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Echidna la principessa Tuareg
Echidna la principessa Tuareg
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E-book429 pagine6 ore

Echidna la principessa Tuareg

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Info su questo ebook

Anni 50 del secolo scorso, viene mandato in scena "Artù e i Cavalieri della Tavola rotonda". I giovani protagonisti sono chiamati a sperimentare sentimenti edemozioni che segneranno indelebilmente le loro vite fino a condizionarne ildestino. Tra Michele-Parsifal e Eliodora-Ginevra sboccia un amore travolgente cheli condurrà, per vie diverse e sofferte, ai confini del mondo, dello scibileumano, alle soglie del soprannaturale, nello sterminato deserto del nulla.

Luogo altro, due eminenti ricercatori riescono a decifrare antichi e sibilliniscritti di Platone, Leonardo e Gioffredo, riuscendo a svelare il grande mistero chelega Alessandro il grande e il suo sacello ai vaticini di Siwa e le tavole smeraldine;il dono di Toth, il dio scriba di Osiride, agli uomini.

Altrove, Echidna, la superba e solitaria principessa Tuaregh dalla bellezza statuaria; la sua storia si intreccia per fato e destino avverso con quello di Michele, di Eliodora, in un crescendo emozionale fatto di leggende, storie, speranze, fino a sfociare in un amore impossibile eppur voluto, cercato; condannata per

questo a trascinarsi solitaria nell'immenso deserto del nulla. Ma sarà il suo straziante canto d'amore, il suo pianto, levati alla luna, alle stelle, il percolato di cuore che porterà alla metamorfosi di Michele in El-echim, il designato, l'Angelo della spada, colui che muoverà battaglia al male assoluto nella lontana terra desertica del Sahara, un conflitto apocalittico dal sapore eterno, ciclico, contro il quale la spada di un Angelo può spezzarsi, non il cuore di una donna innamorata, capace di mutuare la propria felicità per la radiosa alba di un nuovo giorno.
LinguaItaliano
Data di uscita18 ott 2021
ISBN9791220359627
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    Anteprima del libro

    Echidna la principessa Tuareg - Giovanni Antonio Gravina

    CAPITOLO I - IL GIGANTE BUONO

    Epoca recente. Italia, Piccolo centro della pianura Campana.

    Da qualche anno era terminata la seconda grande guerra, quella che aveva infiammato il mondo, con i suoi orrori. L'umanità aveva sperimentato fin dove poteva spingersi la follia e conosciuto il suo lato oscuro, quello che si nutre di vacui simbolismi e di paura; ma aveva anche preso coscienza del senso della vita e dei valori ad essa legati, indissolubilmente.

    Sin dall'alba, le strade in terra battuta del nostro innominato paesino, si popolavano di adolescenti, del loro animoso vociare, del rumoreggiare tipico dei giochi innocenti amplificato dalla ininterrotta teoria di fabbricati, all'interno dei quali, ferveva l'attività contadina.

    A guardar bene all'interno di questi cortili e delle ampie suppenne, si sarebbe scorto qualcuno intento ad aggiocare i buoi al carro, magari aiutato nelle attività preparatorie dai componenti la famiglia e chi già si apprestava ad andare ai campi; qualcun altro intento a ripulire la stalla dagli sterchi e dal letame per poterlo poi caricare sulle carrette onde usarlo come concime nei suoi fondi, e, subito dopo precipitarsi a sistemare giacigli in paglia dorata e riempire la mangiatoia di trifoglio fresco chiamato in quella zona, erba medica; qualcun altro intento a mungere vacche da latte e tenere a bada scalcianti giovani vitellini.

    Un paese come tanti, tipicamente contadino, con le sue attività prevalentemente agricole e zootecniche, rassegnato a vivere le limitazioni di un'economia secondaria, ripiegata su sé stessa e votata all'essenziale. La vita si svolgeva in completa monotonia anche se composita e al lavoro duro dei campi seguiva il lavoro del governo delle cose e degli animali, la lavorazione della canapa o del tabacco. Le calde giornate estive risuonavano del canto di giovani donne che all'ombra dei grandi androni, azionavano a braccia pesanti maciulle di legno con le quali separavano la Juta dalle esili cannucce delle piante.

