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Video Nasties
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E-book398 pagine5 ore

Video Nasties

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Info su questo ebook

16 storie horror nella tradizione di Stephen King, Richard Matheson, Clive Barker e Ai Confini della Realtà!

Alcune storie possono uccidere!

Video Nasties: Dopo aver trovato una scatola piene di vecchie videocassette fuori da un magazzino abbandonato, un giovane appassionato di film libera inavvertitamente il regista horror Nicolò Funelli e i suoi "orrori" dalla loro prigionia.
Come Uccidere una Celebrità: I necrologi preventivi della neoassunta Annie Watkins a Live @ 5 New Orleans sembrano uccidere le celebrità.
Talee: A causa di un furgone per le consegne usato, le vite di Katie e Gavin prendono una svolta inconcepibile in un territorio davvero oscuro.
Interferenze: Un'orfana adolescente, con un'eccezionale abilità, è rinchiusa in un laboratorio segreto governativo, costretta a soddisfare i loro capricci. 
La Resurrezione: Una coppia di turisti prende parte alla Pasqua di una piccola cittadina inglese.

Queste sono solo alcuni dei 16 racconti horror che ti attendono in Video Nasties. Sintonizzati, rilassati e alza il volume. Ma attento quando tocchi la manopola… potresti rimanerci secco.

LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9781071588161
Video Nasties
Autore

Duncan Ralston

"Author of the cult smash-hit Woom and Ghostland and more than 15 other books that aren't the cult smash-hit Woom or Ghostland. His debut collection was blurbed positively by the legendary Jack Ketchum. In 10 years of publishing, Duncan Ralston hasn't won or been nominated for sh*t outside of screenwriting awards, and is definitely not bitter about it. For 7 FREE dark fiction short stories/novellas including the prequel to GHOSTLAND, ""The Moving House,"" signed copies of Woom, bookplates and merch, please visit www.duncanralston.com."

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    Anteprima del libro

    Video Nasties - Duncan Ralston

    Dall’Autore di...

    Woom (romanzo breve)

    Per maggiori informazioni visita

    www.duncanralston.com

    REGISTRAZIONI...

    COME UCCIDERE UNA CELEBRITÀ

    SOFFIAVA un vento caldo dal Mississippi quando Annie Watkins entrò a Channel 5 dall’entrata dei dipendenti. Aveva finito scuola da quasi un anno, di certo non si aspettava di ricevere notizie da NOLA’s Favorite News, tantomeno nella stessa settimana del suo colloquio. Cercare un lavoro era stata un’impresa ardua, ma fortunatamente era terminata. Annie pensò al destino; non era la prima volta che lo faceva.

    Dopo alcuni minuti, un uomo di nome Ray Smart le venne incontro nell’atrio, presentandosi come il suo supervisore. Lei rise forte, euforica per la buona notizia, per poi scusarsi immediatamente per il suo comportamento. Dopo aver lavorato a lungo al chiosco del City Park Muffuletta, continuando a cercare un lavoro nel suo campo, poteva finalmente licenziarsi, sempre se non avesse rovinato tutto al suo primo giorno.

    Ray le fece fare un tour della stazione. Era stata in diverse strutture televisive durante lo scorso anno, alla ricerca di un impiego anche gratuito, ma non aveva mai fatto un giro completo al loro interno. Quando Holly Wheathers (un nome adatto a una meteorologa o a una pornostar) si imbatté in loro nell’atrio, con il suo sorriso raggiante, Annie si emozionò ma riuscì a non darlo a vedere.

    Ray era simpatico, professionalmente parlando, chiacchierone riguardo i colleghi e lo staff, senza scadere mai nel gossip. Annie, penna e quaderno alla mano, prese nota delle cose che egli sembrava considerare importanti. Turni a rotazione, mattina e pomeriggio, con straordinari se necessari.

    Annie tornò il lunedì, per conoscere l’uomo che l’avrebbe formata. Mingherlino, incurvato, indossava occhiali da sole graduati, una t-shirt Rush 2112 e dei pantaloncini con calzettoni grigi tirati su fino alle tibie depilate, le ricordava un sudicio produttore musicale degli anni ‘80. Avevi capelli marroni folti e scarmigliati, la pelle sembrava cuoio e, per i denti bianchi e dritti che aveva, probabilmente utilizzava una dentiera.

