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Se apri gli occhi
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E-book309 pagine4 ore

Se apri gli occhi

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Info su questo ebook

Giuliana sogna di sposare Erik Preston, cantante dei Missing in the dark. Conduce una vita monotona, stretta fra la famiglia e un fidanzato arrogante, ma uno strano sogno e un po' di follia la conducono a Londra dal grande amore della sua vita.

Non sarà facile per lei conquistare un uomo dal cuore distrutto, che non si fida più di nessuno e che è l'idolo di milioni di fan.

L'edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull'autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2019
ISBN9788831613798
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    Se apri gli occhi - Bianca Nobel

    Se apri gli occhi

    di Bianca Nobel

    Descrizione

    Biografia

    Indice

    Se apri gli occhi

    Capitolo I

    Capitolo II

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Capitolo V

    Capitolo VI

    Capitolo VIII

    Capitolo VIII

    Capitolo IX

    Capitolo X

    Capitolo XI

    Capitolo XII

    Capitolo XIII

    Capitolo XIV

    Capitolo XV

    Capitolo XVI

    Capitolo XVII

    Capitolo XVIII

    Capitolo IXX

    Capitolo XX

    Capitolo XXI

    Capitolo XXII

    Capitolo XXIII

    Capitolo XXIV

    Capitolo XXV

    Capitolo XXVI

    Capitolo XXVII

    Capitolo XXVIII

    Capitolo IXXX

    Capitolo XXX

    Capitolo XXXI

    Capitolo XXXII

    Giuliana sogna di sposare Erik Preston, cantante dei Missing in the dark. Conduce una vita monotona, stretta fra la famiglia e un fidanzato arrogante, ma uno strano sogno e un po’ di follia la conducono a Londra dal grande amore della sua vita.

    Non sarà facile per lei conquistare un uomo dal cuore distrutto, che non si fida più di nessuno e che è l’idolo di milioni di fan.

    Questa edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull'autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.

    Bianca Nobel vive in una piccola città della Sicilia con il marito e i figli. Da qualche anno si è trasferita in campagna lontano dal caos cittadino. Ama molto gli animali, ha adottato due cani e un gatto. È appassionata di storie d’amore e di musica, i Duran Duran sono il suo gruppo preferito in assoluto. Questo è il suo romanzo d’esordio.

    © Bianca Nobel, 2019

    © FdBooks, 2019. Edizione 1.0

    ISBN: 9788831613798

    Youcanprint Self-Publishing

    L’edizione digitale di questo libro è disponibile online in formato .mobi su Amazon e in formato .epub su Google Play e altri store online.

    In copertina:

    Illustrazione di © Carmen Ebanista

    Questo libro è un’opera di narrativa. Nomi, personaggi, luoghi, eventi e circostanze sono frutto dell’immaginazione dell’Autrice. Ogni analogia con persone realmente esistite, con eventi e ambienti reali, è da considerarsi puramente casuale.

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore,è vietata ogni riproduzione, anche parziale, non autorizzata.

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    Se apri gli occhi

    Indice del libro

    Parole ricorrenti (Tagcloud) 

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    A mio marito,

    ai miei figli,

    a Charlie.

    Say the word if your eyes are open

    It's time we tried.

    Say the word before this love is broken.

    Arcadia, Say the word, 1986

    Capitolo i

    Ecco l’amore della mia vita!

    L’amore della mia vita…

    Da quanto tempo e quante volte avevo ripetuto queste parole, tantissime volte, migliaia forse. Da anni certamente…

    Non c’era niente di più sicuro nella mia vita del mio amore per lui, era l’unica certezza che avevo. Tutto il resto per me era come sospeso in aria. La mia vita era racchiusa in un’enorme bolla che vagava solitaria senza meta, trasportata via dai venti che per forza maggiore continuavano a trascinarmi lontano da ciò che più desideravo lasciandomi con pochissime certezze, tanti sogni e deludenti realtà, continuando a fluttuare avanti e indietro, su e giù, in attesa di atterrare nel posto giusto al momento giusto.