    Il lavoro era sempre accompagnato da melodie tipiche della vicina Napoli, traboccanti di note tristi o da qualche canzoncina trasmessa da una gracchiante radio, primizia di lusso, che trasmetteva nell'etere moderne composizioni di sognanti amori eterni e terribili tradimenti, in contraddizione ai giovani sogni profumati dalla voglia di scappar via da una realtà apparentemente immutabile, stagnante. Nonostante, l'anonimo passante, farcito da un pieno di rosso al quale si era amorevolmente concesso, avrebbe ascoltato, nell'ora del desio, i mille sussurrii e litanie provenienti dalle case, il rosario che tutte le sere veniva recitato in famiglia con la partecipazione di irrequieti pargoli, ai quali, veniva affidato il compito della conta dei grani e chissà come alla fine, mancava sempre all'appello qualche Ave Maria o qualche Pater Noster. La domenica poi, unico giorno di riposo, il paese si animava come per incanto e la piazza diveniva l'Agorà del confronto dove ci si scambiavano esperienze e perizie su come risolvere questo o quel problema, mentre si veniva immersi da un intenso profumo di caffè proveniente dall'interno dell'unico bar che padroneggiava la piazza.

    I rintocchi delle campane, come al solito, avrebbero scandito la chiamata alle varie messe destinate alle donne prima, ai bambini poi ed infine agli uomini. Intanto, nell'attesa, a primeggiare erano i semplici giochi dei bambini, indaffarati ad inseguire biglie di vetro, indirizzarle a strane piroette per completare il tragitto in piccole buche precedentemente scavate, per ottenere in premio addirittura le biglie degli sconfitti. I poveri ma puliti vestitini, preparati da accorte mamme, testimoniavano alla fine il tipo di guerriglia e di scontri affrontati da questi in mezzo a polvere ed a volte fango.

    La piazza era il nodo principale di tutte le polverose strade interne del paese e da ovunque pervenivano giovani donne, acconciate con i loro abiti migliori per le loro brevi passeggiate in attesa della messa a loro riservata, si può ben immaginare pertanto l'effetto sortito quando attraversavano la piazza. In netta antitesi, il fragore degli scarponi chiodati provenienti dall'unica strada pavimentata con basolato grosso in pietra vulcanica, un modo per risparmiare la suola delle scarpe come il proteggere le tomaie con lardo di maiale.

    Maliziosi bisbiglii accompagnavano il passaggio delle giovani donne, e, contrariamente a quanto si possa immaginare, sortivano un effetto di compiacimento nelle ragazze che, mal celato, dava loro parvenza di coraggiosa audacia e sicuro andamento.

    I pochi avventori della macelleria intanto, si davano da fare a scegliere pezzi meno costosi, magari ricchi di grasso per avere il sugo domenicale più ricco e gustoso. Le parti nobili del manzo o del maiale o dir che si voglia, erano infatti appannaggio dei personaggi più in vista del paese e tra questi vi era il Sindaco, il Farmacista, il Prete e a seguire i cosiddetti Ras, proprietari latifondisti che davano lavoro nei campi in cambio di misera mercede, tragicamente misera ma necessaria.

    Ognuno di questi personaggi aveva messo in campo quanto necessario, secondo loro, a rendere meno dura la vita popolana.

    Il Sindaco ad esempio, aveva istituito presso il Comune l'elenco dei poveri, ai quali si garantiva qualche buono pasto da spendere nella locale bottega e l'accesso gratuito all'istruzione, libri compresi. Inoltre, tutte le mattine a scuola, una anziana signora che fungeva da bidello, distribuiva ciotole di latte e qualche biscotto, prodotti in paese a controllo zero. Si sarebbe potuto definire quella comunale, un'amministrazione accorta e responsabile non fosse stato che il tutto si muoveva su precise disposizioni di leggi emanate dall'allora Governo della giovane Repubblica e su compromessi contabili a favore dei piccoli produttori di latte, panetterie e del sindaco con la sua giunta.

    La Nazione evidentemente, aveva bisogno di combattere il diffuso analfabetismo e di cervelli oltre che di braccia operaie.

