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La tenda gialla tra i due mondi. Dolly e la mezza sfera
La tenda gialla tra i due mondi. Dolly e la mezza sfera
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E-book198 pagine2 ore

La tenda gialla tra i due mondi. Dolly e la mezza sfera

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Info su questo ebook

Dolly è sensibile, solare e curiosa, ma non ha amici. Vive con i

genitori in una casa ai piedi di una collina, sulla quale trascorre da

sola tutto il suo tempo libero. Il primo giorno d'autunno, però, non sa

che la sua vita cambierà per sempre. Passeggiando tranquilla sulla sua

collina, si trova davanti a qualcosa che non aveva mai visto là prima di

allora: una tenda gialla. Sicura che nessuno oltre a lei cammini per

quei sentieri, agitata e curiosa, vi entra dentro e la osserva, ma si

addormenta. Al suo risveglio, fuori dalla tenda troverà un altro mondo.

Da quel momento Dolly affronterà pericoli, scoprirà le meraviglie che si

possono celare in un luogo ignoto, troverà degli amici e risolverà con

coraggio il malinteso da cui ha avuto origine la sua avventura.

Attraverso peripezie e mostri terrificanti, i protagonisti sveleranno un

mistero celato fino all'ultimo, destreggiandosi in un intrico di

equivoci, per avere salva la vita.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2021
ISBN9791220357913
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    Anteprima del libro

    La tenda gialla tra i due mondi. Dolly e la mezza sfera - Connelly Islay

    Pane e marmellata

    Per Dolly c’era sempre un fosso da saltare, uno sventurato animaletto da salvare o un albero su cui arrampicarsi e mangiare una fetta di pane ricoperta di marmellata. Era fatta così, e per quanto sua mamma si fosse sempre sforzata di tenerle in ordine i capelli, lei aveva costantemente una ciocca ribelle fuori posto, come il suo carattere. La sua pelle odorava di avventure e le sue mani erano spesso sporche di terra, mentre la luce che le illuminava gli occhi sembrava non abbandonarla mai, nemmeno per un momento. Era una ragazzina speciale, così le dicevano i genitori, celando dietro parole gentili la preoccupazione di vederla crescere da sola, senza nemmeno un amico.

    Avevano affrontato spesso discussioni animate e cercato di convincerla a fare amicizia con qualche coetaneo, ma la ragazza non ne aveva mai voluto sapere. In qualche modo sentiva di non essere come i suoi compagni di classe e per quanto gli insegnanti avessero cercato di farla integrare, lei aveva continuato a sentirsi diversa e non accettata dagli altri. Così piano piano le discussioni e i rimproveri in famiglia erano diminuiti, fino a scomparire del tutto. Solo raramente i genitori tornavano sull’argomento con suggerimenti evasivi, del tipo: «Perché oggi alla collina non vai con qualcuno di classe tua?» oppure, «Che ne diresti di invitare qualche tua compagna di classe e ascoltare un po’ di musica?». Tutti consigli a cui non aveva mai dato seguito, ma che nascondevano la segreta speranza dei genitori di farle capire, prima o poi, l’importanza di un’amicizia.

    Ma Dolly alla collina ci andava volentieri da sola e l’unica musica che le interessava era il fruscio del vento tra gli alberi secolari, che le portava il sussurro di voci diverse e le raccontava sempre nuove avventure. Per lei quella piccola altura appena dietro casa era un mondo a sé stante, un universo in cui erano racchiuse tutte le meraviglie esistenti. Ogni giorno, non appena finiva di studiare, trascorreva il suo tempo libero tra quegli arbusti e quei prati passeggiando, osservando e ascoltando. Spesso se ne stava per ore seduta sul ramo alto di un albero, ferma immobile, semplicemente a guardare il mondo da quella prospettiva. Partiva da casa con lo zaino in spalla e in pochi minuti arrivava alla collina. Non le importava se c’era il sole, la pioggia o la neve; sentiva che lì, in ogni attimo, succedeva qualcosa di importante e lei era determinata ad ammirarne la bellezza.