    «Mi chiamo Burt Ellis», disse allungando una mano ossuta con delle unghie troppo lunghe. Annie l’afferrò, dandogli la scossa. Si tirò indietro scuotendo la mano, dolorante e imbarazzata.

    «Mi dispiace», disse a Burt, il quale la fissava a bocca aperta, con orrore. «Deve essere stato il tappeto».

    Burt richiuse la bocca e le lanciò uno sguardo inquisitore. «Probabile», concordò. Non sembrava contento di averla accanto nell’angusta sala di montaggio, ma fece come aveva chiesto Ray, mostrandole come funzionava il tutto, in maniera meccanica, mentre rimontavano una versione digitalizzata del necrologio di Rod Serling che Burt aveva montato su un 2 pollici Quadruplex nel 1975. Annie era troppo giovane per ricordare Ai Confini della Realtà, ma riconobbe la sigla.

    Le dava fastidio l’odore di tabacco di Burt e trovava inquietanti i suoi mezzi sorrisi e le sue occhiate, ma apprese un bel po’ di cose e prese diversi appunti. A pranzo, si sedettero a mensa l’uno accanto all’altro, mangiando senza proferire parola. Dopo pranzo, fecero le stesse cose di prima: una narrazione metodica di informazioni e dimostrazioni, dopodiché Annie gli mostrò cosa aveva imparato.

    «È sufficiente per andare in TV», disse Burt alle sei meno cinque, alzandosi dalla sedia. «Per oggi, basta. Hasta mañana. Ho bisogno di bere qualcosa, cazzo».

    Il giorno seguente, Annie tornò al lavoro e scoprì che Burt era andato in pensione.

    «Da adesso, sei da sola», le disse Ray.

    «Ma... ma non sono pronta».

    «Burt ha detto che hai un dono. Ha detto... cos’è che ha detto? La pratica rende perfetti? Te la caverai. Sono solo standby». Il telefono squillò. Ray lo guardò infastidito. «Ci risentiamo alla fine della settimana, eh?»

    «Aspetti un attimo, signore, cosa sono...» La porta si chiuse dietro di lui. «...gli standby?» terminò la frase con un sospiro di rassegnazione.

    «GLI STANDBY» LE DISSE Kyra a pranzo. «Necrologi di personaggi famosi. Mettiamo caso che muoia la Regina o, non so, Steven Tyler. Devi aver pronto un pacchetto per la diretta. Sai di cosa si tratta. Con celebrità molto famose, instabili, vecchie o malate, abbiamo la storia della loro vita sempre a portata di mano, pronti a modificarla non appena salta fuori la notizia della loro morte».

    La mensa era rumorosa, piena di tecnici, impiegati e conduttori. La sezione sportiva occupò il tavolo di fianco al loro, chiacchierando e ridendo fragorosamente, con quel tono di voce falso con il quale facevano il commento tecnico. Annie faceva difficoltà ad ascoltare.

    «È parecchio raccapricciante, non pensi?» chiese, avvicinandosi e infilzando un crostino dall’insalata della collega.

    Mentre lei masticò e inghiottì, Kyra reagì alzando le sopracciglia. «Raccapricciante?» Bevve un sorso dalla bottiglietta d’acqua. «Benvenuta nel mondo delle notizie 24 ore al giorno».

    Annie e Kyra, che lavoravano insieme in sala di montaggio, avevano stretto subito amicizia. Un po’ più grande, un po’ più cinica, con troppi maglioni con animali nel guardaroba, Kyra montava le brutte notizie: terrorismo, omicidio, incendi, violenze di gruppo.

    Per quanto riguardava Burt, aveva montato gli standby da sempre per quanto ricordava Kyra, ed erano ormai dodici anni che lei lavorava a Channel 5. Si dice che lui avesse iniziato all’epoca dei Telecinema, quando i programmi venivano girati su pellicola e trasferiti su nastro per la messa in onda. «È strano che sia andato in pensione così», disse. «Evidentemente era già con un piede fuori dalla porta, stava solo aspettando che arrivassi tu».

    Annie annuì. «Probabile». Ricordò le sue strane occhiate di traverso. Pensò ci volesse provare, ma ora dubitava.

    «Comunque, te la caverai».

    «È la stessa cosa che ha detto il signor Smart».

    Kyra rise. «Signor Smart!» Scosse la testa. «È Ray, tesoro. Solo Ray».