    Sapevo dov’era il posto giusto, ce l’avevo proprio lì davanti a pochi passi, a Richmond, in una via di Londra lontana migliaia di chilometri dalla mia casa in Sicilia. Era il momento giusto il problema, quello che mi fregava e che mi faceva vivere nell’incertezza, perché non avevo idea se sarebbe mai arrivato.

    Aspettavo e speravo. Speravo e aspettavo. Sembrava non facessi altro nella vita. Avevo atteso per anni l’approvazione dei miei genitori arrivando molto vicino a ottenerla e mi era mancato tanto così, ma niente, avevo fallito. Di nuovo.

    Non ero certo la prima persona a non avere un buon rapporto con i propri genitori e non sarei stata neanche l’ultima. Là fuori c’era un mondo di gente che per qualche motivo aveva interrotto i rapporti con la propria famiglia. Ero una tra le tante, lo sapevo bene; ma se da un lato mi consolava quel tanto per non sentirmi l’unica sfigata, dall’altro non mi impediva di provare una profonda e dolorosa invidia ogni volta che mi imbattevo in qualche famiglia unita o incrociavo ragazze che andavano a fare shopping con la propria mamma.

    Mia madre non era mai venuta con me. Lei era sempre troppo occupata per dedicarsi a me e si giustificava dicendo che tanto non avevamo gli stessi gusti e che non avrei seguito i suoi consigli, quindi sarebbe stata una perdita di tempo. Penso che non abbia mai capito quanto mi ferissero le sue parole e quanto invidiassi il tempo che invece riusciva a trovare per mia sorella.

    Per lei c’era sempre. Erano molto simili di carattere e nei gusti e uscivano spesso insieme, mentre io venivo esclusa. Ero quella che veniva sempre lasciata indietro; prima perché ero troppo piccola, poi perché loro erano troppo diverse da me. Non mi avevano mai dato la possibilità di inserirmi nel loro piccolo e ristretto cerchio, facendomi capire chiaramente che per me non c’era posto.

    Quand’ero più piccola mi chiedevo come si potesse arrivare al punto di non guardare più in faccia i propri genitori, tua mamma e tuo papà. Mi stupivo quando venivo a sapere di persone che litigavano a tal punto da non andarli più a trovare. Ora lo sapevo, ero diventata una di loro, una figlia che non parla con i genitori da anni. Purtroppo avevo provato sulla mia pelle che situazioni del genere accadono con molta più facilità di quanto ci si possa immaginare, soprattutto quando è tuo padre a dirti che non vuole vederti più. E dopo aver subito per anni accuse e rimproveri ingiusti, è la frase che ti fa dire basta.

    È una cosa brutta, molto brutta, che non dovrebbe mai accadere, eppure eccomi qua ad aumentare la percentuale degli esclusi, di quelli che stanno dall’altra parte della famiglia.

    Comunque a un certo punto ci si deve rassegnare, accettare la situazione e imparare a conviverci. Così mi ero rassegnata, e avevo smesso di sperare. Che senso ha sperare in qualcosa se si ha la certezza che non accadrà mai? Continuare a insistere sarebbe stato soltanto peggio per me, mi sarei fatta male un’altra volta, non mi ero forse danneggiata già abbastanza?

    Avevo imparato la lezione. Continuare a sbattere la testa contro un muro di cemento armato non sarebbe servito a romperlo, ma solo a procurarmi un’emorragia cerebrale; in senso figurato certo ma altrettanto dannosa e permanente.

    Ci sono cose che non si possono cambiare. Adesso lo sapevo. E in qualche modo me ne ero fatta una ragione. La mia famiglia non sarebbe mai cambiata; io non ero riuscita a cambiare loro e loro non erano riusciti a cambiare me.

    C’erano stati momenti in cui avevo desiderato tanto essere diversa da ciò che ero; per suscitare negli occhi di mia madre lo stesso sguardo che riservava solo a mia sorella, per poter leggere nei suoi occhi l’orgoglio, la stima, l’amore: tutte cose che a me erano state precluse.