    Aveva imparato a memoria ogni sentiero, ogni rivolo d’acqua, ogni radice. Conosceva il profumo che aveva il vento in inverno, in primavera e in estate, ma la sua stagione preferita restava sempre l’autunno: aspettava con euforia il momento in cui poter passeggiare tra il fruscio delle foglie secche che scricchiolavano sotto i suoi piedi; amava riempirsi gli occhi di quei colori così vivi eppure caldi e avvolgenti. Camminava per ore, senza mai stancarsi, avanti e indietro, immersa totalmente nel suo mondo.

    Poi, quando la fame le faceva venire i crampi allo stomaco, sceglieva un albero, si arrampicava fino a raggiungere un ramo abbastanza comodo e tirava fuori dallo zaino la merenda. Le piaceva starsene lì, a guardare la vita nella foresta, con le gambe penzoloni, mentre mangiava il suo panino con la marmellata, la cosa più gustosa al mondo. Amava sentire il profumo del pane croccante e gustarlo con quella meraviglia dolce e appiccicosa che ogni volta le macchiava le dita, costringendola a leccarsele una a una.

    Quando stava seduta su quei rami, le piaceva pensare che niente lassù potesse disturbarla e che il tempo si fermasse a ogni battito d’ali di una farfalla o a ogni foglia che ondeggiava svogliata verso terra. Poi annusava il vento, talvolta le sembrava che odorasse di fiori, ma se inspirava più profondamente, con attenzione, poteva sentire profumo di avventure; allora credeva che anche il vento volesse suggerirle di non fare tutto da sola e trovare degli amici, ma poi si perdeva nei pensieri e dimenticava quell’avvertimento.

    Aveva riflettuto spesso e preso in considerazione la possibilità di portarci anche qualcun altro lì, sulla sua collina, nel suo mondo, ma aveva paura di essere derisa. Temeva che nessun altro potesse capire l’importanza del suo mondo o percepire allo stesso modo le piccole cose che lei osservava e da cui rimaneva affascinata, come i colori dell’autunno. Così si convinceva che le sue stranezze sarebbero rimaste solo sue e abbandonava quel minimo proposito.

    Dolly era una ragazza sensibile, all’alba dei suoi dodici anni sentiva già l’emozione che può regalare ogni tramonto e la meraviglia dell’alba. Sapeva poi quanto fosse immenso l’amore dei suoi genitori, era consapevole del fatto che tutto ciò che facevano, era per il suo bene. Cercava quindi di ascoltarli il più possibile, andando alla ricerca anche di quelle cose non dette che i genitori lasciano sempre sospese lì, tra un consiglio e un rimprovero, ma che non si ha mai la capacità di interpretare. Ma non era semplice. Sentiva il vento scompigliarle i capelli e quel richiamo era troppo forte, più forte persino della sua famiglia.

    Con la chioma rossa e il suo metro e trentasei di altezza, Dolly era davvero una ragazzina speciale: piena di entusiasmo, immaginazione e determinazione. E chi possiede queste qualità è destinato a grandi avventure. Ma né i genitori né tantomeno lei si sarebbero mai potuti immaginare gli avvenimenti di quell’autunno e che niente sarebbe più stato come prima.

    Il primo giorno d’autunno

    Non solo era sabato, ma era anche il primo giorno d’autunno… soprattutto, era il primo giorno d’autunno. Dolly aveva passato tutta la notte pensando alla collina e al cambiamento che aveva già iniziato a vedere nei giorni precedenti, ma che da quel sabato sarebbe stato una crescente esplosione di colori e profumi. Che meraviglia, quella era senza dubbio la sua stagione preferita. Il pane con la marmellata era ancora più gustoso assaporato durante una giornata di pioggia o sentendo quell’aria frizzantina tipica del cambio di stagione.

    Dolly fece un bel respiro, riempì bene i polmoni e «Finalmente», sussurrò a se stessa. Voleva assorbire ogni profumo, ogni raggio di luce, ogni colore di quel primo giorno d’autunno. Scese dal letto determinata e decisa a non perdersi niente di quella giornata. Era mattina presto, ma anche i suoi genitori erano già svegli; si avvicinò alla porta della sua camera, l’aprì e mise il naso in corridoio. Poté sentire chiaramente il profumo del caffè caldo che veniva versato nelle tazzine dalla mamma e quel tono muschiato del bagnoschiuma di suo papà, mentre si faceva la doccia.

