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Gli Eredi di Naétole - La Prima Luna
Gli Eredi di Naétole - La Prima Luna
Gli Eredi di Naétole - La Prima Luna
E-book438 pagine6 ore

Gli Eredi di Naétole - La Prima Luna

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Info su questo ebook

"Gli Eredi di Naétole è un romanzo fantasy ambientato in parte nel nostro mondo e in parte nel Mondo delle Tre Lune, terra di draghi, Potere e antichi popoli.

Qui vivono Aren e Ariste, due giovani guerrieri ai quali viene affidata una missione segreta: recuperare gli Occhi di Lëmasi, un misterioso tesoro perduto da tempo.

Guidati solo da echi di memorie, frammenti di leggende e dall'incrollabile fiducia nel loro Maestro, i due discepoli si preparano ad affrontare un viaggio pericoloso che li conduce fino al Portale di Naétole.

Intanto, in un luogo molto più familiare, Alex è solo un ragazzo che sta per compiere vent'anni ed è ossessionato da una donna che gli appare in sogno.

Fra segreti e tradimenti, uomini d'Ombra e Assassini, Aren e Ariste, apparentemente per sbaglio, finiscono per intrecciare il loro destino con quello di Alex.

Nessuno di loro lo sa ancora, ma tutte le loro certezze stanno per crollare e le loro vite cambieranno per sempre.

Ma la domanda è: l'onore rimarrà con loro fino alla fine?"
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2021
ISBN9791220345958
Gli Eredi di Naétole - La Prima Luna

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    Anteprima del libro

    Gli Eredi di Naétole - La Prima Luna - Nick Lost

    PARTE PRIMA

    PROLOGO

    La foresta era quieta, quell'anno il tempo era stato clemente e, dopo il periodo di freddo, la natura era rinata.

    Una brezza leggera sfiorava le fronde degli alberi, muovendole ritmicamente. Il sole aveva da poco abbandonato il posto più alto nel cielo e lento stava iniziando a scivolare verso l'orizzonte, ma brillava ancora maestoso, tagliando con le sue lame fulgide il bosco e disegnando sul terriccio asciutto zone di ombra e di luce.

    Le piante erano impreziosite da una moltitudine di gemme, alcune erano già sbocciate, colorando i rami di toni accesi, altre custodivano fra le foglie il loro segreto e si ostinavano ad aspettare ancora.

    Il terreno era quasi tutto ricoperto da una distesa di fiori primaverili che lo tappezzavano armoniosamente, interrotti da alti ciuffi d'erba. La notte prima era piovuto e le piante erano ancora rigogliose, gonfie e lucenti.

    Un senso di pace aleggiava in quella regione boschiva, lo si poteva avvertire sulla pelle, eppure c'era anche un senso di attesa, la consapevolezza che presto sarebbe accaduto qualcosa di indimenticabile in quella vallata deserta.

    Il tempo continuò a trascorrere lento e l'astro di fuoco si avvicinò sempre più all'orizzonte, iniziando a tingere di colori caldi il cielo. Non era ancora giunto il tramonto, ma già un rosso vermiglio dominava sui toni più freddi del giorno. Le cicale iniziarono a suonare la loro nenia e le creature del giorno iniziarono a lasciar spazio a quelle della sera.

    All’improvviso una fanciulla apparve fra le betulle, correndo fulminea; per la velocità, i capelli le sferzavano il viso e sulle tempie luccicava un velo di sudore.

    Sfrecciando fra gli alberi e gli arbusti, si diresse senza esitazione verso la sua meta. Era semplicemente splendida. Il corpo flessuoso e slanciato fendeva l'aria con eleganza. Le lunghe gambe mordevano il terreno e la folta chioma bionda seguiva come un turbine dorato i movimenti della giovane.

    Ma non era questo che avrebbe colpito lo sguardo di un osservatore. Le sue labbra carnose non avrebbero per prime attirato l'attenzione, né i tratti del volto o il collo sottile, ma la disperazione dei suoi occhi.

    Le sue iridi luminose emanavano lampi di pura paura, le pupille dilatate.

    La stavano raggiungendo. E lei sapeva che se l'avessero catturata ogni tentativo di salvarsi sarebbe stato vano.

    Senza fermarsi raggiunse il centro della pianura, dove si trovava un'enorme struttura di marmo e pietra. Maestosa ed elegante, svettava verso l'alto per diversi metri, quasi volesse arrivare a sfiorare le nuvole. Era costituita solo da tre giganteschi monoliti, due disposti in verticale e uno sovrastante in orizzontale, ma solo un occhio cieco avrebbe potuto definirla semplice.