    Era stato inutile: eravamo come il Polo Nord e il Polo Sud; due persone agli antipodi della Terra, con immensi oceani e ghiacciai a dividerci. I nostri punti di vista, la nostra visione della vita, delle persone e del mondo, erano talmente differenti da renderci quasi due estranee. Non riuscivamo quasi mai a trovare un punto di incontro, qualcosa che andasse bene a tutt’e due; ognuna restava ferma sulle proprie decisioni e difficilmente qualcuno riusciva a smuoverci. Forse eravamo più simili di quanto immaginassi, e sicuramente più di quanto gradissi, ma ciò lasciava pochissimo da spartirci: praticamente nulla.

    Ciò che lei avrebbe voluto da me era che le lasciassi controllare la mia vita, seguire le scelte che lei riteneva giuste per me senza discutere. Come mi dovevo vestire, con chi dovevo uscire, chi dovevo amare; come se alla nascita mi avessero fornito un interruttore con su scritto on-off da usare nei momenti opportuni, quelli che lei riteneva opportuni. Posizionare l’interruttore su off se secondo i suoi standard non c’era nessuno di appropriato per me all’orizzonte; se c’era invece metterlo su on e innamorarmi all’istante della persona giusta per me.

    Ma non era così che funzionava, non per me almeno. Forse quando ero nata in ospedale erano a corto di quel genere di interruttori e così mi avevano lasciato senza. A mia sorella invece dovevano averne messo uno perfettamente funzionante.

    Ecco qual era la ricetta giusta per andare d’accordo. Dire sì, sì e sempre sì. Io dicevo no, no e sempre no. Risultato? Ero considerata la pecora nera della famiglia, quella che non ne faceva mai una giusta, cattiva, egoista, superficiale e dal cuore di pietra. Mia sorella, che aveva seguito la ricetta a dovere, era diventa l’esempio da seguire, oggetto di orgoglio e fierezza, la degna figlia di mia madre.

    «Perché non riesce ad amarmi per quella che sono?» continuavo a chiedermi. Forse aveva ragione lei ed ero io la sola responsabile di tutto ciò.

    Mi faceva stare male ammetterlo. Mia madre era convinta che il mio darle contro fosse una cosa calcolata e voluta, un gesto di ripicca nei suoi confronti, una ribellione, e che rifiutavo i suoi saggi consigli per partito preso, non perché non li ritenevo giusti per me. Ecco cosa pensava di me: che fossi cattiva con lei – erano queste le sue parole – per scelta, e che mi divertissi a farlo.

    Come se litigare con lei potesse rendermi felice.

    Ma per chi mi aveva presa? Come poteva pensare che questa situazione mi andasse bene? Aveva un’opinione talmente bassa di me da pensare che mi facesse piacere farmi odiare dalla mia famiglia? Io non mi alzavo la mattina con il proposito di litigare con lei, non avrei potuto, ci soffrivo troppo. Non ero così, non ero come lei pensava!

    Fingevo che la cosa non mi ferisse, che non me ne importasse nulla, e per la maggior parte del tempo riuscivo a convincere me stessa che andasse bene così. Ma poi in certi momenti, quando meno me lo aspettavo, tutta l’amarezza, la delusione, gli inutili tentativi – ed erano stati veramente tanti – venivano a galla e mi schiacciavano il petto quasi impedendomi di respirare.

    A volte mi lasciavo travolgere dalla rabbia e dal rancore, incolpandoli per non essere riusciti ad amarmi come sarebbe stato loro dovere; altre volte invece nei periodi in cui mi sentivo sola e depressa l’unico rimedio per alleviare il peso che avevo nel cuore era lasciarmi andare e lasciare uscire tutto il dolore, i rifiuti subiti, le delusioni, le umiliazioni, la gelosia, il rancore… E le lacrime trattenute all’improvviso sgorgavano fuori, inarrestabili, come un fiume in piena, fino a che non ne restavano più.

    Solo allora tornava la calma. Ritornavo a essere la vera me stessa, la vera Giuliana, che non aveva bisogno di loro e che se ne fregava di ciò che pensavano, della loro perenne disapprovazione, ed era felice di vivere all’ombra della sua perfettissima sorella, perché era lei a essere succuba dei genitori. Lei era la cocca di mamma e papà ed era convinta di essere al di sopra di me non di uno, ma di mille gradini nel loro cuore! Credeva di avere tutto, ma si sbagliava. Loro controllavano la sua vita e prendevano decisioni al posto suo, mentre io ero libera. Libera di fare le mie scelte, di sbagliare, di vivere la mia vita come meglio credevo.