    «Cavolo, adesso papà impiegherà un sacco di tempo per uscire dal bagno! Mi sarei dovuta alzare prima per batterlo in anticipo» si disse.

    Girò lo sguardo alla finestra di fianco al suo letto, fece dietrofront e si chiuse dietro la porta. Usò una mano per parare un enorme sbadiglio e l’altra per grattarsi la testa. Poté sentire chiaramente ogni dito incastrarsi in un groviglio di nodi, i suoi capelli erano particolarmente ribelli quella mattina.

    «Mhmm… se la mamma mi vede così, non sarà proprio felice. È meglio che mi dia una pettinata prima di scendere».

    Si mise allora con le gambe incrociate seduta tra le lenzuola sfatte: la camicia da notte era piena di grinze, segno di una nottata passata a rigirarsi nel letto, mentre gli occhi erano ancora appiccicati di sogni e irrequietezza. Si pettinò i capelli guardando fuori dalla finestra. Si preannunciava una perfetta giornata autunnale; il cielo era cosparso di nuvole, ma non cariche di pioggia, erano nuvole gentili, di un grigio chiaro, la giusta cornice per quella nuova stagione. I suoi capelli si fecero più ordinati a ogni spazzolata, erano lunghi, di un rosso vivo, e quella mattina Dolly decise di acconciarli in due trecce laterali. Finì la seconda treccia e diede un’ultima occhiata fuori dalla finestra: da lì poteva vedere la sua collina; la stava aspettando.

    Aprì nuovamente la porta della camera e questa volta mise un orecchio in direzione del corridoio. Non sentì l’acqua scorrere nella doccia, quindi suo padre doveva aver finito. Corse in bagno, si lavò in fretta, si mise dei jeans, una felpa e si precipitò giù dalle scale con altrettanta foga. Si fermò al terzo scalino e con un sorrisetto si rese conto che probabilmente non si era mai preparata così velocemente, sicuramente non quando doveva andare a scuola, ma quel giorno era speciale e lei doveva viverlo il più possibile. Continuò la sua corsa per le scale diretta verso la porta d’ingresso.

    «Buongiorno! Ciao!» disse nell’aria senza fermare la sua corsa, sperando che il suono raggiungesse i genitori.

    Era già con un piede sul tappetino welcome del patio quando arrivò subito il rimprovero di suo padre: «Signorina, ma dove te ne vai? C’è la colazione pronta».

    «Ma dai papà! Sai che giorno è oggi?»

    «E tu vorresti uscire senza colazione e senza nemmeno un giacchetto? Ma hai visto che nuvole ci sono già in cielo?» intervenne la mamma vedendola mezza fuori e mezza dentro casa.

    «Ma non sono nuvole di pioggia e poi non ha importanza».

    «No, non lo so… che giorno è oggi? Qualcosa di speciale?» disse il padre dopo un’attenta riflessione nella quale, però, non era riuscito a ricordare proprio niente di particolare per quella data.

    «Ma stai scherzando? È il giorno più fantastico e più importante di tutti!»

    A quell’affermazione Dolly si aspettava una sorta di risveglio da parte dei genitori; ma non avvenne niente, nessuna illuminazione, solo sguardi interrogativi e smarriti dietro alle stranezze della figlia.

    Dolly alzò un sopracciglio incredula e fece seguire a quell’espressione un sorriso enorme, soddisfatto: «È il primo giorno d’autunno!»

    E corse via, veloce, verso il suo mondo. La sua collina.

    Una tenda gialla

    Si fermò solo una volta arrivata al limitare degli alberi, dove iniziava il sentiero che portava in cima alla collina. Era un viottolo stretto, pieno di ciottoli e segnato lungo i lati da piccole felci selvatiche. Lo adorava. Le sembrava ogni volta di entrare in un mondo incantato, ma in autunno questa percezione era ancora maggiore. Fece un respiro profondo e sentì distintamente il profumo degli alberi, della terra, finanche delle nuvole. Si sentiva pienamente se stessa in quel luogo e più cresceva, più ne aveva la certezza.