    Tuttavia, l'economia domestica la faceva da padrona. Le casalinghe riempivano le giornate del loro lavoro per le pulizie delle povere dimore, di queste, se ne contavano mediamente una decina, affacciate su ogni ampio cortile. Passavano le giornate a rammendare e rivoltare abiti, a pulire camicie, a lucidare scarpe dalle suole consunte, spesso bucate, e, quando arrivava il turno, a preparare l'impasto di pane, il lievito naturale ed il forno capace di almeno quindici grosse pagnotte. Alla levata, il profumo di pane caldo si avvertiva al di sopra di tutti gli altri odori ed era festa, specialmente per i piccoli; quando a distanza di qualche giorno poi il pane si induriva, diventava buono per le zuppe di latte e a cena per bruschette. Altra incombenza tipicamente femminile era quella di cuocere il cibo alla fiamma del focolare d'inverno e su stufe artigianali a segatura d'estate; stufe generalmente costruite dal Capo famiglia.

    Il Parroco, un omone da un metro e novanta da trenta anni pastore di anime, si era meritato l'appellativo di gigante buono e non di rado, lo si vedeva in piazza sovrastare con la sua ombra nugoli di ragazzini tutti presi dalle biglie; succedeva allora che nel mucchio, un malcapitato veniva afferrato per un orecchio e trascinato verso la Chiesa anticipato naturalmente dai compagni in fuga, impauriti ed ansimanti mentre prendevano posto tra gli scanni. Non era nemmeno raro vederlo entrare nel bar, sbracciarsi e tendere la mano verso l'orecchio di qualche ritardatario incauto giocatore di scopa, tressette e briscola.

    Era amato per questo, e, non solo per questo.

    La comunità maschile amava farsi rincorrere in quel modo e sapeva fare da scudo al proprio pastore, specialmente allorquando il Vescovo di Capua, ritenendo di affidargli parrocchia altra, forse per i troppi anni maturati nello stesso luogo, cercava di avvicendarne il servizio pastorale.

    Una volta addirittura, il Vescovo fu minacciato di petizione presso il Santo Padre della Santa Romana Chiesa.

    Alla messa loro destinata, i bambini trovavano sul ripiano basso dello scranno caramelle e biscottini acquistati, e si sapeva, con i soldi del vitalizio che la curia mensilmente assicurava al gigante buono.

    La chiesa, interamente in muratura di tufo, volgeva la facciata ad Est, ispirata ad un clima tardo neo classico, si presentava con pianta a croce latina, pronao, ampia navata centrale e due laterali con cupola all'incrocio dei bracci. La sagrestia, posta di fronte al braccio sinistro, fungeva da ambiente preparatorio alle sante messe mentre, in comunicazione con la strada principale vi era una porta d'accesso ad un doppio ambiente, uno destinato all'ufficio del parroco e l'altro all'azione cattolica, esclusivo appannaggio dei pargoli e meno pargoli, praticamente dai sei anni in su, con orari naturalmente differenziati per età. Un buon ritrovo, confortato da un televisore a valvoloni che fungeva più da attrazione che altro, il tutto voluto fortemente dal parroco nel tentativo di attrarre la compagine maschile, alla quale va detto, riusciva ad imporre preghiere e rosari durante i lunghi intervalli delle prime trasmissioni. Insomma un paesino come tanti, dove ancora il medico curante assistiva anche per strada i suoi pazienti incontrati per caso, valutandone sommariamente le condizioni da indizi superficiali; pioniere forse di una medicina di là da venire.

    Il ministero della confessione poi, veniva esercitato per gli uomini presso l'altare, ad una certa distanza dal gruppetto in attesa del turno e per le donne in un vecchio confessionale di legno, lontano da occhi indiscreti.

    L'austerità tenuta nell'esercizio della confessione era pari soltanto alla grande segretezza che quel gigante burbero aveva ampiamente dimostrato ormai da tanto tempo.

    Quest'atteggiamento l'aveva reso unico anche agli occhi delle donne, maritate o meno che fossero, facendolo assurgere a riferimento ed a volte, anche a ruolo di confidente e consigliere.

    Di storie ce ne sono tante in un paese, anche se piccolo e quella che si andrà a raccontare non avrà nulla in comune con tante altre pur degne di essere narrate, se non altro, per le varie vicende al limite della credibilità.

    * * *

    Ad ottobre cala presto il buio e con esso cessano molte attività; l'aria pungente avverte che l'estate è andata via da un pezzo e sovente scoppiano temporali che invitano a star chiusi in casa. Succede allora che qualche ritardatario si affretti a rientrare, riparandosi alla meno peggio dalle folate di vento, foriere dell'imminente acquazzone accompagnato dal'insopportabile latrare dei cani. La loro irrequietezza sembra trasmettersi anche agli uomini.