    Forse non lo avrebbe mai capito: ero io a essere al di sopra di lei e non il contrario. Ai miei occhi, il prezzo che mia sorella Carola aveva pagato e che stava tutt’ora pagando era troppo alto. Io avevo desiderato davvero tanto farli contenti, ma non al punto di sposare un uomo che non amavo solo per sentirmi parte di una famiglia che in fin dei conti non aveva mai tenuto in considerazione i miei sentimenti.

    Perché insistere allora? Stavo per fare quell’errore, ma grazie al cielo ero rinsavita in tempo ed ero riuscita a evitare di commettere quello che sarebbe stato lo sbaglio più grande della mia vita.

    Ed era stato proprio Erik, l’uomo che stavo guardando in quel momento, anche se inconsapevole di averlo fatto, a farmi aprire gli occhi e a spingermi a prendere la decisione giusta.

    Lui non lo sapeva ma mi aveva salvato, aveva cambiato la mia vita.

    Capitolo ii

    Adesso aspettavo, o più realisticamente speravo , che Erik si accorgesse di me.

    Cosa non facile a dire il vero, ma che altro potevo fare se non sognare con tutte le mie forze che si innamorasse di me? Certo che con tanti uomini sulla Terra mi ero innamorata proprio di uno che probabilmente non mi vedeva neanche come una donna e che non mi avrebbe mai preso in considerazione semmai avesse deciso di rifarsi una vita.

    Situazioni senza speranza che proprio mi andavo a cercare!

    Avrei potuto rivolgere altrove le mie attenzioni, ne conoscevo di ragazzi carini con cui ero uscita qualche volta e che mi avevano fatto capire chiaramente di essere attratti da me, ma avrebbe significato accontentarsi perché il mio cuore era già impegnato e per una volta tanto non mi sarei rassegnata, anche se ero consapevole di rischiare che andasse in frantumi.

    Non mi sarei arresa tanto facilmente. Ero ottimista, di natura convinta che le cose belle possono sempre accadere anche quando sembra che non ci sia più speranza.

    Nonostante tutti i problemi avuti con la mia famiglia, mi ritenevo una ragazza fortunata perché ero riuscita a districarmi da una situazione in cui credevo di non avere via d’uscita e ora mi ritrovavo a fare parte della vita dell’uomo di cui ero innamorata da anni.

    L’unica cosa che adesso mi mancava era che Erik ricambiasse i miei sentimenti. Questa era la parte difficile.

    Qui il mio ottimismo vacillava, sovrastato dalla vocina dentro di me, quella pessimista, che mi riportava con i piedi per terra… sotto terra.

    «Erik che si innamora di me?!». Una cosa da niente, «Davvero semplice» mi rispondevo da sola con ironia, «E che ci vuole?».

    Stava per scapparmi una risata isterica, di quelle che anticipano un pianto isterico, ma per fortuna riuscii a trattenermi. Mi guardai intorno, c’era parecchia gente nel bar e qualcuno avrebbe potuto prendermi per pazza. Inoltre non ci tenevo affatto a farmi notare, anzi volevo passare il più possibile inosservata.

    Comunque ero abbastanza realista da rendermi conto che solo con l’aiuto di un miracolo avrei avuto speranza di riuscire nel mio intento.

    Ma non mi arrendevo mica! Ero abituata ad aspettare e non avrei mollato tanto facilmente; sarei riuscita a farmi amare da Erik prima o poi.

    Sarebbe stato bello poter proclamare ad alta voce ciò che provavo per lui. Al solo pensarci mi sentivo già meglio, mi ritornava il buonumore e mi veniva una pazza voglia di uscire dal bar, attraversare la strada e dirgli in faccia ciò che mi passava per la testa.

    Santo cielo però, stavo diventando matta! O forse lo ero già? Dal giorno in cui avevo messo piede a Londra avevo smesso di ragionare, anche prima probabilmente, quando mi era venuta la folle idea di affrontare quel viaggio con l’unica speranza di conoscerlo.