    Poco prima del sentiero c’era un vecchio capanno abbandonato in cui nessuno entrava da anni, tenuto in piedi da tavolacci di legno mezzi logori, abitati da tarme ciccione e affaticate da tutto quel rosicchiare trucioli. Lì dentro, Dolly aveva ricavato un piccolo nascondiglio per le sue ricchezze. Aprì la piccola porticina sconquassata; quella stanzetta angusta era proprio stretta, ma bastava per contenere tutti i suoi tesori. Passò in rassegna alcuni oggetti: c’era la vecchia lampada senza vetro che aveva trovato vicino casa; i semi di alcuni frutti; qualche libro ingiallito dal tempo; qualche posata che usava per esercitarsi a fare giardinaggio nel bosco; alcune piccole mattonelle con sopra disegnate delle stelle che avevano buttato via i vicini e poi c’era la valigetta. Prese quest’ultima.

    Suo papà gliel’aveva regalata dopo averla rinvenuta in soffitta ricoperta di polvere e muffa; l’aveva comprata a un mercatino vintage quando era giovane, un tempo aveva contenuto libri e altre cianfrusaglie, ma ormai erano anni che giaceva dimenticata tra la polvere e il buio del piano più alto della casa. Una volta sistemata e ripulita, Dolly aveva potuto ammirarne l’autenticità: suo padre non aveva mentito, quella valigetta era davvero molto vecchia. Il manico era di un bel marrone scuro, mentre il resto era di un tono leggermente più chiaro. Non c’erano disegni o motivi particolari, ma lungo tutti i bordi, strappi e screpolature rendevano evidenti i segni del tempo e, agli occhi di Dolly, questo sembrava renderla speciale, come se avesse un valore incredibile. Suo papà le aveva spiegato che in realtà non c’era niente di unico e che anzi era una comune valigetta d’altri tempi, come se ne potevano trovare molte uguali in giro. Ma lei se n’era innamorata subito.

    L’aprì e ci mise dentro i semi, poi scelse con cura un cucchiaio e una forchetta tra le posate, e richiuse il tutto. Era la giornata perfetta per provare a piantare qualcosa. S’incamminò quindi silenziosa su per la collina con la valigetta stretta in mano. Passo dopo passo, con le braccia che oscillavano mollemente lungo i fianchi, si accorse però di qualcosa di insolito: oltre al rumore dei suoi piedi tra le foglie secche, non sentiva nient’altro; non un cinguettio, non il movimento di un animaletto tra gli alberi.

    Si fermò un attimo e si guardò intorno stupita, sperando di vedere un uccellino volare nelle vicinanze o un riccio attraversare il sentiero, ma non apparve niente. Una goccia però le cadde sulla testa, facendola ripensare a ciò che poco prima le aveva detto sua madre; in fondo, non aveva tutti i torti. Uscendo di casa avrebbe giurato che quelle nuvole non trasportavano pioggia, adesso si augurava soltanto che il tempo reggesse almeno fino all’ora di pranzo. Le piaceva la pioggia, adorava soprattutto andare a caccia di arcobaleni e ne trovava sempre uno: a volte di qua, a volte di là, mai nello stesso posto, eppure sempre lì, come se aspettassero solo di essere visti dal suo sguardo curioso; ma quella mattina era stata troppo impulsiva, non aveva dato retta a sua mamma e non aveva con sé nemmeno un giacchetto.

    Alzò lo sguardo al cielo, non era pronta per un acquazzone e non aveva nemmeno voglia di tornare a casa. «Per favore, resistete ancora un po’» supplicò verso le nuvole. Quindi riprese a camminare sicura e senza esitazione per il sentiero, ma andava con calma, mentre faceva dondolare la valigetta a ogni passo.

    D’un tratto, mentre con il naso all’insù guardava le chiome degli alberi, urtò con il piede qualcosa di duro come un sasso. Volse subito lo sguardo a terra e non poté credere ai suoi occhi. Ai suoi piedi vide un pezzo di metallo, somigliava a una mezza sfera, vecchia e arrugginita. La osservò per alcuni minuti cercando di capirne il senso. Com’era finita lì? Era certa che nessun altro all’infuori di lei passeggiasse per quella collina. E se quell’oggetto non era suo, a chi apparteneva?

    Diede un piccolo colpetto alla mezza sfera facendola rotolare poco più in là, si mise in ginocchio e continuò a osservarla. Poi strizzò bene gli occhi e inarcò un sopracciglio per

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