Fango
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Anteprima del libro
Fango - Pasquale Listone
Pasquale Listone
Fango
A Giuseppe Reale.
Amico, fratello dalla risata contagiosa.
Angelo custode di vite distanti, unite da
un bene inspiegabile e da un dolore in comune.
PREFAZIONE
Leggendo questo libro ti passa tutta la vita davanti. Letteralmente.
«Fango» di Pasquale Listone è un libro che ha tutte le carte in regola per entrare nelle case e nei cuori delle persone e avere da queste un riscontro attivo che parte da dentro. Perchè l’autore, nelle pagine di questo libro, compie una specie di viaggio nelle tante sfumature della vita. Si parte dalle mille domande che una persona si fa, i tormenti interiori, la paura di essere sbagliati, di non sentirsi mai abbastanza, la paura del futuro e di quel domani che ti fa perdere di vista il presente, l’oggi, il qui e ora. Attraverso la vita di Nicola, il protagonista, compiremo anche noi un viaggio dentro noi stessi, con le stesse domande e le stesse paure che ci frullano nella testa e che non ci fanno dormire la notte.
Poi arriva, inevitabile, un altro tema fondamentale: l’amicizia. L’altro che non è noi ma che può farci scoprire più cose di noi più di quanto possiamo fare da soli. Stefano rappresenta quel periodo della vita in cui ci affidiamo a qualcuno, quel qualcuno diventa il nostro custode, quel regalo ricevuto dal cielo o dal Caso e che ci fa capire quanto siamo fortunati a non sentirci soli, a sentirci compresi, anche se quell’ «altro» è quanto più diverso da noi, appunto. Alla fine tendiamo ad assomigliare a quella persona. E gli saremo grati per sempre, anche quando le strade di quell’amicizia così speciale si divideranno.
Poi arriva l’amore.
Tutto parte dall’amore.
Tutto finisce con l’amore. Salvifico, potente, bellissimo. L’autore ce lo racconta attraverso la storia di Cristiano, anima solitaria che il nostro protagonista incontra in un bar. Da qui parte un racconto straordinario che ci farà capire cosa significhi davvero amare. Con una storia impossibile (ma le cose impossibili non esistono, vedrete) che vi farà bene al cuore. Tenete a mente questo particolare: una collana. E ricordatevi, quando leggerete, che qui dentro troverete in ogni pagina, in ogni passo, l’Amore con la A maiuscola, che tocca le vette più alte del cielo. Amori che non si arrendono di fronte a niente, amori che ritornano o che forse non sono mai andati via, amori che amori non saranno mai, specie se violenti.
Pasquale Listone ci ha regalato questo affresco bellissimo di vita, di una ricerca nell’io più profondo, più autentico, in cui ognuno di noi con le proprie fragilità potrà riconoscersi. Storie bellissime e insegnamenti importanti da conservare per sempre nel nostro posto più sicuro… il cuore. «Fango» è questo e tanto altro ancora.
Andrea Filocomo
CAPITOLO I
Mi chiamo Nicola e ho ventisei anni, ma l’ultima volta che ho fatto caso alla mia età è stato otto anni fa.
I diciotto anni non si dimenticano facilmente, te li porti dentro come una sorta di nascita, come se tutto ciò che hai vissuto fino a quel momento d’improvviso fosse obbligato a resettarsi.
Certo, molto dipende da che infanzia e adolescenza hai vissuto.
La mia, era certamente da dimenticare.
Fin da piccolo, però, ho sempre posseduto una chiara consapevolezza: il tempo, prima o poi, mi avrebbe dato ragione. Sarebbe stato dalla mia parte. Ci credevo davvero, ci credo tutt’ora. Anche se con più amarezza.
Mi spiego meglio.
Quando avevo sedici anni i miei amici hanno iniziato ad andare in discoteca, a fumare, a bere. A bere molto. Io, invece, ho sempre cercato di rimandare, convinto di avere il diritto di posticipare queste nuove scoperte.
Tranne fumare, quello sì. Dovevo per forza iniziare a farlo, altrimenti non mi sarei sentito «grande» in un mondo di stupidi.
A parte questa nuova abitudine, indotta dalle circostanze, credevo che la vita mi avrebbe sempre garantito la possibilità di ripetere le giornate, i momenti, gli stessi rassicuranti schemi consolidati. Come in un grande, fantastico replay.
Ma non era così. E non lo è neanche adesso, sebbene non riesca a realizzare pienamente, nemmeno ora, quello che vi sto dicendo.
Mi ripeto «Nicola! Non hai tempo!», ma non mi ascolto mai.
Non l’ho mai fatto, d’altronde, con nessuno.
Anzi, come il peggiore dei ragazzini viziati mi comporto anche oggi come in passato, quando più mi veniva detto cosa fare, più mi rifiutavo di farlo.
Ricordo a tal proposito che una volta, in terza elementare, la mia insegnante mi punì.
Mi diede più compiti rispetto a quelli assegnati ai miei compagni.
Allora io, sebbene fossi molto magro, minuto, mi alzai esclamando: «in classe decidi tu, a casa decido io cosa fare».
Col senno di poi mi rendo conto che ero solo un cretino, senza alcun rispetto per gli altri.
Certo è che una cosa l’ho sempre odiata fin da bambino: il giudizio altrui.
Quello dei prof., quello delle ragazze, quello del datore di lavoro.
La paura di essere oggetto di critica mi ha sempre bloccato. Per questo la mia posizione era perlopiù attendista: «se non faccio nulla non posso sbagliare». Ecco come ragionavo.
Restavo fermo.
Come nella scena di un film, dove tutti corrono e il protagonista si ferma a guardare una vetrina, con all’interno un solo manichino, vestito anche male.
Tutti corrono, chissà se sanno dove vanno, forse non lo sanno nemmeno loro.
Allora io resto fermo. Se resto qui nessuno mi può toccare, giudicare, criticare, deridere.
Non capivo che esistono anche i complimenti, le approvazioni. Non ci credevo e forse neanche oggi ci credo.
Sono nato e vivo a Livorno, in una viuzza dove la mattina c’è sempre l’odore del pane.
Un paesaggio in qualche modo surreale, con persone pronte ad aiutarsi tra loro. E poi c’è il mercato del pesce. Una puzza che ti resta addosso per giorni sui vestiti e sempre nella testa. Ecco. Livorno rappresenta la mia idea di vita: ferma, calma, ripetitiva.
«Se reiteri sempre gli stessi gesti, il rischio di sbagliare diminuisce». Perciò volevo essere come Livorno.
Volevo impiantarmi sulla Terrazza Mascagni e guardare le onde.
Vivevo pensando sempre e solo a cosa sarebbe accaduto dopo, volevo la certezza di poter avere almeno un’altra vita. Come nei videogiochi. Tornare indietro, capire l’errore e non rifarlo.
La paura di fallire mi ha fatto commettere per anni l’errore più grande che potessi fare: non sbagliare. Non provarci nemmeno.
Mi chiedevo cosa restasse alla fine.
Alla fine di una serata, alla fine della strada. Camminavo senza meta, o meglio, sapevo dove andare ma non capivo cosa mi mancasse.
Ero alla ricerca di qualcosa, di qualcuno.
Provavo a cambiare la mia vita anche in pochi minuti, non volevo terminare il mio viaggio senza avervi aggiunto null’altro. Ma le mie azioni erano coazioni a ripetere per mantenere in fondo immutate le caratteristiche fondamentali di vecchie e rassicuranti esperienze.
La pensavo così.
La pensavo così anche per una semplice uscita serale con gli amici, per lo studio, per le