    Chissà se la mia era davvero pazzia. Mi sarei dovuta preoccupare? In effetti stavo spesso con la testa tra le nuvole, quando pensavo a Erik soprattutto, il che avveniva per la maggior parte della giornata e a volte anche di notte, quando mi capitava di sognarlo. Sogni davvero strani, senza senso, che forse una persona normale non farebbe mai. Ma ne facevo anche di normali, bellissimi, in cui lui mi baciava con passione, mi teneva stretta a sé e io mi sentivo in paradiso. Erano i sogni che preferivo e che mi facevano svegliare felice, molto felice.

    Quelli a occhi aperti poi, scatenavano la mia più fervida immaginazione; dai momenti più dolci e romantici a quelli bollenti e passionali, da rasentare quasi il porno, e che mi distraevano non poco!

    Praticamente con la testa non ci stavo mai.

    I miei genitori pensavano che fossi strana, troppo sognatrice, troppo ottimista. Non mi avevano mai capito granché; loro erano molto più seri, musoni, pessimisti, criticavano ogni cosa, pensavano male di tutti e vedevano il mondo in bianco e nero.

    Il mio invece era di mille colori. A me piaceva ridere, scherzare, chiacchierare, cantare ad alta voce, ascoltare musica a tutto volume, commuovermi per un film, un libro o una canzone. Proprio l’esatto contrario insomma, e questo ci poneva all’interno di due diverse dimensioni.

    Secondo loro la colpa era della cattiva influenza di zia Marta (sorella maggiore di mia madre ma completamente diversa da lei, soprattutto nel carattere, e l’unica della famiglia con cui andassi d’accordo) e di tutti i libri che leggevo.

    Adoravo leggere. Leggevo tanto, sempre. Ne sentivo il bisogno, soprattutto quando stavo ancora a casa con i miei genitori, perché così avevo la possibilità di estraniarmi dalla loro continua disapprovazione.

    Mi stendevo con la schiena appoggiata alla testiera del letto, in pigiama, plaid sulle gambe, e mi immergevo nella lettura. A volte quando un libro era particolarmente bello e coinvolgente finivo per fare le ore piccole, anche fino alle quattro del mattino; però poi la mancanza di sonno durante la giornata si faceva sentire, ma non mi importava. Leggere mi faceva stare bene, alla fine di ogni libro mi sentivo felice, come se avessi aggiunto qualcosa in più al bagaglio della mia vita. Ogni libro mi lasciava un sentimento, un’emozione diversa, soprattutto se erano delle storie a lieto fine. I miei preferiti naturalmente, erano i romanzi d’amore… Il cavaliere d’inverno di Paullina Simons era uno dei miei prediletti, lo avevo letto un sacco di volte e in ogni occasione mi immergevo completamente nella vita dei due protagonisti Alexander e Tatiana soffrendo, piangendo e ridendo con loro. Un libro davvero splendido. Adoravo anche la saga di Twilight, il personaggio di Edward soprattutto. Avevo divorato i quattro libri a tempo di record, per poi rileggerli tutti da capo, e visto e rivisto i film tantissime volte! Anche la trilogia di Cinquanta sfumature di grigio, nonostante tutte le critiche negative, mi era piaciuto; il tormento interiore di Christian e l’amore incondizionato di Anastasia mi avevano fatto diventare gli occhi a forma di cuore. E poi Cime tempestose… lo sapevo quasi a memoria, l’amore tormentato di Heathcliff e le sue sofferenze, mi facevano stare male solo a pensarci. Poverino, che pena mi faceva. Già, io tifavo proprio per il cattivo della storia: cattivo, crudele, egoista ma ferito nel profondo.

    Ero stata molto criticata per aver espresso ad alta voce questo mio pensiero una volta. Una delle mie colleghe mi aveva guardato in modo strano, chiedendomi se mi rendevo conto che Heathcliff era il cattivo, quello malvagio. Boh! Ma chi se ne fregava di ciò che pensava lei? Non credevo proprio di essere l’unica a pensarla così, ma per solidarietà collettiva o per paura di essere giudicati nessuno lo ammetteva; almeno io avevo avuto il coraggio di dirlo. Tutti a fare i moralisti e a schierarsi per dovere dalla parte di Linton, quello buono, che poi tanto buono non era e aveva la sua parte di torto. Non diamo tutta la colpa ad Heathcliff, per favore, è quello che ha sofferto di più! Chi al posto suo non si sarebbe vendicato per il male subito? Aveva esagerato, certo, ma l’odio e la disperazione lo avevano completamente accecato e io continuavo a preferirlo a Linton.

