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Tenebre
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E-book470 pagine5 ore

Tenebre

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Info su questo ebook

Cosa succede quando sogniamo? Perché sogniamo? Cosa sono i sogni?

Claudio è un onironauta: una di quelle persone in grado di immergersi nei sogni lucidi, esperienze consapevoli e controllate all'interno del mondo onirico. Da quando sua moglie è morta, Claudio si rifugia lì. Una realtà perfetta creata dalla sua stessa psiche, dove è lui a decidere ciò che deve accadere. Il guaio è che da un po' di tempo nelle sue visioni compare una presenza malvagia. Un intruso.

E i sogni ora si trasformano in incubi.

Con l’aiuto di Morgan Villa, un famoso e ambiguo detective dell’occulto, Claudio decide di svolgere un’indagine sul Signor Meraviglia, un mito nato durante la Seconda Guerra Mondiale in un piccolo paese della provincia padana.

Un demone che, dice la leggenda, si nasconde proprio nei sogni.

Una storia che è un salto nel buio della mente umana, tra immaginazione e realtà, follia e verità, tra la vita e la morte. Una caccia in un luogo fatto di ombre, dove è necessario affrontare le proprie paure più segrete.

Perché per fuggire da certi incubi, in alcuni casi, svegliarsi non serve proprio a nulla.

LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2022
ISBN9788869347672
Tenebre
Autore

Paolo Prevedoni

Paolo Prevedoni nasce ad Alessandria, nel 1981. È un grande appassionato di cinema horror, di Stephen King, di Dylan Dog e dei Nirvana. Per Bibliotheka Edizioni ha pubblicato il fortunato esordio Una storia dell'orrore italiana, seguito da Le streghe e La notte delle anime perdute. Vive e lavora in una cittadina della provincia padana, fuma Chesterfield e non mangia carne.

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    Anteprima del libro

    Tenebre - Paolo Prevedoni

    Paolo Prevedeoni

    Tenebre

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, gennaio 2022

    e-Isbn 9788869347672

    È vietata la copia e la pubblicazione,

    totale o parziale, del materiale

    se non a fronte di esplicita

    autorizzazione scritta dell’editore

    e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Disegno di copertina: Paolo Niutta, www.capselling.it

    Progetto grafico: Riccardo Brozzolo

    Paolo Prevedoni

    Paolo Prevedoni è nato ad Alessandria nel 1981.

    Fan di Stephen King, di Dylan Dog e dei Nirvana, ha pubblicato con Bibliotheka Edizioni il fortunato esordio Una storia dell’orrore italiana e successivamente Le streghe, La notte delle anime perdute e L’alba dei vampiri.

    Vive e lavora in una cittadina della provincia

    Ogni cosa era avvolta in un’atmosfera sgradevole di sonnolenza, immobilità, senso di vuoto. Falanera non sembrava solo un paese addormentato. Sembrava un paese in coma profondo. Non era piacevole trovarsi in quel silenzio. Era il silenzio di certi sogni...

    Questo romanzo è dedicato ai sogni

    che ci faranno trovare un giorno più luminoso.

    Nota dell’autore

    La pratica del sogno lucido, l’argomento alla base del libro che avete tra le mani, è ormai da tempo riconosciuta come una verità scientifica. Magia e paranormale non c’entrano nulla, il controllo dell’esperienza onirica richiede solo una certa dose di pazienza e concentrazione. Basta una veloce ricerca su Google: troverete decine di manuali che elencano le varie tecniche necessarie per imparare a muoversi coscientemente all’interno dei propri sogni. Io stesso ci ho provato, mentre insieme a buona parte del mondo ero chiuso in casa durante il lockdown, e sono riuscito a ottenere discreti risultati.

    Tuttavia, pur facendo riferimento a diverse fonti autorevoli che si occupano di tale disciplina, nello scrivere questa strana storia mi sono arrogantemente preso tutte le libertà artistiche necessarie alle intenzioni del mio racconto. Il presente romanzo è un’opera di fantasia: ogni riferimento a eventi, persone e luoghi è frutto unicamente dell’immaginazione dell’autore.

    Adesso tocca a voi. Alla vostra immaginazione. Usatela, e le pagine che vi stanno aspettando qui di seguito prenderanno vita. Perché all’interno della mente, ogni cosa può diventare reale. Non è quello che succede con i sogni, dopotutto? Io credo di sì. E ho il sospetto che funzioni anche con gli incubi.