    Dopo pranzo, Annie si recò nella vecchia sala di montaggio di Burt (pensare che fosse la sua adesso, le avrebbe portato sfortuna, o così credeva) e attese di ricevere un incarico. Per tutto il giorno, nessuno entrò nella stanza dopo che Ray se ne fu andato. Non aveva dato molto peso alla cosa, ma dopo ore passate a girarsi i pollici davanti agli identici sfondi ondulati dei due monitor, cominciò a chiedersi se non fosse finita ai Confini della Realtà.

    Sbirciando nel corridoio, attese finché Kyra non alzò testa dal suo lavoro e incrociò il suo sguardo.

    «Qualcosa non va?»

    «Dovrei fare qualcosa? Ho l’impressione che dovrei fare qualcosa».

    Dal fondo del corridoio si alzò una profonda voce maschile, che Annie identificò con uno dei conduttori di Live @ 5 News, che urlò «Kyra, come sta venendo quel pezzo sull’ISIS?»

    Kyra lanciò uno sguardo scocciato alla parete. «Frena l’entusiasmo, Phil!» Si rivolse verso Annie, aveva un aspetto esausto. «Quando avranno bisogno di te, te lo faranno sapere».

    «E fino ad allora cosa faccio?»

    Kyra le rivolse uno sguardo compassionevole. «Hai internet, no?»

    Annie guardò il desktop del suo Mac e trovò l’icona del browser. «Sì».

    «Ottimo, là c’è un intero universo che aspetta di essere scoperto», le disse Kyra, facendo poi ruotare la sedia verso la scrivania.

    Annie fissò l’icona per un momento, poi ci cliccò. Il browser si aprì. Osservò il cursore lampeggiare nella barra di ricerca. Non aveva accettato il lavoro per fare questo. Aveva bisogno di azione. Voleva delle scadenze rigide, voleva Phil Macready che le urlava per il pezzo sull’ISIS. Sedere tutto il giorno davanti a due monitor vuoti: la pagavano per fare questo?

    Alle sei di pomeriggio, dopo aver passato ore a navigare su internet, Annie prese la sua borsa e si alzò. «È sufficiente per andare in TV», mormorò tra sé e sé incamminandosi lungo il corridoio. «Ci vediamo domani, Kyra?»

    Kyra alzò lo sguardo, ancora esausta nonostante avesse consegnato il pezzo. «Puoi scommetterci».

    Annie fece un debole tentativo di sorridere. «Passa una buona serata».

    Kyra la salutò e tornò sugli schermi.

    MANCAVA UNA settimana al primo necrologio originale di Annie.

    Il suo secondo giorno da sola, un giovane e biondo assistente di produzione, con degli occhiali da hipster e una catenina per portafoglio, le disse di aggiornare alcuni vecchi standby: quello di un artista hip-hop con uno stile di vita notoriamente pericoloso, di un attore con una malattia degenerativa, di un noto politico provocatorio minacciato di morte.

    Poi... il nulla.

    Intere giornate a fissare i monitor. Il quarto giorno, si portò delle videocassette per fare pratica. Suo padre era venuto a mancare due anni prima, così aveva pensato di realizzare un tributo in suo onore per l’anniversario dei suoi genitori. Non era certa che la cosa sarebbe stata gradita, così aveva chiesto l’approvazione di sua zia prima di procedere. Aveva avuto delle difficoltà a guardarlo, inizialmente. Alla fine, si abituò a vedere nuovamente la faccia di suo padre: il modo in cui il suo raggiante sorriso si estendeva fin sotto gli occhi, il modo in cui si spazzolava la testa per togliere della forfora inesistente dai suoi capelli corti, il modo in cui abbracciava lei e sua madre facendole volteggiare dalla cucina al salotto, passando sotto il corrimano scricchiolante.

    Orville Watkins era stato un avvocato difensore prima di impugnare il martelletto, sebbene i suoi amici lo chiamassero Giudice sin dai tempi delle elementari. Era stato un buon padre, chiamava Annie per avvisarla che sarebbe tornato tardi a casa e, quando finalmente aveva ottenuto il posto che meritava, aveva iniziato a trascorrere le serate in cortile, lavorando in giardino mentre il sole tramontava dietro il lago. Annie gli portava un grande bicchiere di tè freddo amaro, proprio come piaceva a lui, e lui le sorrideva raggiante.

    Nel frattempo, per tutti quegli anni, un cappio invisibile penzolava sulla sua testa, pronto a stringersi al momento opportuno.