    Quando una volta ne avevo parlato con Erik, esprimendogli la mia opinione, mi aveva guardato con sorpresa; aveva spalancato i suoi magnifici occhi blu e mentre io ero rimasta senza fiato, lui era scoppiato a ridere dicendomi che ero un po’ fuori dal normale. Tutto qui, non mi aveva né giudicata né criticata.

    Anche Erik adorava leggere, in casa sua c’erano pareti piene di libri di tutti i generi, che spesso gli servivano come ispirazione per il suo lavoro.

    Erik, Erik, sempre e solo Erik… Accidenti!

    Pensavo e ripensavo le solite cose perché mi sentivo più sola che mai, costretta a stargli lontano; quando di norma accanto a lui dimenticavo tutto.

    Mi mancava così tanto! Ed ecco come mi ero ridotta: a spiarlo di nascosto, come un ammiratrice che aspetta il momento buono per saltargli addosso! Era possibile ridursi peggio di così? Non sapevo dirlo, ma speravo davvero di no.

    Continuavo a rimuginare mentre lo guardavo uscire di casa dall’altra parte della strada. Sapevo di essere patetica, ne ero pienamente consapevole, ma questo non cambiava che me ne stessi lì a spiarlo come avevo preso l’abitudine di fare negli ultimi giorni.

    Ero seduta a un tavolo all’interno del bar quasi di fronte casa sua (vicino alla vetrata, ben attenta a non farmi vedere), non sapevo da quanto tempo, 15-20 minuti forse, non ne ero sicura. Aveva importanza forse?

    Perdevo la cognizione del tempo e di qualunque altra cosa, incluso il buon senso, per non parlare della mia dignità, che finiva chissà dove – sotto le suole delle mie scarpe probabilmente – quando si trattava di lui.

    Erik Preston, era lui l’amore della mia vita.

    Guardarlo mi riempiva di gioia ed era una vera goduria per gli occhi: alto quasi un metro e novanta – 1, 87 per la precisione, ben 27 centimetri più di me – capelli castani corti scompigliati ad arte, barba incolta di qualche giorno. Io lo preferivo rasato di fresco, ma anche così, se ne avessi avuto la possibilità, lo avrei baciato fino a rimanere senza fiato. Indossava jeans neri tagliati al ginocchio, scarpe da ginnastica bianche e maglietta blu con una scritta che da dove ero seduta non riuscivo a decifrare; lui però riuscivo a vederlo benissimo. Non potevo vedere i suoi occhi perché indossava gli occhiali da sole, ma sapevo bene che erano blu scuro, bellissimi e così profondi che quando mi fissavano, mi ci perdevo dentro.

    Aveva un fisico asciutto e muscoloso dovuto a tutto lo sport che faceva. Nella dependance in giardino, dietro casa, aveva un palestra completa di tutti gli attrezzi necessari per tenersi in forma e in più giocava a tennis. Non aveva la classica tartaruga sugli addominali, ma aveva il ventre piatto e non c’era un filo di grasso in eccesso in tutto il suo corpo.

    Sospirai…

    Il sole illuminava i suoi capelli rendendoli quasi biondi. Era meraviglioso. Sembrava un angelo mandato dal cielo per sconvolgere la vita di noi comuni mortali, soprattutto la mia. Perché era questo che aveva fatto: aveva capovolto il mio mondo, tutta la mia esistenza era cambiata in modo radicale e profondo da quando era entrato nella mia vita.

    All’inizio era stata una semplice cotta, l’ammirazione che ogni ragazzina prova per il suo idolo, ma che pian piano con il passare del tempo anziché svanire era diventata sempre più profonda e indissolubile.

    Non lo avevo immaginato fino al giorno del nostro primo incontro. Era stato totalmente imprevisto. L’emozione e l’effetto che mi aveva scatenato dentro sarebbero stati solo il preludio

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