    Mi auguro che questo sarà di vostro gradimento.

    P.P.

    «Welcome to prime time, bitch!»

    Freddy Krueger

    Prologo

    Hotel Tiffany

    Roba strana, i sogni.

    Da dove arrivino, né tantomeno come funzionino, nessuno lo sa. Scienziati e filosofi e cantastorie: in molti hanno provato a risolvere il mistero, finendo inevitabilmente per imbottigliarsi in un vicolo cieco di supposizioni. Teorie su teorie, fiumi d’inchiostro versato, una discreta carriera per un certo dottor Freud.

    Sì: roba strana, i sogni.

    Fuochi d’artificio della mente? Sinfonie di emozioni, improvvisate dal musicista anarchico che si esercita nel labirinto del nostro cervello? O è una sorta di travestimento del subconscio, custode di istinti, il cui compito è quello di rimettere in ordine, da buon padrone di casa, una matassa di pensieri ingarbugliati? Forse i sogni sono ponti che conducono al cuore dell’anima, come sostengono i poeti. Loro sì che sono bravi, ladri di fuoco, a dare le risposte pur non conoscendo le domande.

    Teorie su teorie, appunto. Scegliete quella che vi piace di più.

    Per quel che vale, io credo che dare una spiegazione a ciò che accade quando chiudiamo gli occhi e precipitiamo nelle tenebre sia un’impresa al di fuori della nostra portata. Noi non possiamo far altro che accettare il passaggio, metterci comodi e goderci la corsa. Il più delle volte, lo spettacolo vale il prezzo del biglietto.

    E poi non è mica detto che il nostro ruolo nel mondo onirico debba sempre rimanere relegato a quello di semplici spettatori. Talvolta può anche capitare di ritrovarsi in cabina di comando, e in quel caso il sogno si trasforma in un’astronave lanciata nell’universo dell’immaginario, dove ci è concesso sbizzarrirci e spingere l’acceleratore supersonico delle nostre emozioni oltre limiti ignoti.

    Bisogna solo fare attenzione a non sbagliare strada.

    Perché, se ciò accade, il rischio è quello di attraversare il confine che conduce ad un luogo buio, dove ci sono le ombre. Ombre che aspettano, pazienti. Nascoste.

    Il loro nome è incubi, ed è proprio di questo che vorrei parlarvi.

    Degli incubi.

    Avvicinatevi, non siate timidi.

    Il sogno di Claudio è un sogno molto particolare, ed esclusivo. Ma noi siamo dei privilegiati, quindi ci è permesso di dare una sbirciata.

    Guardate questo enorme salone. Pareti immacolate, bianche di un bianco così puro da sembrare impossibile. Lampadari scintillanti pendono da una volta decorata con affreschi che non sfigurerebbero in una cattedrale di Roma, riverberando una luce che ricorda quella delle stelle in una limpida mezzanotte.

    La sala è grande quanto un oceano: centinaia di tavoli imbanditi, ovunque si volga lo sguardo, a cui siedono commensali vestiti a festa. Brindano accostando appena i calici di cristallo, che tintinnano come arpe. L’atmosfera è carica del brusio della conversazione più allegra e di sorrisi e sguardi complici.

    Il tavolo al centro, naturalmente, è tutto per loro.

    Claudio e Désirée, lì in mezzo, sembrano un re e una regina. Si godono la serata. Ne hanno tutto il diritto. Questa è la loro serata.

    E questo è il sogno di Claudio.

    Il tavolo si trova vicino al palco dove suona l’orchestra. Non troppo vicino: il giusto per godersi la musica senza che ci sia bisogno di alzare la voce quando si conversa. Sul palco c’è Frank Sinatra, perfetto nel suo smoking, e sta cantando la loro canzone. That’s life. Questa è la vita. Eric Clapton lo accompagna alla chitarra, concentrato come uno sciamano durante un rito magico.

    E la canzone lo sembra davvero, un incantesimo.

    «Non mi lascerò abbattere, perché questo caro, vecchio mondo continua a girare», canta il grande Frank, ispirato come non mai.

    Claudio alza il bicchiere verso di lui e lo ringrazia per l’esibizione impeccabile. Il cantante fa un inchino e ammicca. Dovere, amico mio, dovere.