    Quella sera in particolare, oltre ad un improvviso quanto inaspettato vento, nuvoloni neri come la pece si addensavano, illuminati da violenti fulmini e seguiti da fragorosi tuoni che facevano tremare le vecchie mura della Chiesa.

    Don Umberto, questo era il nome del gigante buono, stava valutando di anticipare la chiusura, un po' per evitare un bagno fuori programma, un po' perché, cosa da non credere, per paura.

    Chi l'avrebbe mai detto, un uomo della sua stazza, dotato di muscoli d'acciaio, incredibile a dirsi, aveva terrore dei fuochi d'artificio, dei tuoni e di tante altre cose. Quando incappava in uno di questi eventi si rifugiava in Chiesa e vinto dalla paura, si inginocchiava presso l'altare chiedendo soccorso a Dio e pregando in latino: Deus in adiutorium meum anima mea tibi.

    Quella sera, come dicevamo, particolarmente buia e tempestosa, gli valse uno dei suoi attacchi di panico; volse uno sguardo al cielo e si convinse che era la cosa giusta da fare, d'altronde, le strade erano deserte ed era poco probabile che qualche incauta pecorella andasse a quell'ora alla casa del Signore. Recitò l'ultima preghiera davanti al grandioso crocifisso che sovrastava l'altare, si segnò e percorse la lunga navata centrale con passo frettoloso mentre recitava un Pater Noster.

    Il fragore assordante di tuono lo sorprese mentre varcava il portoncino in legno che dava sulla strada principale ed una luce abbagliante esplose in tutto il suo bagliore facendolo sobbalzare.

    Il sagrato, le case a lui tanto familiari si deformarono in mille spettri minacciosi; abbagliato percepì una figura ritta, immobile, senza volto, ai piedi della gradonata d'accesso. Si sentì mancare, mentre il cuore sembrava esplodergli nel petto. Si appoggiò al legno per non cadere e segnandosi trovò la forza per guardare meglio!

    <>

    La voce che gli giunse ebbe il potere di rincuorarlo.

    <>

    <>

    Rispose. Forse per darsi ulteriore coraggio.

    <>

    <>

    Aggiunse la donna e accorgendosi del disappunto del suo parroco aggiunse:

    <>

    <>

    Si incamminarono lungo la navata centrale fino a raggiungere l'altare alla cui sinistra trovavano posto una sedia ed un inginocchiatoio riservato alla confessione degli uomini; ma evidentemente, data l'ora, era conveniente mostrarsi in attività pastorale a qualche eventuale nuovo visitatore. Nei paesini funziona così, ha sempre funzionato così.

    Dalle ampie vetrate sovrastanti l'organo e da quelle laterali che si dipartivano poco più in alto della linea dei capitelli corinzi, ricavate in voltine ad unghiette nella volta a botte di copertura, filtrava sinistro il barbaglìo di lampi che inondando l'interno della chiesa e sovrastando la debole luce delle candele votive finiva per permeare ogni cosa; a tratti, il gioco d'ombre prodotto sembrava dare vita alla statua di San Michele mentre affondava la spada nelle fauci dell'immondo drago ed a quella dell'Addolorata, silenziosa testimone del terribile segreto che una donna stava confessando al suo parroco.

    Le parole, bisbigliate appena, quasi a proteggerle da orecchi indiscreti sembravano artigli pronti a ghermire quelle anime per trascinarle nel più profondo degli inferni. Don Umberto si copriva il volto con le grandi mani recitando preghiere intelligibili solo a Dio.

    Quando Mariuccia finì di parlare, Uno stravolto don Umberto si asciugò il sudore che gli aveva inzuppato finanche il colletto e con occhi pieni di lacrime ed il volto scavato si rivolse alla donna con voce rotta dall'emozione:

    <<È una cosa terribile! In questi casi solo l'autorizzazione del Vescovo potrebbe permettermi di darti l'assoluzione, ma questo, significherebbe la fine di un segreto, una cosa non possibile!>>

    <>

    Passò qualche interminabile minuto poi, come se avesse preso una decisione solenne finalmente il sacerdote proseguì:

    <>

    Si chinò verso la donna e le parlò all'orecchio lentamente mentre fissava San Michele che sovrastava il drago. Poi alzò gli occhi verso il crocifisso e con la mano destra disegnò nell'aria una croce recitando la formula di rito.