    A mezzogiorno, con una buona quantità di materiale digitalizzato e alcuni spezzoni inseriti nel montaggio preliminare, Annie si fermò per pranzare.

    Come faceva Burt a gestire tutta questa noia? si chiese, svignandosela in mensa. Con Kyra in ferie, non c’era nessuno a farle compagnia. Gli altri colleghi del suo dipartimento erano abbastanza simpatici, ma sembravano essere troppo impegnati o troppo legati al loro gruppo, offrendole al massimo un saluto o un sorriso.

    «È libero?»

    Spaventata, Annie alzò lo sguardo e vide il vecchio e inquietante cameraman di Live @ 5, nonostante lo avesse già riconosciuto dall’odore di scotch scadente., Si mise una mela in bocca come un maiale e si sedette, posizionando il suo vassoio sul tavolo. Annie ricordava che il suo nome fosse Walt o Wilt, ma non era importante. Non era alla ricerca di compagnia così disperatamente da voler conversare con un alcolizzato.

    «Burt vuole sapere come sta andando» chiese, masticando la mela tra una parola e l’altra.

    Non sapeva se stesse parlando con lei o con il conduttore dall’altro lato, ma l’annunciatore (termine che piaceva molto ad Annie, come se creasse le notizie annunciandole), che indossava un gessato, non alzò la testa dal giornale.

    «Scusami?»

    «Burt Ellis» disse Walt, si chiamava Walt Brenner, adesso lo ricordava. «Il tizio di cui hai preso il posto?»

    «Oh». Alcuni credevano che Burt avesse guadagnato parecchi soldi, ma ad Annie non sembrava che lui avesse mai visto molti soldi in vita sua. Era andato in pensione in anticipo, all’apparenza. Nessuna buonuscita, solo una pensione ridotta. E nessuno sapeva perché.

    «Non ti sei mai chiesta perché hai ottenuto il posto saltando la fila?»

    «Saltare la fila?»

    «Intere vagonate di sindacalisti che vogliono un lavoro nell’editing», spiegò, «senza contare tutti gli scrocconi esterni—collaboratori esterni, scusami—e tu, appena uscita dal college, ottieni il lavoro». Masticò la mela, respirando pesantemente dal naso. «Non è un lavoro che si regala, tesoro. Poi arrivi tu, fresca e innocente, pronta a conquistare il mondo». Deglutì rumorosamente allo stesso modo in cui respirava. «Burt lo sapeva da subito, eri la prescelta».

    Annie sorseggiò il suo cocktail vegetale, con nonchalance. «In che senso la prescelta

    «Sarebbe stato più tranquillo, sapendo che avrebbe lasciato il posto a chi lo meritava, capisci? Chi lo meritava davvero. Come quell’idiota che si occupa del Chyron. Quanto vorrei prenderlo a pugni».

    Walt staccò un pezzo di mela, guardando nel vuoto mentre masticava, probabilmente immaginandosi la scena. «Non voglio che incolpi Burt per questo, ok? Sei stata scelta, come lo è stato lui. Credo si tratti di sfortuna. Magia N’awlins. Ma mi ha chiesto di dirtelo, ora è una tua responsabilità. E la pratica rende perfetti». Morse il centro della mela, già di colore marrone. «Mi dispiace che sia capitato a te, ragazzina. Questo te lo dico io, non lui».

    L’ultimo pezzo di croissant al cioccolato le rimase bloccato in gola. Bevve un bel sorso di succo, mandandolo giù a fatica. «Ti dispiace per cosa?» Cercò di non boccheggiare per riprendere fiato. «Non c’è nulla di cui dispiacersi. Amo il mio lavoro».

    Walt Brenner la guardò, con quei suoi stanchi e tremolanti occhi grigi. «Come vuoi». Fece spallucce, con quelle sue spalle ossute, e allontanò il vassoio, sedendosi al posto accanto.

    Mezz’ora dopo, Annie tornò dall'archivio con un carico di cassette gialle Betacam. Non sapendo cosa cercare, Annie s’imbatté in un film che non vedeva da quando era piccola. Poi iniziò a cercare altre commedie di Eddie Bing, apparizioni nei talk show e speciali. Per evitare incidenti, si limitò a prendere sette cassette, sperando di trovare altri filmati negli archivi digitali.

    Kyra interruppe ciò che stava facendo e guardò Annie con uno sguardo divertito.

