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1 SCRITTURA E LETTURA nella storia e nell'educazione
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E-book335 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Questo è un libro per comprendere più a fondo che cosa vuol dire leggere, che cosa avviene nella nostra testa quando leggiamo e perché è utile e bello imparare a leggere fin da piccoli. Nella prefazione Calvani scrive il lavoro induce a ripensare alle affinità tra sviluppo filogenetico e ontogenetico e alle sollecitazioni educative che vengono da questa comparazione e infatti, dopo uno sguardo sulla genesi della scrittura, è analizzato il modo in cui il nostro cervello legge, per trarne lezioni su come si possono aiutare i bambini a diventare lettori, anche quelli dislessici, prima che incontrino le frustrazioni dei primi anni di scuola. All’inizio del percorso scolastico si assume che i bambini partano alla pari, ma non è vero. Se un bambino vive in una famiglia dove i genitori sono analfabeti funzionali, con basso titolo di studio e non leggono nemmeno un libro all’anno, ci sono poche probabilità che abbia i prerequisiti necessari per diventare lettore. Soprattutto questi bambini devono essere aiutati prima di entrare a scuola e qui è discusso come supportarli. Infine, sono affrontati i cambiamenti indotti dalla rivoluzione digitale sulla scrittura e sulla lettura, le nuove abilità (digital literacy) necessarie in un mondo digitale e i modi in cui il digitale può aiutare nel diventare lettori. C’è un alfabetismo da ripensare per trovarle il giusto posto all’interno di una cornice mentale e sociale più ampia, quella rappresentata dalla media literacy (Maragliano).
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2021
ISBN9791220253673
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    1 SCRITTURA E LETTURA nella storia e nell'educazione - Vittorio Midoro

    VITTORIO MIDORO

    Scrittura e lettura nella storia e nell’educazione

    Prefazione di Antonio Calvani

    Postfazione di Roberto Maragliano

    VITTORIO MIDORO

    Scrittura e lettura nella storia e nell’educazione

    Prefazione di Antonio Calvani

    Postfazione di Roberto Maragliano

    Agosto 2020

    © 2020 by

    Vittorio Midoro

    Immagini di copertina: Elías García Benavides

    L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore. Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma (comprese le fotocopie, la scansione, la memorizzazione elettronica) e la comunicazione (ivi inclusi a titolo esemplificativo ma non esaustivo: la distribuzione l’adattamento, la traduzione e la rielaborazione, anche a mezzo di canali digitali interattivi e con qualsiasi modalità attualmente nota o in futuro sviluppata.

    Sommario

    PROLOGO

    1 LETTURA, SCRITTURA E ORALITÀ

    La lettura

    Perché tanti analfabeti funzionali in Italia

    La scrittura

    Oralità, scrittura e lettura

    2 PRIMA DELL’ALFABETO

    Origini della scrittura

    3 ORIGINE ED EVOLUZIONE DEGLI ALFABETI

    Dal suono al segno e dal segno al suono

    4 LINGUAGGIO E SCRITTURA

    La scrittura come tecnologia

    Lettore e linguaggio

    5 COME IL CERVELLO LEGGE

    Come leggiamo

    Rivolgere l’attenzione allo scritto

    Vedere la parola

    Collegare le lettere ai suoni e l’ortografia alla fonologia

    Accedere al significato della parola

    Avere una reazione affettiva

    6 PRIMA DI DIVENTARE LETTORE

    Sviluppare il linguaggio

    Discriminazione dei suoni e lallazione (0-12 mesi)

    Esplosione del vocabolario (12-18 mesi)

    Comparsa di verbi, aggettivi, articoli, frasi (18-36 mesi)

    Diventare lettori

    7 DIVENTARE LETTORE APPASSIONATO

    I diversi tipi di lettore

    L’analfabeta

    Il pre-lettore emergente

    Il lettore neofita

    Il lettore decodificante

    Il lettore fluido

    Il lettore esperto

    Il lettore appassionato

    8 IL LETTORE DISLESSICO

    Diversamente lettori

    Il cattivo lettore

    Analfabeta funzionale

    Il lettore dislessico

    9 SCRITTURA E RIVOLUZIONE DIGITALE

    Dalla carta al digitale

    Documentazione

    Codifica

    Comunicazione

    Conversazione

    Espressione

    10 DIGITAL LITERACY

    Gli oggetti digitali

    Digital Literacy

    Il digitale per imparare a leggere

    11 UN PROGRAMMA DI LETTURA PRECOCE

    APPENDICE - IL METODO MIDORO PER DIVENTARE PICCOLI LETTORI

    A Mariangela

    PREFAZIONE

    Vittorio Midoro è un ricercatore che ha lavorato per oltre trent’anni all’Istituto Tecnologie Didattiche del CNR di Genova, mantenendo fede alla missione originaria di questo vivace centro di ricerca, dove, in particolare negli anni ’80 e ’90, sotto la guida di Giorgio Olimpo, la trasversalità delle due culture (scientifica e umanistica), l’accettazione di sfide audaci e la ricerca come passione erano alla base di ogni attività.

