la prima volta si conosce davvero la propria storia.
Ne Il peggio è passato e gli ho sorriso
ho detto molto di me. Forse sono stata audace, forse incosciente, probabilmente entrambe le cose, ma certamente sono felice di averlo fatto, c’è una bella porzione del mio cuore tra quelle pagine (proprio come in queste) e sono contenta di poter prendere in mano quel volume, toccarlo, sfogliarlo, sentirne parlare, vederlo leggere e in questo modo osservarmi il cuore.
A distanza di anni, continuo a ricevere messaggi di chi lo ha letto. Accedo a Instagram, Twitter o Facebook e trovo: «Ho scoperto il tuo libro per caso e mi ci sono ritrovata moltissimo, grazie per averlo scritto!» oppure «Ogni tanto lo rileggo perché ne sento il bisogno» o ancora «Sei un esempio per me, sto cercando di trovare la tua stessa forza». Vado sul sito di Amazon e mi imbatto in recensioni che mi commuovono perché intrise di entusiasmo e di gratitudine. Navigo in internet e scorgo le mie frasi citate e condivise da persone che io non conosco, ma che si riconoscono nelle mie parole. Un giorno al ristorante ho incontrato una mia amica d’infanzia con cui ci eravamo perse di vista da tanti anni e mi ha detto: «Ho appena finito di leggere il tuo libro ed è incredibile perché in molte parti esprimi quello che provo io!». Ognuno di loro mi aiuta a percepire e comprendere meglio quanto sia importante ciò che ho fatto e che sto continuando a fare.
Questo libro è un’altra porzione di cuore che è cresciuta, si è fortificata, è stata ferita, maltrattata, curata, accarezzata e si è rigenerata.
Nella vita non si vince e non si perde: si rinasce o forse, più semplicemente, si riemerge. Se non ci fossero sconfitte, dolori, perdite e delusioni, non ci sarebbero tutte le nuove vite e tutti i nuovi noi stessi che possiamo costruire e ricostruire ogni giorno. Non potremmo far affiorare o riaffiorare importanti aspetti di noi.
Raccontare la propria rinascita non è un’ostentazione, non è mostrare ciò che si è stati capaci di fare, al contrario, è mostrare ciò che possiamo fare tutti.
Io stessa ho avuto ed ho tuttora tanti esempi da prendere come riferimento, persone che affrontano semplici situazioni quotidiane o grandi battaglie in un modo diverso dal mio, in un modo che magari non conoscevo o che non credevo possibile e loro sono la prova tangibile che invece mi sbagliavo.
In questo libro racconto episodi che in superficie potrebbero apparire piccoli e banali, ma che se degnati della giusta attenzione si rivelano decisivi per apprendere un modo diverso di percepire e affrontare le situazioni molto complicate.
Abbiamo sempre qualcosa da imparare l’uno dall’altro, questo non significa che uno sia migliore e abbia qualcosa da insegnare, significa che siamo tutti migliorabili se ci mettiamo nella posizione di poter imparare. Non migliori di altri, semplicemente la versione migliore di noi stessi. Non c’è competizione, c’è una ricerca di benessere che non può far altro che giovare a noi stessi, alle nostre relazioni e agli altri.
La felicità fa bene a chi la vive e a chi gli sta intorno, è contagiosa, come tutti gli stati d’animo. Non dobbiamo necessariamente subire gli stati d’animo, possiamo scegliere con cura quelli con cui contagiare chi ci circonda e quelli da cui lasciarsi contagiare.
Forse ci sarà capitato di pronunciare frasi