    «È passato qualcuno mentre non c’ero?»

    «Delle balle di fieno», Kyra sogghignò. «Sembra che ti sia trovata del lavoro fare».

    Annie mescolò goffamente le cassette. «Sì. Sarebbe ora che qualcuno mi desse un incarico, vero?»

    «Non sperarci».

    Ammassò le scatole accanto al vecchio VTR e, una cassetta alla volta, cercò i migliori filmati da digitalizzare. Indossò le cuffie e iniziò a ridere alle battute di Bing, attirando l’attenzione di Kyra.

    «Va tutto bene?»

    «Ti ricordi il film Cool Feet

    Kyra fece una risatina. «Ugh! Odio Eddie Bing. È banale».

    Annie fece spallucce. «A me piace». Riprese a osservare ridendo più piano questa volta, mentre Bing dava spettacolo cercando di liberare un piede dal gabinetto. Kyra scosse la testa, intanto Bing si era liberato dal gabinetto ed era stato beccato dal padre della sua fidanzata con la scarpa gocciolante in mano.

    Annie fece dei tagli e realizzò quello che sembrava un tributo appropriato, un mix di ruoli comici e drammatici di Bing, con i suoni al posto giusto, finendo con una clip in slow-motion del suo noto e imbarazzante sorriso e una dissolvenza.

    Ci fu uno tintinnio lungo il corridoio che conduceva alle sale di montaggio. I passi sul tappeto si fermarono alla sua porta. La catena del portafoglio dell’assistente di produzione tintinnò ancora una volta; smise non appena entrò.

    «Ci serve un nuovo standby, al più presto».

    Annie scattò dalla sedia, raggiante... Le ci volle un po’ per assumere un’espressione più adeguata. Dopotutto, si trattava della vita di qualcuno. «Di chi si tratta?»

    L’assistente, Hilary, come Annie ricordava dagli appunti presi, lanciò uno sguardo ai monitor e indietreggiò. «Oddio...» Guardò Annie con orrore. «Come hai...?»

    Annie spalancò gli occhi. «Cosa? Non è...?»

    «Si tratta di Eddie Bing». Hilary scosse la testa, incredula. Da dietro, Kyra sbirciò nella sua sala di montaggio, preoccupata.  «Credono si tratti di suicidio. Sappiamo solo che è stato trovato in una camera d’albergo». Staccò gli occhi dai monitor e fissò nuovamente Annie. «Come lo sapevi

    Annie si sentì accusata. «Io? Non lo sapevo. Si tratta di una coincidenza».

    L’assistente uscì dalla stanza, scuotendo la testa. «Io... Cerco un reporter... per la narrazione». Continuò a indietreggiare, liberando l’ingresso. Il tintinnio scomparve insieme a lei lungo il corridoio. Kyra rimase sulla soglia del suo ufficio, fissandola stranamente.

    «Annie? Tutto bene?»

    «Sì». Annie era ancora scossa per la coincidenza, sperando lo fosse davvero. Aveva l’impressione di essere inciampata in un filo scoperto, collegato direttamente al macabro macchinario dell’universo. «Sì», disse. «Sono solo un po’ stranita».

    «Lo credo». Anche Kyra era palesemente scossa. «Ci andiamo a bere qualcosa stasera, eh? Solo noi due».

    Annie annuì, voltandosi nuovamente sugli schermi dove c’era Bing. Guardandolo ora, si accorse di quanto sembrava tormentato. A differenza di quello di suo padre, il sorriso di Bing non raggiungeva mai gli occhi.

    «Sarebbe fantastico».

    SEDEVANO AL bar, bevendo dei Sazerac troppo dolci e guardando il notiziario gemello di KBNO. La coda di cavallo di Annie si era sciolta; i suoi capelli sporgevano dall'elastico viola come cavi sfilacciati. Accanto al suo evaporante bicchiere Old Fashioned, aveva posato un piccolo mucchietto di noccioline sul legno scuro e rovinato. Prese un’arachide dalla ciotola, l’aprì e schiacciò il suo contenuto con il bicchiere.

    La morte di Eddie Bing si era verificata due settimane prima dell’uscita, nei cinema, del suo ultimo spettacolo. Una serie TV drammatica, con lui nel ruolo principale, era stata approvata, si stava riavvicinando alla sua ex moglie e aveva riallacciato i rapporti con il figlio che aveva allontanato. Tutto puntava a una rinascita della carriera e della vita di Bing, finché...