    Qualche anno fa Midoro, sulla base di esperienze familiari, ha proposto, sperimentato e valutato un metodo innovativo per insegnare a leggere dai tre anni¹. Successivamente si è imbattuto nel lavoro fondamentale di Dehaene sulla lettura², da cui ha trovato elementi di conferma e ciò l’ha indotto a sviluppare un ulteriore approfondimento, con un intreccio di rimandi tra ambiti diversi (antropologia storica, neuroscienze, tecnologia) che il lettore potrà apprezzare in questo libro.

    Devo subito dire, a scanso di equivoci, che Midoro non potrà mai convincermi a seguirlo nella strada del suo irriducibile ottimismo, secondo cui le tecnologie della scrittura si cumulano in uno sviluppo positivo che offre opportunità crescenti, sottovalutando, a mio parere, le criticità e le conflittualità che si generano in questo percorso, ad esempio il fatto che la prevalenza pervasiva dei social media riduca oggi gli spazi e confligga con le forme mentali necessarie per una lettura profonda oltre a produrre quei fenomeni massicci di dipendenza che non possono non preoccupare chiunque abbia a cuore il futuro delle nuove generazioni. Ma non è questo l’aspetto principale di questo lavoro, il punto di cui merita qui discutere. Esso offre l’opportunità per soffermarci brevemente su tre aspetti, uno teorico, uno polemico ed uno propositivo.

    Sul piano teorico il lavoro induce a ripensare alle affinità tra sviluppo filogenetico e ontogenetico e alle sollecitazioni educative che vengono da questa comparazione. L’avvento dell’alfabeto non è stato solo l’introduzione di un potente mezzo di comunicazione e di diffusione culturale. Nel suo straordinario capitolo La scrittura ristruttura il pensiero Walter Ong³ ha mostrato la forte influenza che la scrittura ha esercitato sulle forme interne della mente, favorendo l’avvento di una cultura che, lasciando in disparte i tratti propri dell’oralità, si è attrezzata dei prerequisiti cognitivi propri del pensiero scientifico.

    Come avviene questo passaggio? La scrittura, rendendo il pensiero oggetto visibile, consente l’attivazione di quell’andirivieni sul linguaggio stesso impossibile nel flusso continuamente rivolto in avanti del linguaggio orale. Riguardando e confrontando il prima e il dopo del discorso, la mente può così scoprire ripetizioni, ridondanze, incoerenze, relazioni possibili tra le parole; può isolare le parole stesse, fare delle liste (nascono i dizionari), scoprire categorie linguistiche e tipologie espressive ricorrenti (nasce la grammatica), raccogliere i dati in tabelle regolari e ordinate di cui si scoprono relazioni interne (con impulso al pensiero matematico). In breve si formano i presupposti di quel pensiero analitico, contrapposto al pensiero olistico della cultura orale, su cui si potranno sviluppare nel tempo i saperi scientifici.

    Si tratta di un passaggio che ha forti analogie con due concetti che la ricerca sullo sviluppo dell’intelligenza del bambino ha messo in risalto nel secolo scorso. Il primo riguarda la reversibilità del pensiero che, come noto, rappresenta il criterio con cui Piaget contrassegna l’avvento del pensiero operatorio; il fatto che ad un certo punto il pensiero, divenuto più astratto, sia capace di immaginare il percorso inverso, ritornando al punto di partenza, staccandosi dalla costrizione imposta dalla sequenza temporale percepita, costituisce secondo Piaget uno dei momenti più importanti nello sviluppo dell’intelligenza orientata verso quel pensiero formale, logico deduttivo che a suo avviso ne rappresenta il punto di arrivo terminale. È evidente, e lo stesso Ong lo riconosce, che i meccanismi cognitivi messi in atto con la scrittura alfabetica sono in forte sintonia con tale nozione di reversibilità.