    Infatti anche un individuo incapace di praticare il Potere sarebbe rimasto annientato dall'energia solenne che sprigionava.

    Dal momento in cui si accedeva alla pianura, era impossibile non avvertire l'energia che la ammantava rendendo l'aria densa e pesante.

    La fanciulla si avvicinò rallentando appena, quasi esitante: sapeva che il Portale era aperto, sapeva che non aveva più tempo per pensare, che non aveva più tempo e basta.

    Quello che era stato fatto non si poteva modificare, non si tornava indietro.

    Intorno alle fredde pietre era disseminata una dozzina di corpi e la terra circostante aveva assorbito il sangue ancora caldo dei morti.

    Quel luogo sacro era stato profanato.

    Gli occhi scrutarono il terreno, scivolando indifferenti sugli uomini fasciati di nero e sussultando di dolore quando riconobbe i volti dei suoi compagni. Fra di essi individuò anche il Guardiano, che aveva protetto fino alla fine il tesoro dei draghi.

    Erano caduti in quel luogo per lei, si erano sacrificati con onore rispondendo alla sua chiamata, alla sua supplica.

    E adesso sarebbero diventati polvere.

    Strinse convulsamente al petto quello che tutti sembravano voler possedere in quel momento. Il suo tesoro, ciò per cui i suoi compagni avevano perso la vita e ciò per cui l'avrebbe persa anche lei.

    Lacrime di rabbia sfuggirono dai suoi occhi luminosi e le sue labbra si socchiusero per pronunciare antichi rituali di addio e ringraziamento. Le parole erano leggere, dolci, malinconiche e proferite in una lingua sacra, in modo che il sonno eterno accogliesse con premura i suoi salvatori.

    Le loro anime avevano il diritto di essere guidate verso il grembo delle dee. Se ne sarebbe assicurata di persona.

    Dopo aver terminato la sua preghiera volse le spalle a quella visione di morte, annusando l'aria malsana in cui il Potere aleggiava supremo. Il monolite sembrava vibrare di furore e di uno sdegno quasi palpabile.

    La fanciulla ebbe un brivido di paura. La fronte perfetta fu increspata da un solco profondo. Combattere e uccidere in quel luogo inviolabile erano azioni definibili come eresie. Ma al confronto quello che stava per compiere lei era ancora più terribile e il suo popolo l'avrebbe condannata a morte.

    Si avvicinò guardinga al Portale, allungando lentamente una mano, fino a sfiorare il profilo della pietra gelida. Sotto i suoi polpastrelli lo sentì risvegliarsi. Era pronto, era giunto il momento. L'energia scorreva attraversandole le vene, facendola rabbrividire e migliaia di voci parevano cantare a bocca serrata una litania sacra e perduta fra le spire dei secoli.

    Non aveva mai assistito con i propri occhi a un evento di tale importanza, sentiva il sangue ruggire nelle vene e martellarle il cranio, forse ricordando il ritmo di antichi tamburi ormai consumati dal tempo.

    Quindi aprì le dita appoggiando con forza il palmo della mano sulla roccia lattea e chiese al Portale di aprirsi per lei.

    Stavano per arrivare e lei non aveva più tempo.

    Quasi avessero colto quei pensieri, le pietre parvero prendere vita. Le striature marmoree si illuminarono di scritte antiche come il mondo e parole appartenute a idiomi quasi del tutto dimenticati ricoprirono la superficie marmorea. Davanti a quello spettacolo sublime, la fanciulla sospirò di piacere.

    Al centro del Portale apparve una sottile membrana diafana, che in quel momento era l'unica separazione fra i due mondi. Il velo setoso sembrava costituito da migliaia di morbide pieghe nivee, ma lei sapeva che non si poteva afferrare, solo attraversare. Un vento invisibile sussurrava versi dimenticati facendolo ondeggiare, chiamando invitante la giovane.

    Il tempo sembrò fermarsi per un istante lunghissimo. I secondi trascorrevano con lentezza lancinante e tutta la pianura sembrava trattenere il respiro insieme a lei.

    Lei stava aspettando, tormentata dall'angoscia, e quando infine intravide un'ombra al di là del velo provò puro sollievo: il Guardiano era ancora vivo e la stava aspettando.

    Non l'aveva abbandonata.

    Abbassò lo sguardo sul fagotto che stringeva fra le braccia, portandoselo, se possibile, ancora più vicino. Quanti erano morti per portarglielo via e quanti per difenderlo.

    Un'unica lacrima rotolò lungo una delle sue guance setose, rimanendo in bilico per un istante prima di gettarsi nel vuoto. Chiuse gli occhi cercando di trasmettere in silenzio tutte le altre parole che non avrebbe mai potuto pronunciare.