    Désirée sorride. È splendida, e Claudio non le stacca gli occhi di dosso. Potrebbe rimanere a guardare sua moglie per ore. Claudio si gode ogni istante.

    È il suo sogno, d’altronde.

    Ci sono molte celebrità in sala. Fanno a gara per avvicinarsi al loro tavolo, per un saluto e un complimento a Désirée. Claudio ha invitato personalmente quelle persone, lì, all’Hotel Tiffany, dove il mondo reale finisce ed inizia quello che ha costruito lui.

    Ecco Marcello Mastroianni, che da vero gentiluomo fa il baciamano a Désirée e la invita a ballare. Lei accetta e lo segue sotto il palco. Claudio li guarda danzare, sorridendo compiaciuto. Quando sua moglie torna a sedersi è un po’ sudata, e sembra luccicare nel suo vestito bianco e scollato, che irradia luce. O forse il vestito non c’entra nulla. È lei, ad essere così luminosa.

    Un gatto nero le salta sulle ginocchia, facendola ridere. All’Hotel Tiffany ci sono gatti neri dappertutto. Désirée adora dipingerli, sono il suo soggetto preferito. Désirée dipinge solo gatti neri e orchidee. Orchidee e gatti neri. Le sue opere sono appese in fondo alla sala, e c’è sempre una gran fila per ammirarle. Sua moglie ne va orgogliosa, anche se si imbarazza quando riceve troppi complimenti.

    Di tanto in tanto, per farle una sorpresa, Claudio organizza un piccolo spettacolo. Gli basta schioccare le dita, e l’enorme soffitto si apre su un firmamento stellato. La luna illumina i quadri di Désirée, come un faro puntato. Petali d’orchidea iniziano a cadere dal cielo, volteggiando nell’aria. Sembrano girandole di neve colorata. Gli ospiti dell’Hotel Tiffany apprezzano lo show. Fischiano con le dita nella bocca e picchiano i pugni sui tavoli e applaudono la star della serata. Désirée.

    Désirée arrossisce e ride e batte le mani. Claudio la guarda come si guardano gli angeli. Frank Sinatra propone un brindisi, sulle note di Fly me to the moon. La sala leva i calici, ed ecco che le luci si abbassano e le pareti si dissolvono, rivelando l’universo là fuori, che Claudio ha creato impastando supernove, comete e pianeti.

    L’Hotel Tiffany è uno scrigno che racchiude gioia. All’Hotel Tiffany tutto è possibile. Claudio ha costruito quel luogo con maniacale attenzione ai dettagli, per custodire la felicità che quando è sveglio gli è ormai proibita.

    All’Hotel Tiffany è sempre festa.

    All’Hotel Tiffany sua moglie è ancora viva.

    «Ti amo», disse Claudio, fissando Désirée negli occhi.

    Lei arrossì e abbassò lo sguardo.

    «Lo so», rispose.

    Da qualche parte in sala qualcuno stappò una bottiglia, tra applausi e risate. Il tappo rimbalzò vicino ai piedi di Désirée e due gatti presero a giocarci.

    Lei allungò la mano sul tavolo, stringendo forte quella di Claudio.

    «Adoro questo posto.»

    «Per questo ti ci porto, Desi.»

    «Mi piace tantissimo.»

    «Sono contento, Desi.»

    «Credi che potremmo avere ancora po’ di vino?»

    Claudio alzò la mano, e un cameriere si precipitò al tavolo con una bottiglia di Champagne. Riempì loro i bicchieri e si dileguò con un inchino.

    Frank Sinatra si accese una sigaretta e scese dal palco tra gli applausi. L’orchestra era passata ad una canzone strumentale, un vecchio successo di Glenn Miller. Désirée dondolava la testa a tempo di musica.

    «Dove vuoi andare, dopo?» le domandò Claudio.

    Sua moglie afferrò delicatamente il gatto che le si era acciambellato in grembo e lo fece scendere sul pavimento.

    «Non mi importa. È già una splendida serata.»

    Claudio indicò il palco.

    «C’è una scala che scende sotto il palco», disse. «Là sotto ci sono tre porte rosse. Ci possono portare a Parigi, a Miami o in un locale di Liverpool.» Poi si schiarì la voce con fare teatrale. «Ci sono i Beatles che suonano, questa sera.»

