Fenomenologia di You PornTM: Prefazione di Enrico Remmert
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Anteprima del libro
Fenomenologia di You PornTM - Stefano Sgambati
Tavola dei Contenuti (TOC)
Prefazione di Enrico Remmert
prima parte
Da Forza Chiara
a Belén Rodríguez
seconda parte
Dai film porno ai filmati porno
terza parte
Siamo tutti malati?
epilogo
Gli uomini sognano pecorine elettroniche?
Fonti e ispirazioni
special guests
Se pareba boves
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Confessioni di una youporner pentita
Carolina Cutolo
Per una critica dell’economia politica del segno pubico
Roberto Moroni
Grazie a…
contrappunti
© 2012 Miraggi Edizioni
via Dronero 2, 10144 Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
In copertina: Let’s Party! (part.), installazione di Limbania Fieschi, 2011,
collezione Caterina Gualco
Finito di stampare a Città di Castello
nel mese di ottobre 2012 da CDC Artigrafiche
per conto di Miraggi Edizioni
su carta Palatina 85 gr delle Cartiere Milani Fabriano SpA
realizzata secondo principi ecosostenibili e a basso impatto ambientale
Prima edizione digitale: ottobre 2012
ISBN 978-88-96910-35-1
Prima edizione cartacea: ottobre 2012
ISBN 978-88-96910-26-9
Prefazione di Enrico Remmert
Ciao, sono la Prefazione. Devo essere onesta con voi, generosi lettori: in questo momento non so ancora che forma prenderò, perché il mio Autore è un tipo inquieto e insicuro (e tanti altri aggettivi che iniziano con il prefisso negativo in
, come incostante, inafferrabile, infiammabile ecc.). All’inizio sembrava che io dovessi prendere una piega molto seria, una Prefazione del genere:
Se internet esiste, e ha raggiunto l’attuale portata, lo deve soprattutto a tre fattori. Uno: la ricerca militare americana, che ne ha creato la prima struttura a livello hardware. Due: il mondo universitario, che ne ha immediatamente compreso le potenzialità e ha contribuito alla sua diffusione. Tre: l’industria del porno, a cui si deve in toto il suo sviluppo tecnologico. Al porno si devono infatti le tecnologie dello streaming video, quelle per l’e-commerce, quelle per la protezione delle transazioni, la georeferenziazione, le chat dal vivo ecc. È il porno che ha costantemente spinto per interfacce migliori, migliori accessi, maggiore ampiezza di banda. È il porno che ha costantemente richiesto connessioni sempre più veloci, stabili ed efficienti. Insomma: no porno, no internet.
Però così sarei sembrata una Prefazione un po’ troppo scientifica, avrei finito per citare qualche libro (tipo The Erotic Engine di Patchen Barss, ovvero «Come la pornografia ha sostenuto la comunicazione di massa da Gutenberg a Google») e non è bello citare un libro che non avete letto (al momento non è ancora stato tradotto) nella prefazione di un libro che non avete ancora letto (a meno che non siate di quelli che leggono me, la Prefazione, alla fine). Insomma: la piega scientifica non era molto interessante, non vi avrei detto nulla che non sapeste già. E cioè che un terzo del totale delle pagine web è a contenuto pornografico. Una su tre. Non fate finta di stupirvi, generosi lettori: lo sapete benissimo. E vi piace. Perciò ero pronta a trasformarmi in una Prefazione con aneddoto, del genere:
Una decina di anni fa un mio amico giornalista era andato negli States e aveva fatto un reportage su quella che, ai tempi, era la più famosa casa cinematografica specializzata in film pornografici. Al suo ritorno mi aveva raccontato la cosa che l’aveva colpito di più. Ovvero: il montaggio. E non si tratta di un gioco di parole. Sostanzialmente, con il girato di ogni film si ricavavano in montaggio tre diverse versioni: c’era il film per così dire completo, che finiva su dvd; poi c’era quello per le sale a luci rosse e il circuito delle tv a pagamento e degli hotel. Questa versione presentava dei notevoli tagli nelle scene – diciamo – pretrombata