    Passò altri preziosi secondi immersa in una muta comunicazione e, quando infine sentì dei respiri al limitare della pianura, alzò la testa di scatto con un gemito: erano arrivati.

    Risoluta si avvicinò al Portale e porse il fagotto all'ombra oltre la cortina. La membrana si increspò languidamente e ne emersero due grandi mani che afferrarono quel piccolo peso con delicatezza.

    Prima di sparire dall'altra parte, un luccichio di oro e diamante brillò fra le pieghe di tessuto e lei salutò con un cenno silenzioso il suo bene più prezioso, l'eredità della sua stessa stirpe.

    Notò con orrore che uno dei polsi del Guardiano era sfregiato da un taglio recente, che stillava ancora sangue vermiglio. Un'altra ondata di rabbia la colpì: anche questo Guardiano aveva riposto tutta la sua fiducia in lei e lei lo avrebbe deluso. Lo avrebbe ferito come nessuno aveva mai fatto e mai più avrebbe potuto fare. Sperò solo che con il tempo lui sarebbe giunto a perdonarla, perché nulla era più terribile di essere ricordati con odio da qualcuno che si ha amato.

    Prima che quelle forti mani sparissero per sempre oltre il velo, sfiorò il taglio con dolcezza, sapendo che la cicatrice non sarebbe mai andata via. Ricordo eterno di quel giorno maledetto.

    Quando le due mani svanirono oltre il velo, lei tirò un sospiro di sollievo e fece un lento passo indietro.

    Dietro al velo l'ombra sembrò agitarsi.

    Le mani spuntarono di nuovo, questa volta cercando di afferrare la fanciulla, ma non poterono fare altro. Il Guardiano non poteva abbandonare il suo posto. Si sentì un indistinto grido angosciato giungere da un luogo lontanissimo quando lei fece un ulteriore passo indietro. Le mani continuarono a dibattersi fra le pieghe del delicato velo, artigliando l'aria con disperazione.

    Grazie fu l'unica parola che fuoriuscì dalle sue labbra perfette e le mani provenienti dal nulla si immobilizzarono. Le lunghe dita erano tese in un muto grido di disperazione, ma quando lei non si avvicinò più si ritirarono, infine, fra le pieghe cremose del varco.

    La giovane guardò un'ultima volta il velo, poi diede le spalle al Portale, ancora aperto, per fronteggiare i suoi inseguitori.

    Il suo amore era morto a causa loro.

    Il suo compagno era caduto per mano loro.

    I suoi compagni d’armi si erano sacrificati.

    E lei li avrebbe vendicati.

    Erano una decina, tutti vestiti di pelle nera, la stessa maledetta pelle nera che indossavano i corpi degli assassini dei suoi compagni. Avevano il volto coperto da stoffa nera, i corpi scattanti e muscolosi.

    Lei si irrigidì e annunciò con calma che li avrebbe uccisi tutti.

    Sussurrò appena quella minaccia, ma loro la sentirono ugualmente. Non risposero e tennero tutti gli occhi affamati puntati su di lei e iniziarono a muoversi come un sol uomo.

    La stavano circondando come una preda, senza fretta. Conoscevano la sua forza, ma erano superiori di numero e sapevano che l'avrebbero presto sopraffatta.

    Lo sapeva anche lei. Perché sottrarsi al proprio destino non sarebbe stato possibile.

    Era tutto così ingiusto, pensò, così sbagliato. Sentì la rabbia crescerle nelle vene, la cullò, la plasmò e quando fu pronta incrociò lo sguardo con il più vicino dei suoi inseguitori.

    Un paio di occhi incontrarono quelli verdi della fanciulla e si allargarono di terrore, mentre il loro possessore cadeva a terra in preda alle convulsioni. Dalle sue labbra non fuoriusciva nessun suono, ma una schiuma rossastra gli traboccava dalla bocca mentre si contorceva al suolo artigliando il terriccio.

    Solo una parola fuoriuscì da quella bocca in putrefazione, poco prima che spirasse, e quella singola parola fu capace di frantumarle l'anima.

    Dopo pochi istanti si immobilizzò in una posizione disarticolata, che rispecchiava alla perfezione la brutalità della morte a cui era andato incontro.

    Uccidetela, aveva detto, ma lo aveva detto nella lingua dei Theikos.

    Nella sua lingua.

    Come avete potuto? gridò la fanciulla, un grido tanto stridulo da assomigliare allo stridore di due lame che cozzavano l'una contro l'altra.