    Désirée scoppiò a ridere come una bambina.

    «Adoro i Beatles! Li vedremo da vicino?»

    «Certo.»

    «Potremmo ballare sotto il palco!»

    «Certo.»

    «Credi che mi faranno cantare una canzone con loro? Adoro John Lennon!»

    «Tutto quello che vuoi, Desi.»

    Lei si intristì di colpo. Abbassò lo sguardo.

    «Sei sempre così gentile con me, Claudio.»

    Lui scacciò una mosca che si era posata sul suo bicchiere.

    Una mosca? Che diavolo ci fa una mosca, qui?

    Niente di grave. A volte gli capitava di lasciarsi sfuggire qualcosa.

    Désirée sembrava a disagio. A volte il sogno si incrinava un po’. D’altronde non era mica facile controllare proprio tutto.

    Ma Claudio sapeva come aggiustare le cose.

    Si concentrò. Unì i palmi delle mani e fischiettò un motivetto, un vecchio jingle di una pubblicità della Coca Cola che andava di moda negli anni Ottanta. Le sue dita si fusero insieme, come se fossero fatte di cera sciolta, mutando in una forma che ricordava una farfalla trasparente. Claudio separò i palmi, e le sue mani tornarono normali. Alzò lo sguardo in sala, cercando il punto di riferimento del sogno. Lo vide. Il maître del ristorante lo fissava con le sopracciglia inarcate. Claudio gli lesse le labbra: Ancora vino? Un dolce? Un digestivo?

    Claudio sorrise e scosse il capo: A posto così.

    Tornò a guardare sua moglie. Désirée era di nuovo tranquilla. Aveva aperto il tovagliolo sul tavolo e ci stava tracciando sopra un disegno con il dito.

    Claudio sospirò, rilassandosi. Non voleva svegliarsi.

    La notte era ancora lunga.

    «Allora che mi dici, Desi?» domandò, sorseggiando lo Champagne. «Parigi, Miami, oppure i Beatles?»

    Désirée non rispose. Désirée si asciugò una lacrima silenziosa che le era scivolata lungo la guancia.

    Claudio provò una stretta allo stomaco.

    «Non piangere, Desi.»

    Sua moglie si passò la lingua sulle labbra, trattenendo i singhiozzi.

    «Mi manchi, Claudio.»

    Lui sentì la tristezza sbocciargli nel petto, violenta come un conato.

    Maledizione! Non era così che doveva andare. Non . All’Hotel Tiffany non c’era posto per la tristezza, la malinconia o le lacrime. All’Hotel Tiffany lui e Désirée erano insieme, ed erano felici. All’Hotel Tiffany era sempre festa.

    Claudio unì i palmi. Claudio spinse con la mente.

    Un’altra mosca gli ronzò intorno al viso. Claudio la scacciò con rabbia.

    «Anche tu mi manchi, Desi», sussurrò, inghiottendo il magone e cercando di concentrarsi. «Non pensiamoci, adesso. Ci stiamo divertendo.»

    Le strinse di nuovo la mano. Désirée aveva la mano fredda.

    Désirée aveva la mano gelida.

    Claudio si sforzò di riprendere il controllo del sogno. Ma era difficile, molto più che altre volte. C’era qualcosa che non andava.

    Désirée ora lo fissava senza espressione.

    «Ti piacerebbe rivedermi, Claudio?» disse. «Rivedermi… davvero?»

    Lui si irrigidì. La voce di sua moglie era diversa e distante, come un eco. Il sogno si trasformava velocemente. Sì. C’era decisamente qualcosa che non andava.

    All’improvviso il brusio in sala si attenuò, ogni suono si fece ovattato.

    Claudio osservò gli ospiti ai tavoli: uno ad uno si stavano zittendo, voltando lo sguardo verso il fondo del salone, dove c’era un tavolo più isolato dagli altri, una zona in ombra. Lì, su una sedia a rotelle, sedeva una donna anziana.

    La vecchia indossava un vestito sgualcito. Sulle spalle portava uno scialle bucherellato che le ricadeva sulle braccia secche. Aveva i capelli grigi e arruffati, che le cascavano su una fronte piena di rughe. I suoi occhi erano azzurri, così chiari da sembrare trasparenti. Ed erano molto distanti tra loro.

