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Viola, la gallina e il soldato
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E-book90 pagine1 ora

Viola, la gallina e il soldato

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Info su questo ebook

La nostra casa era al quarto piano di un palazzo antico del centro di Bologna. Avete mai visto una bambina che porta una gallina al guinzaglio a spasso per la città? Non è mica facile. Infatti la gallina mi scappò, poi... mi sbagliavo o era proprio lei in braccio al soldato di guardia alla caserma?
La storia di Viola si svolge alla fine della Seconda Guerra mondiale e, nonostante la sua vita subirà dei grandi cambiamenti, riuscirà a non perdere la voglia di giocare e divertirsi, ma anche il senso della giustizia e della solidarietà.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788899136611
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    Anteprima del libro

    Viola, la gallina e il soldato - Maria Beatrice Masella

    1. Quando la mamma mise la gallina nel cestino della merenda

    Quel giorno la mamma mi chiese di portare la gallina a fare una passeggiata.

    «Dai, Viola, solo un giretto nei giardini di fronte» disse.

    Ma noi non abitavamo in campagna, la nostra casa era al quarto piano di un palazzo antico nel centro di Bologna. Avete mai visto una bambina che porta una gallina al guinzaglio a spasso per la città? Insomma, non proprio al guinzaglio, la legavo con una cordicella che usavamo per stendere i panni e così ero sicura che non scappasse. Perché, non so se voi lo sapete, io non lo sapevo fino a quando non l’ho visto con i miei occhi, le galline possono anche volare e per un bel pezzo. Allora poi, chi l’acciuffava più quell’antipatica pennuta che mi faceva vergognare con tutto il vicinato!

    Forse vi starete chiedendo come mai avevamo una gallina in casa.

    La risposta è molto semplice: ci faceva le uova. Erano bellissime, grandi e chiare, levigate come sassi di fiume. E devo ammettere che erano pure buonissime, anche se a me non piacevano crude con il limone. Storcevo sempre il naso quando mia madre mi costringeva a mangiarle.

    «Forza – diceva. – Non fare tutte quelle smorfie e butta giù. È tutto nutrimento».

    Io le uova le preferivo con lo zucchero sbattuto che le trasformava in una crema liscia e profumata, una delizia da leccarsi i baffi. Ma purtroppo non era facile trovare lo zucchero a quel tempo, perché c’era la guerra.

    Già, la guerra. Per me era la normalità; quando era scoppiata avevo solo cinque anni, non andavo ancora a scuola e non sapevo neppure cosa fosse stata, prima, la pace.

    Per esempio, per me era normale che sul più bello, quando stavamo per mangiare la minestra, si sentissero le sirene che annunciavano il rombo degli aerei e dovevamo lasciare i nostri piatti a raffreddarsi per scappare nel rifugio. Ed era normale vedere per strada i soldati con l’elmetto e i fucili, così come era normale che non si trovasse nulla di buono da mangiare al mercato e quindi che lo zucchero fosse merce rara.

    E siamo tornati alla questione della gallina. Insomma, riconosco che quella bestiola ci tornava molto utile perché mangiando solo qualche avanzo di cibo ci regalava grosse uova che potevano essere trasformate in pochi minuti in uno zabaione squisito, sempre a patto che si trovassero due preziosi cucchiai di zucchero.

    «Allora, Viola, ti sbrighi a portar giù la gallina?» insistette mia madre che era una donna assai energica, alla quale era difficile disubbidire.

    «Perché non ci mandi Luisa?» provai a replicare.

    «Perché lei sta studiando, mentre tu non hai niente da fare».

    Luisa era mia sorella più grande e aveva già dodici anni, mentre io ne avevo solo otto, per questo non vedevo l’ora di andare alle medie, così avrei avuto i miei compiti da fare al tavolo della cucina. E a quel punto come l’avrebbe messa mia madre con la gallina?

    «Lo sai che non mi piacciono le bambine pigre» sentenziò la mamma con le mani sui fianchi e io capii che era l’ultimo avvertimento. Per mia madre peggio delle bambine pigre c’erano soltanto le bambine bugiarde.

    Così presi la cordicella e cercai di legarla a una zampa della gallina. Non era né bella, né simpatica, tutta marrone con un becco acuminato che se ti pizzicava erano guai!

    «Avanti, fai la brava che ti porto a fare una passeggiata» le dissi guardandola nell’occhio rotondo che mi fissava, tentando di convincerla con le buone. Ma pareva che lei non ne avesse per niente voglia, perché cercò subito di beccarmi e poi di scappare. Allora la mamma la spinse in un angolo, la prese senza tanti complimenti, la legò e la sistemò nel mio cestino della merenda. Ci entrava appena eppure sembrava che le piacesse, perché se ne stava bassa come quando covava le uova.

    «Ecco, tieni, portala così, poi la tiri fuori quando arrivi in strada», e mi mise il cestino con la gallina fra le braccia.

    Scesi le scale cercando di tenerla il più possibile lontana dal mio corpo perché temevo, e a giusta ragione, il suo terribile becco. Poi, a passetti veloci, raggiunsi i giardinetti di piazza Carducci e finalmente posai il cestino per terra e la liberai. Quella prese subito a zampettare felice fra le aiuole fiorite di fronte alla casa del grande poeta, e sperai con tutto il cuore di non incontrare nessuna compagna di scuola a cui dover presentare la mia insolita amica.

    Anche perché, in quel preciso momento me ne resi conto, non sapevo neppure io come si chiamasse.

    2. Quando mi feci la corona da regina con le penne della gallina

    Quella stessa sera scoprii che sul fondo del cestino erano rimaste tre penne marroni. Una bella lunga e grossa, le altre due più corte e delicate. Toccandole senza timore delle beccate mi accorsi che le penne delle galline sono lisce come la seta se le accarezzi per il verso giusto. Così mi venne un’idea.

    Andai a frugare nella cassapanca della nonna dove si trovava di tutto, perché la nonna conservava proprio ogni cosa. Può sempre servire diceva, salvando un ritaglio, un nastrino o un calzino spaiato. E trovai quello che faceva al caso mio: una strisciolina di stoffa, probabilmente tagliata via da un vestito troppo lungo, di un bel colore giallo scuro. Provai ad annodarmela intorno alla fronte e vidi che bastava anche per farci due giri, così andai dalla nonna che stava stirando in cucina mentre controllava le pentole sul fuoco, e le chiesi ago e filo.

    «A cosa ti serve?».

    «Voglio attaccare le penne

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