    I suoi compagni si bloccarono solo un istante inespressivi, di nuovo non risposero, le menti chiuse tra muri invalicabili e neri come la pece, custodi di segreti che lei non avrebbe mai conosciuto.

    Rimasero un istante a osservare la prima vittima, per poi riprendere il lento accerchiamento più circospetti, ma determinati. Lei percepì le loro protezioni rinforzarsi e stratificarsi, creando altre barriere fra lei e loro, ma non aveva importanza. Lei si sarebbe scagliata comunque contro le loro menti e le avrebbe piegate a sé.

    Le avrebbe distrutte tutte.

    Perché lei avrebbe avuto la sua amara vendetta.

    Nessuno soccorse il primo morto, nessuno lo toccò e, quando un altro fece lo stesso errore di incrociare quello sguardo di fuoco verde, si sentì un rumore di vetri frantumati e i caduti divennero due.

    Con una risata terrificante, lei cercò altri occhi da trafiggere, ma nessuno osava più affrontarla con lo sguardo. Ormai erano troppo vicini, lei percepiva l'elettricità crescere nell'aria, sentiva ogni terminazione nervosa del suo corpo gridarle di fuggire.

    Immediatamente.

    Ma non poteva lasciare il Portale incustodito. Non poteva permettere che attraversassero il passaggio. Che prendessero il tesoro del suo popolo.

    Per questo rimase statuaria, davanti a quei blocchi immensi, che sembravano osservarla, giudicarla.

    Pregò gli dei di perdonarla per il gesto impuro che stava per compiere, chiese loro di comprenderla, di non odiarla. Poi con un respiro profondo richiamò a sé tutto il Potere a sua disposizione. Lo attinse dal suo corpo, dalle piante circostanti, dal Portale stesso.

    L'erba appassì annerendo e si creò un cerchio di morte attorno ai piedi della giovane.

    Raccolse il Potere in un enorme globo di luce verde, più grande di qualunque avesse mai creato prima, e lo sollevò in alto sopra al proprio volto.

    Uno degli inseguitori lanciò un grido allarmato e scattò verso di lei, gli altri cercarono a loro volta di plasmare altri globi, ma non fecero in tempo.

    Alekayros sussurrò la giovane soffocando un singhiozzo e rilasciò il globo, proprio mentre il primo coltello la pugnalava al costato, spezzandole il respiro.

    L'esplosione si abbatté sulla pianura e i gemiti della terra si mescolarono alle urla di terrore degli inseguitori.

    Dalla fanciulla partirono lampi di pura energia che liquefecero il terreno ai suoi piedi. Ci fu una moltitudine di tuoni e boati.

    Poi un rumore terribile di roccia frantumata fendette l'aria e un secondo rilascio di Potere, questa volta molto più antico, si abbatté sulla pianura devastata, distruggendo e deformando quel poco che era rimasto.

    Quando tornò la calma, il silenzio bruciante sembrava gridare. I corpi di tutti coloro che erano morti in quel giorno erano svaniti, fagocitati dal Potere.

    Ora non erano altro che ombre.

    Il suolo era annerito, arso e sfregiato da profonde crepe.

    E una di queste affondava nel terreno arrivando fino al Portale.

    Quando la cenere e la polvere si depositarono a terra, emersero dalla nebbia crepitante le rovine dell'antico passaggio. Le pietre e il marmo erano implosi, liberi dal potere che li aveva nutriti e sorretti per eoni.

    I fiori erano spariti, e gli alberi risparmiati erano piegati a ventaglio, quasi un uragano li avesse travolti e inclinati verso terra.

    Iniziò a piovere, o forse erano le dee a piangere di fronte a un tanto grande sacrilegio.

    La vita aveva abbandonato quel luogo, una volta sacro e inviolabile, e una cappa di oblio soffocante avvolse inesorabile la pianura devastata.

    Tuttavia sembrava che nell'aria aleggiasse ancora un lieve sussurro.

    Un ricordo.

    Alekayros.

    The Giant’s Causaway

    2001 - Irlanda

    Il pellegrino camminava sotto la pioggia, indifferente al vento che gli scorticava il volto. Aveva quasi raggiunto la fine del suo viaggio e il cuore gli pulsava di un dolore profondo.

    Presto avrebbe riposato.

    Ma non ancora, non ancora.

    Fissò con sguardo assente quella terra selvaggia, che visitava per la prima volta.

    Aniante gliene aveva parlato in una delle sue visite, con tanto ardore che non si era sorpreso alla notizia del suo trasferimento.

    Un luogo che forse le ricordava un posto più antico.

    Arrancando lungo la strada, osservò l’erba alta che cresceva ai lati del sentiero. Era stata piegata dal vento, imparando a non spezzarsi.