    Gli occhi erano troppo distanti uno dall’altro, quasi ai lati della faccia.

    La vecchia deforme sorrise, mostrando una fila di denti storti e gialli. La vecchia deforme accostò la mano alla bocca, e soffiò un bacio verso Claudio.

    Uno dei gatti in sala lanciò un miagolio stridulo, fuggendo tra i tavoli.

    Claudio era confuso, e adesso anche un po’ spaventato. Non aveva idea di chi fosse quella donna, ma sapeva per certo che non aveva alcuna ragione di trovarsi lì. Era lui a decidere chi potesse sedere in quella sala. Era il suo sogno, quello.

    La vecchia deforme era un intruso.

    Claudio sentì la mano gelida di Désirée serrarsi sul suo polso. Voltò lo sguardo verso di lei, e vide il sangue che le colava dagli occhi e dalla bocca. Vide le mosche che le ronzavano intorno ai capelli.

    «Ti piacerebbe rivedermi, Claudio?» gli domandò di nuovo sua moglie. «Rivedermi… davvero?»

    Désirée spinse in avanti il tovagliolo, aperto sul tavolo.

    Sulla stoffa, con il sangue, c’era scritto: Vieni a Falanera. Vieni a trovarmi.

    E poi un’altra frase.

    Saluti dal Signor Meraviglia.

    Ed è a questo punto che Claudio si sveglia, fradicio di sudore, gridando il nome di sua moglie e scalciando le coperte e scoppiando a piangere come un bambino.

    Il sogno, che ha preso chissà come la strada verso il luogo buio dove le ombre aspettano e si nascondono, rimbomba nella sua testa come il grido di un folle.

    Il sogno è diventato un incubo, ma ora è finito.

    Questa strana storia, invece, comincia proprio qui.

    Capitolo 1

    Claudio Grimaldi

    La domanda che tutti volevano fargli, come al solito, era sempre la stessa. Poteva leggerla chiaramente nei loro sguardi curiosi. Sempre. La. Stessa. Domanda.

    È davvero possibile?

    Claudio Grimaldi stava sudando freddo e aveva le vertigini. Postumi di una sbronza, di quelle brutte. Vino. Molto. Whisky. Molto. Claudio aveva già ingoiato tre caffè e preso due aspirine, e non erano nemmeno passate le dieci del mattino. Non era servito a un cazzo.

    Fissò le persone sedute di fronte a lui, rigorosamente a distanza di sicurezza una dall’altra, in rispetto delle norme anti Covid. Una trentina di sconosciuti. Non molti, ma abbastanza per renderlo nervoso. Occhi curiosi. Avevano tutti quella fottuta domanda appesa sulla faccia.

    È davvero possibile?

    La piccola sala conferenze, affittata per l’occasione dalla sua casa editrice, si trovava al sesto piano dell’Hotel Bulgari di Milano. Dalla finestra si intravedevano il profilo della città e un giardino di piante esotiche, intrappolato tra i palazzi. Il cielo di fine settembre era sbiadito dallo smog, il sole una medaglia d’oro finto.

    Simone, il suo collaboratore (e come sempre moderatore della presentazione), sedeva di fianco a lui alla lunga scrivania con il piano di vetro. Simone aveva un sorriso da pubbliche relazioni stampato sulla sua faccia da venditore.

    Simone aprì le danze con la collaudata battuta di rito.

    «D’accordo, gente. È ora delle domande. Non troppe, mi raccomando, altrimenti non avrete più bisogno di comprare il libro.»

    Risate di cortesia. Claudio bevve un sorso d’acqua dalla bottiglietta di plastica di fronte a lui. Piantò lo sguardo sulla parete in fondo, dove era appesa una stampa di Pollock, evitando le facce del pubblico. Gli veniva da vomitare.

    Una ragazza con i capelli rossi e ricci alzò la mano. Simone le fece un cenno, e la ragazza si abbassò la mascherina e iniziò a parlare.

    «Ho solo una domanda per lei, dottor Grimaldi», disse la rossa. «Come ci riesce? È una specie di sensitivo? Insomma… è davvero possibile?»

    Claudio si sforzò di sorridere. È davvero possibile? Avrebbe voluto mandare affanculo la rossa, ma si accontentò della risposta standard.

