Una storia gotica
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Info su questo ebook
L’Autore. Chiara Galiffa Chiara Galiffa è nata il 17 settembre 2002 a San Benedetto del Tronto. Attualmente frequenta l'ultimo anno di studi presso il Liceo Classico “G. Leopardi”. Il suo interesse nei confronti della scrittura è stato sempre vivo e costante. Ha sempre avuto una grande passione per l'orrido ed il macabro: i classici della letteratura gotica, il fascino per l'esoterismo ed una spiccata attrazione nei confronti di storie dal gusto ottocentesco hanno contribuito a definire il suo corrente stile di scrittura. I suoi piani per il futuro la vedono coinvolta nello studio e nella traduzione di letteratura cinese, per via del suo interesse per le tradizioni religiose e filosofiche di questa civiltà. Con questa opera ha vinto la prima edizione del concorso Opera Prima, dedicato agli studenti delle Scuole Superiori. Con Una Storia Gotica, Chiara ha dimostrato un vero talento per la scrittura, coniugando fantasia e una eccezionale padronanza della suspense e del linguaggio.
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Anteprima del libro
Una storia gotica - Chiara Galiffa
XXV
CAPITOLO I
17 ottobre 1846
Caro Charles,
ti scrivo dalla comoda poltrona del mio nuovo studio, prossimo a divenire testimone dei miei più intimi pensieri, adagiata sulla rassicurante morbidezza di una seduta di gran lunga più confortevole di quella della carrozza che mi ha portato fin qui.
Non pecco di esagerazione se scrivo che la strada sembrava interminabile, come un arido tappeto di terra e polvere che, quasi animato da volontà propria, provasse piacere nel dispiegarsi e distendersi lungo tracciati sempre più lunghi. I cavalli stessi stentavano a proseguire la marcia, seppur spronati dalla ferma mano di George. Quasi percepivo su di me la veemenza dei colpi sferrati alle bestie, tanta era la frustrazione derivante dalla straziante lunghezza del tragitto. L’asprezza del percorso accompagnava armoniosamente il velo di densa tristezza che avvolgeva il mio corpo, rannicchiato accanto alla piccola finestra laterale e turbato dalla luce proveniente dalla stessa. Il bagliore sembrava volermi spogliare di ogni difesa, insinuandosi con pungente maestria nelle profondità più buie del mio torbido animo.
Credimi, mi dispiace davvero lasciarti per qualche tempo, mio adorato fratello, così come mi rincresce privarmi della compagnia del resto della famiglia, ma non riesco più a tacere quel desiderio di solitudine che da anni, con fare insolente, cresce in me. Per quanto io sia legata a ogni singolo membro familiare, e per quanto io apprezzi l’agiatezza nella quale, per grazia divina, ci è stato concesso di vivere, ho sempre sentito il bisogno di trascorrere qualche mese nella quiete dell’isolamento.
Ho necessità di considerarmi libera dalla gravosa imposizione del costante uso di quelle aggraziate maniere consone alla mia condizione, o dai sempre più aulici appellativi ripetutimi dalla servitù, la cui voce, piena di smielata riverenza, non fa altro che ronzarmi nelle orecchie. Il mio corpo richiede da tempo una pausa da tutto questo, dalla forzata eleganza e dalla minuziosa cura dell’apparenza. La vita aristocratica, ornata di fronzoli superflui e di ipocrisia celata da un illusorio buon gusto, mi sta stretta.
Capisco la preoccupazione di voi tutti, ma vi chiedo di comprendere la mia scarsa naturalezza nel destreggiarmi in un mondo simile, del tutto lontano dalla mia indole poco incline alla materialità del cosmo. Sono stanca di chi mi impone di gestire la mia realtà con un codice di abbigliamento, ricco di ilari abbellimenti che richiedono lo sforzo di decine di domestiche per adattarsi al corpo di colei che deve indossarli. Così come sono stanca di chi definisce necessario un artificioso manuale di comportamento, pregno di soluzioni innaturali, le quali trasformano una donna in un essere che donna non è più. Lo trovo oltraggioso. Ho deciso di porre fine al mio tentativo di ostentare disinvoltura nella forzata appartenenza alle vostre imposizioni, per poter concedere a me stessa la tanto agognata libertà di essere.