    Un sorriso amaro gli emerse sulle labbra.

    Nonostante gli insegnamenti della Netech, alla fine lui non ce l’aveva fatta, frantumandosi in mille pezzi, adesso tenuti insieme solo da promesse più forti del suo volere.

    Alla fine la scorse in lontananza, la figura snella avvolta da vesti che svolazzavano leggiadre.

    Una bellissima donna, dolce quanto triste.

    Il pellegrino pensò al proprio fardello: avrebbe passato il testimone con rimorsi, ma senza rimpianti.

    Aniante si girò a fissarlo solo quando le fu a pochi passi di distanza. Si inchinò mostrandogli il rispetto che sentiva di non meritare più.

    Ben arrivato, Guardiano. È una sorpresa trovarvi tanto lontano dalla vostra casa, cosa vi ha spinto fino a qui?

    Non sono più un Guardiano rispose lui seccamente.

    Gli occhi di Aniante si spalancarono di orrore. Cosa dite?

    Il Portale è stato distrutto.

    Blasfemia, ciò non è possibile.

    È la verità o non sarei qui. E in fondo tu stessa lo sai.

    Non ci fu nemmeno bisogno di pronunciare quelle parole, aleggiarono fra loro come uno schiaffo.

    Lei distolse lo sguardo abbassando il capo.

    Haydien en malho.

    Sento il tuo dolore, come fosse il mio.

    Il pellegrino la ringraziò con lo sguardo, cercando dentro di sé il coraggio che aveva perduto.

    Non siete venuto fin qui per trovare conforto, non è vero?

    Non esiste luogo dove possa trovarlo.

    Rimasero a lungo in silenzio, ascoltando lo sciabordio del mare contro le rocce nere della costa.

    Si conoscevano da abbastanza tempo da non aver bisogno di dire tutto, da non avere fretta di sapere tutto.

    Fianco a fianco aspettarono di essere pronti a parlare e ad ascoltare. Indifferenti dallo scorrere inesorabile dei minuti.

    Sono venuto qui per chiederti aiuto.

    Tutto quello che posso.

    Sarà un compito difficile, Aniante. E dovrai lasciare queste terre, che tanto ami.

    Tutto quello che posso, Guardiano.

    A quelle parole non dette, il Guardiano aprì i propri pensieri all’antica amica, mostrandole l’incarico che avrebbe dovuto compiere.

    Aniante rabbrividì a quelle visioni, sentendosi sommergere dal dolore del Guardiano e toccando con le proprie mani l’incertezza che attanagliava la loro casata imperiale.

    Il disegno era molto più grande di loro due, ma ancora incompleto.

    Imprevedibile.

    Aveva una sola certezza: quel compito avrebbe per sempre cambiato la sua vita.

    Ci sarà un alto prezzo da pagare. Una volta accettato, non sarà più possibile abbandonare il sentiero intrapreso. Sii certa prima di accettare.

    Se servirà a salvare il trono, sarà un onore per me, Guardiano.

    Lui le posò una mano sulla spalla sottile. Dovrai stare attenta al tuo cuore, Aniante. Questa sarà una prova più grande di tutte le altre, amica mia.

    Mi avete appena ridonato una dignità perduta.

    Non hai mai perso la tua dignità, amica mia.

    Si lasciarono di fronte a quelle acque turbolente, riscaldate solo dallo scintillio latteo della luna.

    […]

    E il Re Pazzo parlò al suo popolo

    E il popolo lo ascoltò

    Perché amava la voce del suo Re Pazzo

    E lui verso nuove terre li guidò.

    Ma dopo che migliaia di padri morirono seguendo il loro Re

    Ma dopo che il Re Pazzo chiese la vita di tutti i primogeniti

    Ma dopo che il Re Pazzo rubò la virtù di mille fanciulle

    Le madri insegnarono ai nuovi nati

    Di non ascoltare mai le voci seducenti

    Dei loro Re Pazzi.

    […]

    (Dalla Ballata dei Morti)

    CAPITOLO I

    Il Mondo delle Tre Lune

    Diciottesima Dinastia

    La temperatura stava iniziando a calare e il deserto a popolarsi delle creature della notte.

    Il vento soffiava sereno, scivolando sulle dune ondulate e spostando lento, strato dopo strato, la loro sabbia fine.

    Benché a un occhio inesperto il deserto potesse apparire terribile nella sua omogeneità, nulla cambiava più spesso; bastava un giorno di piogge perché si ricoprisse per ettari di fiori vivaci, un giorno di vento per spostare montagne, un'ora di buio perché la temperatura precipitasse.