    <<Deus, Pater misericordiarum, mundum sibi reconciliavit mortis et resurrectionis eius, et Spiritus Sancti effusa est in remissionem peccatorum, det vobis per ministerium Ecclesiae; remissionem et pacem. Et ego te absolvo a peccatis tuis + In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.>>

    L'intera chiesa vibrò come sferzata dalla furia di una gigantesca mano mentre il picchiettare della pioggia ruggente giungeva fino all'altare.

    Di lì a poco una figura minuta lasciava la chiesa sfidando la furia del temporale.

    In chiesa, un uomo inginocchiato di fronte al Crocefisso con le mani giunte, sembrava piegato sotto un peso invisibile, enorme. Nel suo cuore preghiere seguivano a preghiere. Quando tornò in sé, fuori era tutto buio; quanto tempo era trascorso?

    Si alzò non senza fatica, con le ginocchia indolenzite e mentre guadagnava l'uscita pensò alle parole pronunciate dal Cristo nell'orto degli ulivi: Padre allontana questo amaro calice, se puoi, ma sia fatta la tua volontà!

    CAPITOLO II - HAMMADI

    Egitto - Qualche anno prima

    El-Ashmunein, piccolo paese dell’Alto Egitto, antichissimo centro sacro di Khmunu, l'antica Ermopoli (Hermopolis Magna), nome con il quale gli storici greci identificarono la località egizia di Khnum. Il nome attuale del sito è quello di Khemnu è el-Ashmuneyn e ricade nei pressi della città di Mallawi, nel governatorato di Al-Minya.

    Questo sito ancora oggi conserva notevoli tracce di edifici sacri tra cui tre grandi porte monumentali datate dall'Archeologia ufficiale dalla XX dinastia, alla XIX dinastia dell'epoca Tolemaica.

    Molti elementi architettonici rinvenuti ad Ermopolis presentano caratteristiche tipiche della fase di Amarna anche se resta ancora oscuro se si tratti di parti di un tempio locale demolito, allo scopo di riutilizzare i materiali, pratica peraltro molto diffusa in epoca Ramesside, oppure di materiali provenienti direttamente da Tell el-Amarna.

    Del tempio posto dietro la seconda porta, rimangono solamente due statue colossali raffiguranti Ramesse II ed attribuiti a Seti II, probabilmente i resti di un tempio dedicato al dio Thot (il Signore degli Otto) caratterizzati da un pilone e da un accesso ad una sala ipostila.

    Questo tempio, si dice, accoglieva come divinità ancestrali il Grande Cinque e successivamente l'Ogdoade l'insieme cioè di otto divinità che esistevano prima della creazione, personificazione delle forze primeve del Caos caratteristicamente rappresentate nell'antico linguaggio.

    ḫmnw gli otto

    Ovvero, la città degli otto dei.

    - Nun e Naunet, coppia divina che governava le acque primordiali;

    - Heh e Hauhet, custodi dell'eternità;

    - Kuk e Kuaket, vigilanti delle tenebre;

    - Amon e Amaunet signori dell'aria e delle cose nascoste, di ciò che non si vede.

    Queste divinità operavano in piena armonia con il creato, per mandato ancestrale perso nella notte dei tempi, tenuti a darne conto soltanto al loro Signore, Thot!

    Oggi el-Ashmuneyn è una cittadina composita, differenziata tra l'attività agricola prevalente, quella ittica praticata da una piccola comunità di pescatori e quella turistica.