    L’altro concetto riguarda la metacognizione e trae lo spunto da quello di linguaggio interiore di Vygotsky. Come noto, secondo questo autore il linguaggio interiorizzato diventa voce interna, dà luogo a quel parlare silenzioso che accompagna la vita di ciascuno: è in questo linguaggio interno che è compito dell’educazione introdursi per offrire stampelle cognitive, come si usa dire, per un maggiore autocontrollo e per il possesso di strategie consapevolmente mirate a precisi obiettivi (aspetto caratterizzante la didattica metacognitiva).

    La seconda considerazione riguarda il fatto che questo lavoro può essere considerato, se pur in modo indiretto, un atto di accusa verso una ricerca pedagogica accademica chiusa nei suoi steccati e verso un più generale stato d’inerzia culturale e politica che avvolge le questioni pedagogiche fondamentali.

    Il sistema scolastico italiano è avvolto da un manto di sterili dibattiti che imperversano senza fine, con contrapposizioni giornalistiche tra tradizionalisti e innovatori, che maschera uno stato di sostanziale inerzia o di frammentismo delle iniziative. Alla base c’è l’incapacità di affrontare quelli che sono i problemi principali della scuola mettendo a fuoco politiche di ampio respiro da attuare con tenacia nel tempo, al fine di risolverli. Se ci chiediamo quali siano queste criticità fondamentali non possiamo far finta di non conoscerle. Tutti sappiamo, e le ricorrenti comparazioni OCSE PISA ce lo ricordano, che il nostro sistema scolastico rimane al di sotto alla media europea in diversi dei parametri principali, con una percentuale troppo alta di studenti che non arriva ad una adeguata padronanza delle competenze di base (saper leggere e comprendere, redigere un testo, saper affrontare una argomentazione scientifica, saper padroneggiare adeguatamente una lingua straniera), con una percentuale di drop out di almeno 5 punti superiore agli altri Paesi, ed un sistema di inclusione che, per quanto accompagnato da una lunga autocelebrazione (siamo stati il primo Paese a proporre il superamento delle classi speciali negli anni ’70, è lo slogan che si ripete immancabilmente in ogni lavoro al riguardo) non riesce a produrre una documentazione affidabile su come questo problema possa essere affrontato e sottoposto a valutazione⁴.

    Tra tutte queste criticità fondamentali l’educazione alla lettura, nel suo doppio aspetto di apprendimento iniziale della decodifica e della comprensione del significato (lettura come oggetto di apprendimento e lettura come mezzo per apprendere) è alla base di tutto il percorso di scolarizzazione. Non può non sorprendere il fatto che nonostante la trasparenza della lingua italiana, che dà sicuramente un vantaggio in fase iniziale, i nostri adolescenti lettori rimangano in gran parte incapaci di compiere quelle operazioni cognitive e inferenziali di base proprie di un lettore mediamente competente.

    Come si spiega questo ritardo e come si può porvi rimedio? Evidentemente le azioni didattiche, sia quelle che gli insegnanti spontaneamente applicano, ispirate o meno da indicazioni istituzionali, da teorie pedagogiche o dai percorsi di formazione effettuati, non risultano adeguate. La costatazione di un fallimento e la conseguente necessità di volgere l’attenzione a nuovi tipi di azioni, abbandonando ogni autocelebrazione, dovrebbe dunque essere il primo punto da cui partire.

    La prima spiegazione (e responsabilità) che soprattutto gli addetti ai lavori tendono a chiamare in causa è che gli investimenti per la ricerca e per la scuola sono pochi, rispetto a quelli di altri Paesi, e questo è anche vero in termini generali. Tuttavia per quanto riguarda la ricerca accademica, gli oltre trecento ricercatori che in Italia si occupano a vario titolo di ricerca educativa, strutturati o aspiranti tali nelle università e in altri centri di ricerca non sono certo un numero inconsistente se fossero indotti dalle associazioni scientifiche o avessero loro stessi l’avvedutezza di concentrare la propria attenzione su aspetti realmente significativi, senza disperdere le proprie energie in piccoli rivoli di scarsa consistenza (survey descrittivi, ricerche tecnologiche che non vanno mai oltre il prototipo, o forme di ricerca azione locali, di cui non si intravede la conclusione e la possibilità di trasferimento di quanto acquisito): ci si dovrebbe allora seriamente interrogare se questa risorsa qualificata sia ben impiegata e come orientarla in modo più marcato sui problemi fondamentali di questo Paese che riguardano il miglioramento della scuola⁵.