, in modo da arrivare più velocemente al sodo (poiché, contrariamente al dvd, in questo caso il pubblico non poteva andare avanti con il tasto fast-forward e perciò non bisognava scontentarlo). Infine c’era il cosiddetto porno tedesco
, cioè una versione in cui venivano montate solo le scene di sesso, una in fila all’altra. (Non conosco nel dettaglio il motivo del nome, ma immagino che derivi dalla proverbiale pragmaticità tedesca.) Morale: che cosa ha cambiato YouPorn? Che ora, dieci anni dopo, la maggior parte del porno in rete è di modello tedesco
. Nel senso che ora, qualunque video capiti (blondeasslatinasquirtmilfeccetera), si tromba e basta, senza un minimo di preliminari
narrativi, senza trama, senza una vera storia. Così la hostess serve lo champagne e appena si china per porgerlo si ritrova con il batacchio fra le tette. Il maestro chiude la porta della palestra e la cheerleader due secondi dopo glielo sta già succhiando. L’idraulico suona alla porta e dieci secondi dopo la casalinga è già a pecora sulla lavatrice. Insomma, si tromba così, meccanicamente, senza brio, senza un minimo della vecchia verve. Non solo: negli ultimi anni va di moda il porno modello lenti Zeiss, tutto ripreso da ultravicino. Io sono uno vecchio stile, non mi piace questa macelleria: gigantesche palle pelose in primo piano, chiappe foruncolose, orifizi megaingranditi come abissi, cappelle che occupano metà video. A voi piace?
Ma ecco che in questo caso io – la Prefazione – diventavo fine a me stessa, non al servizio del libro ma a quello dell’Autore, che diceva la sua, spiegava le sue preferenze, peraltro opinabili, non si capiva dove andasse a parare. Nossignore, io sono la Prefazione, e voglio essere qualcosa di più. Caro Autore, cerca di impegnarti, gli ho detto. E allora lui ha tirato fuori questa roba qui:
Vent’anni fa, nel romanzo archetipo della fine degli anni Ottanta (American Psycho), Bret Easton Ellis descriveva perfettamente una sega del periodo preweb: «Mi masturbo, prima pensando a Evelyn, poi a Courtney, poi a Vanden e poi di nuovo a Evelyn, ma proprio prima di venire – un orgasmo debole debole – penso a una modella seminuda che ho visto oggi nella pubblicità di un top Calvin Klein». Bei tempi! Oggi la stessa scena non potrebbe che venir raccontata con il protagonista davanti a uno schermo acceso. È stato tutto spazzato via dal web: parole, riviste, immaginazione… E vogliamo parlare di chatroulette? E poi questo è il paese del bunga-bunga. Ma secondo voi johnny depp brad pitt george clooney si fanno le pippe davanti a YouPorn? Potete scommetterci, poveri stronzi! D’altronde come si chiama una donna che beve come una spugna e puzza di piedi? Non la si chiama!
Ecco, lo sapevo, l’Autore mi è partito per la tangente, crede di essere un impasto di… aspettate che gli tiro una sventola… Paff!… ecco… ecco che lo abbiamo rimesso al suo posto. Perciò ricominciamo:
Eravamo nel ’79 e avevo tredici anni. Un giorno il fratello maggiore di uno dei miei compagni di calcio ci radunò tutti, promettendoci una sorpresa, e poi tirò fuori solennemente una vecchia copia di «Playboy» in inglese, di almeno due anni prima, e ce la regalò. «Playboy». Ne avevamo sentito parlare, certo, e in alcune edicole – poche per la verità – si intravedeva perfino la copertina non troppo nascosta. Ma trovarsi una copia di «Playboy» edizione americana lì, tutta nostra, era un’emozione indefinibile, piena, entusiasmante. Indiana Jones che trova il Sacro Graal. Morale: decidemmo che ognuno di noi avrebbe tenuto la rivista per una settimana, a rotazione. Siccome eravamo otto, voleva dire che ciascuno l’avrebbe avuta solo una volta ogni due mesi. Da allora è passato un secolo ma quel numero di «Playboy» me lo ricordo perfettamente, pagina per pagina. Innanzitutto conteneva il primo amore della mia vita: Patti McGuire, leggendaria playmate nonché moglie della stella del tennis Jimmy Connors. In quel numero Patti – perdonate se la chiamo solo per nome, ma tra me e lei c’è una notevole confidenza, anche se lei non lo sa – Patti, dicevo, se ne stava in copertina con una maglietta azzurra, mentre all’interno c’era una serie di foto di lei nuda sulla spiaggia (anzi, non proprio nuda perché in realtà aveva un costumino di maglia giallo ocra arrotolato in vita, a sottolineare ancor più la morbidezza della linea dei fianchi e la maestosità del culo). Quel «Playboy» girò fra noi per quasi un anno, gestito con una cura meticolosa (il patto era che chi l’avesse rovinato sarebbe stato escluso dal giro, e chi se lo fosse fatto sequestrare avrebbe dovuto procurarne un altro), perciò era una sorta di reliquia, e lo trattavamo come alla Biblioteca Reale di Torino trattano l’autoritratto di Leonardo. Bisogna dire che le foto di Patti, viste con occhi odierni, erano più caste di molti balletti di Rai Uno, ma per noi lei era una favolosa meraviglia del mondo, non più inarrivabile, ma lì a portata di mano. Ma la storia continua. Un anno dopo, il fratello del nostro amico ci regalò un numero di «Le Ore»: era tutt’altra roba. Qui si trombava, ma in genere le donne erano orribili e grassocce, le foto erano di qualità infima, spesso solo in bianco e nero, e insomma era tutto più volgare (quelle erano puttanacce, si vedeva, non come la mia Patti). Perciò quello che sarebbe dovuto essere un upgrade, per me si rivelò una delusione. Ma poi arrivò la luce, la grande unione fra le due riviste (in pratica: belle ragazze, ben fotografate e trombanti) nelle forme del leggendario «Supersex», dove si faceva di tutto, ma le donne erano spesso di sublime bellezza. (In realtà c’erano un mucchio di altre riviste simili, ma il fratello del nostro amico ci regalò un «Supersex», non state a sindacare.) Ecco. Quando penso che ora basta un clic per aprire qualunque immaginario pornografico, io penso a tutto questo: uno scollamento – non mi sento di chiamarlo progresso – inimmaginabile. E da qui in poi Stefano ce lo racconta con una grande varietà di toni, umori e punti di vista. Ifix tcen tcen!
Oh, ecco, così dovrei andare. Un saluto dalla vostra Prefazione e buona lettura!
Fenomenologia di YouPorn™
prima parte
Da Forza Chiara
a Belén Rodríguez
Cosa resta di tutta l’eccitazione che abbiamo creduto di provare da giovani? Niente, neppure un kleenex incartapecorito. Milioni di spermatozoi, miliardi, una conta impossibile, schizzati a fecondare l’aria, penetrati sì, ma solo a forza di immaginazione in un condotto che neanche i più svegli di noi avrebbero visto da vicino se non dopo altri dieci o vent’anni: la fica, due sillabe, fi-ca, rimaste confinate per lunghissimo tempo nei racconti mitologici di quelli che ce l’avevano già fatta, anzi che se l’erano già fatta, una scopata, una chiavata, un’inchiavardata, una trombata, una copula, all’amore, o foss’anche un pompino, un bocchino, una leccata di piccole labbra, un ditalino, semplice petting. Anche di quegli eroi, oggi mi chiedo, che cosa rimane?, se non ombre, reminiscenze che nel frattempo hanno messo su barba e occhiaie, spento gli occhi e acceso un mutuo, domandato quanto?
a una puttana sulla Salaria, digitato youporn
sulla barra degli indirizzi di internet tante di quelle volte che nel frattempo i loro figli hanno imparato a dire papà
senza sbavare, perché ai figli questo succede, anche loro, che altro non sono se non sperma vestito a festa, a un certo punto smettono di camminare a quattro zampe, di infilarsi il cibo ovunque tranne che in bocca, di sbagliare i compiti di matematica, e cominciano a dare il giusto significato alla parola facesitting
.
È l’evoluzione, baby.
La fica: la radice quadrata della donna, un miracolo di carne viva e materiale fibromuscolare, il sacco a pelo del cazzo, la vulva, la gnagna, la patata, la gnocca: allitterazioni, metonimie, sineddochi, per indicare la donna, anzi l’attrice, la pornodiva, la ragazza della porta accanto di un vicino sempre più fortunato di noi, quella che si faceva sbattere di notte nella cornice dei nostri monitor, l’unica certezza in una vita che, proprio in quegli