    Come tutti i piccoli centri disseminati lungo il corso del Nilo, el-Ashmuneyn si è dotata di sistemi irrigui che emungono le acque dal grande fiume ed attraverso complessi sistemi a rete, recapitano il prezioso elemento in ogni dove, consentendo in tal modo la coltivazione di ortaggi, graminacee ed essenze arboree da frutta. La produzione ortofrutticola di el-Ashmuneyn e di tutti gli altri centri che in qualche modo si affacciano sul fiume, viene per lo più destinata ai paesi Europei, grandi consumatori di frutta esotica ed ortaggi in tutte le stagioni. Cosicché, il volano motore della micro economia locale passa proprio per questi tre ambiti principali senza però per questo, inibire attività legate alla produzione stessa, quali quella di officine meccaniche, elettrauti, magazzini di ricambio, piccoli negozi di tessuti e magazzini vari. I pochi turisti vengono per lo più condotti per la principale arteria, Malawi_Dairout sulla quale si affacciano numerosi negozi e bancarelle che fanno sfoggia dei prodotti locali, dai coltelli e pugnali impreziositi da manici di corno lavorati a mano, a stoffe di lino candido di pregiata lavorazione. Per lo più questo itinerario è un classico per il turismo organizzato ma, volendo riferirsi a turismo altro, quello del fai da te per intenderci, sovente si vedono piccole frotte avventurarsi fra le povere abitazioni, costruite ancora tradizionalmente con mattoni di fango cotti al sole o con pareti di terra compressa ricavati a strati sovrapposti e pestati con maglio di legno. Ma è proprio in questi anonimi anfratti che si muove l'economia popolare, qui ogni casa offre al suo interno oggetti e manufatti spacciati per autentiche antichità attribuiti a questo o quel faraone, sacerdote o cortigiana ed è proprio tra queste stradine che l'incauto turista viene abbindolato o l'esperto, mischiato tra di loro, soddisfatto da qualche raro reperto trafugato nottetempo da qualche sito sotto gli occhi complici di qualche guardia connivente.

    Una realtà alquanto variegata, dove ognuno si inventa qualcosa per sbarcare il lunario; al di là delle micro attività più o meno legalizzate nell'ambito dell'agronomia, del turismo e dell'alimentazione.

    La casa di Babti, una delle poche colorata con calce bianca, si trova nel quartiere sud denominato visvang distrik, ovvero, il quartiere dei pescatori e per chi volesse raggiungerla, provenendo dal porticciolo chiamato hawe in lingua locale, significherebbe percorrere un breve e lussureggiante tratto cosparso di banani, avocado e ortaggi a perdita d'occhio, da sud a nord. Quantunque, rimane sconsigliabile fare il breve tragitto da soli e a piedi, specialmente ai bambini, a meno di essere del posto oltre che abili ed esperti nell'evitare la presenza costante di coccodrilli e serpenti velenosi annidati negli acquitrini che punteggiano l'intera area. Non di rado quindi bisogna ricorrere all'intervento del medico "طبيب" in lingua locale o alle cure dello ساحر, stregone e delle sue magiche pozioni, per lo più ricavate da erbe e siero animale, per chi non può permettersi il medico, naturalmente.

    Akila e suo marito Babti avevano un bel da fare con i loro nove figli, lei addetta alla conduzione domestica e ad accudire i pargoli; lui sempre sul fiume o al mercatino locale per piazzare il pescato. Tuttavia non era raro vederlo aggirarsi di notte con sacchi di juta ripieni di carne di coccodrillo o ippopotamo, roba per palati fini, per gente che potevano permetterselo in barba alle severe leggi proibizionistiche.

    Bisognava pur campare e la sua famiglia di certo non mangiava articoli e decreti.

    Per fortuna Hammadi, il più grande, cominciava a rendersi indipendente e spesso, riusciva ad aiutare anche la propria famiglia con soldi sulla cui provenienza il padre non aveva il coraggio di chiedergli spiegazioni; d'altra parte Hammadi, li giustificava quali proventi della caccia condotta nel deserto alla guida di esagitati turisti in vena d'avventura. Tuttavia, nel suo cuore, il padre pregava Allah affinché non succedesse mai nulla a quel giovane figlio che si stava appena affacciando alla vita.

    Era triste, avrebbe voluto che studiasse al Cairo, ma non ne aveva i mezzi e quel ragazzone che tante volte aveva dato prova di grande intelligenza, era destinato alla vita magra che quel buco gli offriva così come era stato per i suoi avi e per suo padre. Avrebbe voluto il meglio per la sua famiglia ed invece si ritrovava fra le mani una vita di stenti e di rinunce. L'amarezza a volte gli traboccava dal cuore sotto forma di lacrime, silenziose, allora succedeva che seduto sotto la palma del suo giardino si abbandonava alla bottiglia di vino tenuta al fresco nel locale interrato. Ebbro, si ritrovava a parlare alla luna, silenziosa sentinella di una notte immobile; la stessa luna che aveva visto nascere e morire una cultura, forse la più grande e misteriosa di tutti i tempi, la stessa immutabile luna testimone di grandi vittorie finite in polvere e tante sconfitte rigeneratrici, silenziosa testimone di gioie e dolori, di nascita e morte, araba fenice di cieli stellati, apportatrice di vita. In certe notti, come quelle di Bapti, le si poteva parlare, sentirsi il cuore inondare di una piena più forte di quella del fiume degli dei; sentire dentro una nuova saggezza.