    «No, signorina. Non sono un sensitivo. E… sì, è davvero possibile. Come è spiegato accuratamente nel mio manuale, che potrete acquistare a prezzo scontato alla fine di questa presentazione, non c’è nulla di ciò che faccio che non sia accessibile a qualsiasi comune mortale. Non sono un mago.» Allargò il suo sorriso di scena. «Sono solo un esploratore dei sogni.»

    E un alcolizzato, pensò.

    Ma questo, per ovvi motivi, non lo disse.

    Come la domanda, anche la risposta era ogni volta la stessa.

    Adesso che aveva rotto il ghiaccio, Claudio non doveva far altro che andare a memoria, svolgere il compitino ed evitare di vomitare sulle copie del suo libro, esposte in pile ordinate su un banchetto in fondo alla sala e pronte per essere autografate a fine presentazione.

    «I sogni lucidi sono diventati piuttosto popolari, negli ultimi anni», spiegò Claudio, iniziando il solito discorso. «Nei capitoli iniziali del libro c’è una dettagliata introduzione agli studi del dottor Stephen LaBerge, tra i primi ad approfondire il fenomeno. Molte informazioni sono disponibili anche su Wikipedia, ma sul mio manuale le troverete scritte in maniera meno noiosa.»

    Risatine in sala. La rossa giocherellava con la mascherina di Hello Kitty. Poteva avere al massimo vent’anni, la metà di Claudio. Lui comunque non si fece problemi a sbirciarle le tette, generosamente esposte dalla scollatura.

    «Controllare i propri sogni è una disciplina mentale», continuò, tirando via gli occhi dalle tette della rossa. «O uno sport, se preferite. E in quanto tale necessita di allenamento e dedizione. È con la pratica, che si raggiungono i risultati. Il mio manuale spiega in maniera semplice tutte le tecniche per imparare a padroneggiare i sogni, e trasformarli a proprio piacimento.»

    Simone fece una faccia stupita e intervenne, come da copione.

    «Che fregatura! Anche io pensavo che fossi un mago.»

    Risatine in sala. Claudio alzò le spalle, stando al gioco. Non vedeva l’ora di levarsi dai coglioni.

    «No, mi dispiace», disse. «Tuttavia, esattamente come negli sport, ci sono persone che sono avvantaggiate per natura rispetto ad altre, in quanto possiedono determinate caratteristiche che le rendono più predisposte. Io sono uno di questi fortunati.»

    La platea si faceva man mano più curiosa. Un tizio barbuto alzò la mano. Simone gli fece un cenno.

    «Come si fa a capire se si è predisposti ai sogni lucidi?» domandò il barbuto.

    Come fai a capire di essere un pittore? Pensò Claudio. Prendi una tela e comincia a dipingere, testa di cazzo.

    «Possiamo riconoscere dei segnali», rispose. «Vi faccio un esempio: tutti sogniamo, ogni notte, ma in pochi ricordano dettagliatamente le proprie esperienze oniriche. Ecco, questi ultimi sono senza dubbio facilitati ad apprendere la disciplina del sogno lucido. Non sono esseri speciali e non hanno poteri magici: partono semplicemente avvantaggiati, e possono raggiungere un livello di padronanza della tecnica superiore in tempi più brevi. Ciò non vuol dire che anche chi non possiede questo piccolo dono non sia in grado di raggiungere l’obbiettivo.»

    Cenni d’assenso in sala. Un tizio pelato con gli occhiali alzò la mano. Simone gli fece un cenno.

    «Come si fa a capire che ci si trova in un sogno lucido?» domandò il pelato, gli occhiali appannati a causa della mascherina.

    Claudio aveva la gola secca. Prese la bottiglietta d’acqua e bevve un altro sorso. La mano gli tremò vistosamente. Simone si affrettò a levarlo dai pasticci.

    «Immagino che molti di voi abbiano visto il film Inception», disse.

    In sala quasi tutti annuirono. Simone schioccò le dita.

    «Ecco. Si tratta di una pellicola d’azione, ma il concetto è lo stesso. In alcuni sogni si possono provare sensazioni molto simili a quelle del mondo reale. Le percezioni sono reali, e si vive l’esperienza in modo presente. A quel punto, bisogna semplicemente capire di non essere svegli. Poi comincia il divertimento.»