    L’educazione alla lettura nel suo duplice aspetto, lettura iniziale (decodifica), lettura come comprensione, è il punto fondamentale, l’argomento che dovrebbe stare al centro degli interessi della comunità pedagogica sul quale si dovrebbe attuare una convergenza tra istituzioni, associazioni culturali e azioni pedagogiche.

    Eppure questi temi, così importanti, sono trascurati, sono lasciati in mano a divulgatori che lavorano presso le case editrici (con pessimi risultati, scarsissima documentazione scientifica, prevalenza di luoghi comuni e di soluzioni spettacolaristiche, come si può rilevare da una semplice rassegna della letteratura esistente)⁶.

    Da questo punto di vista l’impresa di Midoro ha dell’eroico: uscendo dagli steccati e dai luoghi comuni sfata un tabù, quello secondo cui i bambini non sono pronti per imparare a leggere e che comunque, affrontare questo aspetto prima dei sei anni significherebbe necessariamente passare attraverso un’imposizione forzosa, innaturale, a scapito della naturalezza del bambino che ne sarebbe sacrificata. Un solo ricercatore con l’aiuto di qualche dottorando per la sperimentazione ha messo in crisi questo tabù, dimostrando l’efficacia di una strada nuova percorribile in un campo così fondamentale.

    La terza considerazione riguarda il fatto che dovremmo allora prendere lo spunto da questo significativo contributo per un ripensamento sugli atteggiamenti prevalenti verso l’educazione infantile ed avanzare alcune proposte pedagogiche concrete in questo ambito. Integrando quanto emerge dal lavoro credo che l’attenzione della comunità educativa dovrebbe concentrarsi su tre punti:

    1. L’insegnamento/apprendimento della lettura va ormai anticipato nella scuola dell’infanzia.

    Sul fatto che i bambini, almeno quelli a sviluppo tipico in contesti sociali non deprivati, possano imparare a leggere già alcuni anni prima della scuola, non ci sono più dubbi. Al di là di quanto Midoro dimostra, le testimonianze personali o di conoscenti, che tutti possiamo addurre a questo riguardo, sono ormai innumerevoli⁷.

    Dobbiamo aggiungere che la possibilità di imparare precocemente l’alfabeto è anche favorita dalle particolari caratteristiche della lingua italiana che, come noto, si caratterizza per la sua trasparenza⁸; possiamo dare come acquisito che in una lingua come quella italiana non esistono barriere neurologiche che impediscano ai bambini di avviare l’apprendimento della lettura già due o tre anni prima l’ingresso nella scuola Primaria. Eppure questo tabù, per cui non si può parlare di apprendimento della lettura, permane; se ne trovano tracce evidenti anche nelle Indicazioni ministeriali⁹. Si tratta di un residuo di una concezione attivistica, nata, anche comprensibilmente, a tutela dei diritti naturali un bambino, a fronte dei rischi derivanti da una scuola tradizionale, caratterizzata da un pesante istruzionismo; l’apprendimento dell’alfabeto si associa indistricabilmente a quell’immagine di scuola punitiva e noiosa fatta di maestri che bacchettano i bambini per i loro errori ortografici.

    Ma quella scuola non esiste più e si dovrebbe ricordare come la via del gioco, con interruzione ai primi segni di stanchezza, all’interno di un rapporto accogliente e tollerante sia il presupposto per avviare questa come tutte le altre attività didattiche nella prima infanzia. È ovvio che i bambini hanno bisogno di tempi diversi, di attesa paziente e di calore; la possibilità che si attuino nella scuola dell’infanzia programmi poco rispettosi dei ritmi del bambino fa parte dei rischio di cui deve farsi carico la formazione pedagogica e che vale per tutte le attività della scuola dell’infanzia ed oltre.

    Ci si può poi domandare se conviene che i bambini apprendano a leggere prima di entrare nella scuola Primaria, dato che a sei anni verrà comunque insegnato loro a leggere. Si tratta di una domanda che ci si può porre però per qualunque argomento e qualunque forma di anticipazione e che si può capovolgere. Partendo dal presupposto che il bambino si diverta apprendendo perché non dovrebbe essergli consentito di farlo anche prima della norma stabilita dagli ordinamenti scolastici? Il concetto di scuola inclusiva, verso cui dovremmo tendere, significa consentire a tutti il

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