    Sempre uguale e sempre placidamente diverso, in un modo quasi struggente.

    In quell'immensa distesa di sabbie rosse e dorate, veniva custodito dalle rocce porose, resti di antiche catene montuose, un elaborato sistema labirintico di grotte e cunicoli, che solo chi lo abitava poteva di individuare.

    Una figura ammantata di scuro si stagliava di fronte a un'ampia apertura nella pietra e osservava quieta lo splendido tramonto che si stava spegnendo all'orizzonte accendendo l'aria dei colori dei selvaggi falò delle folli notti d'estate. In contrasto con lo sfondo vermiglio, restava immobile in attesa di qualcosa.

    Alle sue spalle si apriva una stanza scavata nella roccia purpurea. Le pareti erano spoglie, i mobili pochi ed essenziali. Un grande letto era addossato al muro sulla destra, mentre a sinistra si trovava un tavolo massiccio su cui era appoggiata una lunga spada, vicina a quello che doveva essere il suo fodero.

    Lo sguardo dell'uomo sembrava non voler abbandonare gli ultimi raggi di sole; quando anche l'ultima lama di luce svanì, fece ricadere il cappuccio sulle spalle, lasciando libero il capo.

    Osservò il cielo in cui due lune risplendevano nella notte. In quel momento la luce di Naétole era quasi al massimo della sua forza, mentre Tachŭn si era appena accomodata al suo posto. Bisognava aspettare ancora un’ora affinché sorgesse anche l'ultima sovrana dei cieli, Lëmasi.

    Tre lune, che si alternavano per illuminare le ore notturne, accompagnando tutti loro nel buio fino al ritorno della luce.

    L'uomo pensò che avrebbe potuto continuare a scrutarle con lo stesso stupore e fervore per tutta la vita tanto erano belle. Per quanto fosse essenziale la luce del sole, le quiete luci dei tre astri erano uno spettacolo unico e insuperabile.

    Si permise di assaporare quei pensieri leggeri ancora per qualche istante e poi, con un sospiro, l'uomo si voltò per fronteggiare i due giovani, un maschio e una femmina, che si trovavano in piedi alle sue spalle, con lo sguardo fisso a terra.

    Lo stavano aspettando, da ore ormai, silenziosi e pacati, attendevano che lui fosse pronto a rivolgere la sua attenzione verso di loro.

    Decidendo di rubare ancora un po' della loro pazienza, li osservò con calma. Entrambi stavano per entrare nell'età adulta, erano forti, slanciati e scattanti. Alti e fieri, erano l'orgoglio del suo campo di addestramento, capaci, pur così giovani, di dominare su ogni componente del popolo Skies, capo o sguattero che fosse.

    Erano i migliori Kurĩes che avesse mai accolto e allenato, eppure ancora adesso, dopo anni di addestramento, non osavano incrociare il suo sguardo, né in alcun modo mancare di rispetto al loro Maestro e Protettore.

    Lui era quel tipo di persona in cui gli altri vedevano un modello da seguire, un esempio da eguagliare. La sua forza stava nel fatto che traeva vigore dalla sua vecchiaia, saggezza dalla sua età. Aveva un corpo possente e muscoloso, forgiato da decenni di esercizio e d'esperienza.

    Solo alcuni capelli appena ingrigiti e poche rughe sottili, che gli solcavano il volto, tradivano un'età ben maggiore di quella apparentemente dimostrata. Un'età che avrebbe annichilito qualunque Kusikos.

    Rideva di rado come chi nella vita ha sofferto troppo ed elargiva sorrisi con parsimonia puntigliosa. Aveva lo sguardo acuto di un feroce predatore e al contempo anche quello guardingo di un uomo che aveva conosciuto il mondo nella sua interezza.

    Gli occhi, di un nero indomabile, brillavano saggi e attenti mentre scrutavano il volto dei suoi due più amati pupilli.

    Dentro di sé aveva a lungo temuto l'arrivo di quel momento, ma era anche consapevole di aver sfruttato nel migliore dei modi il tempo a sua disposizione.

    Poggiò le mani sulle spalle dei suoi protetti, notando ancora una volta quanto stridesse la pelle dei suoi avambracci, dura come il cuoio e solcata da molteplici tatuaggi e cicatrici, a confronto con quella abbronzata e quasi intatta dei due giovani.

    Quasi, perché ormai anche loro contavano alcuni segni sulla pelle e, a causa di quello che gli avrebbe chiesto, ne avrebbe portati molti altri.

    Sorrise con amarezza fra sé quando si trovò a dover deglutire a vuoto due volte prima di riuscire a pronunciare le parole che, sapeva, avrebbero cambiato ogni cosa.