    «Esatto», riprese Claudio. «Per diventare padroni dei propri sogni, bisogna innanzitutto rendersi conto di trovarsi nel mondo onirico. Una volta che ciò accade, e si è in grado di stabilizzarsi sul piano emotivo, ci si trasforma in onironauti. Viaggiatori del mondo dei sogni.»

    La ragazza con i capelli rossi alzò di nuovo la mano.

    «Si può fare proprio tutto, quando si diventa orino… onirio…?»

    Claudio annuì.

    «È il motivo per cui i sogni lucidi stanno diventando una moda. La risposta è sì. Si può volare, suonare a Woodstock con Jimi Hendrix o guidare un’astronave di Guerre Stellari insieme a Luke Skywalker.» Allargò le braccia. «Accadrà solo nella vostra mente, ma l’impressione sarà quella di trovarsi all’interno del mondo reale. Odori, suoni, ogni cosa. Esattamente come in questo momento.»

    Claudio si sforzò di ignorare i sudori freddi e le tette della rossa.

    «Durante un sogno lucido, non noterete alcuna differenza con lo stato di veglia», spiegò. «Le sensazioni che proverete vi appariranno assolutamente familiari. Il bello, a differenza di quando si è svegli, sta nel poter apportare modifiche ad ogni cosa che ci circonda, plasmando il mondo secondo i propri desideri.»

    «È difficile?» domandò il pelato.

    Claudio alzò le spalle.

    «Una volta che avrete imparato come padroneggiare le tecniche descritte nel mio manuale, diventerà del tutto naturale. È come guidare l’automobile. All’inizio si è prudenti e impacciati, ma dopo un po’ di pratica si può viaggiare da Milano fino in Puglia senza alcun problema, se non quello di doversi fermare in Autogrill per andare in bagno. Una seccatura che, tra l’altro, non capita durante i sogni lucidi.»

    Risatine in sala. Claudio si schiarì la voce.

    «Tutto ciò di cui avrete bisogno, sarà l’immaginazione. Potrete inventare il vostro universo, come un bambino che crea una costruzione con i Lego.»

    Brusio in sala. La rossa annuiva convinta. Il pelato si agitava sulla sedia.

    Un uomo seduto in fondo alla sala alzò la mano. Era vestito con un gessato scuro, aveva i capelli corti e gli occhi di chi sa come gira il mondo.

    «Cosa sono i sogni, dottor Grimaldi?» domandò l’uomo elegante.

    Claudio si stiracchiò sulla sedia. Anche quella era una domanda che gli facevano tutte le volte. E pure la risposta era sempre uguale.

    «Ci sono diverse teorie, mediche, psicoanalitiche e religiose», rispose. «Ma, per quanto mi riguarda, preferisco accettare di non saper dare una spiegazione.»

    Era la verità. Anche perché, dopotutto, non gliene fregava un cazzo.

    La presentazione proseguì. Le domande si facevano più audaci, l’eccitazione era palpabile. Claudio aveva visto tante volte quegli sguardi. L’argomento era affascinante, misterioso, e il pubblico si lasciava entusiasmare facilmente. Claudio sapeva che in molti avrebbero abbandonato il manuale sul comodino alle prime difficoltà. Non che la cosa lo riguardasse: lui vendeva solo il suo prodotto. Anche se non lo faceva per i soldi, quello ormai era il suo mestiere.

    Finalmente giunse il momento di autografare le copie.

    Claudio e Simone si spostarono al banchetto in fondo alla sala, tra gli applausi appagati del pubblico. Simone si assunse il ruolo di cassiere, e Claudio firmava i libri cercando di tenere la mano ferma sulla stilografica. Si sentiva un po’ meglio. Il mal di testa si era attenuato, e adesso aveva voglia di mangiare qualcosa.

    E magari farsi un bicchierino, già che c’era.

    Mentre le scarabocchiava una dedica sul frontespizio, Claudio azzardò un’ultima occhiata alle tette della rossa. Quella se ne andò tutta contenta e lasciò il posto all’uomo elegante con il gessato, dietro di lei nella fila. Nonostante la mascherina tirata fin sopra il naso, a Claudio parve un volto familiare.

    Si affrettò a scrivere una frase su uno dei libri e glielo porse.

    «Grazie per la fiducia. Vedrà che ne sarà valsa la pena.»

    L’uomo elegante strizzò l’occhio, prendendo la sua copia del manuale.

    «Niente male, vero?»