Sono davvero meritevole dei vostri mal celati biasimi? Conseguentemente alla realizzazione del mio desiderio di riposo, ho accettato la sola e unica compagnia di George, il valletto, il quale si è personalmente proposto di guidare la carrozza e occuparsi della villa durante la mia permanenza qui.
Spero non me ne vogliate.
In ogni caso, Charles, a rendermi definitivamente convinta a partire sono stati, senz’altro, gli ultimi avvenimenti in casa. La prematura morte di zia Margaret ha steso uno straziante velo di dolore su tutti noi, lasciandoci persi in un infinito e opprimente vuoto interiore. So che affrontare la perdita di una delle persone più gioviali e di buona compagnia della famiglia sia stato sgradevole per ciascuno, ma sento di essere stata io, in prima persona, a trarre la maggiore sofferenza dall’accaduto, ostinata come sono nel crogiolarmi nell’alone di mestizia che mi perseguita.
Il legame che soleva scorrere (e che voglio immaginare ancora vivo) tra me e la zia era di puro affetto, quasi dipendessimo entrambe dal profondo sentimento amorevole reciprocamente manifestato. Puoi ben immaginare che ora, privata della sua calda risata e del suo sguardo, mi sento più persa che mai. Se in passato, in condizioni di quiete, faticavo ad attenermi alle imposizioni del tutto aristocratiche cui accennavo prima, ora, nello stato di tristezza nel quale sono, sento me stessa ancora più distante dalla vostra realtà. Le stagioni scorrono fluide, la sua morte è sempre più lontana, ma la mia mente sembra essere rimasta imprigionata in una gabbia di compianto, svincolata da spazio e tempo, immobile nella patina di sconforto che la ricopre. Tre mesi sono trascorsi con una lentezza disarmante, in quanto dettati dal pungente ritmo delle mie lacrime e dei miei singhiozzi, interminabili manifestazioni di un malessere che sono impotente a mandar via.
Ecco perché sono qui, Charles.
Ho necessariamente dovuto abbandonare le mura di casa, ormai complici della mia decadenza e sfinite di udirmi riempire le ore più buie della notte di strazianti lamenti. Ho bisogno di immergermi nella desolazione del sacro silenzio, di respirare aria nuova, di osservare paesaggi differenti da quella valle, che conosco ormai meglio di me stessa, visibile dalle finestre delle mie stanze. Voglio circondarmi di freschezza e ritrovare la pace che temo di aver perduto. Ho bisogno di tutto quello che la vecchia dimora dello zio Abraham sembra potermi offrire, qui sulle colline a ovest della capitale. Inoltre, Charles, non nego di essermi sentita profondamente attratta da questo luogo. Ho chiesto al Creatore una via d’uscita dall’incessante dolore che mi porto dentro e subito una indistinta immagine della villa da cui ti scrivo si è fatta spazio in me. Il suo nome mi era vagamente noto dalle conversazioni familiari riguardanti i possedimenti dello zio dopo la sua morte. Ricordo con vivida lucidità la scena: ero nelle mie stanze, seduta di fronte alla finestra.
Dovrei andarmene
, ho pensato. E il nome di Abraham è all’improvviso comparso nella mia mente. È stata un’illuminazione di breve durata che, in verità, non riuscirei a descrivere in maniera razionale. Non ho potuto impedire a me stessa di partire. Tra l’altro, non capisco davvero il motivo per cui non hai mai voluto visitare la villa in questione, nonostante tu abbia avuto la fortuna di riceverla in eredità. È uno splendido edificio, all’apparenza