    Era il loro modello di virtù, ma solo le dee sapevano quanto nella sua vita avesse peccato.

    Desidero che facciate una cosa per me annunciò con voce roca preparandosi a un lungo tormento.

    Come possiamo aiutarti, Maestro? disse prontamente in risposta il ragazzo con un'impronta di eccitazione nella voce.

    Aren non era mai stato capace di attendere.

    L'ultima volta che aveva chiesto loro un favore, li aveva inviati a Ovest, a Optan, una delle più grandi capitali degli uomini, per recuperare un antico testo scritto in una lingua ormai perduta da uno dei più famosi antiquari della città. Entrambi i Kurĩes avevano creduto che quello sarebbe stato un viaggio semplice e veloce, ma giunti a Optan avevano scoperto che l'antiquario era stato ucciso alcune settimane prima del loro arrivo e che il tomo destinato al loro Maestro era svanito nel nulla. Si erano quindi ritrovati a dover investigare sulla sua morte per dare la caccia al suo assassino. Dopotutto il Maestro era stato categorico: quel libro gli stava molto a cuore e aveva già anticipato più di metà del prezzo all'antiquario. Tornare a mani vuote sarebbe stato un disonore per i due allievi, così quando infine erano giunti a scoprire chi era stato il mandante del sicario, si erano impegnati a fondo nello spiegare al nobile, che aveva avuto l'ardire di accaparrarsi il tomo, quanto fosse stata errata la sua condotta.

    Invece di due cicli di luna, ne avevano impiegati il doppio per tornare nel deserto, ma il Maestro non ne era stato contrariato e li aveva accolti con calore. Aveva accettato il tomo dalle loro mani e, con apparente noncuranza, lo aveva abbandonato su una pila impolverata di altri.

    Fu solo in quel momento che entrambi avevano compreso di essere stati messi alla prova.

    Dopo il primo periodo di indignazione, gli avevano domandato se l'antiquario fosse morto davvero, o se almeno fosse mai esistito, ma lui non aveva risposto.

    Aren era rimasto entusiasta di quel viaggio e in più di un'occasione aveva domandato al Maestro se non fosse alla ricerca di nuove letture, dichiarandosi disposto a procurargli qualunque libro egli desiderasse. Ariste, più reticente, aveva preferito non sapere neanche se fosse stato lui stesso ad ingaggiare il nobile o l'assassino.

    In quell’occasione aveva scelto il dubbio.

    Il Maestro sorrise ricordando quegli eventi e poi lasciò ricadere le mani dalle spalle dei due, facendo un passo indietro. Aren, voglio che troviate un manufatto e lo portiate qui da me.

    Ci fu un attimo di silenzio, in cui i due giovani si scambiarono uno sguardo sfuggevole, che lui colse appena.

    Avevano sviluppato un’intesa che solo i Kurĩes avevano la fortuna di condividere.

    Forse un altro libro, Maestro? chiese sorridendo con dolcezza la fanciulla. Il viso di Aren si spaccò in un ghigno, che cercò di camuffare con un sorriso improbabile. La memoria di Optan doveva essere balenata anche nelle loro menti.

    Benché in parte fosse divertito da quella domanda, si sforzò di rendere più severo il tono della propria voce. Alzate gli occhi, guerrieri, e ascoltate le mie parole con attenzione. Il manufatto in questione è di un valore inestimabile e non sono l'unico a volerne entrare in possesso. Desidero che ve ne appropriate e che lo portiate qui da me.

    A quelle parole inaspettate, il sorriso di Aren si spense e due paia di occhi si alzarono interrogativi verso il volto del loro Maestro.

    Perché un bene materiale dovrebbe mai interessarvi tanto, Maestro? chiese incuriosito il ragazzo.

    Il Maestro sospirò. Per anni aveva tentato di trasmettere loro un distacco mentale dalle ricchezze e dal denaro, fra gli Skies la moneta non aveva né valore, né alcun senso, eppure in quel momento si ritrovava a dover chiedere ai suoi pupilli di andare a caccia di un tesoro. Con una smorfia pensò a quanto potesse essere amaro talvolta il retrogusto del proprio destino.

    Ho giurato al suo precedente possessore che lo avrei recuperato e riportato qui rispose il Maestro stringendosi nelle spalle, quasi restio a ricordare la supplica a cui aveva ceduto e la persona che gliela aveva strappata.

    Un attimo dopo aver formulato quel pensiero, si irrigidì maledicendosi: nessuno gli aveva strappato un giuramento, aveva scelto lui liberamente di proferirlo.