    Claudio alzò le sopracciglia.

    «Come, scusi?»

    L’uomo elegante fece un cenno alle sue spalle.

    «La rossa, dico.»

    Claudio si lasciò scappare una risatina. L’uomo elegante gli puntò il dito contro.

    «Se è vero quello che ci ha raccontato», disse, «dopo che avrò letto il suo libro potrò sognare quella bella figliola che entra nel mio letto senza bisogno di invitarla prima a cena in un ristorante costoso, ho capito bene?»

    Claudio scosse il capo, imbarazzato.

    «Di solito chi si approccia per la prima volta ai sogni lucidi pensa subito al sesso, è vero», disse. «Ma mi creda: ci sono cose ben più interessanti da fare, quando si ha il controllo completo della propria mente.»

    L’uomo elegante alzò le spalle.

    «Mi va bene anche una scopata, per iniziare. Potrebbe essere piuttosto divertente sperimentare qualcosa di bizzarro senza correre il rischio di finire in galera.»

    Di nuovo Claudio ridacchiò, a disagio. Si schiarì la voce.

    «Le auguro di esaudire i suoi desideri, signor…?»

    L’uomo elegante si abbassò la mascherina.

    «Morgan Villa», disse. «Immagino lei sappia chi sono, dottor Grimaldi.»

    Claudio trasalì, guardando in faccia l’uomo che tante volte aveva visto in televisione. Si sistemò la giacca, impacciato.

    «Io… non l’avevo riconosciuta. Sa, con la mascherina…»

    Morgan sorrise.

    «L’unica conseguenza piacevole del coronavirus, per quanto mi riguarda.»

    Claudio rimase immobile, senza sapere cosa dire. Morgan Villa era una celebrità, dopotutto.

    «È un piacere conoscerla, davvero», balbettò infine.

    Morgan sorrise.

    «Mi ha cercato lei, dottor Grimaldi.»

    Claudio scosse il capo, avvampando.

    «A dire il vero non pensavo che…»

    «Ieri ero in ufficio, e ho letto per caso il suo nome tra gli appunti di un mio collaboratore. Ho saputo di questa presentazione tramite la sua pagina Facebook, e ho deciso di venire a fare un giro. Si è risparmiato una bella rottura di coglioni, mi creda: di solito è la mia segretaria, a fissare gli appuntamenti. Ed è una cosa che va sempre per le lunghe.»

    Claudio si schiarì la voce.

    «Sì, le ho scritto diverse mail. Le risposte lasciavano intendere che è alquanto complicato parlare con lei di persona.»

    Morgan si grattò una cicatrice sul volto. Un segno a forma di mezzaluna, che gli solcava la guancia sin sotto l’occhio destro.

    «Detesto fare il prezioso, dottor Grimaldi, ma il mio lavoro è come una calamita che attira eserciti di pazzoidi in cerca del proverbiale quarto d’ora di celebrità. Per questo le mail vengono scremate. Lei sa di cosa mi occupo, vero?»

    Claudio annuì.

    «L’ho cercata apposta, signor Villa.»

    «Ehi, ci diamo una mossa?»

    Era il pelato, subito dietro nella fila.

    Morgan sorrise di nuovo.

    «La lascio ai suoi ammiratori, dottor Grimaldi. Mi trova al bar della hall, se le va di scambiare quattro chiacchiere davanti a un caffè.»

    Detto questo, Morgan Villa uscì dalla sala. Claudio lo seguì con lo sguardo.

    Lei sa di cosa mi occupo, vero?

    Claudio lo sapeva. Claudio lo aveva cercato apposta.

    Il pelato si era fatto avanti nella fila. Si fregava le mani, tutto agitato. Aveva gli occhiali completamente appannati.

    «Funziona anche con le donne?» domandò.

    Claudio aggrottò la fronte.

    «Eh?»

    Il pelato abbassò la voce.

    «Sì, insomma… non vorrei sembrarle un tipo strano… però… i sogni lucidi funzionano anche con il sesso, dottor Grimaldi?»

    Claudio lo fissò. Poi annuì.

    Il pelato sembrò sollevato.

    «Ne prendo due copie», disse. «Sa, devo fare un regalo…»

    Capitolo 2

    Morgan Villa

    «È andata bene», disse Simone, mentre le porte si chiudevano e l’ascensore iniziava la sua

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