    «Suicidio». Kyra scosse la testa, guardando la TV nel bar. «Nessuno poteva prevederlo. È stata solo sfortuna, Annie».

    «È successo nello stesso momento...»

    Uno sguardo turbato attraversò il volto di Kyra, sostituito subito dopo da un sorriso compassionevole. «È stata una coincidenza».

    «Si è impiccato, proprio come...»

    «Come?»

    Annie si limitò a scuotere la testa e a schiacciare un’altra arachide. Il conduttore ripeté che sarebbero state rivelate ulteriori notizie su Eddie Bing quando rese note, poi diede la linea al notiziario delle 23. Lo standby di Annie fu il primo servizio.

    «Alza il volume», disse Kyra al muscoloso barista. Quando il segmento terminò, si girò verso Annie, entrambe avevano il volto illuminato dalla luce blu proveniente dalla TV. «Non importa come ti senti, hai fatto un lavoro fantastico». Annie non disse nulla, si limito a sorseggiare il suo drink. «Ehi, ho impiegato otto anni per realizzare la mia storia migliore», le disse Kyra. «Tu ci hai messo sei giorni».

    «Stai cercando di farmi sentire meglio o peggio?»

    Kyra alzò le spalle. «Entrambe le cose, forse. Sono davvero invidiosa».

    Annie si concesse un sogghigno. La sua amica le diede una gomitata.

    «Ti è tornato il sorriso». Si voltò verso la pelata luccicante del barista. «Barista!» Quando si girò, lei agitò i bicchieri. «Altri due Sazerac, por favor».

    «Ho fatto davvero un bel lavoro?» chiese Annie, quando la sua amica distolse l’attenzione dai jeans attillati del barista.

    «Troppo bello», concordò Kyra assottigliando gli occhi. «Devo stare attenta. Potresti fare uno standby su di me e prendere il mio posto».

    Annie la colpì su una spalla. Kyra ridacchiò, massaggiandosi il braccio.

    «Sto scherzando!»

    «Non è divertente». Tremendamente seria, Annie la fissò incazzata, finché Kyra non riuscì più a rimanere seria ed entrambe scoppiarono a ridere. Il barista lanciò loro uno strano sguardo, facendole ridere ancora di più.

    IL GIORNO DOPO, Annie arrivò a lavoro sbronza, poteva ancora sentire il sapore dell’assenzio alla liquirizia in bocca.

    Si piantò sull’uscio della sua sala di montaggio—era sua, adesso—e sbirciò l’attrezzatura. Luci verdi tremolavano nella stanza buia, illuminata dalle luci del soffitto nel corridoio. Non c’era nulla di particolarmente minaccioso. Eppure...

    Un gemito da dietro le evitò di cadere preda di un disagio psichico. Kyra si trascinò verso di lei, aveva gli occhi gonfi e i capelli spettinati. «Sono così stanca».

    «Anche io».

    Kyra la superò, entrò nella stanza buia e si sedette sulla sedia di Annie. Annie immaginò dei lacci che bloccavano i polsi di Kyra, la sedia rivolgersi verso la scrivania, i monitor accendersi da soli come occhi di un animale malvagio che si risveglia dal sonno. Ma i monitor rimasero spenti. Kyra la fissò, leggermente incuriosita. «Che stai facendo?», le chiese, le parole le uscirono come una cantilena.

    Annie scosse la testa, le pulsavano le tempie. «Niente».

    Seguì lo sguardo di Annie, che si era posato sui monitor. «Annie, è stata una coincidenza. Sono solo un mucchio di...» Alzò il mouse dalla scrivania e lo rimise giù «...innocue cianfrusaglie». Accese prima un monitor e poi l’altro. Si illuminarono con i loro sfondi ondulati e le loro piccole icone, non erano occhi malvagi, non c’era un demone malvagio intrappolato dietro i due schermi.

    Annie annuì. Era una coincidenza, ovvio. Ovvio. Canticchiò la sigla de Ai Confini della Realtà. Kyra si massaggiò le tempie e risero entrambe.

    Un tintinnio metallico si avvicinò a loro. Si voltarono entrambe, scioccate e intorpidite.

    «Annie, ci serve un altro standby. Per Eleanor Harrison, stavolta», disse Hilary, senza degnare Annie di uno sguardo. «Avete un aspetto di merda».

