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Uno su infinito: (racconto orale)
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Uno su infinito: (racconto orale)
E-book72 pagine50 minuti

Uno su infinito: (racconto orale)

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Quante probabilità ha un racconto di venir pubblicato da tre editori diversi in otto anni? Senza dubbio davvero poche, eppure Uno su infinito era già uscito con il titolo That’s (im)possible prima per caratterimobili e poi per Intermezzi, ma non ha ancora perso nulla della sua capacità di indagare il desiderio umano di illudersi. Non è però solo la storia di una lotteria che lentamente si trasforma in un fenomeno planetario, ma è anche il canto folle e rivoluzionario del suo ideatore Bruno Marinetti, un faretto puntato sul momento di celebrità o in cui la realtà si sfrangia nel sogno dei tanti personaggi che si raccontano dinanzi a una telecamera.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2021
ISBN9788894845242
Uno su infinito: (racconto orale)

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    Anteprima del libro

    Uno su infinito - Cristò

    infinito

    Tony Morisco [venditore di auto usate; G]:

    Io, invece, non ho mai usato trucchetti di quel tipo. Non mi trovo a mio agio. Insomma penso che se uno vuole comprare davvero una macchina la comprerà, il mio compito è rassicurarlo, fargli capire che è capitato nel posto giusto, che non ci saranno problemi.

    Insomma il cliente non vuole sapere che c’è una garanzia di due, tre o quattro anni. Lui vuole essere sicuro che non dovrà usarla quella garanzia, che non dovrà prendersi un giorno di permesso dal lavoro per portare la macchina dal meccanico.

    Insomma c’è chi studia decine di manuali di comunicazione per fare questo lavoro di merda, c’è chi è convinto di saper interpretare il linguaggio del corpo del cliente, che imitarlo sia il modo più sicuro di metterlo a suo agio.

    Per esempio, non è proprio lo stesso, ma un amico di William che lavora nel campo delle vendite porta a porta ha sviluppato un metodo che sembra infallibile, a quanto dice William, almeno. Insomma lui suona il campanello e appena il padrone di casa apre la porta, lo guarda dritto negli occhi e gli dice: «Si ricorda?». Crea un diversivo, insomma, qualcosa che gli dia il tempo di aprire la cartellina e cominciare a introdurre la sua proposta commerciale.

    Io, invece, detesto l’approccio iniziale, quando dall’ufficio vedo che c’è una coppia che guarda una macchina e parlotta. Vorrei lasciarli nella loro intimità, insomma, vorrei che fossero loro a venire da me con un semplice: «La compriamo». Invece devo avvicinarmi e dire qualcosa tipo: «Bella, vero?» oppure: «Vi starete chiedendo perché costi così poco!». Vorrei davvero poterlo evitare, perché da quel momento in poi comincia un teatrino in cui io faccio la parte di quello di cui ci si può fidare, il maschio della coppietta fa la parte di quello che si vorrebbe tanto poter fidare e la donna di quella che non si fida e tenta in tutti i modi di fartelo capire.

    È una situazione che detesto.

    Franca, mia moglie, dice che dovrei vendere più macchine, che dovrei insomma trovare un mio stile. Dice proprio così: «Trovati un tuo stile». La verità è che vorrebbe più soldi tra le mani, una casa più grande. Tutte le volte che entriamo in macchina dice che la peggiore del salone ce la siamo presa noi, che dovremmo cambiarla, che cade a pezzi e consuma troppo. A me questa è una cosa che mi dà fastidio perché, insomma, non si parla mai male della macchina dentro la macchina. Lo so, è una fesseria ma, ecco, è il mio stile. Sì, è il mio stile. Ce l’ho uno stile, è solo che lei non lo vede affatto. Anzi, io sono sicuro che per lei lo stile è solo una questione di soldi, di apparenza. Infatti prima odiava abitare in questa città, diceva che era troppo in provincia, che la vita vera è da un’altra parte; poi, quando sui giornali è venuto fuori che l’ideatore della lotteria (com’è che si chiamava? Bruno e qualcosa… non aveva un cognome di queste parti), insomma, quando è venuto fuori che lui è nato a dieci chilometri da qua, in campagna, improvvisamente lei ha cominciato a dire che da nessuna parte si vive bene come in provincia, che vuole passare il resto della sua vita in questa città, basterebbe farsi una villa un po’ fuori, dove comincia la campagna, se solo avessimo i soldi. Finché il nome di questa città di merda è stato pure pronunciato durante la trasmissione, e questo posto, ai suoi occhi, si è trasformato nel miglior posto del mondo. Figuriamoci, insomma, cosa avrebbe fatto con tutti quei soldi in mano.

    Ma del resto le donne, è la loro professione…

    Giocava tutte le settimane e teneva il numero segreto, non l’ha mai detto a nessuno. Giocava sempre lo stesso. Io invece lo cambiavo ogni settimana. Però ne sceglievo sempre uno più alto di un milione. Non so perché, ma mi sembrava più facile che uscisse, più probabile insomma. E poi si poteva giocare qualsiasi numero, perché giocarne uno basso? Tanto valeva sparare alto. Una volta ho scelto un numero più alto di cento milioni di miliardi.

    In fondo era divertente.

    ***

    Greg Butler [autore televisivo; NG]:

    That’s (im)possible

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