    Babti sapeva bene che quello stato di lucida follia non sarebbe durato a lungo, che di lì a poco la sua Akila l'avrebbe svegliato da quello strano torpore e l'avrebbe accompagnato fino alla sua misera branda, brava quanto bella la sua Akila, avrebbe potuto accettare un partito diverso, economicamente più rassicurante, invece aveva scelto di avere i suoi figli da uno come lui.

    Gli parve che qualcosa si muovesse nell'ombra. Più una sensazione che una certezza.

    <Hammadi che rientra>> Si disse. Poi il buio. Si addormentò sotto la sua amata palma ed un cielo tempestato di stelle scintillanti, sotto lo sguardo dell'impassibile luna.

    La mattina successiva, di buon’ora, un uomo avvolto in una galabeya di lino e cotone finemente lavorata, bussò alla sua porta; non ottenendo risposta, riprovò. Si udì dall'interno un rumore indefinito, poi passi che si affrettavano all'uscio.

    <> Chiese una voce roca dall'interno.

    <<Salaam aleikum, il mio nome è Kaphiri> Rispose la voce.

    Cigolando, la vecchia porta di legno girò sui cardini e l'elegante figura di Kaphiri si stagliò nella luce mattutina, quasi accecante per Babti che evidentemente stava smaltendo i postumi della sbornia.

    <<Salaam aleikum>> Farfugliò con lingua pastosa.

    <>

    <>

    Hammadi intanto, avendo udito delle voci, socchiuse la porta della camera da letto di quel tanto da poter ascoltare senza essere visto.

    <> Si accarezzò con studiato gesto la folta barba mentre faceva roteare lo sguardo dai mobili alle suppellettili.

    <<È una casa povera che contiene povere cose, ma bastano alla bisogna>> Rispose Bapti ferito dentro, mentre pronunciava quelle parole.

    <> Gli fece eco lo sconosciuto, scusandosi.

    <> Continuò.

    <<Allah dissemina doni inaspettati, a chi concede la ricchezza, a chi l'intelletto e ad altri fa dono del coraggio e dell'intraprendenza come, come a suo figlio Hammadi per esempio. Per cui, la prego di perdonarmi di aver dato un’impressione sbagliata, non deve sentirsi a disagio. Lei è padrone e signore in casa sua e a nessuno è concesso di formulare giudizi, qualunque essi siano>> Un Bapti visibilmente rincuorato riprese allora la parola.

    <>

    <Hammadi il cacciatore? È questa la domanda giusta! Vede, suo figlio, nonostante la sua giovanissima età, si è fatto conoscere per il suo coraggio e la sua intelligenza nell'affrontare i rischi del deserto. Lo ha dimostrato catturando vipere e scorpioni a mani nude e nutrendosene!>>

    <>

    <> Aggiunse Kaphiri, cavando d'impaccio per la seconda volta il povero Bapti.

    <Azalai per esempio, mi ha riferito che sono stati salvati da un leone del deserto da un giovane che armato soltanto del suo coraggio e di una canna di giunco è riuscito ad allontanare la minaccia dalla carovana. Quel giovane disse di chiamarsi Hammadi_el_Bapti da El-Ashmunein. Grazie a quest'informazione, peraltro fornita da lui stesso, mi è stato possibile arrivare qui stamattina>> Il povero Bapti non riusciva più a parlare, guardava l'ospite stralunato, si sentiva catapultato d'improvviso in una realtà a lui estranea.

    <> Riuscì a malapena a sussurrare.

    <> Si accarezzò di nuovo con voluttà la lunga barba.

    <>

    Nella stanza che fungeva da cucina oltre che da soggiorno e luogo da giochi per i bambini, cadde un pesante silenzio, di attesa.