    «Cos’è successo?» Fu Kyra a parlare. Annie non ci riusciva.

    «Non avete sentito? È su tutti i notiziari».

    Kyra cambiò canale sul piccolo monitor accanto al VTR. Videro un uomo nero, di quasi sessant’anni, parlare con tono triste da dietro un podio, ma l’audio non c'era. Dietro di lui c’era Eleanor, cinquantatré anni, leggermente sovrappeso ma in salute, che abbracciava i suoi figli ormai grandi, i quali abbracciavano i nipoti di lei. Sullo schermo, in basso, c’era scritto: LA DIAGNOSI DI CANCRO DEL PASTORE E LEADER DEI DIRITTI CIVILI ELEANOR HARRISON SCONVOLGE PARENTI E AMICI, LE CELEBRITÀ OFFRONO IL LORO SUPPORTO...

    Scossa, Annie si mise all’opera, setacciando vecchie registrazioni nell’archivio alla ricerca di filmati di sermoni, interviste e dibattiti di Harrison, mentre protestava per l’ennesimo giovane nero ucciso da poliziotti bianchi o mentre stringeva le mani di Maya Angelou e della Regina Elisabetta. Guardando i momenti salienti della vita di questa donna intransigente, Annie provò un po’ di tristezza. Harrison era la sua eroina e dei suoi genitori. Realizzò un tributo adeguato, addolcendolo con della musica triste e con la voce di Phil Macready, infastidita dallo sguardo di Hilary l’assistente quando Annie le consegnò lo standby di Bing.

    Dopo il lavoro, girovagò nel suo appartamento, cercando di togliersi lo standy di Harrison dalla testa. Non può succedere due volte, disse a sé stessa, ripetendolo come un mantra. Finì con l’aprire, inevitabilmente, un album con vecchie foto. Una foto dei suoi genitori la fece sorridere, giovani e innamorati negli anni ‘80, Orville portava un taglio alla Jheri, sua madre invece aveva dei rasta biondi alla Bo Derek che le penzolavano sul dashiki. Esausta, Annie si addormentò sul divano con in mano il libro, perdendosi il notiziario delle 23 per undici minuti.

    La mattina seguente si alzò presto, ma dovette comunque andare di fretta per arrivare puntuale a lavoro. Stava guidando nel traffico intenso, il notiziario in sottofondo e una fresca brezza proveniva dal finestrino aperto, quando le parole «Eleanor Harrison è stata trovata morta...» la sconvolsero così tanto da farla fermare in mezzo alla strada. I clacson suonarono tutti insieme, le automobili sterzarono per evitare di colpirla. Annie sedeva rigida dietro il volante, respirava a malapena, pensava solo a quelle terribili parole—trovata morta—e non era in grado di mettere una freccia e spostarsi a lato della strada.

    Non poteva tornare al lavoro. Non poteva affrontare quella stanza e quei monitor. Impaurita, si mosse. Entrò nel parcheggio del Raising Cane, disse al programmatore di turno che stava male e non ce l'avrebbe fatta a venire al lavoro nemmeno il giorno dopo, poi chiamò Kyra al cellulare.

    «Ehi, tesoro». C’era tenerezza nella voce di Kyra. Essendo ancora a lavoro, aveva sentito la notizia. «Tutto bene?»

    «Sto bene», disse Annie. «Per caso, conosci l’indirizzo di Burt Ellis?»

    «Quel vecchio pazzoide? Sicuro, eravamo molto legati».

    «Kyra, sono seria».

    Ci fu un momento di silenzio. «C’è una lista nello schedario. Vado a vedere se lo trovo».

    «Richiamami».

    «Lo farò», disse Kyra, soddisfacendo Annie.  «Oggi vieni?» Annie le disse di no. «È una buona idea. Quello standby ha fatto rabbrividire le persone, soprattutto dopo quello di Bing. Ma credo che molti siano solo gelosi che tu sia riuscita a ottenere due prime pagine in due giorni».

    Annie sedeva in macchina, sbirciando fuori verso le macchie rosse e bianche del traffico. Due volte può ancora trattarsi di una coincidenza, si disse. Non può succedere ancora.

    La suoneria la fece sobbalzare. «Ce l’ho». Kyra le lesse l’indirizzo di Burt. «Fa’ attenzione, Annie. È un tipo stravagante. Potrebbe essere un serial killer».