    Quasi gli avesse letto nella mente, un lampo di fugace stupore passò sul volto della fanciulla, ma subito la sua espressione ritornò impenetrabile.

    Con voce atona domandò: Allora ti prego, Maestro, confidaci il nome dell'uomo che ha meritato una tua promessa e noi faremo il possibile per riportarti questo manufatto tanto importante.

    Il Maestro sorrise mesto. Thesa, sebbene tutto ciò possa sorprendere, è stata una donna e non un uomo a strapparmi questa promessa.

    La ragazza dopo un attimo di esitazione, accennò un sorriso e il volto le si illuminò. Il Maestro la chiamava di rado thesa, tesoro, e fin da piccola lo faceva per quietare la sua anima e ricordarle quanto affetto nutrisse per lei.

    Il Maestro proseguì. Il manufatto ha, come vi ho già detto, un valore inestimabile e appartiene alla casata reale dei Theikos.

    Il silenzio ammutolito che seguì lo colpì come un pugno nello stomaco. Ricercando in sé stesso la quiete della Netech, si impose di ritornare all'ordine e di lasciarsi influenzare meno dai propri sentimenti.

    In quel momento almeno.

    Dei Theikos? Avete dunque fatto una promessa a un Theikos? la sorpresa venava la voce della giovane e lui non poté biasimarla.

    Si limitò ad annuire, sapendo che altre domande si sarebbero presto accumulate, mentre le risposte a sua disposizione erano ben misere.

    E dove si trova questo tesoro?

    Il Maestro inspirò profondamente Non è in uno dei regni che avete già conosciuto.

    Aren lo interruppe con leggero stupore nella voce. Ma Maestro, gli unici luoghi che non abbiamo mai visto con i nostri occhi sono le terre più interne del Taolean, l’impero Theikos, e i possedimenti dell'estremo Sud. È in uno di questi posti che ci volete inviare?

    Lui sospirò. Per anni aveva proibito loro di avventurarsi in quelle terre straniere: era troppo pericoloso, aveva detto. Non aveva mai permesso loro di penetrare nei territori ad Est o nel regno dei draghi. E ora li stava per inviare in un inferno ben peggiore.

    Trattenne il fiato, nel tentativo di trovare un modo per evitare quelle parole, ma, sconfitto, si arrese.

    No, Aren, questo manufatto si trova in un altro mondo.

    Non ci fu risposta a quella frase, non ci furono risate o proteste.

    Dopotutto, lui non era mai stato solito scherzare.

    Il silenzio divenne opprimente, mentre i due ragazzi soppesavano le sue parole fissandolo in cerca di una spiegazione. Il Maestro lasciò loro il tempo di registrare le sue parole, in attesa di una reazione che sapeva sarebbe presto arrivata.

    Un altro mondo? scandì la ragazza. Le parole assunsero una sfumatura di vacua incredulità. Aren sembrava congelato e, per una volta, silenzioso.

    Il Maestro poteva sfidarli, sottoporli a complesse prove, condurli in errore e fissarli mentre, soli, ne uscivano, ma non avrebbe mai mentito.

    Il tono della ragazza era venato di dubbio e non se ne meravigliò, lui stesso quando era venuto a conoscenza dei Portali era rimasto incredulo.

    I tormentosi ricordi che negli ultimi mesi avevano continuato a bussargli alla mente lo invasero all'improvviso, trascinandolo in un vortice di memorie mai dimenticate.

    Voltò brusco le spalle ai propri pupilli per impedire loro di leggergli negli occhi quel turbamento, capace di riaprire ferite impolverate.

    Era accaduto tutto una notte di primavera, iniziata come migliaia di altre già vissute, ma che sarebbe terminata in un modo del tutto imprevedibile.

    Era stato a partire da quella notte, in cui tutte e tre le lune brillavano indomite nel cielo, che lui si era dovuto scontrare con la devastante verità dei Portali.

    Non aveva fatto domande quando una giovane aveva bussato alla sua porta chiedendogli asilo per una notte. In quella città ai confini del deserto lui era un rinomato Guaritore, gli era capitato di incontrare individui molto più strani di lei da quando si era trasferito lì.

    Sapeva che era una maledetta Theikos, era chiaro come la luce di Tachŭn, la pelle di porcellana, la perfezione dei lineamenti, gli occhi di colori impossibili, la sua provenienza trasudava da ogni poro. Lo sorprendeva che non avesse usato uno schermo arrivando alla sua porta, ma era ferita e lui all'epoca aveva perso interesse anche per le rivalità e i pregiudizi con cui era cresciuto. La fece quindi entrare nella sua

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