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Titanic, abbandonate la nave
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E-book81 pagine1 ora

Titanic, abbandonate la nave

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Info su questo ebook

In una Roma surreale ma non troppo, un uomo vaga alla ricerca di qualcuno o di qualcosa. La storia si svolge tutta in 24 ore, durante le quali gli incontri e le strane vicende di una città in crisi si mescolano alle visioni allegoriche di una mente esasperata.
Un percorso senza soluzioni o con tante soluzioni che passano accanto, che scompaiono o che arrivano a fine corsa, quando un segno che arriva da chissà dove e chissà perché, si impadronisce della scena.

LinguaItaliano
Data di uscita18 giu 2016
ISBN9781311208682
Titanic, abbandonate la nave
Autore

Stefano Pierpaoli

Restless and provocative Italian intellectual who experienced artistic disciplines from cinema to theater.He has often been at the heart of cultural project to try to create new production and distribution models, more inclusive expecially for disable person.He wrote 3 novels. The first "E Allora" (2001) with Mara Nanni, the true story of a Red Brigate exponent, a 70' years Italian terrorist organisation."Forti Odori D'Arrosto" (2004) tells the six months story of a man, a new poor, who is waiting for the eviction from his home.The third is "Titanic, abbandonate la nave" (2006), a predicting novel about Rome and her collapsing.In addiction he wrote an extract of the Book "Il Potere" in which have been written the most important Italian politician, scientist, philosopher, artist and more.

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    Anteprima del libro

    Titanic, abbandonate la nave - Stefano Pierpaoli

    41

    Titanic

    abbandonate la nave

    di Stefano Pierpaoli

    Copyright 2016 Stefano Pierpaoli

    ISBN 9781311208682

    Smashwords Edition

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    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Stefano Pierpaoli

    Titanic

    abbandonate la nave

    Ho ricevuti i dolori più grandi dal paese in cui sono nato.

    Essere l’uomo che sono diventato mi rende felice.

    Tutto il resto mi è stato rubato.

    Non avrebbero lasciato nemmeno un’ombra. Generazioni di madri e padri incurvate a scrutare nient’altro che ombre stentate su terreni pietrosi e desolanti. Dietro di loro solo scie di ricatto e di odori bruciati. Niente luci se non quelle di un’effimera ribalta volgare e mafiosa. Niente suoni delicati. Tanti rumori assordanti e un silenzio arrogante sulle domande dei figli.

    La sola giustizia possibile rimane appostata sulla spalliera del trono di una regina grigia che ingoia e cancella.

    Un epilogo che andava evitato.

    1.

    Acqua che scorre. Il rumore dello spazzolino rimesso nel bicchiere di coccio. È un boccale di birra migrato attraverso mille traslochi. Prima quelli della mia famiglia, poi i miei. Tanti passaggi da uno scatolone all’altro ed è ancora così sano da fare tutto questo rumore alle sei di mattina. Marta si alza presto per andare a lavorare. Marta ha un padrone.

    I leggeri movimenti del mio collo sembrano le rotazioni accennate da un’antenna parabolica che cerca di captare segnali da un altro mondo. L’unico suono che arriva è ancora il tintinnio del lavandino o di chissà cosa.

    È stata una notte insolente, un po’ sgangherata. Tutta danzata su un letto che invitava alla dolcezza due creature dissimili ma comunque vicine. Due corpi che si conoscono bene si sono cercati per esplorare il piacere, incastrati senza stridori hanno ascoltato ogni angolo di pelle.

    Da un crepaccio di roccia si riversava fuori un’acqua ricca di sapore. Dissetava e placava nello stesso istante in cui svuotava e corrodeva. Lo scricchiolio della roccia era simile al crepitio dei muri che perdono saldezza. Le pareti della caverna stanno per crollare. Il piacere di quel sapore eccitante coincideva con l’angoscia di uno smottamento pericoloso. Il gusto dell’appagamento era il traguardo distante per l’abbandono ad un desiderio assai più profondo, insoddisfatto e irraggiungibile. Al termine degli scrosci e del gorgoglio il silenzio che sa minacciare aveva segnato il trionfo di una sentenza impietosa e la frenesia degli orgasmi si era tramutato in confine tra errore e sfinimento.

    Saranno state le tre quando mi sono alzato dal letto con le gambe deboli ma non per la stanchezza, per il peso di una sconfitta che non trovava posto. Premeva sulla schiena e sulla fronte battendo con il suo martello di legno che sancisce e condanna.

    Nel sorriso di Marta c’era una luce troppo debole per guidarmi fuori dal mio bisogno inespresso. Gemiti e grida avevano invaso lo spazio dovuto alle carezze e alle parole d’amore, ma era un vento così incerto che l’ingranaggio nobile che regala frumento e poi pane, ruotava così fiacco da non produrre che attriti contorti. La pala strappata dal mulino giaceva su un terreno incolto e le mie mani non si aggrappavano più a niente. Gemiti e grida avevano annullato gli istanti vitali che servono a un’anima e a un’altra anima. Dietro la nostra passione tormentata, solo una riga di dolore che tuonava dentro, in qualche parte dell’anima. Una sofferenza tanto incomprensibile quanto tagliente perché non era dolore procurato da nemici, né livore nato da abbandono. Era tristezza per l’incapacità di viversi ancora, oltrepassando quell’attimo d’inferno.

    Avevo risposto al suo sorriso con una smorfia di tenerezza amara e le due dita con cui le avevo sfiorato una tempia erano state talmente leggere che lei le aveva scambiate per un una carezza dolce. La gentilezza che dura un istante è solo gentilezza.

    «Sto bene. Sono contenta» aveva detto Marta per mantenere in vita il fruscio delle ali e l’incertezza.

    In quell’attimo la mia smorfia si era allargata quel tanto che bastava per forzare un sorriso, ma tutti e due eravamo stati avvolti da un rumore di spiriti cattivi e di cristalli spezzati. Le nostre dita non avevano nemmeno provato a cercarsi, separate dalle maglie di una rete che si infittiva sempre di più, e con gli occhi c’eravamo affrettati a scacciare il dubbio prima che arrivasse l’alito pesante del rifiuto. Un gioco difficile da risolvere in silenzio senza allontanarsi troppo. Da superare senza alcuna violenza. Un gioco che riesce solo se non comincia.

    Così c’eravamo addormentati.

    Mi alzo alle sette e per me è un orario inconsueto.

    La incontro di fronte al bagno vestita di cose sbagliate. Abiti privi di qualsiasi armonia. Provo tenerezza e mi sfugge tra le guance un gesto intollerante. A lei non può sfuggire la sensazione di una delicata presa in giro, ma ci bada solo per un attimo. Rivolgo contro me stesso l’insofferenza dello

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