    Potrei esserlo anche io, pensò Annie. La ringraziò senza esprimerle i suoi pensieri.

    Burt Ellis viveva in una casa galleggiante nel West End. La mattina seguente, Annie parcheggiò nel piccolo parcheggio lungo la strada, accanto al suo furgoncino. Era color oro metallizzato, la parte posteriore era coperta e un adesivo recitava GLI EDITOR LO FANNO NON LINEARE.

    L’esile ragazza per corrispondenza, o stripper, di Burt aprì la porta in kimono. Gridò all’interno della casa buia con un forte accento dell’Est Europa—come se vivessero in una casa multipiano invece che in una roulotte galleggiante—poi si accese una sigaretta e sgattaiolò dentro, lanciando prima uno sguardo lapidario ad Annie.

    Burt si presentò alla porta con una sudicia vestaglia che si stava legando per coprire i boxer e le sue gambe ossute e depilate, sbattendo gli occhi rapidamente prima di infilare i suoi occhiali da vista. «Beh, non sono sorpreso di vederti, tranne che ci hai messo parecchio per venire qui».

    Un rumore di piatti provenne dal lavandino, forte di proposito. Burt lanciò un’occhiata al cucinino. Annie non riusciva a vedere da dove si trovava, ma immaginava che la ragazza o moglie di Burt stesse lavando i piatti in un impeto di gelosia. «Sarà meglio andare fuori. Fammi mettere dei pantaloni».

    Alcuni minuti dopo sedevano a un tavolino da picnic a Breakwater Park, che affacciava sul lago Pontchartrain. Le nuvole scure che solcavano il cielo poco prima si erano spostate a est, senza far piovere. Nella stagione degli uragani, la città sarebbe stata vittima della loro ira. Non lontano, dei bambini gridavano e correvano mentre le loro madri chiacchieravano.

    «Sei spaventata, vero?» Si mise una sigaretta spenta in bocca, con un timido sorrisetto.

    «Perché improvvisamente sei sparito?»

    «Suppongo tu non sia pronta per parlarne».

    Annie tenne a freno la lingua e Burt si accese la sigaretta. «Erano gli anni ‘70 quando iniziai a lavorare a Channel 5», le disse Burt, «prima di quelle stronzate da In Diretta tra Cinque, quando si chiamava ancora KBNO. Si fumava ancora negli studi e tutti, intendo tutti, si facevano di cocaina». Fece un tiro dalla sigaretta. «All’inizio, la scambiai per quella: una paranoia dovuta alla droga».

    Annie non chiese a cosa si riferiva. Non serviva a nulla fingere che non fosse spaventata a morte.

    «Lo standby di Serling, quello a cui abbiamo lavorato la settimana scorsa? Da quel momento in poi, ho iniziato a dubitare. È stato facile trattare i primi come delle coincidenze. Ma con Serling, non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione...»

    «Di trovarti in bilico», disse Annie.

    Burt annuì con solennità, facendo un tiro mentre osservava l’acqua calma e limpida. «Riesci a dormire? Hai degli incubi?»

    «Non dormo bene».

    «Certo, lo immaginavo. Cambierà. Ti ci abituerai».

    «Non voglio abituarmici». Annie guardò una bambina, con un vestito a pois, rincorrere due bambini intorno all’altalena. «Continuo a pensare che non sia reale, non posso essere io la causa di tutto questo...»

    «Se non fosse per quella sensazione». Burt spense la sigaretta sul tavolo da picnic. «Pensavo fosse colpa della pellicola. Quando Serling morì, la maggior parte del materiale di KBNO era su pellicola. Dovevamo convertirlo in video tramite un processo chiamato Telecine, prima di mandarlo in onda. Probabilmente, te lo avranno insegnato a scuola. Giusto? Bene. Credevo dipendesse dai sali d’argento, per secoli si è pensato possedessero delle proprietà magiche. Personalmente, credo siano tutte stronzate, ma all’epoca mi aggrappavo a qualsiasi cosa. E diamine, stiamo parlando di Rod Serling. È l’inventore di questa roba.

    «Il 26 giugno stavo preparando il necrologio. Serling era il mio terzo standby. Aveva avuto complicazioni cardiache. All’epoca, si trovava già in ospedale. I dottori parlavano di un’operazione a cuore aperto. Al giorno d’oggi non è niente, ma ai tempi era rischiosa. Gli ci vollero due giorni per morire dopo l’attacco di cuore avuto

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