    <>

    Farfugliò a bassa voce, quasi a voler sottolineare la vita indipendente che Hammadi già praticava.

    <> Rispose determinato Kaphiri, accompagnando le parole con un gesto d'insofferenza, ma poi, accortosi della perplessità dell'altro, si affrettò ad aggiungere.

    <> Girò lo sguardo verso il giardino seguito da un sempre più allibito Bapti.

    <> Rispose.

    <Hammadi è solo un ragazzo ed io non voglio che venga coinvolto in qualcosa di pericoloso o d'illegale>> Si meravigliò della determinazione con cui aveva proferito le ultime parole. Kaphiri stava per ribattere, quando un rumore di passi proveniente dalla scala interna lo interruppe. Alla svolta del pianerottolo che dava all'interno della cucina, comparve Hammadi.

    <> Chiese scrutando l'ospite, con una mano sull’inseparabile pugnale che gli adornava la cinta.

    <> Disse il giovane rivolgendosi a Babti, accompagnando le parole con un gesto riverenziale della testa ma con lo sguardo fisso sull'ospite e la mano sempre appoggiata al suo Khanjiar.

    I larghi pantaloni chiari rastremati alle caviglie, la semplice canotta a giro manica, anch'essa chiara, ne esaltavano l'atletica figura mentre il colorito scuro della pelle veniva interrotto da due occhi profondi, indagatori e lo scintillio ne manifestava una insolita intelligenza. Il carattere del suo viso, privo di sorriso, senza alcuna piega che tradisse emozioni colpì Kaphiri, lasciandolo senza parole.

    Silenziosamente, dopo l'assenso del padre Hammadi prese posto tra i due, con cura, liberando il pugnale dalla sicura.

    <Kaphiri viene dal Cairo ed é stato inviato per contattarti. Per conto di un'agenzia, come ha detto che si chiama?>>

    <<Tin Hinan Toeriste agentskap>> Puntualizzò Kaphiri con orgoglio mal celato.

    <> Aggiunse.

    <> Concluse infine, non trascurando di studiare l'effetto ottenuto dalle sue parole sul viso degli interlocutori. Colse una piacevole sorpresa nell'espressione di Bapti ma non riuscì a cogliere alcun segno in quella di Hammadi. I suoi occhi sembravano ghiaccio, il suo viso impenetrabile.

    <<La Tin Hinan Toeriste agentskap>> Proseguì.

    <> Seguì un breve silenzio, poi la voce di Kaphiri si udì di nuovo.

    <>

    <> Gli fece eco Babti

    <> Venne interrotto dall'ospite.

    <Hammadi accetti l'incarico. Sapete, sono cose coperte dal segreto di Stato, imposto dall'attuale governo che come vi dicevo è il primo azionista della compagnia che rappresento! Tuttavia posso cominciare col fornire solo dei dettagli necessari perchè facciate le vostre valutazioni.>> Il volto del giovane era sempre impenetrabile, privo di emozioni.

    <> Fece una breve ma studiata pausa e accarezzandosi quasi maniacalmente la barba aggiunse.

    <<La Tin Hinan Toeriste agentskap, per l'ingaggio di suo figlio Hammadi offre un compenso di 500.000 piastre egiziane الجنيه المصرى ed in più, un'assicurazione sulla vita e/o causa malattia oltre all'iscrizione di suo figlio all'albo Statale delle guide, diciamo con un compenso base annuo di 3.000 sterline.>> Il povero Bapti sembrò afflosciarsi sulla sedia, quei numeri gli facevano girare la testa; il solo ingaggio era enormemente superiore a quanto lui stesso e suo figlio avrebbero potuto guadagnare in dieci vite. Eppoi, il vitalizio derivante dall'elenco delle guide sicuramente assicurava al figlio una vita speciale, privilegio di pochi.

    <> Disse il giovane guardando Bapti in attesa di un gesto di assenso ed ottenutolo, proseguì.

    <>

    <>

    <> Ribattè il giovane.

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <> Bapti seguiva non senza preoccupazione le battute.

    <> Prima di rispondere Kaphiri assunse un'aria dura, quasi arcigna.

    <Hammadi>> Un silenzio grave, quasi irreale, cadde sulla casa avvolgendo cose e persone.

    Oltre che impenetrabile, il viso

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